Il presente contributo commenta un'ordinanza della Suprema Corte di Cassazione in materia di svolgimento di fatto di mansioni superiori rispetto al formale inquadramento. Al ricorrere di questa ipotesi viene riconosciuto il diritto ad una retribuzione proporzionata ai sensi dell'art. 36 Cost. La nota analizza gli orientamenti giurisprudenziali in materia, offerti dalle sentenze della Corte costituzionale e dalle pronunce dei giudici amministrativi e ordinari. Viene infine preso in considerazione il contesto di ampia riforma della P.A. offerto dal PNRR.
This contribution comments on an ordinance of the Supreme Court of Cassation about the de facto execution of higher tasks despite a lower formal classification. In this hypothesis, the right to a proportionate salary is recognized pursuant to art. 36 Cost. The note therefore analyzes the jurisprudential guidelines on the matter, offered by the sentences of the Constitutional Court and by the pronouncements of administrative and ordinary judges. Finally, the context of the broad reform of the Public Administration offered by the PNRR is taken into consideration.
1. Riepilogo dei fatti di causa - 2. Il nodo teorico dell’esecuzione “di fatto” di mansioni superiori - 3. La giurisprudenza della Corte costituzionale - 4. La giurisprudenza amministrativa e ordinaria - 5. Brevi considerazioni conclusive: la gestione dell’ufficio nel contesto del PNRR - NOTE
L’ordinanza in commento fornisce l’occasione per operare una ricognizione della giurisprudenza costituzionale, amministrativa e ordinaria che si è venuta a determinare nel nostro ordinamento, in materia di svolgimento di mansioni superiori al formale inquadramento, nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato. L’analisi degli orientamenti giurisprudenziali permette poi di effettuare alcune considerazioni sullo svolgimento di superiori mansioni nel contesto del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Nel caso di specie, il lavoratore assunto presso il Comune è stato adibito allo svolgimento di mansioni proprie della categoria C, posizione 1, nonostante il formale inquadramento nell’inferiore categoria B. Per tale ragione, lo stesso dipendente ha chiesto il riconoscimento del relativo trattamento economico sulla base della diversa classe stipendiale di cui al c.c.n.l. Enti Locali per il periodo ottobre 2003 – dicembre 2008. In primo grado la domanda del lavoratore veniva rigettata, ma la Corte d’Appello di Lecce accoglieva l’appello proposto dal prestatore e condannava il Comune al pagamento delle differenze stipendiali. Avverso tale sentenza, il Comune proponeva ricorso alla Suprema Corte di Cassazione, affidandolo a due motivi. Con la prima doglianza si affermava come il trattamento economico per lo svolgimento di mansioni superiori sia subordinato al ricorrere di determinate condizioni giuridiche e di fatto che nel caso di specie non si sarebbero concretizzate. Con il secondo motivo si lamentava l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, nonché un’insufficiente e contraddittoria motivazione. Il giudice di legittimità, condividendo le argomentazioni della Corte d’Appello di Lecce, ribadiva il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori non è soggetto ad alcun presupposto di legittimità né è condizionato all’operatività del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva. Nemmeno è necessario uno specifico riconoscimento nelle norme collettive. Bisogna infatti salvaguardare il diritto del lavoratore ad un compenso proporzionato in base alla qualità del lavoro svolto, conformemente a quanto disposto [continua ..]
L’esecuzione di fatto di mansioni superiori rispetto a quelle di formale inquadramento costituisce un nodo teorico nell’ambito del pubblico impiego. La questione origina dalla stessa considerazione che si ha della relazione che intercorre tra amministrazione e dipendente. Tradizionalmente il rapporto tra questi due soggetti è stato interpretato alla luce del concetto di «supremazia speciale» [1] dell’ente nei confronti dei propri impiegati, i quali, proprio perché inseriti all’interno dell’organizzazione amministrativa, si trovano assoggettati alle particolari regole dell’ordinamento amministrativo, che ne presuppongono appunto la speciale autorità [2]. Sulla base del fatto che i pubblici dipendenti sono chiamati ad esercitare pubbliche funzioni, si è perciò giustificata la compressione dei diritti del lavoratore per favorire l’esercizio del potere discrezionale dell’ente, finalizzato (auspicabilmente) ad assicurare il buon andamento dell’amministrazione ai sensi dell’art. 97 Cost. [3]. Da questa concezione pubblicistica del rapporto discende (o discendeva) una contrarietà a conferire rilevanza economica e professionale allo svolgimento di mansioni superiori. Poiché gli impiegati pubblici debbono prestare la propria opera al servizio esclusivo della Nazione, secondo quanto dispone l’art. 98 Cost., la disciplina del loro rapporto di lavoro dovrebbe essere strettamente legata all’organizzazione pubblica [4]. Così, gli interessi coinvolti avrebbero natura indisponibile per il lavoratore dirigente e i suoi sottoposti; inoltre le mansioni e il relativo trattamento economico deriverebbero per forza di cose dal provvedimento di nomina adottato dall’ente, non potendo quindi essere il risultato di libere determinazioni da parte dei funzionari (pena l’irrilevanza giuridica di tali provvedimenti, che rimarrebbero in ogni caso privi di effetti). Ma una ricostruzione di tipo pubblicistico del rapporto di pubblico impiego non costituisce una via necessitata nel nostro ordinamento. La stessa Costituzione permette anzi tutto di normare la materia con discipline specifiche, aprendo così al diritto comune; e in ogni caso prevede disposizioni di segno neutro, che possono declinarsi in senso pubblicistico solo se interpretate alla luce di un punto di vista che sposi questa [continua ..]
Lo svolgimento di più elevate mansioni ha diretta rilevanza costituzionale proprio per le implicazioni relative al riconoscimento in capo al lavoratore della corretta retribuzione. La Corte costituzionale ha più volte affermato che il potere attribuito al dirigente preposto all’organizzazione del lavoro di trasferire temporaneamente un dipendente a mansioni superiori per esigenze straordinarie di servizio è un mezzo indispensabile per assicurare il buon andamento dell’amministrazione. A ciò si deve semplicemente accompagnare il rispetto del principio di proporzionalità tra qualifica ricoperta e trattamento economico corrispondente giusta la garanzia di cui all’art. 36 Cost. [12]. È perciò da condividere fin da subito l’ordinanza in commento, la quale riconosce appunto la necessità «di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost.» [13]. E infatti, altri principi di rilevanza costituzionale, come ad esempio il contenimento della spesa pubblica, non trovano qui rilevanza. In ogni caso, il giudice delle leggi non è mai arrivato ad affermare che al principio di proporzionalità della retribuzione non possano accompagnarsi alcuni controlimiti utili a tutelare ulteriori beni protetti. Anzi, si è invece direttamente riconosciuto come l’art. 36 Cost. non debba essere applicato incondizionatamente ogniqualvolta il pubblico dipendente venga adibito a mansioni superiori. Infatti “l’art. 98, primo comma, della Costituzione vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio” [14]. Così è stato riconosciuto costituzionalmente legittimo lo svolgimento temporaneo di mansioni superiori senza il riconoscimento della maggiore retribuzione purché tale condizione non si protragga oltre un certo periodo di tempo [15]. Soltanto il superamento del limite temporale posto dal legislatore [16] qualifica un ingiustificato arricchimento del datore di lavoro, che alla stregua dell’art. 36 Cost. determina l’obbligo di integrare il trattamento economico del dipendente nella misura corrispondente alla qualità del lavoro effettivamente prestato. Tuttavia l’art. 52 del testo unico, in chiave di maggior tutela nei [continua ..]
La giurisprudenza amministrativa ha sempre conservato un orientamento più restrittivo verso la concessione del diritto alla maggiore retribuzione. In particolare, sino al d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387 (di modifica dell’art. 56, d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29) il principio ordinatore era quello in base al quale “nell’ambito del pubblico impiego è la qualifica e non le mansioni il parametro al quale la retribuzione è inderogabilmente riferita, considerato anche l’assetto rigido della Pubblica amministrazione sotto il profilo organizzatorio, collegato anch’esso, secondo il paradigma dell’art. 97, ad esigenze primarie di controllo e contenimento della spesa pubblica” [20]. Così lo svolgimento di una qualifica superiore aveva conseguenze giuridiche ed economiche soltanto nel caso in cui ciò fosse espressamente previsto da una specifica norma di legge [21]. In ogni caso poi, è stata anche riconosciuta alla singola amministrazione la facoltà di prevedere, con proprio regolamento, che la sostituzione del titolare della posizione superiore rientrasse tra i doveri istituzionali del sostituto e perciò si configurasse come una condotta astrattamente esigibile e integrante il contenuto mansionistico ordinario. Tale funzione vicaria non darebbe perciò titolo ad alcuna integrazione economica [22]. Questa ricostruzione è perfettamente aderente alla concezione pubblicistica. Infatti, se nel settore privato sono le singole mansioni che individuano l’attività dedotta in contratto, in quello pubblico si è sempre dato maggiore rilievo alla qualifica, e cioè alla posizione precisa occupata dal dipendente all’interno dell’organizzazione dell’ente, e a cui si riconnettono una varia gamma di funzioni [23]. Peraltro la giurisprudenza amministrativa si era orientata nel senso che per il riconoscimento della maggiore retribuzione non fosse sufficiente nemmeno la sola previsione normativa, ma anche altri tre presupposti: un preventivo provvedimento di incarico del dipendente da parte dell’amministrazione; la disponibilità del posto nell’organico dell’amministrazione; l’assegnazione a mansioni che comunque non superassero la qualifica immediatamente superiore a quella di formale inquadramento del dipendente [24]. Bisogna inoltre aggiungere che tale argomentazione non [continua ..]
Come visto in precedenza [37] il potere del dirigente di trasferire temporaneamente un dipendente a mansioni superiori a causa di esigenze straordinarie di servizio è un requisito fondamentale per il buon andamento dell’amministrazione. Le norme legislative si sono adeguate nel corso degli anni a questo principio, e hanno riconosciuto e rafforzato l’autonomia del dirigente nella direzione dell’ufficio, in particolare come noto relativamente alla gestione dei rapporti di lavoro [38]. Segnatamente, l’art. 5, c. 2, d.lgs. n. 165/2001 prevede che “le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro […] sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro”, e l’art. 107, c. 3, lett. e), d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (t.u.e.l.) precisa, in relazione agli enti locali, che sono attribuiti ai dirigenti “gli atti di amministrazione e gestione del personale”. A questa organizzazione di fondo si accompagna oggi il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il quale mira – tra le altre cose – ad una profonda riforma della P.A. organizzata su quattro assi principali. Tra questi, il secondo, riguardante la “buona amministrazione”, si propone di “rendere più efficace ed efficiente l’azione amministrativa”, perciò uno degli obiettivi da raggiungere è quello di ridurre i tempi per la gestione delle procedure, così da accelerare gli interventi nei settori chiave della ripresa [39]. Lungo la strada per il raggiungimento di questi ambiziosi obiettivi, che riguardano nodi risalenti dell’amministrazione italiana, acquisisce ulteriore centralità l’autonomia del dirigente nella gestione dell’ufficio amministrativo. Di fatti, un concreto spazio di gestione sarà per forza di cose necessario al fine di affrontare situazioni contingenti di emergenza, evidentemente più probabili nelle maglie dell’ampio contesto di transizione e ristrutturazione della P.A. Anche in questo senso può allora risultare utile la riforma dell’organizzazione professionale di cui al d.l. 9 giugno 2021, n. 80, che ha individuato tre aree funzionali, alle quali si aggiunge una quarta area per il personale di elevata qualificazione come individuata dalla contrattazione collettiva [40]. Infatti, lo stesso c.c.n.l. del [continua ..]