Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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L'indebito retributivo nella disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (di Enrico Maria Mastinu, Professore associato di Diritto del lavoro nell'Università di Cagliari)


Il saggio affronta il tema dell’indebito retributivo nel pubblico impiego. L’analisi si sviluppa su due versanti: i presupposti dell’indebito; le condizioni della sua restituzione. Sul piano del presupposto dell’indebito, lo studio fa oggetto di analisi separata l’indebito c.d. contrattuale, quello che nasce dalla invalidità del titolo attributivo, e l’indebito c.d. extracontrattuale, quello che origina dal pagamento effettuato in assenza di titolo. A proposito dell’indebito contrattuale, che è l’ipotesi quantitativamente maggiore, si sottopone a vaglio critico l’idea diffusa che ogni situazione di invalidità del contratto collettivo sulla base del quale sia stata effettuata l’erogazione di emolumenti al personale sarebbe automaticamente generatrice di pagamenti indebiti. Sul piano delle condizioni della restituzione dell’indebito, l’analisi si confronta criticamente con il recente arresto della Corte costituzionale (Corte cost. n. 8/2023), che ha respinto l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all’art. 2033 c.c. A partire dalla prospettiva di valorizzazione delle risorse presenti nell’ordinamento interno, fatta propria dalla Consulta, lo studio si sforza di ricomporre in un quadro unitario le diverse misure di tutela del dipendente pubblico a fronte delle pretese restitutorie provenienti dall’Amministrazione datrice di lavoro.

Not due remuneration in the public sector labor law

This essay analyzes the matter of the payment of undue salaries to civil servants. The study develops two sides: the causes of undue payment; the conditions of its refund. At the level of the causes of undue, the study proposes a series of distinctions and makes the subject of separate analysis the so called undue contractual (invalidity of the contract), and the so called undue non-contractual (absence of contract). On the subject of contractual undue payments, which is the quantitatively largest hypothesis, the widespread idea that any situation of invalidity of the collective agreement on the basis of which emoluments were made to staff would automatically generate undue payments is subject to critical scrutiny. At the level of the conditions of the restitution of undue payments, the analysis critically confronts the recent arrest of the Constitutional Court (Constitutional Court 8/2023), which rejected the constitutional legitimacy objection raised in relation to Article 2033 of the Civil Code. Starting from the perspective of enhancing the resources present in the domestic legal system, endorsed by the “Consulta”, the study endeavors to recompose in a unified framework the various measures of protection of the public employee in the face of claims for restitution coming from the employing administration.

SOMMARIO:

1. L’indebito retributivo nel pubblico impiego. L’origine sommersa del problema - SEZIONE I Il pagamento non dovuto. Le specie dell’indebito retributivo – 2. La distinzione base: indebito extracontrattuale vs indebito contrattuale - 3. L’indebito extracontrattuale. Le ipotesi di inesistenza originaria di titolo - 4. L’indebito contrattuale. Le ipotesi di invalidità del titolo. Il rapporto con la disciplina dell’art. 2126 c.c. - 4.1. L’invalidità del titolo collettivo. Premessa - 4.1.1. La nullità del contratto collettivo direttamente attributivo del trattamento economico preteso in restituzione - 4.1.2. La nullità del contratto collettivo il quale predisponga le condizioni per l’assegnazione individuale del trattamento economico preteso in restituzione - 4.1.2.1. La tesi della nullità dell’accordo individuale stipulato a valle di un contratto collettivo nullo. Premessa critica - 4.1.2.2. L’intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale di una disposizione di legge che costituisca presupposto della validità di un contratto - 4.1.2.3. La riconducibilità sotto la disciplina dell’errore nella stipulazione del contratto - 4.1.2.4. Il concorso di rimedi - 4.1.2.5. La rettifica del contratto individuale annullabile - 4.1.2.6. Il recupero «nell’ambito della sessione negoziale successiva» previsto dall’art. 40, c. 3 quinquies, d.lgs. n. 165/2001. Estraneità della misura rispetto al meccanismo invalidante previsto dall’art. 1418, c. 1, c.c - 4.2. Le ipotesi di invalidità del solo titolo individuale - 4.2.1. L’annullabilità per errore di fatto dell’accordo individuale attributivo del trattamento economico preteso in restituzione - 4.2.2. La nullità dell’accordo individuale attributivo del trattamento economico preteso in restituzione. Ancora sui rapporti fra invalidità dell’accordo individuale e disciplina dell’art. 2126 c.c. - SEZIONE II Le condizioni e i limiti della ripetizione dell’indebito retributivo – 5. Le questioni di legittimità costituzionale concernenti l’art. 2033 c.c. Il contrasto con l’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione EDU - 6. Le ordinanze di rimessione - 7. Il giudizio della Corte costituzionale (Corte cost. 8/2021) - 7.1. L’inesigibilità della ripetizione - 7.2. La responsabilità precontrattuale - 8. La delimitazione dell’area della ripetibilità dell’indebito retributivo nel pubblico impiego. L’art. 2126 c.c.; l’art. 40, c. 3 quinquies, d.lgs. n. 165/2001; i rapporti fra la ripetizione dell’indebito a carico del singolo lavoratore e la responsabilità erariale del dirigente responsabile dell’erogazione dei trattamenti economici accessori - 9. La ripetizione dell’indebito retributivo nel pubblico impiego oggi - NOTE


1. L’indebito retributivo nel pubblico impiego. L’origine sommersa del problema

Si è andata affermando nella teoria e nella prassi applicativa del diritto del lavoro una certa qual tendenza a ravvisare nullità virtuali in ogni dove, senza considerare adeguatamente che il meccanismo previsto dall’art. 1418, c. 1, c.c. ha condizioni di operatività assai stringenti. Nel settore del pubblico impiego privatizzato il fenomeno ha assunto una dimensione incontrollata, nei presupposti e nelle conseguenze. L’assegnazione di un superminimo ad personam o il mancato riassorbimento di uno già concesso; l’as­segnazione di una fascia retributiva a soggetto privo dei requisiti; l’erogazione di trattamenti economici accessori in forza di un contratto collettivo decentrato di amministrazione nullo; l’assunzione o la promozione effettuate sulla base di una graduatoria concorsuale annullata o rettificata; la pattuizione di prestazioni aggiuntive retribuite in violazione della regola della onnicomprensività della retribuzione; l’assunzione di incarichi retribuiti contro il vincolo di esclusività del dipendente pubblico: tutte queste vicende sono indistintamente qualificate in termini di nullità del titolo attributivo e, per questa via, ricondotte alla disciplina del­l’indebito. Un concorso di fattori è alle origini di questa inclinazione. Sul piano normativo, ha influito la singolare scelta del Legislatore di denominare norme imperative di legge tutte le disposizioni del d.lgs. n. 165/2001 (art. 2, c. 2); proposizione normativa ignara del fatto che la legge non può disporre della sua efficacia e che, in seno alla disciplina delle invalidità negoziali, il carattere imperativo di una norma può discendere solo da elementi strutturali o dal rango degli interessi protetti [1], e contraddetta dalla previsione, nello stesso d.lgs. n. 165/2001, di una serie di ipotesi di nullità testuale [2], inspiegabili se non nell’ottica dell’insufficienza del meccanismo dell’art. 1418, c. 1, c.c. a produrre lo stesso effetto invalidante a tappeto [3]. Sul piano pratico, ha verosimilmente giocato il fatto che il pagamento di emolumenti non dovuti è vicenda che, in un grande numero di casi, finisce sotto la lente della Corte dei Conti, quale presupposto del giudizio di responsabilità erariale a carico del percipiente e/o, più spesso, del responsabile dell’erogazione [4]. E [continua ..]


SEZIONE I Il pagamento non dovuto. Le specie dell’indebito retributivo – 2. La distinzione base: indebito extracontrattuale vs indebito contrattuale

L’art. 2033 c.c. dà azione per il recupero dell’indebito a condizione che il pagamento sia stato non dovuto. Sulle cause per le quali un determinato pagamento possa essere qualificato tale il Codice è silente, ma il presupposto della ripetizione può essere rappresentato allo stesso modo dall’inesistenza di un qualsiasi titolo attributivo (c.d. indebito extracontrattuale) oppure dall’invalidità di un titolo preesistente al pagamento (c.d. indebito contrattuale) [8]. Per ragioni legate al processo storico di consolidamento dell’istituto nel Codice, il Legislatore del 1942 ha unificato sotto il medesimo rimedio le due diverse situazioni e sottoposto le restituzioni contrattuali alla medesima disciplina di quelle extracontrattuali [9]. Non di meno, la distinzione è doverosa; e anzi si impone quando solvens e accipiens siano rispettivamente datore di lavoro e lavoratore, posto che le restituzioni contrattuali nel rapporto di lavoro hanno una loro disciplina anche nell’art. 2126 c.c. e nell’art. 40, c. 3 quinquies, d.lgs. n. 165/2001 e che diverse sono nelle due specie di indebito le ragioni di tutela del lavoratore percipiente [10].


3. L’indebito extracontrattuale. Le ipotesi di inesistenza originaria di titolo

Quando il pagamento sia stato il frutto di un’iniziativa unilaterale del solvens che prescinde da una previa relazione contrattuale con l’accipiens, l’indebito ha natura extracontrattuale. Nessuna clausola di contratto individuale o collettivo o nessuna disposizione di legge ha previsto il pagamento di un certo emolumento in relazione alla specifica e incontroversa situazione di fatto in cui versi il lavoratore percipiente. Sarebbe il caso, ad esempio, della remunerazione di una fascia retributiva mai assegnata (ipotesi di inesistenza totale originaria di titolo) oppure dell’eroga­zione di una retribuzione tabellare superiore a quella stabilita nel contratto collettivo di comparto in relazione alla qualifica posseduta, senza che vi sia stata esecuzione di mansioni superiori oppure volontà di assegnare un superminimo individuale (ipotesi di inesistenza parziale originaria di titolo), oppure ancora della remunerazione di prestazioni non adempiute o adempiute solo in parte [11]. In queste ipotesi, l’Amministrazione che volesse sottrarsi al pagamento per il futuro e agire in restituzione per il passato non avrebbe che da allegare l’assenza di titolo e invocare la disciplina sulla ripetizione di indebito. Sarà, invece, onere del lavoratore dimostrare che quel titolo in realtà vi è o che è decorso il termine decennale di prescrizione del diritto alla ripetizione.


4. L’indebito contrattuale. Le ipotesi di invalidità del titolo. Il rapporto con la disciplina dell’art. 2126 c.c.

Quando il pagamento sia stato conforme a un titolo attributivo, che tuttavia si predichi invalido, la ripetizione è sottoposta a un’ulteriore condizione: che esso non corrisponda a prestazioni di lavoro effettivamente rese e aggiuntive, cioè ulteriori ed estranee rispetto a quelle oggetto del contratto di assunzione. Per dirla con le parole della Corte costituzionale nella recente pronuncia sull’art. 2033 c.c.: che il pagamento non si ponga «in una relazione sinallagmatica con una specifica prestazione lavorativa aggiuntiva, sì da comportare – dal punto di vista qualitativo, quantitativo e temporale – “il trasmodare dell’incarico originariamente attribuito in una prestazione radicalmente diversa”» [12]. Quando invece detta relazione vi fosse, non si potrebbe discorrere di indebito pagamento perché opererebbe il rimedio previsto dall’art. 2126 c.c. [13]. Ove non trovasse applicazione l’art. 2126 c.c., la base normativa della pretesa restitutoria non potrebbe essere solo l’art. 2033 c.c., ma prima la specifica disciplina dell’invalidità negoziale concernente il titolo attributivo del beneficio economico al lavoratore, con rilevanti differenze a seconda del tipo di invalidità che sia possibile far valere. Poiché i trattamenti economici dei lavoratori pubblici sono ordinariamente attribuiti mediante contratti collettivi o, alle condizioni da questi previste, da contratti individuali (art. 2, c. 3, d.lgs. n. 165/2001), la distinzione rilevante su questo terreno diventa quella fra invalidità di titolo collettivo e invalidità di titolo individuale.


4.1. L’invalidità del titolo collettivo. Premessa

Nella disciplina del pubblico impiego, l’invalidità del contratto collettivo è situazione che può riguardare per lo più il contratto decentrato di amministrazione, al quale la legge impone stringenti limiti di competenza e di contenuto, violati i quali «le clausole sono nulle, non possono essere applicate e sono sostituite ai sensi degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile» [14]. Nella prassi applicativa, se non anche nelle elaborazioni teoriche, è diffusa l’idea che la nullità del contratto collettivo a monte travolga sempre e comunque tutte le erogazioni economiche effettuate a valle, senza tuttavia considerare la variabile foggia dei rapporti fra il contratto collettivo e quello individuale, né spiegare quale meccanismo giuridico produrrebbe questo grave effetto [15]. Non si adombra neppure la distinzione, che invece è densa di implicazioni teoriche e pratiche, fra l’ipotesi nella quale il contratto nullo sia direttamente attributivo di un certo trattamento economico e quella in cui, invece, si limiti a predisporre le condizioni per l’assegnazione del medesimo a livello individuale.


4.1.1. La nullità del contratto collettivo direttamente attributivo del trattamento economico preteso in restituzione

Quando il contratto collettivo fosse direttamente attributivo del beneficio economico preteso in restituzione, la sua eventuale nullità si risolverebbe in una corrispondente amputazione del contratto individuale, il cui contenuto è conformato dall’esterno dal contrato collettivo medesimo. Si tratterebbe di una situazione di rara ricorrenza, limitata a pochi casi di scuola: ad esempio quello in cui un contratto di amministrazione riconoscesse un incremento della retribuzione tabellare o un aumento dell’importo unitario di una certa indennità disciplinate solo a livello di comparto. Essendo il contratto collettivo l’unica fonte materiale dell’attribuzione patrimoniale, il suo venir meno renderebbe ingiustificato il pagamento individuale, che sarebbe da qualificare senz’altro come indebito.


4.1.2. La nullità del contratto collettivo il quale predisponga le condizioni per l’assegnazione individuale del trattamento economico preteso in restituzione

Più articolato deve essere il quadro di riflessioni quando il contratto collettivo si limiti a predisporre le condizioni per l’erogazione di un determinato trattamento economico, che poi devono essere concretizzate da un’ulteriore attività negoziale destinata a sfociare in un accordo individuale. A questo fenomeno allude esattamente l’art. 2, c. 3, d.lgs. n. 165/2001 quando prescrive che «l’attribuzione di trattamenti economici può avvenire esclusivamente mediante contratti collettivi» e poi soggiunge «o, alle condizioni previste, mediante contratti individuali». Sarebbe il caso di alcune importanti voci del salario accessorio, come le fasce retributive, la retribuzione di posizione o quella di risultato, le quali sono accordate individualmente a valere su risorse (fondi) la cui consistenza è determinata (anche) dal contratto collettivo di amministrazione e con procedure negoziali di valutazione e/o di selezione da questo stabilite [16]. In questa situazione non basta allegare la nullità del contratto collettivo, che non è il solo titolo attributivo del compenso erogato al dipendente. Fra il pagamento che si asserisce non dovuto e la sua ripetizione vi è anche un accordo individuale, che deve essere pure esso rimosso. Senza di che non si potrebbe parlare di indebito per il passato o pretendere di sottrarsi all’adempimento per il futuro. È questa l’ipotesi quantitativamente più rilevante. La già richiamata ordinanza della Cassazione, che è stata una delle scaturigini del giudizio di legittimità costituzionale sull’art. 2033 c.c., muoveva proprio da una vicenda di questo tipo [17]. In alcuni comparti, l’erogazione di somme a valere su contratti collettivi di amministrazione nulli perché non rispettosi dei limiti fissati a livello nazionale ha rappresentato una patologia dalle dimensioni così vaste da avere spinto il Legislatore a prevedere un apposito meccanismo che semplificasse e al contempo rendesse possibile il recupero dei maggiori oneri conseguiti ai pagamenti effettuati a valere su titoli collettivi invalidi [18].


4.1.2.1. La tesi della nullità dell’accordo individuale stipulato a valle di un contratto collettivo nullo. Premessa critica

A tutta prima, il problema della sorte dell’accordo individuale attributivo del beneficio economico al dipendente sembrerebbe di facile soluzione: eliminato dalla scena il contratto decentrato nullo, ciò che resterebbe sarebbe un patto individuale privo di copertura sindacale, il quale, a sua volta, si porrebbe in violazione del divieto posto dall’art. 2, c. 3, d.lgs. n. 165/2001. Giuridicamente la soluzione sarebbe dotata di una sua linearità: la nullità del contratto decentrato, retroagendo al momento della sua stipulazione, svelerebbe un contrasto originario fra il titolo attributivo individuale e una norma imperativa di legge (art. 2, c. 3, d.lgs. n. 165/2001), donde la nullità ai sensi dell’art. 1418, c. 1, c.c. In questi termini, sebbene mai compiutamente esplicitati, ragiona la nostra giurisprudenza [19]. Non di meno, sebbene sul piano giuridico astratto non vi sarebbe scarto temporale fra la stipula del patto individuale e la sua contrarietà a norma imperativa di legge, quello iato vi sarebbe sul piano materiale dove l’accordo individuale sorgerebbe bene mentre la sua nullità sopravverrebbe con la declaratoria di nullità del contratto collettivo di amministrazione. In realtà a sopravvenire non sarebbe la nullità, la quale opererebbe sempre originariamente anche sul titolo individuale, quanto il fatto che darebbe origine al giudizio sulla sua sussistenza, cioè l’esposizione o la deduzione in giudizio di una causa di nullità che avrebbe colpito il contratto collettivo decentrato a monte. In questo senso, certamente atecnico, si può dire che il vizio dell’accordo individuale attuativo del contratto collettivo nullo sopravverrebbe rispetto al momento della sua stipulazione. E nello scarto temporale fra il momento della conclusione del patto individuale attributivo del beneficio economico e l’eccezione di nullità del contratto decentrato di amministrazione, che sul piano giuridico astratto farebbe emergere il contrasto del patto individuale con la norma imperativa di legge, si radica un’esigenza di protezione dell’affidamento che il lavoratore abbia fatto sulla stabilità dell’attribuzione patrimoniale ricevuta [20]. Si tratta di quel medesimo affidamento le cui ragioni di tutela hanno tratto a giudizio di costituzionalità l’art. 2033 c.c., ma che si svolge su di un [continua ..]


4.1.2.2. L’intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale di una disposizione di legge che costituisca presupposto della validità di un contratto

Strutturalmente, la sopravvenienza che si è visto avere base nella declaratoria di nullità del contratto collettivo di amministrazione ha elementi di comunanza con quella dell’annullamento di una legge giudicata costituzionalmente illegittima, che avesse previsto un presupposto su cui si fosse retta la validità di un contratto o di un atto [22]. La sentenza costituzionale di accoglimento elimina la legge con efficacia retroattiva e dovrebbe far cadere gli atti e i rapporti sorti sul presupposto della sua vigenza, con conseguente restituzione di quanto prestato sulla base e sotto il vigore della legge annullata [23]. Nella giurisprudenza costituzionale, il rigore di questa premessa è stato temperato mediante l’elaborazione della teoria dei c.d. rapporti esauriti. La sentenza che accoglie l’eccezione di costituzionalità di una legge ne impedisce l’applicazione anche ai rapporti già sorti salvo che questi, in tutto o in parte, «debbano ritenersi esauriti in modo definitivo e irrevocabile e conseguentemente non più suscettibili di alcuna azione o rimedio, secondo i principi invocabili in materia» [24]. Rapporti esauriti sarebbero, a loro volta, quelli che «hanno trovato la loro definitiva e irretrattabile conclusione mediante sentenza passata in giudicato, i cui effetti non vengono intaccati dalla successiva pronuncia di incostituzionalità» e poi quelli rispetto ai quali «sia decorso il termine di prescrizione o di decadenza previsto dalla legge per l’esercizio dei diritti a essi relativi» [25]. Nei rapporti di durata ad esecuzione continuata, quale è quello di lavoro, è dubbio se l’esaurimento che impedisce la restituzione possa riguardare le prestazioni continuative già adempiute e, in questo senso, acquisite al patrimonio della parte [26]. La Corte costituzionale ha affermato che non si tratterebbe di un problema di diritto processuale costituzionale ma di diritto sostanziale e ne ha rimesso la soluzione al singolare apprezzamento dei giudici di merito [27], che, nel rapporto di lavoro, significa attingere per lo più all’applicazione del­l’art. 2126 c.c. [28]. Se la giurisprudenza costituzionale ha ricercato sul piano del rapporto il criterio di bilanciamento fra i contrapposti interessi dei contraenti, quella ordinaria civile si è mossa su [continua ..]


4.1.2.3. La riconducibilità sotto la disciplina dell’errore nella stipulazione del contratto

La somiglianza strutturale con la vicenda che si diparte dalla declaratoria di illegittimità costituzionale di una legge e la comune esigenza di tutelare l’affidamento dei contraenti suggerisce di saggiare l’applicabilità della disciplina dell’errore anche al patto individuale stipulato a valle di un contratto collettivo di amministrazione nullo. Il punto di attacco dell’indagine è intendersi su cosa avrebbero errato le parti dell’accordo individuale a valere sul quale sia stato erogato l’emolumento retributivo, che si pretenderebbe in restituzione. È da escludere in premessa che l’errore possa essere caduto sull’interpretazione e sull’applicazione della norma imperativa di legge che impedisce di pattuire individualmente l’attribuzione di compensi fuori dalle condizioni previste da un contratto collettivo o senza la copertura di questo. Non è certamente questo l’oggetto della falsa rappresentazione dei contraenti. Se così fosse, peraltro, ci si troverebbe fuori dall’area di possibile rilevanza dell’errore nel contratto e interamente dentro quella della contrarietà a norma imperativa di legge, che i contraenti non potrebbero pretendere di ignorare, né di interpretare o applicare erroneamente. La tutela dell’affidamento delle parti, specialmente del lavoratore, non può svolgersi mediante la sottrazione diretta al divieto di legge di pattuire e corrispondere compensi non previsti dal contratto collettivo. I contraenti individuali non pretendono neppure di sottrarsi all’applicazione della regola legale, la quale, a certe condizioni, commina la nullità del contratto collettivo di amministrazione stipulato fuori dai limiti previsti a livello di comparto (art. 40, c. 3 quinquies, d.lgs. n. 165/2001). Questa disposizione attiene alla validità del contatto collettivo a monte, non del contratto individuale a valle. L’evocazione della disciplina sull’errore non comporterebbe, dunque, la sua non applicazione alla fattispecie dalla medesima contemplata, che non riguarda il contratto individuale ma quello collettivo. La situazione più prossima al contratto individuale che le parti ignorano o percepiscono erroneamente è la nullità, nelle condizioni specificamente date, del contratto collettivo di amministrazione sulla base del quale hanno stipulato il patto individuale [continua ..]


4.1.2.4. Il concorso di rimedi

La riconducibilità alla disciplina dell’annullabilità per errore scopre il fronte problematico attinente al rapporto di questa qualificazione con quella astrattamente concorrente e convergente discendente dalla contrarietà a norma imperativa di legge [45]. Trattandosi di due rimedi incompatibili, si pone il problema di reperire una regola del loro concorso/conflitto. Sotto questa particolare angolazione, la vicenda non replica solo lo schema della sopravvenuta incostituzionalità di una legge (o della sopravvenienza di una disposizione proibitiva), bensì quello di chi avesse transatto sulla base di un titolo nullo, la cui disciplina è ispirata anch’essa a ragioni di tutela dell’affidamento dei contraenti, i quali abbiano confidato nella validità di un titolo sottostante. Secondo le regole generali dovrebbe affermarsi la nullità della transazione, posto che la caducazione del contratto sottostante farebbe venir meno la res litigiosa, che è un elemento costitutivo della sua causa [46]. Nonostante ciò, l’art. 1972 c.c. la dice annullabile per errore, con una scelta che la sottrae al regime degli artt. 1325 e 1418, c. 2, c.c., altrimenti applicabile [47]. Nella disciplina generale dell’invalidità negoziale, un criterio di prevalenza/preferenza fra le due qualificazioni formali è contenuto nell’art. 1418, c. 1, c.c., che dice nullo il contratto contrario a norma imperativa di legge, ma fa salve le ipotesi in cui la legge stabilisca diversamente. Secondo la tesi più accreditata, ancorché non indiscussa, questa clausola di salvezza sarebbe integrata non solo dalla espressa esclusione della nullità da parte della legge, ma anche dalla disponibilità di uno strumento sanzionatorio che sia più adeguato a tutelare gli interessi protetti dalla disposizione imperativa, secondo il criterio del minimo mezzo o della sufficienza/proporzionalità della tutela [48]. Emerge in questo punto un aspetto meno evidente del problema dell’indebito retributivo nella disciplina del pubblico impiego. Nel sottosuolo del conflitto fra l’interesse del lavoratore a conservare quanto ricevuto e quello dell’amministra­zione di ripetere quanto indebitamente pagato, governato dall’art. 2033, c.c., vi è per lo più un conflitto fra l’interesse del lavoratore alla [continua ..]


4.1.2.5. La rettifica del contratto individuale annullabile

Non di rado la nullità del contratto collettivo di amministrazione deriva dalla scorretta quantificazione o allocazione delle risorse economiche nei fondi contrattuali a valere sui quali sono erogate alcune voci del salario accessorio [60]. Quando ciò accada, l’Amministrazione procede di norma alla rimodulazione dei predetti fondi. E dovrebbe essere questa un’applicazione assai impropria del meccanismo previsto dagli artt. 1339 e 1419 c.c., entrambi richiamati dall’art. 40, c. 3 quinquies, d.lgs. n. 165/2001 [61]. A questa correzione del contratto collettivo dovrebbe seguire, oltre al recupero di quanto pagato in eccesso, un adeguamento al ribasso dei compensi riconosciuti a livello individuale. In questo senso è la prassi applicativa, anche se non è mai esplicitato quale meccanismo giuridico giustifichi questo fatto o produca questo effetto. Se si tiene ferma la premessa secondo la quale l’accordo individuale stipulato a valle di un contratto collettivo nullo sarebbe annullabile, la disciplina di riferimento dovrebbe essere quella del mantenimento del contratto rettificato prevista dall’art. 1432 c.c., che consente la conservazione del contratto annullabile a condizione che la parte la quale soggiace all’azione di annullamento ne offra la modifica secondo le condizioni alle quali l’altra parte lo avrebbe stipulato se avesse avuto contezza dell’errore [62]. Sarebbe invece esclusa la possibilità di disporre la convalida del contratto annullabile, che l’art. 1444, c. 3, c.c. consente solo se la parte che avrebbe interesse a eccepire l’annullabilità sia nella condizione di contrarre validamente. Situazione, questa, che non è propria di nessuno dei contraenti individuali, una volta scoperta la nullità del contratto decentrato di amministrazione.


4.1.2.6. Il recupero «nell’ambito della sessione negoziale successiva» previsto dall’art. 40, c. 3 quinquies, d.lgs. n. 165/2001. Estraneità della misura rispetto al meccanismo invalidante previsto dall’art. 1418, c. 1, c.c

Sin dalla sua formulazione originaria, l’art. 40, d.lgs. n. 165/2001 aveva previsto il divieto di «sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con i vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali» o che comportassero «oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione», disponendo al contempo la nullità e la conseguente inapplicabilità delle clausole eventualmente difformi [63]. Con l’art. 54, c. 1, d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 e poi con l’art. 11, c. 1, d.lgs. 25 maggio 2017, n. 75, la disposizione del Testo unico è stata integrata mediante la specificazione che può dar luogo a nullità anche la violazione dei limiti di competenza per materia previsti a livello di comparto. Dopo di che, per la sola ipotesi di «superamento dei vincoli finanziari accertato dalle sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti, del Dipartimento della Funzione pubblica o del Ministero dell’Economia e delle Finanze», si è previsto un peculiare sistema di rientro, alternativo alla ripetizione a carico dei singoli lavoratori percettori di emolumenti erogati a valere sulle clausole del contratto collettivo nulle. Alle amministrazioni che si fossero avvedute o fossero state rese edotte di avere superato i limiti finanziari assegnati alla negoziazione decentrata è stato fatto «obbligo di recupero nell’ambito della sessione negoziale successiva, con quote annuali e per un numero massimo di annualità corrispondente a quelle in cui si è verificato il superamento di tali vincoli» (art. 40, c. 3 quinquies, d.lgs. n. 165/2001). La misura è stata replicata dall’art. 4. d.l. n. 16/2014 (c.d. decreto “salva Roma”), che la ha adattata alla peculiare realtà di Regioni ed enti locali, particolarmente interessate dal fenomeno dello sforamento dei limiti finanziari assegnati alla contrattazione collettiva [64]. Ma in nessuna delle due versioni incide sulle condizioni o sui presupposti dell’indebito retributivo, cioè sull’invalidità che colpisce il titolo individuale attributivo del beneficio economico erogato al dipendente, che resta compito dell’interprete determinare in applicazione del criterio previsto dall’art. 1418, c. 1, c.c. [65]. Il piano operativo del rimedio non [continua ..]


4.2. Le ipotesi di invalidità del solo titolo individuale

Considerazioni giuridiche diverse debbono svolgersi quando ad essere messa in discussione sia solo l’idoneità di un titolo individuale a giustificare il pagamento che si asserisce non dovuto. Qui la distinzione rilevante è quella fra l’ipotesi in cui: a) si sia acconsentito all’attribuzione di un certo beneficio economico che sarebbe potuto spettare al dipendente, ad esempio una fascia retributiva assegnata a cagione di una errata valutazione dei suoi titoli professionali; oppure b) sia stato pattuito un beneficio economico che non sarebbe stato possibile erogare a chicchessia, ad esempio un superminimo ad personam non autorizzato dal contratto collettivo. Nel primo caso ci si troverebbe di fronte a un’attribuzione patrimoniale erronea; nel secondo a una non consentita.


4.2.1. L’annullabilità per errore di fatto dell’accordo individuale attributivo del trattamento economico preteso in restituzione

Alcuni emolumenti sono assegnati direttamente dalla legge o dal contratto collettivo in ragione del verificarsi di determinati presupposti di fatto, ad esempio il superamento del limite ordinario dell’orario di lavoro oppure lo svolgimento di una certa attività in condizioni di disagio. Se questi mancano nel caso concreto, si ricade nell’ipotesi di inesistenza originaria di titolo, con conseguente diritto/dovere di recuperare quanto pagato, come anche prescrive, con formula ridondante se non proprio inutile, l’art. 7, c. 5, d.lgs. n. 165/2001, che vieta alle amministrazioni pubbliche di «erogare trattamenti economici accessori che non corrispondano alle prestazioni effettivamente rese» [67]. In relazione ad altri, invece, si è visto che la legge o il contratto collettivo stabiliscono le condizioni alle quali possono essere erogati ma rimettono a un’ulteriore valutazione da parte dell’ammi­nistrazione e a un’ulteriore attività negoziale l’individuazione del soggetto beneficiario e/o la determinazione del quantum. È il caso di alcune voci del c.d. salario accessorio, come la retribuzione di posizione, le fasce retributive o la retribuzione incentivante. In quest’attività di concretizzazione può accadere che l’Amministrazione assegni il beneficio economico, ad esempio una fascia retributiva, a un soggetto che lo ha richiesto ma risulti privo dei titoli prescritti. Questa situazione sarebbe ordinariamente riconducibile all’ipotesi normativa dell’errore di fatto su di una qualità dell’altro contrente, che sia stata determinante per il consenso (art. 1429, n. 3, c.c.) [68]. E ripropone lo schema del concorso/conflitto di qualificazioni formali del vizio che attinge l’accordo individuale, perché l’ammi­nistrazione che avesse pattuito per errore avrebbe anche assegnato al dipendente un emolumento al di fuori delle condizioni previste dal contratto collettivo. Di nuovo, l’accordo individuale potrebbe dirsi nullo per contrarietà a norma imperativa di legge e al contempo annullabile per errore. Di nuovo, non vi sono ragioni per assegnare prevalenza all’interesse protetto dall’art. 2, c. 3, d.lgs. n. 165/2001 rispetto al­l’affidamento del lavoratore, che qui sarebbe più intensamente tutelato, poiché a differenza della situazione in cui [continua ..]


4.2.2. La nullità dell’accordo individuale attributivo del trattamento economico preteso in restituzione. Ancora sui rapporti fra invalidità dell’accordo individuale e disciplina dell’art. 2126 c.c.

L’ultima situazione da esaminare è quella in cui la volontà delle parti si sia formata correttamente quanto al soggetto e all’oggetto, ma il trattamento economico accordato non sia consentito dal contratto collettivo e o dalla legge. Sarebbe il caso dell’assegnazione di un superminimo ad personam, contro il divieto dell’art. 2, c. 3, e 45, c. 1, d.lgs. n. 165/2001 oppure del conferimento di incarichi retribuiti in spregio alla regola dell’onnicomprensività della retribuzione. È bene indugiare, sia pure per breve tratto, sulla differenza fra queste due vicende. L’assegnazione di un superminimo individuale sarebbe vietata dagli artt. 2, c. 3, e 45, c. 1, d.lgs. n. 165/2001: in difetto di copertura sindacale, la nullità dell’ac­cordo individuale deriverebbe da contrarietà a norma imperativa di legge. Né vi sarebbe spazio per applicare l’art. 2126 c.c., il quale fa salvi gli effetti del contrato invalido se e in quanto una prestazione di lavoro sia stata eseguita, condizione assente in premessa nella vicenda in analisi dove non vi è pattuizione di una qualche attività aggiuntiva ma solo incremento della retribuzione. Nel settore dell’impiego privato, la concessione di trattamenti migliorativi rispetto alle previsioni di contratto collettivo è vicenda che rientra nella fisiologia della relazione fra le fonti di disciplina del rapporto di lavoro. Il datore di lavoro che volesse sottrarsi all’obbligo di pagare o volesse avere indietro quanto già pagato non avrebbe altra strada che invocare la disciplina dell’annullabilità del contrato per vizio del consenso. In questi termini è saldamente orientata la giurisprudenza di legittimità, talora con qualche leggerezza nel ravvisare un fondamento volontaristico dell’attribuzione patrimoniale [69]. Nel settore del pubblico impiego, invece, non è consentita analoga libertà alle parti: l’eventuale accordo individuale migliorativo non sfugge alla qualificazione di nullità per le ragioni sopra esposte, sicché il lavoratore dovrebbe restituire quanto ricevuto a valere sul titolo invalido. Tutt’altra partita è quella nella quale oggetto dell’accordo individuale sia stato non un semplice aumento di stipendio, cioè la modifica di un elemento dell’ori­ginario contratto di lavoro, [continua ..]


SEZIONE II Le condizioni e i limiti della ripetizione dell’indebito retributivo – 5. Le questioni di legittimità costituzionale concernenti l’art. 2033 c.c. Il contrasto con l’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione EDU

I molti nodi irrisolti attinenti al presupposto dell’indebito sono alla fine venuti al pettine della Corte costituzionale, che è stata chiamata a valutare la conformità della rigida disciplina nazionale rispetto all’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La disposizione convenzionale, che nel giudizio di costituzionalità ha funto da parametro interposto dell’osservanza dell’art. 117, c. 1, Cost., assegna a ogni persona fisica o giuridica «il diritto al rispetto dei suoi beni» e poi soggiunge che «nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale». La trasposizione della vicenda dell’indebito retributivo entro la cornice del diritto dominicale europeo ha avuto come termine medio il concetto di bene, che la giurisprudenza convenzionale ha sviluppato in modo autonomo rispetto agli ordinamenti nazionali, sì da ricomprendervi anche utilità non ancora stabilmente acquisite al patrimonio del soggetto [76]. E ha avuto l’effetto di tradurre il conflitto di interessi fra amministrazione pubblica erogatrice e lavoratore percipiente in quello fra proprietario e Stato, governato secondo un criterio di proporzionalità fra ingerenze dello Stato e legittima aspettativa della persona alla stabilità dell’acquisito e alla conservazione dei suoi beni. Nel diritto convenzionale, la proprietà privata è protetta da ingerenze dello Stato non previste dalla legge e non giustificate da un interesse pubblico preminente, in guisa tale che deve ritenersi illegittima ogni misura o pretesa che alteri «l’equilibrio che deve sussistere tra le esigenze di interesse pubblico generale, da un lato, e quelle della protezione del diritto dell’individuo al rispetto della sua proprietà» [77]. Quando il diritto di proprietà, nel senso autonomo della Convenzione, abbia avuto a oggetto emolumenti erogati da un’autorità pubblica a titolo di ratei di stipendio o di pensione, che la medesima asserisca pagati indebitamente, la sua lesione può essere causata dalla pretesa di restituzione che non tenga conto delle condizioni personali del percipiente e dell’affidamento che abbia maturato circa la [continua ..]


6. Le ordinanze di rimessione

Il giudizio di costituzionalità è originato da tre ordinanze di rimessione: due formulate dal Tribunale di Lecce e una dalla Corte di Cassazione. Le due ordinanze pugliesi hanno riguardato vicende di indebito previdenziale; solo quella della Corte di Cassazione ha avuto a oggetto un’ipotesi di indebito retributivo in una vicenda in termini rispetto a quelle che la Corte EDU ha ricondotto alla disciplina dell’art. 1, del primo Protocollo addizionale alla Convenzione: gli emolumenti pretesi in restituzione avrebbero avuto titolo nell’assegnazione di due voci del salario accessorio: la retribuzione di posizione e quella di risultato; entrambe erogate a valere su di un contratto collettivo di amministrazione nullo perché privo di adeguata copertura finanziaria; entrambe corrisposte continuativamente per alcuni anni; entrambe oggetto di domanda restitutoria formulata dopo molti anni a danno di un lavoratore in difficoltà economiche e familiari [89]. Alla domanda se la disciplina nazionale dell’indebito, pur latamente interpretata, consentisse di tenere conto dell’affidamento e della situazione personale del lavoratore percipiente in termini compatibili con quanto affermato dalla giurisprudenza convenzionale, la Suprema Corte ha risposto negativamente, diversamente da quanto aveva fatto un arresto coevo del Consiglio di Stato [90]. Donde la rimessione alla Corte costituzionale. È significativo osservare che l’ipotesi al vaglio del Giudice rimettente ha avuto a oggetto la ripetizione di un indebito contrattuale e la consistenza della sopravvenuta invalidazione del titolo individuale a valle della caducazione della fonte collettiva a monte: quella in relazione alla quale si è saggiata la possibilità di sua riconduzione alla disciplina dell’annullabilità del contratto. La Corte di Cassazione, in linea con il suo orientamento consolidato, ha ritenuto che la nullità del contratto collettivo a monte avrebbe reso automaticamente senza titolo anche le erogazioni effettuate a valle e così direttamente applicabile alla vicenda di causa l’art. 2033 c.c. Per vero, questa premessa non è stata analiticamente esplicitata, ma dacché in giudizio risulta essere stata dedotta un’eccezione di irrilevanza dell’errore per difetto di riconoscibilità, si intende che il Giudice di legittimità ha inteso attestarsi [continua ..]


7. Il giudizio della Corte costituzionale (Corte cost. 8/2021)

Nella prospettiva dell’ordinanza di rimessione della Corte di Cassazione, la risposta alla domanda extrasistematica di innovazione proveniente dall’ordinamento sovranazionale avrebbe dovuto comportare una rottura dell’unità del statuto normativo dell’indebito nel diritto nazionale e svolgersi nella forma dell’introduzione di un’eccezione alla regola generale della irrilevanza delle condizioni personali e dello stato di affidamento dell’accipiens nel giudizio sull’(in)adempimento dell’obbliga­zione restitutoria [93]. A quel punto, il bilanciamento degli interessi in gioco sarebbe stato rimesso alla discrezionalità del Giudice nazionale, da esercitarsi senza altra guida del precedente o di una somma di precedenti, dunque in condizione di sostanziale incertezza, come sempre avviene «quando l’applicazione del diritto non è controllata da concetti sistematici» [94]. È quanto accaduto e accade nel settore del pubblico impiego non privatizzato dove la giurisprudenza amministrativa si è rivelata assai più disponibile di quella civile a considerare le ragioni legate all’affidamento e alle condizioni personali del lavoratore indebito percipiente, accordando «in modo rapsodico la misura di tutela più penetrante, adagiandola sopra argomenti non sempre decisivi e talvolta dogmaticamente fuorvianti» [95], fino a postulare l’applicazione diretta, cioè senza la mediazione del giudizio di costituzionalità, dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione EDU [96]. La Corte costituzionale ha respinto meritoriamente quest’idea e scelto la via della giustificazione in termini dogmatici della regola del bilanciamento ispirata a criteri di giustizia materiale elaborata dalla giurisprudenza della Corte EDU. L’ordina­mento interno disporrebbe di risorse sufficienti ad allontanare il sospetto di una insanabile difformità rispetto a quello sovranazionale: le condizioni personali e l’affi­damento dell’accipiens possono trovare un loro adeguato punto di emersione in seno agli istituti dell’inesigibilità e della responsabilità precontrattuale, mentre la regola dell’irripetibilità di quanto pagato come corrispettivo di una prestazione di fatto pattuita in violazione di legge (art. 2126 c.c.) circoscrive notevolmente la [continua ..]


7.1. L’inesigibilità della ripetizione

Il primo presidio a tutela degli interessi del lavoratore soggetto passivo dell’ob­bligazione restitutoria è stato ravvisato dalla Consulta in quell’esimente da responsabilità per l’inadempimento, diversa dall’impossibilità sopravvenuta di adempiere, che prende il nome di inesigibilità. Inesigibile, nella teoria generale dell’obbli­gazione, è propriamente una prestazione possibile, il cui adempimento nei modi e nei termini previsti dal titolo attenti a un bene o a un interesse al quale, secondo una valutazione di buona fede, inerisca un valore preminente rispetto a quello del creditore. L’inesigibilità giustifica l’inadempimento anche delle obbligazioni pecuniarie, la cui attuazione non può mai giudicarsi impossibile e, diversamente dall’esimente dello stato di necessità nella responsabilità extracontrattuale, può ricorrere anche quando il bene del debitore minacciato abbia natura patrimoniale [98]. Nello sviluppo del ragionamento della Consulta, l’attenuazione del rigore del­l’art. 2033 c.c. opererebbe su più piani: su quello delle modalità della restituzione, mediante la doverosità della concessione di una congrua rateazione; poi su quello del tempo dell’adempimento, dove può essere giustificata la concessione di una dilazione; infine su quello del quantum del debito, mediante una decurtazione che «(solo) in casi limite potrebbe approssimarsi alla totalità dell’importo dovuto» [99]. Il diritto privato compie qui un percorso inverso rispetto al diritto amministrativo. Nella giurisprudenza amministrativa sul pubblico impiego, il bilanciamento fra i contrapposti interessi dell’accipiens e del solvens era in origine attratto all’interno del giudizio sulla legittimità dell’atto di recupero, cui si attribuiva natura di provvedimento amministrativo. L’affidamento del lavoratore riceveva una tutela di tipo rigorosamente procedimentale dentro lo statuto del vizio di eccesso di potere, sicché il mancato o insufficiente bilanciamento era causa di illegittimità di quel provvedimento e poteva condurre a una elisione definitiva, totale o parziale, della pretesa restitutoria avanzata dall’amministrazione. In una seconda fase e ancora oggi, si è affermata l’idea che il recupero avrebbe natura di [continua ..]


7.2. La responsabilità precontrattuale

Se l’inesigibilità ha consentito l’ascensione al piano delle valutazioni giuridiche della situazione di bisogno personale del lavoratore, la responsabilità precontrattuale è stato il luogo normativo di emersione delle esigenze di tutela del suo affidamento. Il lavoratore che in buona fede avesse trattato ed eventualmente confidato nella validità di un accordo concluso dall’amministrazione, che questa sapeva o avrebbe dovuto sapere affetto da una forma di invalidità, guadagnerebbe un diritto al risarcimento del danno subito: una tutela sostanziale, dunque; diversa e aggiuntiva rispetto a quella assicurata dall’istituto dell’inesigibilità, che ha invece natura e consistenza eminentemente procedurale [107]. Rispetto all’inesigibilità della prestazione, il rimedio non copre l’intera area del­l’indebito retributivo, poiché può riguardare solo l’indebito c.d. contrattuale, laddove inesigibile potrebbe essere qualsiasi prestazione restitutoria, anche quella che avesse base in un pagamento effettuato a prescindere da un titolo preesistente. L’elaborazione della consulta ridiviene qui coestensiva rispetto a quella della giurisprudenza convenzionale, che, come detto, ha riguardo ai soli indebiti contrattuali [108]. Ma patisce di una significativa differenza qualitativa: nella giurisprudenza della Corte EDU la tutela accordata all’affidamento del lavoratore si svolge anche sul piano dell’obbligazione nascente dall’indebito, poiché ne impedisce il recupero in tutto o in parte. È uno degli elementi rappresentati nel procedimento di bilanciamento con l’interesse pubblico alla ripetizione. Ed è l’illiceità del recupero stesso eventualmente disposto a determinare una responsabilità dell’amministrazione procedente, che può comportare un risarcimento del danno di ammontare anche pari, quando non superiore, all’indebito preteso in restituzione. Negli artt. 1337 e 1338 c.c., invece, la buona fede non assolve per lo più al ruolo di determinare il contenuto dell’obbligazione restitutoria o le modalità del suo adempimento, come invece nell’art. 1175, c.c., che è la base normativa dell’inesigibilità [109]. Concorrerebbe con la colpa del solvens a determinare una sua responsabilità risarcitoria nei [continua ..]


8. La delimitazione dell’area della ripetibilità dell’indebito retributivo nel pubblico impiego. L’art. 2126 c.c.; l’art. 40, c. 3 quinquies, d.lgs. n. 165/2001; i rapporti fra la ripetizione dell’indebito a carico del singolo lavoratore e la responsabilità erariale del dirigente responsabile dell’erogazione dei trattamenti economici accessori

Nel giudizio di costituzionalità, l’opera di verifica dell’allineamento fra ordinamento interno e ordinamento sovranazionale non ha proceduto solo per linee interne, tramite le figure filtro dell’inesigibilità e della responsabilità precontrattuale. È avanzata anche per linee esterne mediante la circoscrizione dell’area di incidenza pratica dell’indebito retributivo, al quale fa da argine, prima di tutto, la disciplina dell’art. 2126 c.c. [121]. Con riferimento al vasto dominio dell’indebito contrattuale, al quale solo è applicabile la disposizione del Codice, la ripetibilità è esclusa ogni volta che il pagamento sia stato corrispettivo a una prestazione di lavoro effettivamente resa e di carattere aggiuntivo, cioè non già ricompresa nell’oggetto del contratto originariamente concordato dalle parti, la cui ampiezza, nella disciplina del pubblico impiego, deve essere determinata tenendo conto della regola dell’onnicompren­sività del trattamento retributivo [122]. Su questo terreno discorsivo si può muovere una critica di completezza al­l’analisi della Corte costituzionale, alla quale ha forse nuociuto un’imperfetta cognizione del fenomeno, che non ha una consistenza qualitativa unitaria, né un’in­cidenza quantitativamente omogenea, come si è cercato di mostrare [123]. Se si tiene adeguatamente conto della premessa che l’area di maggior rilevanza qualitativa e quantitativa dell’indebito retributivo è quella della restituzione di emolumenti erogati su autorizzazione di contratti collettivi giudicati nulli, un ulteriore istituto da valorizzare sarebbe stato e sarebbe il recupero a valere sui successivi rinnovi contrattuali previsto dall’art. 40, c. 3 quinquies, d.lgs. n. 165/2001 per l’ipotesi di nullità del contratto decentrato di amministrazione che abbia superato i vincoli finanziari. La scarna giurisprudenza formatasi in materia ha affermato che il rimedio sarebbe alternativo al recupero su base individuale, con scelta rimessa all’ammi­nistrazione [124], ma proprio la necessità di ridurre le frizioni fra la disciplina interna e quella sovranazionale dovrebbe imporre una lettura diversa e in questo senso costituzionalmente orientata, e dunque far ritenere che la ripetizione individuale debba essere un rimedio [continua ..]


9. La ripetizione dell’indebito retributivo nel pubblico impiego oggi

Dal conflitto con la Convenzione EDU non è emerso uno statuto organico del­l’indebito retributivo nel pubblico impiego, che non esiste neppure nell’ordina­mento sovranazionale. Ma le riflessioni che ne sono derivate per contraccolpo consegnano all’interprete una quantità di elementi che si può tentare di ricomporre in un quadro unitario. Il primo dato da considerare ha carattere qualitativo. Un problema reale di tutela del lavoratore percipiente si pone per lo più a fronte di indebiti contrattuali e non anche di quelli extracontrattuali, in relazione ai quali l’intensità dell’affidamento è minima e sostanzialmente immeritevole di una protezione superiore a quella che già accorda al debitore di buona fede l’art. 2033 c.c. [129]. In tutti i rami dell’ordinamento, la preesistenza di un titolo attributivo del beneficio che il privato abbia interesse a conservare è l’elemento qualificante di una situazione di affidamento tutelabile. Così è nel diritto costituzionale [130]; così è nel diritto amministrativo [131]; così è nel diritto civile delle obbligazioni [132]; così è nel diritto europeo della proprietà [133]; così è, a maggior ragione, nel diritto del lavoro. Ciò premesso, entro il perimetro degli indebiti retributivi contrattuali, l’affida­mento del lavoratore ha una maggiore intensità e una maggiore meritevolezza di tutela quando si confronti con pretese restitutorie che conseguono alla declaratoria di nullità di un contratto collettivo. Qui, la tutela dell’accipiens si può svolgere prima e oltre che sul piano dell’obbligazione restitutoria, su quello del rapporto sottostante, dentro le coordinate della disciplina sull’annullabilità del contratto [134]. Infine, vi è il nucleo più duro dell’indebito, quello conseguente a (vera) nullità del titolo attributivo individuale, dove la tutela del lavoratore percipiente è affidata solo: all’esonero dall’obbligo di pagare gli interessi anteriori alla domanda; alla limitazione della restituzione al netto ricevuto anziché al lordo erogato [135]; in situazioni eccezionali, ove la restituzione sia suscettibile di pregiudicare i suoi interessi vitali, all’attenuazione del [continua ..]


NOTE