Il d.l. n. 44/2021, obbligando gli operatori sanitari e di interesse sanitario a sottoporsi a vaccinazione anti SARS-CoV-2, solleva dubbi di legittimità costituzionale ed eurounitaria in merito alla reale efficacia e sicurezza (non ancora provate) dei vaccini attualmente disponibili. Per i restanti lavoratori, dall’attuale legislazione non può desumersi alcun obbligo di sottoporsi a vaccinazione anti SARS-CoV-2, che può essere effettuata solo su base volontaria dopo acquisizione di consenso informato.
The “decreto legge” n. 44/2021, forcing healthcare professionals to get vaccinated against SARS-CoV-2, raises doubts of constitutional legitimacy in relation to the efficacy and safety (not yet proven) of the vaccines currently available. For the remaining workers, vaccination against Sars-CoV-2 is not mandatory and it can only be done on volunteers further to informed consent.
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1. Il nuovo obbligo vaccinale: ambito applicativo e conseguenze dell’inadempimento - 2. Segue: un “obbligo volontario”? L’equivoco da chiarire - 3. Segue: il c.d. “scudo penale” per i fatti verificatisi a causa della somministrazione - 4. La “ragionevolezza” degli obblighi vaccinali ex lege secondo la giurisprudenza costituzionale e l’ordinamento eurounitario - 5. I vaccini anti SARS-CoV-2 sono sicuri? - 6. I vaccini anti SARS-CoV-2 sono efficaci? - 7. L’art. 4, d.l. n. 44/2021 è norma innovativa o meramente ricognitiva d’un obbligo generale previgente? - 8. La responsabilità degli attori del sistema di sicurezza aziendale per contagio da SARS-CoV-2 - 9. Conclusioni: una “Medicina di Stato” senza scienza né coscienza - NOTE
Il d.l. n. 44/2021 (in vigore dal 1° aprile 2021) ha introdotto due importanti novità d’interesse giuslavoristico: l’obbligo di vaccinazione anti Sars-Cov-2 per gli operatori sanitari ed il c.d. “scudo penale per i vaccinatori” [1]. Le norme al riguardo sollevano numerose ed importanti questioni. Alcune, di ordine pratico (attinenti, cioè, alla loro concreta applicazione), verranno esaminate nei primi tre paragrafi del presente contributo. Altre, di ordine sistematico (relative, cioè, alla loro compatibilità coi principi costituzionali ed al rapporto con altre disposizioni di legge ordinaria), verranno esaminate nei paragrafi successivi. Il decreto citato dispone che, “in considerazione della situazione di emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2, fino alla completa attuazione del piano” strategico nazionale dei vaccini “e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2” (art. 4, c. 1). Si precisa che “la vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati” (art. 4, c. 1) e che “non è obbligatoria e può essere omessa o differita” […] “solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale” (art. 4, c. 2). È prevista al riguardo un’articolata procedura di censimento del personale sanitario, finalizzata alla verifica dell’assolvimento dell’obbligo vaccinale. Entro il 6 aprile [2], “ciascun Ordine professionale territoriale competente trasmette l’elenco degli iscritti, con l’indicazione del luogo di rispettiva residenza, alla regione o alla provincia autonoma in cui ha sede”, mentre “entro il medesimo termine i datori di lavoro degli operatori di interesse [continua ..]
Dall’applicazione del d.l. n. 44/2021 emerge una ulteriore criticità. Ai vaccinandi continua ad essere proposta la sottoscrizione di un “modulo di consenso”, in cui, tra l’altro, si deve dichiarare: (a) di aver “letto in una lingua” conosciuta e di aver “del tutto compreso la nota informativa”, ove è scritto che “non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza”; (b) di aver […] “posto domande in merito al vaccino” ed al proprio “stato di salute, ottenendo risposte esaurienti […] e comprese”; (c) di essere “stato correttamente informato con parole […] chiare”, di aver “compreso i benefici ed i rischi della vaccinazione, le modalità e le alternative terapeutiche, nonché le conseguenze di un eventuale rifiuto o di una rinuncia al completamento della vaccinazione con la seconda dose”. Il modulo prosegue con la seguente frase: “richiedo, acconsento ed autorizzo la somministrazione della vaccinazione mediante vaccino Pfizer-BioNTech-19” (o “COVID-19 Vaccine Moderna” o “COVID-19 Vaccine AstraZeneca”) [9] e si conclude con la conferma, da parte del “personale sanitario che ha effettuato la vaccinazione”, che “il vaccinando ha espresso il suo consenso alla vaccinazione, dopo essere stato adeguatamente informato” [10]. Manca – come può agevolmente constatarsi – qualsiasi riferimento alla obbligatorietà della vaccinazione (magari anche mediante semplice richiamo dei nuovi estremi normativi). Pare, pertanto, che l’adesione del soggetto non sia in qualche modo coartata, ma del tutto libera e volontaria (esattamente come prima del d.l. n. 44/2021). Il che consentirebbe di interpretare il comportamento dell’operatore che si sottopone a vaccinazione come consapevole ed incondizionata accettazione del rischio di verificazione di eventi avversi, dovuti ai possibili effetti collaterali (noti ed ancora ignoti) del vaccino. Ne deriverebbe, insomma, un generale “discarico” di responsabilità – civile e penale (quest’ultima scriminata per consenso dell’avente diritto ex art. 50 c.p.) – nei confronti di tutti i soggetti coinvolti nella vaccinazione: produttori, distributori, somministratori. Nemmeno lo Stato, a questo punto, parrebbe legittimato ad [continua ..]
Le considerazioni esposte acquistano particolare pregnanza in considerazione del fatto che l’imposizione dell’obbligo vaccinale si accompagna ad una generale esclusione della “punibilità” per i fatti di cui agli artt. 589 c.p. (omicidio colposo) e 590 c.p. (lesioni personali colpose) “verificatisi a causa della somministrazione di un vaccino per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2, effettuata nel corso della campagna vaccinale straordinaria in attuazione del piano” strategico nazionale dei vaccini “di cui all’art. 1, comma 457, legge n. 178/2020”. Ciò “quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione” (art. 3, comma 1). L’azione civile (volta all’ottenimento dell’indennizzo o del risarcimento nel senso di cui sopra) parrebbe, pertanto, ad una prima lettura, l’unica forma di tutela ammissibile. Si è detto che il Governo abbia qui inteso creare una sorta di “scudo penale”, per “rassicurare” il personale medico e para-medico, che sarebbe stato altrimenti dissuaso dal coinvolgimento nella campagna vaccinale straordinaria. In realtà, la formulazione letterale della norma non individua specifici soggetti beneficiari di tale “scudo”, ma si limita semplicemente ad escludere – come detto – la “punibilità” per fatti […] verificatisi a seguito della somministrazione” dei vaccini in questione, alludendo ad un ambito applicativo molto più ampio ed indeterminato, che può ricomprendere anche produttori e distributori dei vaccini stessi [18]. Non può trattarsi – è bene precisare – di una immunità dal procedimento penale né tantomeno dalla legislazione penale sostanziale e dalla giurisdizione (per cui sarebbe necessaria – come ormai noto – una normativa di rango costituzionale in deroga ai principi di eguaglianza formale e di accesso indiscriminato alla tutela giurisdizionale ex artt. 3, c. 1 e 24, Cost. [19]). Lo “scudo” in questione riecheggia piuttosto l’art. 590-sexies c.p. (introdotto dall’art. 6, l. n. [continua ..]
La nuova normativa – che rappresenta a tutt’oggi un unicum nel panorama internazionale – presenta ulteriori, importanti criticità. Non può certo negarsi che la Costituzione consenta al legislatore di disporre trattamenti sanitari obbligatori (art. 32, c. 2, Cost.). Il rinvio alla legge non può, però, intendersi come affidamento alla totale discrezionalità del legislatore, nei cui confronti la giurisprudenza costituzionale ha da tempo fissato alcuni importanti “paletti”. Si è ammesso – per quanto qui interessa – che, per assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, può farsi ricorso alla raccomandazione come all’obbligo vero e proprio, anche con misure sanzionatorie, riconoscendosi, però, che “questa discrezionalità deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte [23] e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia [24]”. Si è affermato, in particolare, che “la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost.” a tre condizioni: (1) “se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri”; (2) “se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili”; (3) “se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato” [25]. È necessario dunque una stretta congruenza logica tra obiettivi prefissati dal Governo ed evidenze scientifiche a tutt’oggi emerse. Se l’obiettivo è quello di “tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza” (art. 4, c. 1, d.l. n. 44/2021), dovrebbero sussistere chiare evidenze scientifiche relative a “sicurezza” ed “efficacia” dei vaccini in argomento, con particolare riferimento: (a) al rapporto [continua ..]
Ora, alla luce degli illustrati dicta, può seriamente dubitarsi della compatibilità costituzionale ed eurounitaria d’un trattamento sanitario obbligatorio che, come quello in questione, ha natura sperimentale ed è dunque connotato da perdurante incertezza scientifica circa i possibili rischi per la salute dei vaccinandi. È evidentemente sfuggito a molti che per la prima volta nella storia della Repubblica (e probabilmente nella storia dell’Occidente almeno dal secondo dopoguerra) si è imposto un obbligo vaccinale per vaccini solo temporaneamente “autorizzati”: immessi, cioè, in commercio dalle autorità di farmacovigilanza in base ad una “autorizzazione condizionata” ex art. 2, c. 1, n. 2, Reg. CE n. 507/2006, rilasciata su dati clinici non “completi in merito alla sicurezza e all’efficacia del medicinale [...] da utilizzare in situazioni di emergenza in risposta a minacce per la salute pubblica, debitamente riconosciute dall’Organizzazione mondiale della sanità”. Ecco ciò che differenzia i tradizionali e comuni vaccini contro agenti patogeni diversi dal Sars-Cov-2 dai vaccini anti Sars-Cov-2! I primi sono stati immessi in commercio con “autorizzazione definitiva” in base a dati sperimentali esaustivi, per i secondi è mancata (prima dell’immissione in commercio) la c.d. IV fase della sperimentazione, d’importanza cruciale, poiché serve per valutare su larga scala l’impatto (in termini di sicurezza e di efficacia) della terapia e dunque la sua utilizzabilità nel mondo reale. Nell’ambito della IV fase è, infatti, fissato dalla stessa Autorità di farmacovigilanza un periodo di osservazione, durante il quale dovranno essere raccolti tutta una serie di dati che consentono analisi statistiche sempre più rappresentative, con un campione demografico di scala talmente vasta da consentire di rilevare eventi avversi o comunque effetti sulla morbosità e/o mortalità non rilevabili negli studi condotti prima della autorizzazione su gruppi ristretti di volontari. L’Autorità potrà così decidere con piena consapevolezza se ed in che termini confermare l’autorizzazione all’immissione in commercio. Finché il periodo di osservazione non è concluso ed i dati emersi non siano stati accuratamente analizzati e [continua ..]
Deve rilevarsi, inoltre, che l’obbligo vaccinale anti Sars-Cov-2 è stato introdotto in assenza di un significativo grado di certezza scientifica circa la sua effettiva capacità salvifica verso i terzi. Come si è ricordato, infatti, secondo i giudici delle leggi è legittimo imporre un trattamento sanitario, nella misura in cui esso si dimostri non solo “sicuro” per chi lo riceve, ma anche “efficace” in quanto dotato di certa (o quasi certa) attitudine salvifica verso i terzi. A tutt’oggi, però, non è dato sapere se i vaccini anti Sars-Cov-2: (a) offrano una apprezzabile copertura contro tutte le numerose varianti del virus in circolazione; (b) abbiano efficacia sterilizzante (se essi, cioè, siano realmente in grado, al pari degli altri vaccini “tradizionali”, non solo di minimizzare la sintomatologia nei vaccinati che si re-infettino, ma anche di bloccare la diffusione del virus da questi ultimi). Ai vaccinati – non a caso – è raccomandato di continuare ad usare comunque i dispositivi di protezione individuale e di seguire scrupolosamente i protocolli anti-contagio [34]. Nessuno oggi può dire, insomma, che vaccinarsi equivalga ad essere impermeabili al virus. Anzi, per quel che a tutt’oggi si conosce, non potrebbe affatto escludersi uno scenario in cui i vaccinati, una volta infettatisi, riescano – nella migliore delle ipotesi – a minimizzare la propria sintomatologia, rivelandosi però potenziali “untori” al pari dei non vaccinati. Stando così le cose, insomma, non vi è oggi alcuna certezza che la vaccinazione anti Covid comporti una minimizzazione del rischio contagio senza pregiudizio della salute del lavoratore vaccinando nel medio-lungo termine [35]. Inoltre, se nella concreta organizzazione del lavoro non vi è alcuna differenza tra vaccinati e non vaccinati, non può neanche sostenersi che la mancata vaccinazione comporti per il datore un aggravio dei costi economici [36] ed un appesantimento, altrimenti evitabile, delle procedure di sicurezza.
Il d.l. n. 44/2021 va confrontato non solo con la Costituzione, ma anche con tutta la legislazione in materia di sicurezza sul lavoro. Secondo alcune opinioni, espresse già prima dell’entrata in vigore della normativa da ultimo citata, il datore di lavoro potrebbe (anzi dovrebbe sempre!) rendere obbligatoria la suddetta vaccinazione per i propri dipendenti. La fonte di quest’obbligo sarebbe da rintracciare direttamente nell’ordinamento europeo e nella legislazione italiana. Si parte dalla constatazione che la dir. UE 2020/739 (già recepita dall’art. 4, d.l. n. 125/2020, convertito in l. n. 159/2020 e dall’art. 17, d.l. n. 149/2020, inserito nell’art. 13-sexiesdecies, d.l. n. 137/2020 c.d. “Ristori”, convertito in l. n. 176/2020) classifica la SARS-CoV-2 come patogeno per l’uomo del gruppo di rischio 3 (agenti biologici che possono causare malattie gravi e propagarsi, ma per i quali esistono efficaci misure terapeutiche e di profilassi). Al virus predetto vengono così estese le misure di prevenzione previste nella dir. 2000/54/CE dedicata alla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti biologici durante il lavoro, in particolare: l’“individuazione e valutazione dei rischi” (artt. 3 ss., dir. 2000/54/CE), la sorveglianza sanitaria e, nel suo ambito, le vaccinazioni (art. 14, dir. 2000/54/CE). A questo punto il datore di lavoro non potrebbe esimersi dall’inserire, nel documento di valutazione dei rischi, lo specifico rischio contagio da SARS-Cov-2 e la vaccinazione quale imprescindibile misura di minimizzazione. La conseguenza è che il medico competente, nell’esercizio della sorveglianza sanitaria di cui agli artt. 38-42, d.lgs. n. 81/2008, non potrebbe rilasciare l’idoneità alla mansione a quei dipendenti che rifiutassero di vaccinarsi. Questi ultimi dovrebbero dunque essere temporaneamente allontanati ed adibiti, “ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori”, con garanzia del “trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza” (v. art. 279, c 2, lett. b, d.lgs. n. 81/2008, che richiama l’art. 42, d.lgs. n. 81/2008) [37]. In tal modo, se non fosse possibile assegnare il lavoratore a diverse mansioni, anche inferiori, nell’ambito della stessa azienda, il datore di lavoro potrebbe [continua ..]
Per quanto riguarda la responsabilità degli attori del sistema di sicurezza per contagio da SARS-CoV-2, non sembrano possano farsi distinzioni rilevanti tra ambienti sanitari e non. Certo per i primi si configura uno specifico obbligo di vigilanza, in capo a datore e medico competente, sull’adempimento dell’obbligo vaccinale dei propri operatori sanitari. Al riguardo, possono anche immaginarsi sanzioni di tipo amministrativo nei confronti della struttura inadempiente (ad esempio: revoca della convenzione con la struttura accreditata col s.s.r.), a prescindere dal verificarsi d’un evento lesivo. Per gli ambienti di lavoro non sanitari, invece, non può che constatarsi l’impossibilità di sanzionare i responsabili del sistema aziendale di sicurezza per non aver fatto osservare un obbligo giuridico inesistente e comunque inesigibile. Dal punto di vista soggettivo mancherebbero i presupposti per ravvisare l’elemento della colpa, imprescindibile per fondare ogni responsabilità da illecito penale e civile ex art. 2043 c.c. In ogni caso, per presunti fatti di reato verificatisi in qualsiasi ambiente di lavoro la responsabilità degli attori del sistema di sicurezza non può darsi per scontata, dovendosi comunque rispettare i principi penalistici di tassatività e di divieto di analogia in malam partem tipici d’un ordinamento a legalità formale. Può al riguardo agevolmente rilevarsi come nessuna norma attualmente punisca il mancato rispetto della vaccinazione anti Sars-Cov-2. Non potrebbe dunque ipotizzarsi la perseguibilità del responsabile della sicurezza per l’esposizione di terze persone ad un pericolo penalmente rilevante, perché la mancata vaccinazione in questione non rientra né tra i reati di pericolo concreto né in quelli di pericolo astratto o presunto; reati che il codice penale elenca in modo tassativo. Quanto ai reati d’evento di natura delittuosa (quali “epidemia colposa”: art. 452 c.p.; omicidio colposo: art. 589 c.p.; lesioni colpose: art. 590 c.p.) l’imputabilità del datore di lavoro e del medico competente (e anche del lavoratore) potrebbe ipotizzarsi, in teoria, per una condotta omissiva impropria: per non aver, cioè, impedito un evento, che si aveva “l’obbligo giuridico di impedire” (art. 40 c.p.). Nel caso concreto, però, si rivelerebbe [continua ..]
Le questioni dell’obbligo vaccinale e delle sue modalità di attuazione possono considerarsi un’importante cartina di tornasole non solo dei rapporti tra cittadino e collettività, ma ancor prima della concezione stessa di legalità e di Stato di diritto. L’idea che l’obbligatorietà d’un trattamento sanitario non debba imporsi secondo le rigorose garanzie costituzionali di legalità, sicurezza ed efficacia, ma che possa legittimamente prevedersi in relazione ad un farmaco sperimentale e desumersi semplicemente per via interpretativa anche in settori in cui è assente una specifica disposizione legislativa o contrattuale equivale a scardinare fondamentali garanzie che lo Stato democratico offre al cittadino ed a strumentalizzare la persona, facendola retrocedere dalla posizione prioritaria che essa occupa e deve occupare nella scala dei valori costituzionalmente tutelati. Può aggiungersi che l’obbligo vaccinale, qualora si riveli – come sè cercato di dimostrare – privo di razionalità, non fa altro che sovrapporre una (inaccettabile ed inutile) certificazione ideologica alla realtà, quasi a sancire lo spartiacque tra “moderni” e “arretrati”, tra “progrediti” e “rozzi”, esprimendo un (pre)giudizio morale in forma di legge, sconfortante preludio ad una autoritaria “Medicina di Stato”, senza scienza né coscienza. Non resta dunque che auspicare un intervento correttivo della Corte costituzionale.