Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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La decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi nel pubblico impiego: erosione del tradizionale fronte della stabilità (di Alessia Riommi, Dottoressa in Giurisprudenza e assistente volontaria alla Cattedra di Diritto del lavoro nel­l'Università degli Studi di Perugia)


Il commento si concentra sulla questione della decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi nell’ambito del pubblico impiego, con particolare riferimento all'ipotesi di illegittima reiterazione di contratti a termine da parte della pubblica amministrazione. Oggetto di analisi è l'attualità del principio di decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto del lavoratore pubblico, soprattutto alla luce della constatata evoluzione del contesto sociale, economico e normativo che ha reso il rapporto di pubblico impiego sempre meno resistente. Vengono, quindi, esaminati i principali motivi che hanno indotto Corte di Cassazione a rimettere alle Sezioni Unite la decisione delle questioni sollevate relative al dies a quo di decorrenza della prescrizione.

The beginning of the limitation period for salary claims in the public sector: erosion of the traditional stability front

This commentary focuses on the issue of the beginning of the limitation period for salary claims in the public sector, with particular reference to the hypothesis of illegitimate reiteration of fixed-term contracts by the public administration. The paper deals with the actuality of the principle of the temporary non-applicability of statutory limitations during the relationship in the context of public work, especially considering the observed evolution of the social, economic and regulatory context which has made the public employment less and less resistant. The main reasons which led the Court of Cassation to transfer the decision concerning the determination of the starting date of the limitation period for salary claims to the Joint Section are then analyzed.

MASSIMA: La Corte ha rimesso gli atti del procedimento in oggetto al Primo Presidente, affinché valuti l’opportunità di assegnare la trattazione e la decisione del ricorso alle Sezioni Unite, per la soluzione delle seguenti questioni: a) se la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato debba decorrere dalla fine del rapporto di lavoro, a termine o a tempo indeterminato o, in caso di successione di rapporti, dalla cessazione dell’ultimo, come accade nel lavoro privato; b) se, nell’eventualità di abuso nella reiterazione di contratti a termine, seguita dalla stabilizzazione presso la stessa p.a. datrice di lavoro, la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato debba decorrere dal momento di tale stabilizzazione; c) se la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato, nell’ipotesi sub b), sia comunque preclusa, interrotta o sospesa ove la p.a. neghi il riconoscimento del servizio pregresso dei dipendenti. PROVVEDIMENTO: SVOLGIMENTO DEL PROCESSO (Omissis) G.O., con ricorso depositato il 20 luglio 2011 presso il Tribunale di Roma, ha chiesto che fosse accertato il suo diritto all’inquadramento nella fascia stipendiale superiore a quella di assunzione che avrebbe maturato considerando, per intero, il periodo di lavoro a tempo determinato precedente la stabilizzazione disposta ex art. 1, comma 519, legge n. 296 del 2006, con condanna dell’INAIL a ricostruire l’anzianità di servizio ed a corrispondere le conseguenti differenze retributive maturate e maturande. In via subordinata, il ricorrente ha domandato che fosse dichiarato il suo diritto al riconoscimento della II fascia stipendiale dal 16 dicembre 1997, della III fascia dal 1° luglio 2003 e della IV fascia dal 16 dicembre 2007, con condanna dell’INAIL a pagare le differenze retributive maturate. Si rileva che l’assunzione a tempo indeterminato del ricorrente è avvenuta ai sensi dell’art. 1, commi 519 e 520, della legge n. 296 del 2006, che ha consentito la stabilizzazione a domanda, fra l’altro, dei ricercatori, tecnologi, tecnici e personale impiegato in attività di ricerca che fossero in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, o che avessero conseguito tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o che fossero stati in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della legge, che ne facessero istanza, purché fossero stati assunti mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme legislative. Il Tribunale di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 3811/2013, ha accolto il ricorso, rigettando l’eccezione di prescrizione sul presupposto che il [continua..]
SOMMARIO:

1. L’opportunità di riconsiderare le regole in materia di prescrizione nel pubblico impiego contrattualizzato: le questioni rimesse alle Sezioni Unite - 2. Il caso - 3. L’evoluzione giurisprudenziale in materia di decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi - 4. I profili di irragionevolezza dell’attuale disciplina rilevati dalla sezione lavoro - 5. Criticità del tradizionale regime della prescrizione nel pubblico impiego contrattualizzato: osservazioni nell’ambito dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato - 6. Segue. E in quello dei rapporti di lavoro a tempo determinato - NOTE


1. L’opportunità di riconsiderare le regole in materia di prescrizione nel pubblico impiego contrattualizzato: le questioni rimesse alle Sezioni Unite

La sezione lavoro della Corte di Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria del 28 febbraio 2023, n. 6051, ha disposto la trasmissione del procedimento al Primo Presidente per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite delle seguenti questioni, ritenute di particolare importanza: a) se la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato debba decorrere dalla fine del rapporto di lavoro, a termine o a tempo indeterminato, o, in caso di successione di rapporti, dalla cessazione del­l’ultimo, come accade nel lavoro privato; b) se, nell’eventualità di abuso nella reiterazione di contratti a termine, seguita dalla stabilizzazione presso la stessa P.A. datrice di lavoro, la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato debba decorrere dal momento di tale stabilizzazione; c) se la prescrizione dei crediti retribuitivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato, nell’ipotesi sub b), sia comunque preclusa, interrotta o sospesa ove la P.A. neghi il riconoscimento del servizio pregresso dei dipendenti[1]. La Suprema Corte manifesta i propri dubbi rispetto alla posizione dei dipendenti pubblici, il cui rapporto di lavoro, per decenni, è stato considerato dotato di maggiore stabilità rispetto a quello dei lavoratori privati. Sono stati, così, accesi i riflettori sulla reale debolezza del lavoratore subordinato, per anni celata, almeno nell’ambito del pubblico impiego, dietro al concetto di stabilità del rapporto plasmato dalla Corte costituzionale nella sentenza del 10 giugno 1966, n. 63 [2]. Oggi, però, il contesto normativo è profondamente mutato rispetto all’epoca in cui si è pronunciata la Corte costituzionale, ed è proprio sulla base della constatazione che i mutamenti normativi hanno notevolmente influito sul tradizionale orientamento giurisprudenziale in tema di prescrizione dei crediti retributivi che la Suprema Corte di Cassazione invoca l’esigenza di necessario ripensamento su una ricostruzione appannaggio di un’epoca ormai superata.


2. Il caso

Il caso di specie riguarda un lavoratore che è stato impiegato, dal 1993 al 2008, presso l’ISPESL, poi incorporato nell’INAIL, in forza di una pluralità di contratti a tempo determinato. A seguito della stabilizzazione del suo rapporto di lavoro, avvenuta in data 18 febbraio 2008, il lavoratore ha adito il Tribunale di Roma per l’accertamento del proprio diritto al computo della pregressa anzianità di servizio, relativa ai rapporti di lavoro a tempo determinato, e dei conseguenti incrementi stipendiali da essa derivanti. Il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso, rigettando l’eccezione di prescrizione sollevata dalla Pubblica Amministrazione sul presupposto che il dies a quo dal quale la prescrizione inizia a decorrere dovesse coincidere con il momento dell’av­venuta stabilizzazione del rapporto di lavoro, in quanto, secondo il Giudice adito, durante la pendenza dei rapporti di lavoro a tempo determinato, il lavoratore si trova in una condizione di metus che gli impedisce di far valere i propri diritti connessi all’anzianità lavorativa. Avverso questa sentenza l’INAIL ha proposto gravame che è stato rigettato dalla Corte di Appello di Roma, con piena conferma della statuizione di primo grado. In particolare, la Corte di Appello capitolina, focalizzandosi sul diritto al riconoscimento dell’anzianità di servizio relativa ai rapporti di lavoro a tempo determinato, ha respinto l’eccezione di prescrizione riproposta dall’appel­lante sul rilievo che il diritto azionato del lavoratore potesse essere fatto valere solo a seguito della stabilizzazione del rapporto di lavoro. L’INAIL ricorre in Cassazione e, con un unico motivo, lamenta la violazione degli artt. 2941, 2942 e 2948, n. 4, c.c. per il fatto che la Corte territoriale avrebbe errato nell’affermare che il lavoratore non avrebbe potuto esercitare il diritto alle differenze retributive prima della stabilizzazione.


3. L’evoluzione giurisprudenziale in materia di decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi

Prima di procedere all’analisi della problematica sottoposta al Giudice di legittimità, appare necessario ricostruire l’evoluzione giurisprudenziale che ha interessato il tema della decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi [3], tanto con riferimento ai rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato quanto con riferimento a quelli a tempo determinato. Come noto, la sentenza della Corte costituzionale 10 giugno 1966, n. 63, focalizzandosi sulla condizione psicologica del lavoratore identificata nel timore del licenziamento, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 2948, n. 4, 2955, n. 2, e 2956, n. 1, c.c. ed ha introdotto la regola del differimento della decorrenza della prescrizione al momento della cessazione del rapporto di lavoro per tutti quei rapporti che non sono dotati «di quella resistenza, che caratterizza invece il rapporto d’impiego pubblico» [4]. La Corte costituzionale, successivamente, è tornata sul tema della decorrenza della prescrizione e ha integrato, delimitandolo, l’originale decisum del 1966 [5]. Ed infatti, in un primo momento, ha escluso dall’area di applicazione della regola del differimento della decorrenza della prescrizione i rapporti di lavoro intercorrenti sia con enti pubblici economici sia con enti pubblici non economici [6]. Poi, in conseguenza delle novità introdotte dalla l. n. 604/1966 e dalla l. n. 300/1970, con la sentenza 12 dicembre 1972, n. 174, ha allargato la categoria dei rapporti caratterizzati dalla resistenza al timore del licenziamento ricomprendendovi anche tutti i rapporti di lavoro privato garantiti dalla c.d. tutela reale [7]. A seguito degli interventi normativi che hanno modificato significativamente la disciplina dei licenziamenti individuali [8], la dottrina si è da subito interessata alla questione della decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro e, nel cercare di fornire un’adeguata soluzione al problema, ha elaborato soluzioni contrastanti [9] che non hanno favorito un’uniforme applicazione da parte della giurisprudenza di merito [10]. In un contesto giuridico contraddistinto da tale grado di incertezza è intervenuta la Corte di Cassazione, la quale, con la sentenza 6 settembre 2022, n. 26246, ha ritenuto di dover escludere che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come regolato per effetto [continua ..]


4. I profili di irragionevolezza dell’attuale disciplina rilevati dalla sezione lavoro

La necessità di approfondire l’orientamento tradizionale per il quale la prescrizione dei crediti retributivi nel pubblico impiego contrattualizzato decorre in costanza di rapporto sarebbe sollecitata, secondo la Corte di Cassazione, dal fatto che il contesto attuale è notevolmente diverso rispetto a quello esistente nell’epoca in cui si è sviluppata la giurisprudenza costituzionale in materia. Ciò, innanzitutto, perché la maggior parte del lavoro pubblico è stato contrattualizzato e, pertanto, risulta essere, ora, prevalentemente regolato dalla stessa disciplina che si applica al lavoro privato [20], e poi anche perché nei rapporti di lavoro e tempo determinato il rinnovo non si configura più quale evento di carattere eccezionale ma è spesso l’unico canale per giungere, dopo anni, ad un rapporto a tempo indeterminato con lo stesso datore, anche nell’ambito del pubblico impiego. La Corte si chiede, quindi, se sia ragionevole mantenere un sistema che individua un diverso regime della decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori a seconda semplicemente della loro dipendenza da un datore privato piuttosto che pubblico, soprattutto in ragione del fatto che il nostro ordinamento si fonda sui principi di non discriminazione, di uguaglianza formale e sostanziale e di ragionevolezza [21]. In merito a ciò, la Corte di Cassazione evidenzia come le tradizionali peculiarità del pubblico impiego contrattualizzato, che potevano in qualche modo giustificare un differente regime della prescrizione, non siano più attuali [22]. Ed infatti, per quanto attiene alla stabilità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, si precisa che il secondo comma dell’art. 63 d.lgs. n. 165/2001, così come modificato dal d.lgs. n. 75/2017, stabilisce che alla declaratoria di invalidità del licenziamento segue la reintegrazione nel posto di lavoro ed il pagamento di un’indennità risarcitoria non superiore a ventiquattro mensilità. Si tratta, dunque, di un regime sanzionatorio sicuramente diverso rispetto a quello che caratterizzava l’originario testo dell’art. 18 St. Lav. e, in ogni caso, secondo la Corte di Cassazione, incapace di garantire il completo ripristino della posizione giuridica preesistente al licenziamento [23]. Secondariamente, il Giudice di legittimità si [continua ..]


5. Criticità del tradizionale regime della prescrizione nel pubblico impiego contrattualizzato: osservazioni nell’ambito dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato

L’ordinanza in commento evidenzia la necessità di verificare se effettivamente anche nel rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione sia ravvisabile quel metus che potrebbe indurre il dipendente a non far valere i propri diritti in pendenza del rapporto di lavoro. Da qui lo spunto per svolgere alcune riflessioni sulla disciplina della prescrizione dei crediti retributivi. Con riferimento ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato, questi sono stati qualificati come resistenti, sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, soprattutto alla luce del vigente regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo sancito nel secondo comma dell’art. 63 d.lgs. n. 165/2001, così come modificato dal d.lgs. n. 75/2017 [25]. Tale disciplina è, però, notevolmente distante da quella robusta tutela reale che era garantita prima della riforma realizzata nel 2012, in quanto la disposizione, pur riproponendo quell’unicità del rimedio sanzionatorio consistente nella reintegrazione, impone un tetto massimo all’indennità risarcitoria che era certamente estraneo al vecchio testo dell’art. 18 St. Lav. Ebbene, se si tiene fede alla soluzione elaborata dalla Corte costituzionale nel 1972, si può ragionevolmente sostenere che, oggi, neppure nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato si possa più parlare di rapporti di lavoro resistenti, quantomeno con riferimento alla nozione accolta dalla giurisprudenza costituzionale [26]. Infatti, come è stato acutamente osservato dalla dottrina, il completo ripristino della posizione giuridica preesistente fatta illegittimamente cessare con il licenziamento non si realizza ove sia stata fissata una misura massima dell’indennità risarcitoria, con la conseguenza che tale forma di tutela non sarebbe idonea ad escludere radicalmente il metus del lavoratore nell’esercizio dei propri diritti [27]. In effetti, la radicale rimozione degli effetti del licenziamento illegittimo presuppone non solo l’ordine di reintegrazione ma anche il pagamento di un’indennità che sia in grado di riparare l’intero danno economico effettivamente subito dal lavoratore, per tutto il periodo che va dal licenziamento fino al momento della reintegrazione nel posto di lavoro [28]. Eppure, è evidente che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato nel settore del pubblico [continua ..]


6. Segue. E in quello dei rapporti di lavoro a tempo determinato

Con riferimento al regime della prescrizione nell’ambito dei rapporti di lavoro a tempo determinato nel settore del pubblico impiego contrattualizzato, merita particolare attenzione l’ipotesi in cui si verifica una successione di molteplici rapporti aventi carattere temporaneo, soprattutto ove questa sia seguita dalla stabilizzazione presso la stessa Pubblica Amministrazione. A tal proposito, è già stato illustrato come la sentenza della Corte di Cassazione 28 maggio 2020, n. 10219 abbia negato la possibilità di applicare la regola della non decorrenza della prescrizione in corso di rapporto ai rapporti di pubblico impiego a tempo determinato, anche in caso di illegittimità del termine apposto ai contratti stessi [33]. Sul punto, però, si ritiene di dover condividere i dubbi manifestati dalla sezione lavoro nell’ordinanza qui in commento. Ed infatti, la Suprema Corte, nella sentenza sopra citata, non ha chiaramente tenuto conto del fatto che il lavoro pubblico è notevolmente mutato rispetto all’epoca in cui si è sviluppata la giurisprudenza costituzionale in tema di prescrizione dei crediti retributivi, e, di conseguenza, ha perso la sua tradizionale forza di resistenza. Ne è prova tangibile il fatto che, oggi, anche nel pubblico impiego contrattualizzato, i rapporti di lavoro a tempo determinato sono sempre più numerosi, nonostante i limiti previsti dall’art. 36 d.lgs. n. 165/2001 che ne circoscrive la possibilità di stipulazione alla sussistenza di comprovate esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale. Peraltro, tali contratti vengono spesso stipulati anche in violazione dei termini di durata indicati dalla legge. Se si considerano questi fattori risulta difficile escludere l’esistenza di un metus del lavoratore sull’assunto che egli non ha aspettative in ordine all’instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato [34]. In effetti, non è obiettivamente ragionevole pensare che lavoratori che da anni prestano la propria attività lavorativa in forza di contratti a tempo determinato, per di più consapevoli che la loro reiterata conferma avviene spesso (quasi sempre) in violazione della vigente normativa, agiscano contro la Pubblica Amministrazione per richiedere le differenze retributive che gli spetterebbero di diritto. In questa prospettiva perde di ogni significato anche [continua ..]


NOTE