La nota affronta il tema del regime sanzionatorio applicabile ai contratti a termine illegittimi stipulati con le società a controllo pubblico. L’autrice ritiene che, vista la natura privatistica delle suddette società, sia ingiustificata l’esclusione dell’applicazione della sanzione della trasformazione del rapporto di lavoro, soprattutto nelle ipotesi in cui sia accertato il preventivo espletamento delle procedure selettive richieste dalla legge.
The note highlights the issue of the sanction regime applicable to illegitimate fixed-term contracts stipulated by publicly controlled companies. The Author considers that, given the private nature of the aforementioned companies, the non-application of the sanction of “employment transformation” is unjustified, especially when the prior completion of the selective procedures required by law is ascertained.
1. Il fatto - 2. Il reclutamento del personale nelle società a controllo pubblico - 3. Le conseguenze del mancato espletamento delle procedure selettive nelle società a controllo pubblico - 4. Il regime sanzionatorio e i contratti flessibili - NOTE
Il caso oggetto della sentenza che si annota riguarda un lavoratore che ha svolto le mansioni di operatore ecologico per una società in house, dapprima nell’ambito di contratti di somministrazione di lavoro e in seguito con contratti a tempo determinato stipulati direttamente con la società stessa. Il lavoratore lamenta l’assenza delle ragioni che giustificano la proroga e il superamento del limite massimo di durata del contratto a termine, chiedendo, quindi, la conversione dello stesso in contratto a tempo indeterminato e il risarcimento dei danni subiti. La società datrice di lavoro chiede il rigetto della domanda rilevando di essere società a capitale interamente pubblico, assoggettata pertanto alla disciplina in materia di selezione del personale di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 175/2016 e al divieto di conversione del contratto a termine ai sensi dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001. Il Tribunale di Fermo, accertato il superamento del termine massimo di durata dei contratti flessibili tra lo stesso lavoratore e lo stesso datore di lavoro e l’assenza delle ragioni poste a fondamento della proroga, ribadisce la necessità per le società a controllo pubblico di adottare procedure selettive rispettose dei principi di trasparenza, imparzialità e pubblicità di cui all’art. 35 del d.lgs. n. 165/2001, e, in linea con la giurisprudenza maggioritaria, precisa che il mancato espletamento delle suddette procedure selettive comporta il divieto di conversione del contratto a termine, visto che il citato art. 19 prevede la nullità del contratto concluso senza l’espletamento del concorso. Tuttavia, poiché nel caso sottoposto al suo esame non è in dubbio che il lavoratore sia stato assunto a termine previo svolgimento di procedure di selezione comparative ispirate ai principi di cui al suddetto art. 35, il Tribunale converte il contratto di lavoro in contratto a tempo indeterminato a far data dalla stipulazione dell’ultimo contratto. Giungendo a conclusioni originali e condivisibili, che in parte si discostano dall’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, la sentenza offre l’occasione per tornare sulle questioni dell’accesso e della convertibilità dei contratti a termine illegittimi nelle società a controllo pubblico.
Come è noto, le società a controllo pubblico conoscono una disciplina sul reclutamento del personale, contenuta nell’art. 19 del d.lgs. n. 175/2016, per così dire “ibrida”, in quanto a metà via tra la regolazione dell’accesso nelle pubbliche amministrazioni e il regime delle assunzioni delle imprese private [1]. A differenza di quanto previsto dalla disciplina previgente, che prevedeva un sistema di reclutamento articolato su più livelli [2], il legislatore ha individuato un unico modello valido per tutte le società c.d. pubbliche, che ricalca quello previsto per le pubbliche amministrazioni controllanti. Anzi, per certi versi ancora più rigido, perché non prevede eccezioni. Infatti, la disposizione di cui all’art. 19 trova applicazione a tutte le categorie di lavoratori, compresi i dirigenti [3], e per tutti i tipi di assunzione, anche a tempo determinato [4]. Venendo alla disciplina, il c. 2 del citato art. 19 impone alle società a partecipazione pubblica di stabilire – con propri provvedimenti – criteri e modalità per il reclutamento del personale rispettosi dei principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità e di quelli previsti dall’art. 35, c. 3, del d.lgs. n. 165/2001 per l’accesso alle pubbliche amministrazioni. Tale richiamo ai principi di cui all’art. 35, c. 3, del d.lgs. n. 165/2001 vale innanzitutto ad escludere l’applicazione diretta della norma stessa, fatta salva però l’ipotesi di inerzia delle società: qualora, infatti, le stesse omettano l’adozione dei menzionati provvedimenti, allora troverà diretta applicazione l’art. 35 del Testo unico sul pubblico impiego. Oltre ad escludere l’applicazione diretta della norma, se non in un’ottica sanzionatoria per il caso di inerzia, il richiamo dei principi di cui all’art. 35, c. 3, del d.lgs. n. 165/2001 esclude altresì l’applicazione delle sue disposizioni che non rappresentano principi, ma che invece costituiscono modalità operative che nulla hanno a che vedere con l’esigenza di garantire evidenza, pubblicità e trasparenza [5]. Così, non possono considerarsi principi «la previsione relativa al decentramento delle procedure di reclutamento (…); la facoltà per le amministrazioni di limitare nel bando il [continua ..]
Uno degli aspetti più discussi sotto la vigenza della precedente disciplina era la determinazione della sanzione da applicare nel caso in cui le disposizioni sul reclutamento non fossero state rispettate. Il dubbio interpretativo nasceva soprattutto per la natura ibrida delle società partecipate e per la difficoltà di individuare il regime giuridico applicabile. Infatti, secondo la disciplina pubblicistica, la costituzione di rapporti di lavoro in violazione di legge non può che portare alla dichiarazione di nullità degli stessi (salva l’applicazione dell’art. 2126 c.c.); invece, dall’applicazione dei principi privatistici consegue che il rapporto di lavoro sia perfettamente valido ed efficace [14]. Il legislatore del 2016 risolve i dubbi interpretativi, prevedendo espressamente che i contratti di lavoro stipulati in assenza dei criteri selettivi siano nulli, facendo salva l’applicazione dell’art. 2126 c.c. per le prestazioni di lavoro svolte. La norma riconosce carattere imperativo alla disposizione del c. 2 dell’art. 19 relativo al reclutamento del personale e, pur richiamando l’art. 2126 per le conseguenze della nullità sulla posizione retributiva del lavoratore, «accede al regime demolitorio tipico del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, allorquando le assunzioni avvengano in mancanza dei requisiti di legge necessari per la stipulazione del contratto». Si tratta di una deroga al regime proprio del settore privato, «evidentemente recata al fine di disincentivare le assunzioni prive delle prescrizioni di legge e, quindi, a fondamentali fini di controllo della spesa e della sostenibilità finanziaria degli organici da parte delle società controllate» [15]. Un consolidato orientamento della Suprema Corte [16] ha precisato che la previsione dell’art. 19 non ha carattere innovativo, ma si limita a esplicitare quanto già desumibile dai principi generali. La Cassazione, rifacendosi a una precedente pronuncia delle Sezioni Unite [17] volta a delimitare l’ambito delle cosiddette nullità virtuali, ha distinto tra norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto. Mentre la violazione delle prime non sarebbe idonea a incidere sulla genesi dell’atto negoziale, generando semmai una responsabilità contrattuale delle parti, la [continua ..]
Quanto fino ad ora esposto ha un impatto significativo sul tema della convertibilità dei contratti a tempo determinato illegittimi. Il tema è da tempo oggetto di un vivace dibattito dottrinario e giurisprudenziale, in cui si inserisce la sentenza in commento con soluzioni in parte originali e condivisibili. La natura ibrida delle società a controllo pubblico rende incerta l’individuazione della disciplina applicabile in caso di illegittimità dei contratti di lavoro non standard; infatti, mentre nel lavoro privato la sanzione prevista in caso di contratto flessibile illegittimo è la conversione dello stesso in contratto a tempo indeterminato, nel pubblico impiego tale soluzione è espressamente esclusa dall’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001. Sotto la vigenza della precedente disciplina si erano formati tre diversi orientamenti, soprattutto nella giurisprudenza di merito [20]. Secondo un primo orientamento, la sanzione della conversione non poteva trovare applicazione alle società pubbliche perché le stesse sarebbero ascrivibili alla categoria degli enti pubblici [21]. Sulla base di questa premessa, quindi, avrebbe trovato diretta applicazione l’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 [22]. Un altro indirizzo, invece, pur non negando la natura privatistica delle società partecipate, riteneva comunque non applicabile l’istituto della conversione perché queste ultime sarebbero tenute ad adeguare le proprie politiche di gestione del personale alle disposizioni vigenti per l’ente controllante. Quindi, l’applicazione dell’art. 35 del d.lgs. n. 165/2001 avrebbe portato di conseguenza all’applicazione, in questo caso in via analogica, anche dell’art. 36 [23]. Mentre i primi due orientamenti, sebbene attraverso percorsi argomentativi diversi, giungevano a conclusioni analoghe, il terzo invece arrivava a risultati opposti. Partendo da un’interpretazione più formalista, parte della giurisprudenza di merito ha ritenuto che le norme sul reclutamento nelle società pubbliche si limitassero a estendere a queste ultime i criteri e le modalità con cui effettuare la selezione del personale, ma non anche la previsione di carattere eccezionale di cui all’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 in materia di divieto di costituzione di rapporti a tempo indeterminato [24]. Secondo questa tesi, la conversione [continua ..]