1. Il caso - 2. Lart. 24, comma 3, D.Lgs. n. 165 del 2001 - 3. Alcune questioni interpretative - NOTE
La Cassazione torna ad occuparsi del principio di onnicomprensività della retribuzione nel pubblico impiego analizzando le rivendicazioni proposte da un dirigente di amministrazione sanitaria. La vicenda riguarda la richiesta di pagamento di altre indennità di posizione e risultato a fronte del disimpegno (per circa 32 mesi, per vacanza dei posti) di ulteriori incarichi dirigenziali in aggiunta a quelli già affidategli. In primo grado il Tribunale accoglie la domanda del dirigente escludendo l’applicabilità dell’art. 24, D.Lgs. n. 165 del 2001: il principio di onnicomprensività non viene applicato perché gli incarichi disimpegnati sono ritenuti completamente diversi rispetto a quelli istituzionalmente svolti. La Corte di Appello competente conferma peraltro questa impostazione, debitrice di una particolare lettura dei fatti caratterizzanti il contenzioso: l’attività del dirigente continua ad essere valutata eccentrica rispetto ai compiti istituzionali connessi all’incarico dirigenziale fisiologicamente già conferito. La Corte di Cassazione ribalta l’interpretazione offerta dai giudici del merito e, con ordinanza ex art. 384, comma 2, c.p.c., afferma la necessità di ricondurre la vicenda nell’ambito descritto dall’art. 24, comma 3, D.Lgs. n. 165 del 2001: il principio di onnicomprensività si applica a tutte le attività cui il dirigente è obbligato, come affermato anche dalla giurisprudenza contabile [1]. Il ragionamento della Corte ruota intorno ai noti precedenti in materia: il principio di onnicomprensività prende corpo nella necessità di ritenere perfettamente adempiuto l’obbligo retributivo a fronte di svolgimento di funzioni/compiti attribuiti secondo il contratto individuale o collettivo ovvero in caso di svolgimento di qualsiasi incarico conferito dall’amministrazione di appartenenza o su designazione della stessa. Si tratta di disciplina che – secondo la Cassazione – non va in competizione con altri principi civilistici: la Corte, infatti, espressamente esclude l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., che è ritenuto applicabile ai solo casi in cui la prestazione lavorativa sia eseguita in assenza di titolo per la nullità del rapporto di lavoro e non a quelle prestazioni in cui i compiti attribuiti, sia pure sulla base di [continua ..]
A mente dell’art. 24 comma 3, “Il trattamento economico determinato ai sensi dei commi 1 e 2 remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti in base a quanto previsto dal presente decreto, nonché qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall’amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa; i compensi dovuti dai terzi sono corrisposti direttamente alla medesima amministrazione e confluiscono nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio della dirigenza”. Il principio di onnicomprensività ruota intorno ad alcuni punti fermi: l’incarico deve essere conferito in ragione dell’ufficio ovvero il soggetto che affida l’incarico deve essere l’amministrazione di appartenenza (o, ancora, l’amministrazione di appartenenza può designare il dirigente rivolgendosi a terzi) [3]. La norma – evidentemente confezionata ad hoc e di stretta interpretazione – individua la disciplina da applicare in caso di “incarichi aggiuntivi” conferiti in casi particolari, sui quali non si può equivocare: la ratio – come è usualmente riconosciuto [4] – è quella di impedire che nelle ipotesi previste dall’art. 24 i dirigenti rivendichino ulteriori diritti economici (tant’è che la disciplina in esame considera il trattamento retributivo tout court: l’art. 24 si occupa sia del trattamento base sia del trattamento accessorio – posizione e risultato). In questo senso il noto parere del 4 maggio 2005, n. 173 elaborato dal Consiglio di Stato, Commissione Speciale Pubblico Impiego. La II sezione, investita da alcuni quesiti formulati dal Ministero del Lavoro, ha concentrato l’attenzione sulle 3 ipotesi di cui si legge nell’art. 24, comma 3, ed ha ribadito l’effettività del principio di onnicomprensività confermando che l’ambito di applicazione dello stesso è solo ed esclusivamente quello descritto dall’art. 24: per un verso, l’onnicomprensività è ritenuta assolutamente riconducibile alla relazione contrattuale e non è imputabile alla unilaterale volontà di una delle parti, trattandosi pur sempre di incarichi che devono essere accettati dall’interessato e, quindi, ben rifiutabili da chi non intenda [continua ..]
L’ordinanza che si commenta riprende l’orientamento tradizionalmente espresso in materia dalla giurisprudenza e non aggiunge molto alle considerazioni che usualmente sono spese in merito ai confini entro i quali spiega effetto il principio di onnicomprensività. La chiave di lettura prescelta esalta – come pure è stato notato [6] – il ruolo svolto dal contratto collettivo (e dal contratto individuale) nel caso della dirigenza pubblica, sia a proposito della determinazione dei criteri in merito alla graduazione delle funzioni dirigenziali sia, più specificamente, riguardo alla determinazione della retribuzione, a fronte di un impegno lavorativo che è evidentemente esclusivo e che – salvo quanto previsto dal sopra evocato art. 53 – non ammette distinzioni nell’esercizio delle funzioni riconducibili alla posizione dirigenziale. Nondimeno, l’ordinanza offre l’occasione per far cenno – sia pure fugacemente – ad alcune questioni che non paiono oziose, il cui approfondimento potrebbe stimolare ulteriori riflessioni intorno al principio di onnicomprensività. In primo luogo, non sembra inutile precisare che l’ambito di applicazione dell’art. 24, comma 3, riguarda solo due ipotesi: funzioni disimpegnate in ragione dell’ufficio e funzioni svolte a fronte di incarichi conferiti dall’amministrazione di appartenenza ovvero a da altri su designazione dell’amministrazione di appartenenza. Appare abbastanza chiaro, quindi, che il principio non riguarda incarichi aggiuntivi che siano conferiti intuitu personae ossia che prescindono dalla posizione che il dirigente occupa nell’amministrazione: in questi casi, infatti, le attività dovranno essere evidentemente compensate. Ancora, nel caso degli incarichi conferiti da terzi lo stesso comma 3 specifica che i compensi sono corrisposti all’amministrazione di appartenenza e confluiscono nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio della dirigenza. Il che conferma (e in questo senso depone la disciplina contenuta nella contrattazione collettiva di area) la retribuibilità delle funzioni svolte e, a monte, la corrispettività che le caratterizza, sia pure in presenza di un (complicato) meccanismo che consente al dirigente di ottenere parte del corrispettivo “filtrato” dal fondo che soddisfa la retribuzione [continua ..]