Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Le nuove carriere dei dipendenti pubblici: professionalità, merito, imparzialità tra concorso, comparazione e valutazione (di Alessandro Riccobono, Professore associato di Diritto del lavoro nell'Università degli Studi di Palermo)


Le politiche pubbliche finalizzate all’attuazione del PNRR non hanno inciso solo sui meccanismi di accesso agli impieghi nella p.a. ma hanno determinato anche una revisione del sistema delle carriere. In entrambi i casi si è assistito ad una compressione del metodo concorsuale. Il contributo, a partire da una ricostruzione della disciplina passata e presente delle progressioni verticali, affronta le questioni poste dalle nuove soluzioni tecniche prescelte dal legislatore, interrogandosi sulla loro compatibilità rispetto ai principi regolativi consolidatosi attorno al trinomio professionalità/merito/imparzialità, quale proiezione diretta del criterio del buon andamento degli uffici pubblici imposto dall’art. 97 Cost.

New careers of public employees: professionalism, merit, impartiality among public exam, comparison and evaluation

The public policies, aimed at implementing the PNRR, not only affected the mechanisms of access to jobs in the public administration. They also led to a revision of the career system. In both cases, there was a compression of the competition method. Starting from a reconstruction of the past and present regulations on vertical progressions, the contribution deals with the questions raised by the new technical solutions chosen by the legislator. The author examines their compatibility with the regulatory principles consolidated around the trinomial of professionalism/merit/impartiality, as a direct projection of the criterion of good performance of public offices imposed by Article 97 of the Constitution.

SOMMARIO:

1. Concorsi e carriere nel quadro delle politiche di attuazione del PNRR - 2. Le progressioni verticali tra passato e presente: uno sguardo d’insieme - 3. Le progressioni verticali «a regime»: dal concorso pubblico alle promozioni per merito comparativo (e ritorno?) - 4. Progressioni verticali e autonomia collettiva: il ritorno delle carriere contrattate - 5. Le progressioni verticali di prima applicazione: «e vissero tutti felici e contenti» - NOTE


1. Concorsi e carriere nel quadro delle politiche di attuazione del PNRR

Il principio costituzionale dell’accesso agli impieghi nella p.a. tramite pubblico concorso vive una stagione di profonde contraddizioni. Sull’attitudine del metodo concorsuale a mantenere una posizione baricentrica per la selezione meritocratica e l’imparzialità delle scelte si discute da tempo, ma con poca uniformità di vedute. Da una parte v’è chi continua ad esaltare le qualità imperative dell’art. 97, c. 4 Cost., che fanno del concorso uno strumento in cui si invera il fondamento democratico della Repubblica: esso rimane il mezzo più adatto per selezionare risorse umane adeguate alle esigenze di una pubblica amministrazione moderna, capace ed efficiente, a tutela di interessi generali invocabili anche dai terzi [1]. Dall’altra vi è chi osserva, in maniera piuttosto disillusa, come il modello costituzionale stia andando incontro ad un percorso di lento e inesorabile declino, al punto che sarebbe in discussione lo stesso rapporto tra regola ed eccezione fissato dall’art. 97, c. 4, Cost. [2]. Quest’ultima constatazione ha trovato diffuso riscontro nelle politiche pubbliche finalizzate all’attuazione del PNRR. Sul versante del reclutamento siffatte politiche si sono tradotte nella moltiplicazione dei canali di assunzione a carattere speciale e semplificato, in deroga al sistema ordinario del concorso a ruolo [3]: ci si riferisce al profluvio di meccanismi di accesso straordinario regolati dal d.l. 9 giugno 2021, n. 80, conv. dalla l. 6 agosto 2021, n. 113 (da ora anche «Decreto Reclutamento»), il cui impatto di sistema è stato solo in parte controbilanciato dalla successiva introduzione, ad opera dell’art. 3, c. 1, d.l. 30 aprile 2022, n. 36, conv. dalla l. 29 giugno 2022, n. 79, della nuova disciplina sul reclutamento a regime ex art. 35 quater, d.lgs. n. 165/2001 [4]. È osservazione diffusa che queste corsie preferenziali abbiano risposto soprattutto ad esigenze acceleratorie, rinunciando al rigore della comparazione ed alla qualità dei processi selettivi in fase di ingresso nell’apparato burocratico [5], sì da tradursi in strumenti di «dequotazione» del concorso pubblico [6]. Inoltre, poiché la gran parte di queste assunzioni è avvenuta con contratti di durata temporanea, è presumibile che nel prossimo futuro si svilupperanno forti [continua ..]


2. Le progressioni verticali tra passato e presente: uno sguardo d’insieme

L’attuale formulazione dell’art. 52, c. 1 bis, terzo periodo, d.lgs. n. 165/2001, prevede che «fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all’accesso dall’esterno, le progressioni fra le aree e, negli enti locali, anche fra qualifiche diverse, avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area dall’esterno, nonché sul numero e sulla tipologia de gli incarichi rivestiti». Per comprendere la portata della novella occorre rammentare che la precedente versione dell’enunciato normativo subordinava i passaggi di qualifica al superamento di un pubblico concorso, ferma restando la possibilità per l’amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50 per cento di quelli banditi. Come è noto, la saldatura tra avanzamenti di carriera e concorsi era stata positivizzata dal d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 (c.d. «Riforma Brunetta»), che aveva ripristinato la primazia della fonte unilaterale sulla contrattazione collettiva, ritenuta artefice degli abusi delle progressioni professionali negli anni immediatamente successivi alla seconda fase della privatizzazione [12]. Sul punto è sufficiente osservare che quella stagione si era caratterizzata per la diffusione di una serie di promozioni massa, rese possibili da un assetto normativo che consentiva la progressione verticale non solo per effetto di «procedure concorsuali o selettive», ma anche attraverso meccanismi di «sviluppo professionale» disciplinati dai contratti collettivi di comparto. Questi ultimi avevano a loro volta demandato le concrete modalità operative alla contrattazione integrativa, la quale non aveva esitato ad allargare smisuratamente le maglie, confezionando procedure riservate integralmente agli interni e svincolate dal requisito del possesso del titolo di studio necessario per l’accesso dall’esterno [13]. Complice la debolezza del negoziatore pubblico, alcuni contratti erano così giunti a prevedere che [continua ..]


3. Le progressioni verticali «a regime»: dal concorso pubblico alle promozioni per merito comparativo (e ritorno?)

Per un singolare coincidenza è stato proprio il Ministro Brunetta, tornato a presiedere il dicastero della Pubblica Amministrazione nella XVIII legislatura, ad apporre il sigillo sulla nuova disciplina delle progressioni di carriera ex art. 52, c. 1 bis, d.lgs. n. 165/2001, che ha smantellato il quadro normativo appena descritto. Naturalmente la novella operata dal «Decreto Reclutamento» non riflette uno sdoppiamento di personalità del politico divenuto celebre per la sua intransigenza nella lotta contro i «fannulloni», ma si inscrive perfettamente nel contesto degli impegni dell’esecutivo più sopra richiamati, il cui filo conduttore può essere identificato nel far sì che i percorsi di carriera non siano ostacolati dalla trafila dei concorsi pubblici. Per questo motivo si è scelto di invertire la prospettiva: se il precedente assetto normativo subordinava le progressioni verticali al superamento di un concorso con una quota di posti riservata agli interni, l’attuale modello prevede invece che il passaggio alla categoria/area superiore possa avvenire all’esito di procedure comparative destinate al solo personale interno, fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili per l’accesso dall’esterno [22]. Con un parere diramato a ridosso della modifica legislativa, il Ministero della p.a. ha affermato che in questo modo si vogliono «valorizzare gli elementi maggiormente qualificanti che connotano l’excursus professionale, formativo e comportamentale del dipendente, al fine di rendere esplicito che il ricorso alla procedura comparativa in luogo di quella concorsuale è idonea e parimenti efficace nel­l’assicurare che la progressione di area e/o categoria o qualifica avvenga a beneficio dei più capaci e meritevoli» [23]. Il che dovrebbe essere garantito dai requisiti di valutazione predeterminati dal legislatore, che impongono di tener conto della valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni di servizio, dell’assenza di provvedimenti disciplinari, del numero e della tipologia degli incarichi rivestiti, ma soprattutto dei titoli o competenze professionali posseduti [24]. Fra questi ultimi figurano soprattutto i titoli di studio, che devono essere necessariamente ulteriori rispetto a quelli richiesti per l’accesso all’area [continua ..]


4. Progressioni verticali e autonomia collettiva: il ritorno delle carriere contrattate

Nel quadro degli interventi finalizzati al rafforzamento della capacità amministrativa della p.a., il trait d’union tra il momento dell’accesso e quello dello sviluppo professionale viene individuato nel passaggio dalle «conoscenze» alle «competenze»: si tratta di un cambio di paradigma su cui molto si è insistito, che va attuato tanto per consentire la pianificazione strategica delle risorse umane da reperire all’esterno, quanto per favorire la coerenza dei percorsi di carriera sul piano interno [41]. Di questo delicato compito è stata investita anche l’autonomia collettiva, che in sede di revisione degli ordinamenti professionali è stata chiamata a spostare il focus «da ciò che viene fatto (mansioni e attività) a come vengono svolti i compiti e quali conoscenze, capacità tecniche e comportamentali siano indispensabili per il loro svolgimento ottimale» [42]. Reclutamento, carriere e sviluppo professionale sono dunque inscindibilmente legati alla disciplina degli inquadramenti [43], su cui tutti i contratti collettivi della tornata 2019-2021 hanno messo mano, a completamento di un lungo e faticoso percorso avviato con la riarticolazione dei comparti prevista dall’art. 40, c. 2, d.lgs. n. 165/2001, come modificato dall’art. 54, d.lgs. n. 150/2009. Va detto subito che la messa a terra dei nuovi ordinamenti professionali è destinata ad assumere un rilievo cruciale per la realizzazione di collegamenti efficaci fra i percorsi di carriera e le competenze di ruolo individuate da ciascuna amministrazione sulla base delle proprie esigenze funzionali: in sede di contrattazione integrativa andranno infatti individuate apposite «famiglie professionali», che dovrebbero consentire una migliore perimetrazione delle mansioni esigibili ex 52, d.lgs. n. 165/2001 [44], ma anche permettere una programmazione mirata delle progressioni verticali all’interno di «ambiti professionali omogenei» [45]. Si giunge così alla seconda modalità attraverso cui i dipendenti pubblici possono conseguire il passaggio ad un’area di inquadramento superiore, vale a dire quella regolata dalla contrattazione collettiva e oggetto di confronto sindacale nelle singole amministrazioni. Le cosiddette «progressioni verticali di prima applicazione» sono un canale di avanzamento parallelo, [continua ..]


5. Le progressioni verticali di prima applicazione: «e vissero tutti felici e contenti»

Nel fare da apripista alle nuove progressioni verticali transitorie, l’art. 18, c. 6 del c.c.n.l. Funzioni Centrali 2019-2021 ha previsto che, «in applicazione dell’art. 52, comma 1 bis, penultimo periodo, del d.lgs. n. 165/2001, al fine di tener conto dell’esperienza e professionalità maturate ed effettivamente utilizzate dall’ammini­strazione di appartenenza, in fase di prima applicazione del nuovo ordinamento professionale e comunque entro il termine del 31 dicembre 2024, la progressione tra le aree ha luogo con procedure valutative cui sono ammessi i dipendenti in servizio in possesso dei requisiti indicati nella allegata tabella 3 di corrispondenza». Disposizioni sostanzialmente analoghe sono state successivamente inserite anche nel c.c.n.l. Sanità (art. 21) e nel c.c.n.l. Funzioni Locali (art. 13), che tuttavia hanno autorizzato le progressioni verticali di prima applicazione rispettivamente fino al 31 giugno 2025 e fino al 30 dicembre 2025. A differenza di quanto osservato a proposito delle progressioni a regime, queste procedure sono certamente di natura privatistica, non solo perché regolate dalla fonte pattizia, ma soprattutto perché incentrate su uno scrutinio di carattere esclusivamente valutativo, cioè privo di attitudine comparativa e interamente riservato a chi è già dipendente pubblico. Siffatta caratteristica, se da una parte non lascia dubbi sulla possibilità di ricondurre il riclassamento una tantum al novero delle vicende modificative del rapporto di lavoro, dall’altra impone di verificare la tenuta costituzionale dell’intero meccanismo, che configura una vistosa deroga al concorso pubblico. Affinché possa predicarsene la legittimità occorre dunque che le soluzioni individuate dalle parti sociali siano ragionevoli ed egualmente strumentali ad esigenze di buon andamento: come più volte affermato dalla Corte Costituzionale, il consolidamento di specifiche esperienze professionali maturate all’interno dell’ammini­strazione e non acquisibili all’esterno può rispondere a finalità di interesse pubblico, ma vanno apprestati «adeguati accorgimenti per assicurare [...] che il personale assunto abbia la professionalità necessaria allo svolgimento dell’incarico» [48], non essendo sufficiente la previsione di una qualsiasi selezione, ancorché [continua ..]


NOTE