Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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La disciplina del rapporto dirigenziale negli enti locali: legislazione statale, atti di autonomia normativa dell'ente, contratto collettivo (di Anna Trojsi, Professoressa ordinaria di Diritto del lavoro nell’Università degli Studi “Magna Graecia” di Catanzaro)


Il saggio ricostruisce ed analizza criticamente il quadro sistematico delle fonti giuridiche che disciplinano il rapporto di lavoro dei dirigenti nelle autonomie locali, evidenziandone le specificità. L’opzione ermeneutica prescelta lo vede ripartito tra la persistente competenza del legislatore statale, da una parte, e l’accentuata potestà normativa, statutaria e regolamentare, degli enti locali, dall’altra parte. Significativo è altresì il ruolo della contrattazione collettiva pubblica, suscettibile di ulteriore valorizzazione, in termini di ampliamento dei margini di differenziazione regolativa soprattutto con la dirigenza regionale, rispetto a quanto contenutisticamente emerge dai testi contrattuali finora stipulati (incluso, nell’esperienza più recente, il Contratto collettivo nazionale di lavoro del­l’Area dirigenziale delle Funzioni locali, relativo al triennio 2016-2018, del 17 dicembre 2020). L’occasione consente di effettuare un bilancio in materia, a vent’anni dall’entrata in vigore della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, ed al contempo di individuare le possibilità, in specie prospettiche, di innovazione e di diversificazione normativa, anche legate alla imminente nuova stagione di rinnovi contrattuali.

 

The discipline of the managerial relationship in local institutions: state legislation, acts of regulatory autonomy of the institution, collective agreement

This scientific article analyzes the systematic framework of juridical sources that regulate the employment relationships of managers in Italian local autonomies, highlighting their specificities. It is articulated between the competence of the state law, on the one hand, and the statutory and regulatory power of local authorities, on the other hand. The role of collective bargaining is also significant in the public sector, susceptible of further enhancement of regulatory differentiation, especially compared to the regional managers, considered the contents of the contractual texts stipulated so far (including the recent national Collective agreement of the management area of Local Functions of 17 December 2020). An evaluation is made on the matter, twenty years after the reform of Title V of the second part of the Italian Constitution. At the same time, possible future innovations are identified, also linked to the upcoming new season of contract renewals.

Keywords: Public management – Local authorities – Juridical sources – Autonomous rules – Collective agreement.

SOMMARIO:

1. Considerazione pluralistica della dirigenza pubblica e peculiarità delle dirigenze degli enti territoriali - 2. Le competenze normative sui profili pubblicistico-organizzativi del rapporto di lavoro dirigenziale - 3. Segue. In particolare, la potestà statutaria e regolamentare degli Enti locali - 4. La contrattazione collettiva come fonte di differenziazione regolativa per i dirigenti locali: una potenzialità inespressa - 5. Fallimento del tentativo legislativo di diversificazione delle dirigenze e occasioni prospettiche - NOTE


1. Considerazione pluralistica della dirigenza pubblica e peculiarità delle dirigenze degli enti territoriali

All’indomani della stipulazione del «Contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale dell’Area dirigenziale delle Funzioni locali (triennio 2016-2018)» del 17 dicembre 2020, sono senz’altro maturi i tempi per fare il punto sul quadro normativo, così completato, in materia di dirigenza pubblica territoriale [1]. Il tema delle peculiarità del sistema delle fonti giuridiche e delle regole del rapporto di lavoro del dirigente pubblico negli enti territoriali sarà trattato ponendosi in una stimolante ottica differenziale: oltre che rispetto al modello della dirigenza statale-ministeriale [2], tra dirigenza delle Regioni, da un lato, e dirigenza degli Enti locali, dall’altro lato, poiché la considerazione di quest’ultima implica inevitabilmente il riferimento al contempo anche alla dirigenza regionale, quanto meno per sottrazione; nonché tra i dirigenti dei diversi tipi di Autonomie locali tra loro, data l’am­pia articolazione di esse delineata in Costituzione [3]. Si pensi alla varietà di compiti e funzioni degli Enti locali minori: ad esempio, ai piccoli Comuni, magari dell’en­troterra, rispetto ai grandi capoluoghi di Regione (come Milano, Napoli, Roma, eccetera); o ancora alle unioni di Comuni (ma pure alle fusioni degli stessi) e alle Comunità montane e a quelle isolane o di arcipelago; o, infine, alla possibilità di costituzione di consorzi fra tali enti (artt. 2 e 31, d.lgs. n. 267/2000). E con l’ul­teriore specificità del caso delle Province – rimaste in bilico, essendone stato mantenuto in sospeso il destino definitivo, a seguito della loro programmata abolizione, in parte anticipata legislativamente dalla l. n. 56/2014 [4], ma mai realizzata compiutamente fino in fondo [5] – e della convivenza di queste con le Città metropolitane [6], ricomprese, insieme alle prime, nella medesima categoria degli «enti territoriali di area vasta». La imprescindibile premessa metodologica è, infatti, la necessaria considerazione plurale delle dirigenze, proprio per la loro funzione di impersonificazione e di vertice dell’amministrazione pubblica di appartenenza, il cui specifico settore di attività, e le relative esigenze ordinamentali-organizzative di diversificazione degli apparati burocratici e di autonomia decisoria, inevitabilmente [continua ..]


2. Le competenze normative sui profili pubblicistico-organizzativi del rapporto di lavoro dirigenziale

A proposito della distribuzione della funzione legislativa, va preliminarmente ricordata la summa divisio, elaborata dalla consolidata interpretazione della giurisprudenza costituzionale, tra profili “privatizzati” del rapporto di lavoro pubblico (anche dei dirigenti) – ricondotti alla materia «ordinamento civile» dell’art. 117 Cost. (c. 2, lett. l) e, dunque, riservati alla legislazione dello Stato nonché, su rinvio della stessa, alla contrattazione collettiva, nazionale e integrativa, che pertanto vincolano tutte le amministrazioni pubbliche – e profili “non privatizzati” del rapporto, ossia «pubblicistico-organizzativi» [11]. Questi ultimi sono molto più numerosi e rilevanti per la dirigenza pubblica, rispetto al personale di livello non dirigenziale, perché appunto particolarmente connessi con l’ordinamento e con l’organizzazione dell’attività dell’amministrazione. Basti pensare a concorsi/reclutamento [12], incarichi [13] e responsabilità [14] dirigenziali. Coerente pare l’assegnazione, a tale novero, anche della valutazione della performance [15]. Ma si considerino pure dotazioni organiche e incompatibilità. Ciò, in base a quanto, del resto, prevede la stessa disciplina legislativa statale di cui al d.lgs. n. 165/2001, anche per sottrazione degli istituti privatizzati/contrattualizzati: questi ultimi si presentano, pertanto, più circoscritti, rispetto ai restanti dipendenti pubblici, con conseguente maggiore delimitazione, per i dirigenti, della sfera di potestà legislativa esclusiva statale, incentrata fondamentalmente sul trattamento economico [16]. Non a caso, come già evidenziato [17], a riprova della valenza “pubblicistico-organizzativa” del rapporto di lavoro dirigenziale, nella normativa statale la disciplina della «Dirigenza» è posta nella parte sulla «Organizzazione» (Titolo II, Capo II, d.lgs. n. 165/2001). La competenza normativa sugli aspetti pubblicistico-organizzativi, rientrante nella materia «ordinamento e organizzazione amministrativa» [18], per la Corte costituzionale varia a seconda del tipo di amministrazione, accedendo al settore materiale connotante le funzioni svolte dall’ente, come componente dello stesso, risultando in sostanza i suddetti aspetti assorbiti in [continua ..]


3. Segue. In particolare, la potestà statutaria e regolamentare degli Enti locali

Al contempo, per questi stessi profili “pubblicistico-organizzativi”, direttamente il testo costituzionale attribuisce una “riserva di competenza” alla potestà statutaria (art. 114, c. 2, Cost.) e regolamentare del singolo Ente locale (Comune, Provincia o Città metropolitana), in ordine alla disciplina dell’organizzazione – interna, anche del personale – e dello svolgimento delle funzioni ad esso attribuite (art. 117, c. 6, Cost.) [29], naturalmente nell’osservanza dei principi fissati dalla Costituzione e, quindi, in attuazione di questi, della suddetta cornice di legislazione statale. Tanto più, infatti, per tali aspetti non può non essere ammessa una certa qual competenza di matrice legislativa, in virtù della riserva relativa di legge in materia di «organizzazione dei pubblici uffici» prescritta dall’art. 97, c. 1, della Costituzione. In ogni caso, in linea generale, in ossequio al principio di legalità, non sarebbe a maggior ragione sostenibile una “e­sclusività” della potestà normativa per gli Enti locali, dal momento che essi – a differenza delle Regioni – non sono dotati di funzione legislativa. Questo, del resto, è grosso modo lo schema già risultante dall’art. 111 del d.lgs. n. 267/2000, da ritenersi, dunque, confermato. Esso stabilisce l’obbligo per gli Enti locali di adeguamento, tenendo conto delle proprie peculiarità, dello statuto e dei regolamenti – in specie, del regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi – ai «principi» del sopra citato Capo III del d.lgs. n. 267/2000 e a quelli del Capo II («Dirigenza», all’interno del Titolo II sull’«Organizzazione») del d.lgs. n. 29/1993 (e successive modificazioni ed integrazioni). Tale criterio di adattamento dei propri ordinamenti, da effettuarsi nell’esercizio della rispettiva potestà statutaria e regolamentare, diretto alle pubbliche amministrazioni non statali, incluse dunque le Autonomie locali, è ribadito dall’art. 27, c. 1, d.lgs. n. 165/2001 con riferimento ai principi dell’articolo 4 e del Capo II del decreto, contenente appunto la disciplina della dirigenza pubblica [30]. Sicché può affermarsi che, per l’impiego e la dirigenza negli Enti locali, la riforma del 2001 non [continua ..]


4. La contrattazione collettiva come fonte di differenziazione regolativa per i dirigenti locali: una potenzialità inespressa

Così ricostruito il sistema delle fonti regolative del rapporto di lavoro dei dirigenti degli Enti locali, tirando le fila, le due possibilità di differenziazione normativa per tale dirigenza sono, dunque: – da una parte, l’autonomia statutaria e regolamentare dell’Ente (ma limitatamente ai profili non privatizzati e pur sempre entro il perimetro della disciplina di legge statale, non solo di principio, data appunto la maggiore estensione della competenza legislativa dello Stato per gli istituti pubblicistico-organizzativi del personale, anche dirigente, degli Enti locali); – dall’altra parte, per i profili privatizzati (e contrattualizzati) del rapporto dirigenziale, la contrattazione collettiva. Su questo secondo versante, si riscontra, però, l’uniformità contenutistica del «Contratto collettivo nazionale di lavoro dell’Area dirigenziale per le Funzioni locali del 2020 (periodo 2016-2018)», cioè la mancanza di diversificazione tra dirigenza regionale e dirigenza locale, e neppure tra i molteplici Enti locali [38]. Nel testo contrattuale sulla dirigenza delle Funzioni locali di dicembre 2020 non è stata sfruttata, quanto meno per distinguere la disciplina dei dirigenti regionali e di quelli locali, la possibilità di suddivisione del contratto in (parti speciali o) sezioni contrattuali interne all’area dirigenziale, destinabili dunque a regimi specifici per i vari tipi di dirigenza, pur entro l’unica area delle Funzioni locali, che comprende appunto Regioni ed Enti locali. La costituzione, nell’ambito di ciascun comparto/area di contrattazione, di apposite sezioni contrattuali per specifiche professionalità, offerta dal novellato art. 40, c. 2, del d.lgs. n. 165/2001 (come sostituito dal d.lgs. n. 150/2009 e successivamente modificato dal d.lgs. n. 75/2017), è stata, infatti, più largamente implementata dal «Contratto collettivo nazionale quadro per la definizione dei comparti e delle relative aree dirigenziali di contrattazione collettiva nazionale (per il triennio 2016-2018)» del 13 luglio 2016. Quest’ultimo ha previsto che, ferma restando la finalità di armonizzare ed integrare le discipline contrattuali all’interno dei nuovi comparti o aree, il contratto collettivo nazionale di lavoro, dopo una parte comune riferita agli istituti applicabili ai lavoratori di tutte le [continua ..]


5. Fallimento del tentativo legislativo di diversificazione delle dirigenze e occasioni prospettiche

Conclusivamente non si può non rammentare, in questa ottica, una significativa opportunità di differenziazione normativa, di poco precedente: pur sempre, però, da parte della legislazione statale, dunque dal punto di vista dei contenuti della disciplina (e non dell’autonomia regolativa, ossia del tipo di fonti giuridiche per la dirigenza locale, rispetto alle altre). Ci si riferisce alla delega legislativa alla riforma della dirigenza pubblica, di cui all’art. 11 della legge c.d. Madia n. 124/2015. Essa avrebbe voluto prevedere (c. 1, lett. b) la costituzione di due distinti ruoli unici, rispettivamente per i dirigenti delle Regioni e per i dirigenti degli Enti locali (oltre a un terzo ruolo dei dirigenti dello Stato), accompagnata dall’abolizione della figura dei segretari comunali e provinciali (e del relativo albo nazionale), assorbiti nel ruolo dei dirigenti locali. Ciò, con conseguente inevitabile ricaduta diversificante anche per la disciplina contrattuale collettiva, fino alla possibile preconizzazione della creazione di due differenti Aree di contrattazione collettiva nazionale, per la dirigenza regionale e per quella locale. Più in dettaglio, tra i principi e criteri direttivi di delega (art. 11, c. 1) vi era l’ar­ticolazione del sistema della dirigenza pubblica in ruoli unificati e coordinati, accomunati da requisiti omogenei di accesso e da procedure analoghe di reclutamento, basati sul principio del merito, dell’aggiornamento e della formazione continua, e caratterizzato dalla piena mobilità tra i ruoli; con l’affidamento al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri della tenuta della banca dati dei dirigenti [48] e della gestione tecnica dei ruoli, alimentati dai dati forniti dalle amministrazioni interessate (lett. a). Riguardo all’inquadramento (lett. b), veniva stabilita l’istituzione di tre principali ruoli unici [49], ossia: – un ruolo unico dei dirigenti statali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, in cui ricomprendere i dirigenti in regime di diritto privato appartenenti ai ruoli delle amministrazioni statali, degli enti pubblici non economici nazionali, delle università statali, degli enti pubblici di ricerca e delle agenzie governative, con esclusione del personale in regime di diritto pubblico (di cui all’art. 3, d.lgs. n. 165/2001), eliminazione della [continua ..]


NOTE