Il commento esamina, alla luce della recente pronuncia della Corte di Cassazione, la tematica del licenziamento disciplinare conseguente alla falsa attestazione della presenza in servizio del dipendente pubblico, accertata mediante l’utilizzo degli strumenti di registrazione delle presenze. In particolare, si concentra sulla problematica intersezione tra l’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro pubblico e quello di controllo derivante dalle intervenute novelle, rispettivamente, del d.lgs. n. 116/2016 e del d.lgs. n.151/2015, in considerazione della soluzione adottata dalla Suprema Corte col ricorso alla riviviscente categoria dei controlli difensivi.
In light of the latest decision by the Court of Cassation, this commentary examines the matter of disciplinary dismissal of public employees due to false declarations regarding their presence in the workplace, particularly when verified through access and attendance registration instruments. In particular, the paper delves into the complex intersection of the disciplinary and control powers of the public employer, after the legislative changes introduced by d.lgs. n. 116/2016 and d.lgs. n. 151/2015, considering the solution adopted by the Supreme Court, which involves referencing the evergreen category of defensive controls.
1. Premessa. La vicenda - 2. La falsa attestazione della presenza in servizio del dipendente pubblico - 3. Il procedimento disciplinare “accelerato” e i suoi presupposti: la disciplina dei controlli a distanza dopo la riforma dello Statuto dei Lavoratori - 4. I controlli difensivi nel pubblico impiego: una questione ancora aperta - NOTE
La sentenza in epigrafe affronta, in maniera condivisibile, la questione dell’intersezione tra l’accertamento della condotta inadempiente del dipendente pubblico mediante l’utilizzo dei sistemi di rilevazione delle presenze e la disciplina dei controlli a distanza. In particolare, il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte riguardava il licenziamento di un lavoratore funzionario amministrativo consolare e contabile assegnato all’Ambasciata italiana in Kenya. Il recesso era seguito al procedimento disciplinare c.d. “accelerato” con il quale era stata accertata l’alterazione, imputabile al lavoratore, dei tabulati mensili orari mediante riempimento manuale e postumo, volta a simulare fraudolentemente la presenza in servizio in un numero di ore maggiore rispetto a quelle effettive. La Corte d’Appello [1], condividendo la ricostruzione e la valutazione dei fatti effettuata dal giudice del primo grado, riteneva accertata la sussistenza della condotta di erronea attestazione della presenza in servizio, presupposta al licenziamento ai sensi dell’art. 55-quater, c. 1, lett. a), del d.lgs. n. 165/2001 e la proporzionalità di tale sanzione, considerata l’abitualità degli interventi correttivi eseguiti dal dipendente [2]. La mancata coincidenza tra l’orario di lavoro concretamente svolto e quello dichiarato nei tabulati si evinceva dai fotogrammi raccolti dalle telecamere di sicurezza installate dall’amministrazione nei pressi della macchina per la rilevazione delle presenze. La Corte territoriale escludeva che tale tipologia di controllo fosse vietato poiché non preceduto dall’accordo sindacale o, in mancanza, dall’autorizzazione dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, riconducendolo, invece, a quelli in deroga a tale regime, disciplinati dal c. 2 dell’art. 4, legge n. 300/1970 [3]. La nozione, ivi prevista, di “strumenti di rilevazione degli accessi e delle presenze” include qualsiasi mezzo idoneo a tale scopo e, quindi, anche le telecamere, se la loro funzione si risolve nel filmare i dipendenti al solo momento dell’ingresso e/o dell’uscita dal luogo di lavoro. Nella valutazione della Corte d’Appello, le telecamere erano assorbite nei badge e, pertanto, non lo riprendevano durante lo svolgimento della prestazione lavorativa. Il lavoratore impugnava la sentenza della Corte [continua ..]
La sentenza in epigrafe si colloca nel solco dei plurimi arresti mediante i quali la Corte di Cassazione, nell’obiettivo di interpretare in chiave costituzionalmente orientata il più volte interpolato art. 55-quater del d.lgs. n. 165/2001, introdotto dal d.lgs. n. 150/2009, ha progressivamente delineato il sistema dei licenziamenti disciplinari nei rapporti di lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione, circoscrivendo la sua attenzione, nel caso in commento, all’espulsione conseguente alla falsa attestazione della presenza in servizio. Il legislatore del 2009, con un’inversione di rotta significativa rispetto al sistema disciplinare fino a quel momento vigente [7] e nell’intento di limitare la discrezionalità del datore di lavoro pubblico nell’esercizio del potere disciplinare, aveva introdotto nell’ordinamento alcune ipotesi tipizzate di inadempimento del dipendente, espressamente sanzionabili con il licenziamento [8], dotate di imperatività di legge e inderogabili da eventuali previsioni più favorevoli previste dalla contrattazione collettiva [9]. Sulla stessa scia si inseriscono gli interventi successivi ad opera del d.lgs. n. 75/2017, per effetto del quale il numero delle fattispecie è stato incrementato [10], nella convinzione che l’attribuzione di una minore autonomia e flessibilità al datore di lavoro pubblico nell’adattamento delle risposte sanzionatorie al caso concreto potesse costituire il migliore strumento per il contrasto all’assenteismo fraudolento [11]. Invero, anche l’attribuzione della titolarità del potere disciplinare all’Ufficio per i Procedimenti Disciplinari [12], pur strumentale alla semplificazione della procedura [13], risponde all’esigenza di salvaguardare l’imparzialità dell’esercizio di tale potere [14], dato che il compito attribuito al dirigente di segnalare all’UPD i fatti di rilevanza disciplinare di sua conoscenza [15] appare, nel contesto interamente considerato, residuale [16]. In un sistema così rigido, non solo l’esercizio del potere disciplinare viene vincolato all’esistenza di presupposti determinati [17] anche nei casi in cui, come nei licenziamenti, la valutazione di opportunità dovrebbe farsi più sensibile, ma, inoltre, acquisisce autonomia dagli altri poteri direttivi [continua ..]
Andando oltre l’inquadramento giuridico del fatto dal punto di vista sostanziale, è opportuno concentrarsi anche sull’iter formale seguito dall’amministrazione per l’irrogazione del licenziamento. In particolare, l’avvenuto accertamento dell’inadempimento del lavoratore mediante l’utilizzo dei dati raccolti dai sistemi di registrazione degli accessi e delle presenze determinava l’applicazione del procedimento disciplinare c.d. “accelerato”, in ossequio a quanto disposto dai commi 3-bis e 3-quater dell’art. 55-quater, introdotti dal d.lgs. n. 116/2016. Tale novella rispondeva all’intento del legislatore di fornire all’amministrazione uno strumento più incisivo per la repressione della prassi dei c.d. “furbetti del cartellino” ove le condotte venissero accertate, alternativamente, in flagranza o attraverso l’utilizzo di strumenti di sorveglianza o, come qui rileva, di registrazione degli accessi o delle presenze. Da ciò deriva l’inconferenza del rilievo difensivo della mancata contestazione, da parte dell’amministrazione, della flagranza [33], considerato l’avvenuto accertamento delle false attestazioni della presenza mediante la comparazione di quanto attestato nei tabulati orari con i dati ripresi dalle telecamere installate presso gli strumenti di timbratura. L’introduzione di questa via privilegiata si giustifica nelle caratteristiche delle modalità di accertamento sopra indicate. Queste, in effetti, rendono subito comprensibile la valenza disciplinare della condotta l’intervento tempestivo del datore di lavoro pubblico, che si sostanzia nella sospensione cautelare senza retribuzione del dipendente e in un procedimento disciplinare svolto in tempi più celeri [34]. In questi termini, il controllo effettuato dalla Pubblica Amministrazione mediante i sistemi di rilevazione delle presenze sembra direttamente collegato alla verifica della condotta negligente del lavoratore e, quindi, strumentale al successivo avvio del procedimento disciplinare accelerato [35]. Tuttavia, all’avvertita necessità di rispondere incisivamente agli illeciti del dipendente pubblico non è corrisposta un’analisi delle problematiche che l’intersezione tra un siffatto sistema e la disciplina dei controlli a distanza del datore di lavoro [36], riformata dal [continua ..]
La pronuncia in esame fornisce una prima risposta alle problematiche fin qui illustrate derivanti dall’intersecarsi della materia dei licenziamenti nel settore pubblico privatizzato e di quella dei controlli datoriali. Essa, nel tentativo di salvaguardare i principi in tema di controlli a distanza e, contestualmente, di confermare la legittimità del licenziamento irrogato nel rispetto dell’art. 55-quater, commi 3-bis e 3-ter, individua una via alternativa consistente nella riqualificazione dei controlli effettuati dall’amministrazione, ritenendoli “difensivi”. Prima della modifica dell’art. 4, la giurisprudenza [56], in assenza di una previsione normativa che fornisse al datore di lavoro uno strumento di tutela del patrimonio aziendale, aveva enucleato la categoria dei controlli difensivi, riconoscendo la facoltà di installare dei dispositivi finalizzati all’accertamento del compimento di eventuali illeciti da parte dei lavoratori. La creazione di questa sorta di “zona franca” [57] si giustificava in ragione dell’oggetto dei controlli difensivi, che coincide con la verifica della commissione di condotte illecite ed è (solo) concettualmente diverso dall’attività lavorativa, soggetta, invece, della disciplina dell’art. 4 dello Statuto. La necessità di fornire al datore di lavoro uno strumento di garanzia del patrimonio sembra essere venuta meno con l’introduzione dell’esigenza di tutela del patrimonio aziendale quale presupposto giustificativo del controllo a distanza. Il legislatore del Jobs Act sembra fare propria l’opinione di quella dottrina che, nella vigenza del precedente dictum, aveva rilevato che l’installazione di dispositivi finalizzati all’accertamento del compimento di un illecito determinava comunque un controllo continuativo della prestazione del lavoratore. A ben vedere, infatti, l’illecito viene posto in essere in occasione dello svolgimento di questa e, in concreto, risulta complicato discernere il controllo sull’attività lavorativa da quello sulla realizzazione dell’illecito [58]. La modifica apportata all’art. 4 ha determinato il cristallizzarsi dell’opinione [59] dell’avvenuto superamento della categoria dei controlli difensivi, poiché attratta nella disciplina prevista dalla legge n. 300/1970. Invero, questa era la ratio [continua ..]