Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Sulla disciplina applicabile alle promozioni dei dipendenti delle società a controllo pubblico (di Antonio Preteroti, Professore ordinario di Diritto del lavoro nell'Università degli Studi di Perugia)


L'articolo analizza l’istituto delle progressioni di carriera del personale delle società a controllo pubblico alla luce della disciplina dettata dall'art. 19, d.lgs. n. 175/2016. In particolare, vista la mancata espressa regolazione della materia da parte del legislatore, ci si chiede se le progressioni siano soggette a una procedura selettiva, al pari del pubblico impiego, o siano rimesse ad un atto discrezionale del datore di lavoro, secondo il regime privatistico. La questione viene affrontata alla luce degli orientamenti recentemente espressi dalla dottrina e dalla giurisprudenza, di legittimità e di merito, e tenendo conto della regola di chiusura fissata dall'art. 19, c. 1, d.lgs. n. 175/2016 e degli altri strumenti sanzionatori, diversi dalla nullità, contemplati dall’ordinamento in ambito civilistico ed erariale. Il saggio si chiude con una riflessione sui problemi analoghi, ma non sovrapponibili, posti dalla conversione del contratto a tempo determinato nelle medesime società.

On the legal framework of promotions of the employees in publicly owned companies

This article analyzes the legal regulation of career advancements of employees of companies under public control in the light of the art. 19 of the Legislative Decree n. 175/2016. Given the lack of explicit legal provisions, it is questionable whether the career advancements are subject to a selection procedure, as in the case of public servants, or depend on the decision of the employer on a discretionary basis, under civil law. The issue is addressed in the light of the recent case law – high and ordinary Courts – and of the legal theories and also considering the general rule pursuant to art. 19, paragraph 1, of the Legislative Decree no. 175/2016 and the other sanctioning measures (not only the nullity of the contractual act), both under civil law and taking into account the damages caused to the State. In conclusion, the essay examines the partially analogous issues arising from the conversion of the fixed-term contract to an open-ended contract in the companies under public control.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Le società soggette all’obbligo di stabilire criteri e modalità di reclutamento del personale - 3. La portata dell’obbligo e le conseguenze in caso di violazione - 4. Sull’obbligatorietà delle procedure di reclutamento in caso di progressioni di carriera - 5. L’inapplicabilità delle regole sul reclutamento alle promozioni: la recente sentenza della Cassazione - 6. Annotazioni in tema di tenuta dell’impianto sanzionatorio: le limitazioni dell’azione di responsabilità erariale - 7. Adibizione a mansioni superiori e conseguente applicabilità dell’art. 2103 c.c. - 8. Su una questione diversa, ma strettamente connessa: il divieto di conversione dei contratti a termine - 9. Gli spazi per la conversione o comunque per il risarcimento del danno - 10. Conclusioni - NOTE


1. Premessa

Gli interventi legislativi in materia di gestione del personale dipendente dalle società a controllo pubblico, sebbene accumunati dall’obiettivo di contenimento della spesa pubblica e di incremento del tasso di trasparenza, avevano originariamente delineato una disciplina disorganica e sovente contraddittoria della materia [1]. Successivamente, quindi, anche per tali società si è avvertita l’impellente necessità “di adottare procedure di assunzione idonee a selezionare, secondo criteri di merito e di trasparenza, i soggetti chiamati allo svolgimento dei compiti loro affidati” [2]. Tale esigenza è stata, in particolare, fatta propria dall’art. 18, del d.l. n. 112/2008 [3], che ha contemplato l’obbligo di adottare una procedura di reclutamento del personale rispettosa dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità (c. 2) [4]. Alla luce di tale disposizione le società che gestivano servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica, erano tenute a definire, con propri provvedimenti, modalità e criteri per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi, nel rispetto dei principi di cui al c. 3, dell’art. 35, d.lgs. n. 165/2001 (c. 1). L’urgenza di un intervento organico ha continuato in ogni caso ad essere fortemente avvertita anche in seguito [5] e soltanto con il c.d. testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (t.u.s.p.), d.lgs. n. 175/2016 [6], è stata attuata l’au­spicata razionalizzazione dell’intera materia, che ha coinvolto, inevitabilmente, anche gli aspetti prettamente lavoristici. L’ambiguità del quadro regolativo che ne è risultato, però, continua rievocare tuttora l’immagine del Giano Bifronte i cui due volti sono indicativi della natura privatistica del soggetto, da un lato, e degli interessi pubblici coinvolti, dall’altro lato [7]. A ciò si aggiunga che il testo unico non contiene alcuna espressa previsione in materia di promozioni del personale delle società partecipate e per tale ragione si è discusso molto sulla disciplina applicabile in tale ipotesi [8], anche se, a ben guardare, una recente sentenza della Cassazione [9] pare abbia voluto porre la parola fine al dibattito in corso. Ad ogni modo, prima di [continua ..]


2. Le società soggette all’obbligo di stabilire criteri e modalità di reclutamento del personale

Com’è noto, il fenomeno delle società pubbliche ha avuto una particolare diffusione all’esito dei processi di privatizzazione che hanno interessato gli enti pubblici che esercitavano attività economiche [10]. Nonostante l’eterogeneità del fenomeno, si può operare una classificazione delle società pubbliche sulla base: i) di un criterio quantitativo, alla cui stregua distinguere le società pubbliche in ragione della misura della partecipazione pubblica al capitale; ii) di un criterio qualitativo, mediante il quale si considera l’oggetto sociale e l’attività svolta della società. Se il criterio quantitativo consente di distinguere le società a totale partecipazione pubblica dalle società a capitale misto, il criterio qualitativo fonda la distinzione tra società di gestione, società strumentale e società-impresa pubblica. Nell’ambito soggettivo di applicazione del t.u.s.p. sono incluse le società previste dal Titolo V, del Libro V, del Codice civile, partecipate, totalmente o parzialmente, direttamente o indirettamente, dalle “amministrazioni pubbliche di cui al­l’art. 1, c. 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, i loro consorzi o associazioni per qualsiasi fine istituiti, gli enti pubblici economici e le autorità di sistema portuale” (art. 2, c. 1, lett. a, del d.lgs. n. 175/2016). Il t.u.s.p., allineandosi ad una tecnica legislativa di derivazione euro unitaria, al­l’art. 2, detta una serie di definizioni utili a scongiurare l’incertezza applicativa che aveva caratterizzato questa materia negli anni precedenti. In particolare, il legislatore delegato ha distinto quattro grandi tipologie di società soggette all’applicazione del decreto: le società a partecipazione pubblica, le società a controllo pubblico, le società in house [11] e le società quotate. La distinzione riveste una sicura rilevanza sotto il profilo giuridico, poiché la disciplina applicabile muta in relazione a ciascuna tipologia di società. Ai sensi dell’art. 2, c. 1, lett. m, del d.lgs. n. 175/2016 per società a controllo pubblico si intende le società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo, secondo la definizione di controllo dettata dalla precedente lett. [continua ..]


3. La portata dell’obbligo e le conseguenze in caso di violazione

Ma veniamo adesso alla regola speciale che qui interessa e che occorre analizzare per comprenderne la portata e, più nel dettaglio, per capire se essa risulti o meno applicabile anche in caso di progressioni di carriera. Stando al c. 2, dell’art. 19, d.lgs. n. 175/2016 “le società a controllo pubblico stabiliscono, con propri provvedimenti da intendersi quindi regolamenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all’art. 35, comma 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165” [21]. La norma ha cura poi di precisare che in caso di mancata adozione dei suddetti regolamenti, trova diretta applicazione il suddetto art. 35, c. 3, del d.lgs. n. 165/2001. L’espresso rinvio ai principi [22] contenuti in tale ultima norma, che disciplina espressamente procedure di reclutamento nelle pubbliche amministrazioni, potrebbe indurre a ritenere che le procedure selettive, anche nelle società a controllo pubblico, debbano avvenire tramite il meccanismo concorsuale di cui all’art. 97 Cost. La soluzione, tuttavia, non è affatto scontata, stante la natura privata delle società che peraltro rimangono libere nella definizione del procedimento migliore per il reclutamento del personale nel rispetto ovviamente dei principi su esposti. Pare, pertanto, che il legislatore abbia imposto la regola di effettuare procedure selettive, ma non necessariamente concorsuali [23]. I principi concorsuali [24], del resto, si applicano solo nel caso in cui la società a controllo pubblico abbia omesso di adottato i suddetti provvedimenti, su criteri e modalità di reclutamento, poiché solo in questa ipotesi, come detto, l’art. 19, c. 2, secondo periodo, d.lgs. n. 175/2016, prevede un rinvio diretto all’art. 35, c. 3, d.lgs. n. 165/2001. Sotto altro profilo, ci si è domandati se la disciplina sul reclutamento prevista dal richiamato art. 19 possa valere non solo per l’assunzione a tempo indeterminato, ma anche per quelle a tempo determinato e la risposta potrebbe essere positiva visto che, come detto, il c. 2 menziona sic et simpliciter il “reclutamento del personale” senza distinzione alcuna tra quello a tempo a tempo indeterminato e quello a tempo determinato [25]. In questo senso sembra del resto muoversi la [continua ..]


4. Sull’obbligatorietà delle procedure di reclutamento in caso di progressioni di carriera

Fatte queste premesse, risulta possibile indagare la disciplina applicabile in tema di progressioni di carriera nelle società a controllo pubblico [31], tenendo conto che gli avanzamenti di carriera ripropongono sempre, e non solo in Italia, la dicotomica tra rigidità “concorsuale” e flessibilità manageriale [32]. È agevole precisare, anzitutto, che se il meccanismo del concorso pubblico in senso stretto non è richiesto, come sopra chiarito, neppure per il reclutamento di personale nelle società controllate, a maggior ragione non è necessario per le progressioni di carriera. Resta aperto, tuttavia, l’ulteriore interrogativo: se per accedere ad una progressione di carriera sia necessaria, comunque, una procedura che rispetti le regole sul reclutamento di cui all’art. 19, c. 2, oppure la società possa procedere mediante un atto discrezionale. La questione, come anticipato, è controversa [33] perché l’art. 19 non disciplina espressamente la materia, nemmeno mediante rinvio all’art. 52, del d.lgs. n. 165/2001 [34], che, come è noto, regola l’istituto delle progressioni di carriera nel­l’ambito del lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione [35]. Ad ogni modo, a favore dell’estensione del meccanismo selettivo previsto per il reclutamento anche agli avanzamenti di carriera [36] nelle partecipate a controllo pubblico potrebbe adottarsi l’interpretazione, fatta propria dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità che, in materia di lavoro pubblico, hanno attribuito al termine “assunzione” un significato ampio e tale da ricomprendere le “progressioni verticali”, attesa la novazione del rapporto di lavoro che ne consegue a seguito del nuovo inquadramento [37]. Secondo questa ricostruzione, quindi, resterebbero comunque fuori dalla portata dell’art. 19, del d.lgs. n. 175/2016, le c.d. progressioni orizzontali le quali, a differenza delle c.d. progressioni verticali, non costituiscono, nemmeno nel pubblico impiego, una novazione del rapporto di lavoro [38]. Le Sezioni Unite hanno, infatti, da tempo operato una distinzione fra le procedure finalizzate all’inquadramento dei dipendenti in aree funzionali o categorie più elevate e quelle comportanti una progressione all’interno di ciascuna area professionale o [continua ..]


5. L’inapplicabilità delle regole sul reclutamento alle promozioni: la recente sentenza della Cassazione

A ben vedere, infatti, l’art. 1, c. 3, e l’art. 19, c. 1, del d.lgs. n. 175/2016, stabiliscono che in caso di mancanza nel testo unico sulle partecipate di una disciplina derogatoria – in questo caso in materia di progressioni – si applicano le regole generali del settore privato, secondo una tecnica regolativa basata sul noto brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit [47]. Del resto, la partecipazione pubblica non muta la natura di soggetto privato della società [48]. Trattasi di un’affermazione di principio di notevole rilievo (conforme all’impo­stazione privatistica di tutto il d.lgs. n. 175/2016) giacché funge da coordinata ermeneutica nei casi dubbi che potrebbero porsi nella pratica [49] e che in passato, di fatto, hanno attanagliato la giurisprudenza [50]. Sul piano esegetico e metodologico, pertanto, salvo deroghe espresse, la regolamentazione di tale rapporto di lavoro va individuata nelle disposizioni lavoristiche proprie del settore privato e non del settore pubblico. Sotto altro versante, la già controversa equiparazione tra costituzione del rapporto di impiego e passaggio fra aree diverse, non si presta ad essere applicata alle società controllate [51] né può costituire un argomento per estendere all’assegna­zione di fatto di mansioni superiori la nullità virtuale derivante dalla previsione dell’art. 18, d.l. n. 112/2008, o quella testuale prevista dall’art. 19, c. 4, d.lgs. n. 175/2016. Quanto al primo aspetto, la Cassazione [52] evidenzia che la contrattazione collettiva applicabile ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle società controllate non è quella disciplinata dal d.lgs. n. 165/2001 che, in relazione alla classificazione del personale, tiene conto della distinzione fra area di inquadramento e livello o posizione economica all’interno dell’area [53]. D’altro canto, l’orientamento che riconosce un’efficacia novativa al passaggio di area ha ragionato su rapporti di impiego pubblico che richiedono, nella normalità, il superamento di una procedura concorsuale in senso stretto, attuativa del precetto dell’art. 97 Cost., procedura che non può essere equiparata a quella prevista dai richiamati art. 18, del d.l. n. 112/2008, e art. 19, del d.lgs. n. 175/2016. In particolare, la Corte Costituzionale ha sottolineato che [continua ..]


6. Annotazioni in tema di tenuta dell’impianto sanzionatorio: le limitazioni dell’azione di responsabilità erariale

Come detto il regime sanzionatorio, pur in assenza di una comminatoria espressa della nullità dell’atto di adibizione a mansioni superiori, potrebbe dirsi già soddisfatto da altre forme di responsabilità a carico degli amministratori delle società controllate, in una logica analoga al criterio del c.d. minimo mezzo [61]. Va tuttavia considerato che l’art. 12, del d.lgs. n. 175/2016 si limita a prevedere che i “componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva la giurisdizione della Corte dei conti per il danno erariale causato dagli amministratori e dai dipendenti delle società in house”. La norma ha cura, peraltro, di specificare che la giurisdizione sulle controversie in materia di danno erariale “è devoluta alla Corte dei conti, nei limiti della quota di partecipazione pubblica”. Inoltre, secondo tale disposizione “costituisce danno erariale il danno, patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell’esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione”. Pertanto, l’eventuale azione di responsabilità davanti alla Corte dei conti è comunque espressamente limitata alle società in house e non riguarda, salvo il caso di danno diretto all’ente pubblico socio [62], tutte quelle a controllo pubblico [63], per le quali dunque l’unico rimedio contro le forme di abuso delle progressioni di carriera è quello della frode alla legge. Del resto, già in passato la Cassazione aveva rilevato come non vi sia alcun un rapporto di alterità tra l’ente pubblico partecipante e la società c.d. in house che ad esso fa capo, e pertanto la distinzione tra il patrimonio dell’ente e quello della società si può porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità. Da ciò discende che, in questo particolare caso, il danno eventualmente inferto al patrimonio da atti illegittimi degli amministratori, è arrecato ad un patrimonio [continua ..]


7. Adibizione a mansioni superiori e conseguente applicabilità dell’art. 2103 c.c.

Secondo la recente sentenza della Cassazione [67] pertanto in assenza di una norma speciale, come quella dell’art. 52, del d.lgs. n. 165/2001, ed in ragione dell’on­to­logica diversità fra costituzione del rapporto di lavoro e gestione dello stesso, la disciplina delle mansioni superiori non può che essere quella dettata dall’art. 2103 c.c., applicabile al rapporto di lavoro anche nelle società controllate, proprio perché la partecipazione di controllo pubblico non muta la natura di soggetto privato della società. In questo senso si è pronunciata anche la giurisprudenza di merito [68], che ha riconosciuto il diritto alla promozione ex art. 2103 c.c. ad una lavoratrice dipendente di una società in house, senza, tuttavia, riconoscere il diritto alla conversione del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, in presenza di un’apposizione illegittima del termine. E si badi che la questione circa gli effetti che derivano dall’illegittimo utilizzo, da parte delle società a partecipazione pubblica, totale o di controllo, delle forme contrattuali di lavoro flessibile, ha interferito spesso con quella delle progressioni di carriera, perché in materia di conversione è stata fatta ampia applicazione della regola sul reclutamento e dell’apparato sanzionatorio speciale ad essa collegato. E per questo, a mio avviso, merita una annotazione finale. Tuttavia, questi condivisibili approdi della Cassazione sono stati successivamente contraddetti da una sentenza di merito [69], la quale non ha ritenuto che lo svolgimento in concreto di mansioni superiori, di natura dirigenziale, in assenza di procedura selettiva, fosse sufficiente al riconoscimento della qualifica e quindi ha ammesso la legittimità della successiva revoca dell’incarico. A ben vedere, il Tribunale di Catania, oltre a basarsi formalmente sulla previgente disciplina (art. 18, d.l. n. 112/2008) e a richiamare la giurisprudenza in materia di progressioni di carriera nel pubblico impiego, ha altresì valorizzato una previsione del contratto collettivo, applicato nel caso di specie, che imponeva espressamente la procedura selettiva per accedere alla qualifica dirigenziale. Tale conclusione non è però condivisibile. Il diritto alla c.d. promozione automatica del lavoratore ai sensi dell’art. 2103, c. 7, c.c. non può [continua ..]


8. Su una questione diversa, ma strettamente connessa: il divieto di conversione dei contratti a termine

Secondo la più recente giurisprudenza [70], la conversione del contratto a tempo determinato nelle società a partecipazione pubblica sarebbe impedita non tanto dal­l’art. 36, del d.lgs. n. 165/2001, che, come è noto, fissa espressamente il divieto di conversione (ma al quale non rinvia la normativa sulle partecipate), quanto dall’art. 19, del d.lgs. n. 175/2016, con il quale il legislatore ha imposto alle società a controllo pubblico di adottare criteri e modalità di reclutamento del personale rispettosi dei criteri di trasparenza, pubblicità e imparzialità (c.d. principio della concorsualità) [71]. In tale ipotesi si pone un problema di validità del contratto, a differenza di quanto accade in caso di assegnazione di mansioni superiori. La regola del reclutamento opererebbe perché ci troveremmo di fronte ad un nuovo rapporto, un rapporto a tempo indeterminato appunto che sorgerebbe – in ipotesi di conversione – senza rispettare le regole sul reclutamento, il quale, per questo, sarebbe nullo (in base all’espressa disposizione contenuta nell’art. 19, c. 4, d.lgs. n. 175/2001). Ora, questo ragionamento può essere più facilmente apprezzato quando il contratto a termine è stipulato senza il rispetto della regola sul reclutamento, ovvero quando la selezione è finalizzata esclusivamente ed espressamente all’assunzione di lavoratori a termine [72].


9. Gli spazi per la conversione o comunque per il risarcimento del danno

Occorre, tuttavia, porsi il seguente quesito: se il contratto a termine è stato stipulato a seguito di procedure selettive ad evidenza pubblica, con un soggetto risultato “idoneo” nell’ambito di una procedura indetta per posto a tempo indeterminato, la conversione giudiziale del termine nullo per violazione delle regole generali sul contratto a termine o la conversione negoziale del rapporto a termine valido sarebbero possibili? Ed in quest’ultimo caso si tratterebbe di un vero e proprio atto di costituzione del rapporto di lavoro o di una vera e propria gestione dello stesso, non rientrante pertanto e nuovamente nelle maglie dell’art. 19, d.lgs. n. 175/2016? In altre parole, in tale ipotesi non si tratterebbe di novazione vietata ex lege, bensì, analogamente a come accade per il superiore inquadramento, di una semplice modificazione accessoria dell’obbligazione (come l’eliminazione della condizione rappresentata dal termine appunto). Certo, rimarrebbe il tema dei vincoli di spesa pubblica, ma la Cassazione [73] più di recente ha ricordato che essi incidono sul rapporto che vincola socio pubblico e società e può comportare senz’altro responsabilità anche erariale, ma non incide sulla validità degli atti adottati dalla società, ossia, in questo caso, l’atto di conversione del rapporto. In un quadro così frastagliato e di difficile lettura, un dato è certo: anche se si giunge a negare in ogni ipotesi la conversione del contratto a termine, resta ferma, a mio avviso, la possibilità di richiedere il risarcimento del danno c.d. comunitario in caso di illegittima successione dei contratti a termine [74], sulla scia di quanto accade nel pubblico impiego, ma ciò non in ragione dell’art. 36, del d.lgs. n. 165/2001, che, come detto, è inapplicabile, ma secondo le norme generali di diritto comune, con esonero dall’onere probatorio nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del t.f.r. avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8, l. n. 604/1966. Pena, altrimenti, la violazione del diritto euro unitario.


10. Conclusioni

Dall’analisi condotta emerge un quadro ancora incerto e non del tutto stabilizzato della materia delle progressioni nelle società a controllo pubblico. Da un lato, il legislatore del 2016 ha perso l’occasione per intervenire espressamente su una materia così delicata. Dall’altro lato, però l’art. 19, c. 1, del d.lgs. n. 175/2016 ha dettato una regola di chiusura del sistema che dovrebbe orientare gli interpreti in ogni caso dubbio: ovvero l’applicazione del regime privatistico, salvo espressa deroga. E proprio in base a tale dirimente canone interpretativo si è correttamente orientata la Cassazione per affermare la legittimità sotto il profilo privatistico/lavoristico dell’atto di adibizione a diverse mansioni alla stregua dei soli limiti posti dall’art. 2103 c.c. Anche se, come dimostra la successiva sentenza del Tribunale di Catania, tale approdo incontra ancora qualche forma di resistenza nella giurisprudenza di merito. Tuttavia, l’orientamento contrario, pur se animato dalla apprezzabile logica di salvaguardare la ratio sottesa al d.lgs. n. 175/2016, giunge per ribaltare il rapporto tra regola ed eccezione fissato dallo stesso decreto, il quale ritiene che le uniche deroghe al regime privatistico siano quelle che egli stesso ha espressamente fissato all’art. 19. Certamente non sfugge che in tal modo resta aperto il tema di eventuali abusi, con forme di aggiramento più o meno larvato della logica della procedura selettiva imposta dal medesimo art. 19. Ma come ha correttamente rilevato la Cassazione per reprimere tali abusi esistono altri strumenti sanzionatori all’interno dell’ordinamento: in generale lo strumento civilistico della frode alla legge, accompagnato, per le società in house (nelle quali è più forte la commistione pubblico-privato) anche dalla responsabilità erariali dei vertici.


NOTE