L’articolo analizza l’interpretazione della clausola sociale fornita dalla sentenza in epigrafe, che si inserisce nell’ambito di un orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza amministrativa. La lettura «elastica» data dalla corte si fa carico di operare un contemperamento tra tutela delle libertà economiche dell’impresa e interesse alla conservazione dell’occupazione, improntato ai principi elaborati, in materia, dalla Corte di giustizia dell’Unione europea.
This article analyzes the interpretation of the social clause provided by the sentence in the epigraph, which is part of a consolidated orientation in administrative case-law. The «elastic» interpretation given by the court takes on the task of balancing the protection of the economic freedoms of the company and the interest in preserving employment, based on the principles developed on the subject by the Court of Justice of the European Union
Keywords: Social clause – Public procurement – Preservation of employment – Competition – Economic freedoms.
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1. Il tema della decisione: clausola sociale e interpretazione elastica - 2. I fondamenti argomentativi della giurisprudenza sull’interpretazione elastica della clausola sociale - 3. Le clausole sociali e il contemperamento tra libertà economiche e diritti sociali nell’ordinamento nazionale e dell’Unione europea - NOTE
La pronuncia in oggetto affronta alcune questioni di cruciale importanza per l’applicazione delle cosiddette clausole sociali, in particolare quelle definite di “seconda generazione”, le quali tentano di favorire la conservazione dell’impiego nei passaggi di appalto. Si tratta di un istituto giuridico di grande impatto economico, dato il rilievo dimensionale che gli appalti pubblici assumono nella produzione nazionale ed europea e l’impatto che le soluzioni ermeneutiche fornite possono provocare sui destini economici delle imprese. Sul piano teorico, il tema affrontato si colloca tra i più rilevanti e problematici punti di intersezione tra l’ordinamento nazionale e quello dell’Unione europea. In particolare, emerge il difficile equilibrio tra tutela delle libertà economiche e protezione del lavoro, che stenta a trovare un assetto razionale, soprattutto nella giurisprudenza della Corte di giustizia [1]. Né si rivelano incisivi, nel contemperamento di tali interessi, gli interventi degli organi legislativi e esecutivi europei, perché adottati al di fuori di un quadro solido e ben definito delle competenze istituzionali [2]. Nel caso di specie il Consiglio di Stato respinge il ricorso avverso una sentenza del TAR di Lecce, la quale, a sua volta, rigettava il ricorso contro la decisione di aggiudicazione della stazione appaltante presentato dall’impresa arrivata seconda in graduatoria nell’aggiudicazione del servizio di ristorazione scolastica comunale di un comune pugliese. Le argomentazioni dell’impresa esclusa si fondavano, nella loro parte più significativa, sulla pretesa violazione della lex specialis nella parte in cui disponeva che l’appaltatrice dovesse «assumere personale nel numero minimo indicato dall’allegato “B” secondo profilo professionale e livelli in esso espressi». L’allegato definiva in modo specifico l’organico già impegnato nell’esecuzione dell’appalto dal precedente titolare, con le relative qualifiche. Invece, pur aumentando il numero complessivo dei lavoratori impiegati, l’impresa aggiudicataria aveva ridotto il monte orario dei lavoratori già coinvolti, modificandone i profili professionali e i livelli di inquadramento. Secondo la ricorrente, tale circostanza avrebbe dovuto comportare l’esclusione della vincitrice per non aver rispettato una [continua ..]
Il Consiglio di Stato rigetta entrambe le argomentazioni, sulla base, in sostanza, di due principali considerazioni. In primo luogo, si rammenta un consolidato orientamento giurisprudenziale [3] per il quale le clausole sociali volte alla conservazione dell’impiego devono essere oggetto di una «applicazione elastica e non rigida per contemperare l’obbligo di mantenimento dei livelli occupazionali del precedente appalto con la libertà d’impresa e con la facoltà in essa insita di organizzare il servizio in modo efficiente e coerente con la propria organizzazione produttiva, al fine di realizzare economie di costi da valorizzare a fini competitivi nella procedura di affidamento dell’appalto» [4]. Da tale argomento derivano diversi corollari di centrale importanza, confermati in modo coriaceo dalla giurisprudenza amministrativa. In primo luogo, non possono avere luogo automatismi nel passaggio dei lavoratori e l’impresa subentrante non può essere tenuta ad assorbire tutti i lavoratori già impiegati nell’appalto da quella uscente [5]. Inoltre, la clausola sociale non comporta il passaggio diretto della titolarità del rapporto tra impesa uscente e subentrante, prevedendosi un diritto di precedenza dei lavoratori già impiegati nell’appalto per eventuali assunzioni di quest’ultima, con necessaria autonoma estinzione del rapporto precedente [6]. Infine, in ragione della configurazione di un nuovo rapporto giuridico e non di un cambio di titolarità nello stesso, il lavoratore non ha diritto alla conservazione delle posizioni giuridiche già maturate, salvo che il passaggio non sia stato preceduto da un accordo sindacale che preveda una simile prerogativa e che sia stato sottoscritto dall’impresa subentrante ovvero da un’organizzazione sindacale alla quale quest’ultima aderisca [7]. L’altra considerazione sulla quale poggia la decisione in commento attiene alla fase endo-procedimentale nella quale hanno avuto luogo le determinazioni della stazione appaltante oggetto di impugnazione. Le decisioni contestate dall’impresa esclusa sono state adottate nell’ambito del cosiddetto «giudizio di congruità». Tale valutazione ha ad oggetto l’offerta già risultata migliore secondo i criteri definiti dal bando ed è indirizzata a verificare che essa non risulti [continua ..]
Le scelte ermeneutiche adottate dal Consiglio di Stato nella sentenza in commento si inseriscono in un preciso e coriaceo orientamento giurisprudenziale volto a fornire un contemperamento equilibrato tra concorrenza e tutela del lavoro nella disciplina degli appalti e, in particolare, proprio nell’interpretazione delle cosiddette clausole sociali. La definizione di un equilibrio razionale tra i diversi interessi di rilievo costituzionale in gioco si scontra con l’intersecarsi, su questi temi, dell’ordinamento dell’Unione europea e di quello interno, non sempre con esiti chiari rispetto alla definizione del quadro normativo. Nell’ordinamento europeo un ruolo fondamentale è svolto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, la quale ha definito una netta prevalenza delle libertà economiche fondamentali sulle istanze sociali nella regolamentazione della concorrenza economica nel mercato interno e, in particolare, degli appalti [11]. Sicché, l’azione sindacale, il contratto collettivo e le previsioni nazionali, di qualsiasi natura, che ostacolino l’accesso delle imprese alla competizione economica, anche in materia di appalti, sono ritenute illegittime o, comunque, sottoposte a uno stretto scrutinio di proporzionalità, secondo le previsioni dei diversi provvedimenti di diritto secondario di volta in volta inerenti e in via indipendente dalla natura privata o pubblica dell’atto [12]. Ciò vale anche per le clausole sociali: per quelle cosiddette «di prima generazione» [13], che determinano standard di tutela, salariale e normativa, inderogabili; così come per quelle «di seconda generazione» [14], indirizzate alla conservazione dell’occupazione, soprattutto nei passaggi di appalto. Non sono, allo stato, valse alcune aperture del diritto positivo, primario [15] e secondario [16], a determinare una netta inversione di tendenza nelle pronunce della Corte, anche perché le enunciazioni testuali sono spesso ambigue, in quanto frutto di un difficile compromesso politico e sociale, tra Stati, istituzioni pubbliche e sociali, europee e nazionali. Le incertezze del diritto UE si ripercuotono sulla normativa interna, che spesso – come nel caso di specie – produce disposizioni controverse nell’adattamento del diritto nazionale, invocando una giurisprudenza creativa, necessaria per la tenuta [continua ..]