Prendendo le mosse dall’ordinanza in commento, scaturita dal ricorso proposto da un dipendente di un ente locale, la nota analizza l’istituto delle posizioni organizzative, dando anche conto dei recenti interventi effettuati in materia dalle parti sociali e approfondendo la questione relativa ai limiti imposti dalla contrattazione collettiva al conferimento degli incarichi da parte del “datore di lavoro” pubblico, nonché gli spazi per il controllo giudiziale sulla legittimità della “scelta” operata dal dirigente.
On the basis of the decision under exam, resulting from the appeal lodged by an employee of a local authority, the note analyses the institution of organizational positions, also taking into account the recent interventions on the subject by the social partners, and highlights the question of the limits imposed by collective bargaining on the allocation of positions by the “public employer”, as well as the spaces for judicial review of the legitimacy of the manager’s “choice”.
1. La vicenda posta all’attenzione del Giudice di legittimità - 2. Dalle (originarie) posizioni organizzative ai “nuovi” incarichi di elevata qualificazione - 3. Il conferimento di posizioni organizzative e degli incarichi dirigenziali: vi è un nesso tra le due fattispecie? - 4. Il conferimento degli incarichi di posizione organizzativa tra poteri del dirigente, procedura valutativa e sindacato giurisdizionale - 5. Dal mancato conferimento di posizioni organizzative al risarcimento del danno da perdita di chance - 6. Brevi riflessioni conclusive - NOTE
L’ordinanza in commento trae origine dal ricorso proposto avverso la sentenza della Corte d’Appello di Salerno n. 314/2017. In particolare, S.A., dipendente della Provincia di Salerno, adiva il giudice di legittimità, ritenendo che la pronuncia emessa dal giudice di seconde cure, uniformatasi a quella resa dal giudice di primo grado, non avesse correttamente valutato taluni profili. Più specificamente, la questione portata all’attenzione della Corte di Cassazione riguardava il conferimento di una posizione organizzativa (d’ora in poi, p.o.) a conclusione della procedura valutativa cui S.A. aveva partecipato con esito negativo e al termine della quale chiedeva l’accertamento del diritto al conferimento della p.o., nonché la condanna della Provincia di Salerno a corrispondergli, a titolo risarcitorio, gli emolumenti correlati all’incarico non conferitogli. Ebbene, il giudice di ultima istanza, con l’ordinanza de qua, si uniformava sostanzialmente alle statuizioni della decisione impugnata, condividendone il ragionamento in base al quale «la Corte territoriale, una volta escluso che la procedura di conferimento della posizione organizzativa fosse affetta da profili di illegittimità, ha ritenuto di disattendere la domanda risarcitoria».
Un proficuo commento dell’ordinanza in esame non può prescindere da una preliminare ricostruzione dell’assetto delle posizioni organizzative, funzionale anche a comprenderne la natura, i riflessi sull’organizzazione del lavoro nei pubblici uffici e il rapporto con gli incarichi dirigenziali. In riferimento a questi ultimi, è utile rammentare che l’incarico di p.o. non si configura quale peculiare fattispecie di incarico dirigenziale, nonostante vi siano taluni aspetti (v. infra par. 3) che, connotando ontologicamente le posizioni organizzative, potrebbero erroneamente condurre ad assimilarle agli incarichi dirigenziali. Va altresì preliminarmente chiarito che il conferimento di un incarico di p.o. non comporta l’accesso del dipendente (incaricato) ad un’area di inquadramento superiore rispetto a quella corrispondente alle mansioni per le quali è stato assunto, ma soltanto «un mutamento di funzioni, le quali cessano al cessare dell’incarico» [1]. Perciò, in dottrina si è sostenuto che «la previsione delle posizioni organizzative rappresenta una scelta alternativa e non sostitutiva, da parte della contrattazione collettiva, rispetto all’ampliamento dei sistemi di inquadramento con l’introduzione di nuove categorie e/o aree professionali collocate in posizione apicale» [2]. Ragion per cui l’introduzione di una p.o., consentendo di evitare il reclutamento di nuovo personale (in particolare, dirigenziale), attribuendo precipui compiti ad un dipendente interno all’amministrazione, appare in perfetta sintonia con quell’esigenza di contenimento della spesa pubblica per il personale che, soprattutto a partire dalla stagione della c.d. spending review, rappresenta il “faro” che orienta le attività della Pubblica Amministrazione (P.A.), circoscrivendo (e limitando) il “raggio di azione” del “datore di lavoro” pubblico [3]. Confinando il discorso ai soli enti locali [4], l’introduzione dell’istituto delle posizioni organizzative è avvenuta con la sottoscrizione del CCNL Regioni-Autonomie Locali del 31 marzo 1999. Sul piano sistematico, la questione relativa alla decisione che ci si accinge a commentare, ovverosia il conferimento dell’incarico di p.o., è da ricondursi all’alveo dei cc.dd. atti di [continua ..]
Un passaggio effettuato dai giudici nell’ordinanza de qua, richiamando in sintesi la sentenza di appello, fornisce spunto per approfondire il legame (ammesso che di “collegamento” si possa parlare) intercorrente tra le posizioni organizzative e gli incarichi dirigenziali. Ci si riferisce alla parte in cui la Suprema Corte è giunta a ribadire quell’orientamento, ormai granitico sia in dottrina che in giurisprudenza, secondo cui «l’attribuzione dell’incarico di posizioni organizzative non costituisce conferimento di incarico dirigenziale, con scelta rimessa al dirigente, previa istruttoria e con adozione di provvedimento motivato». Purtuttavia, come anticipato e come si avrà modo di chiarire meglio di qui a breve, taluni aspetti caratterizzanti le posizioni organizzative potrebbero indurre superficialmente ad assimilarle agli incarichi dirigenziali. Si potrebbe sostenere, piuttosto, che le posizioni organizzative introducano un “diaframma” tra l’area dei funzionari e l’area dirigenziale, poiché, se da un lato dall’attribuzione di un incarico di p.o. non scaturisce alcuna progressione verticale del dipendente interessato, che al termine dell’incarico torna a svolgere le mansioni originarie, dall’altro appare inconfutabile la circostanza che l’incarico di p.o. comporti l’attribuzione di funzioni e responsabilità rilevanti, tali da consentire al dipendente incaricato, già di per sé inquadrato in un’area apicale, di esercitare le sue attribuzioni con un elevato grado di autonomia decisionale, avvicinandolo pertanto alla figura del dirigente. In tal senso depone anche il diritto alla corresponsione di un trattamento economico accessorio da riconoscersi in favore del dipendente beneficiario dell’incarico di p.o. [11], analogamente a quanto previsto per il personale dirigenziale. In aggiunta, va considerata anche la temporaneità che caratterizza entrambe le tipologie di incarico. Ma qui terminano le affinità. Differente è il “meccanismo” che conduce al loro conferimento: per quelli dirigenziali è richiesto il superamento di un concorso pubblico [12]; l’attribuzione degli incarichi di p.o. è rimessa, invece, a “selezioni” interne alle singole amministrazioni, che di volta in volta, in virtù dei programmi pianificati e degli [continua ..]
È opportuno a questo punto affrontare il tema della selezione del personale cui il dirigente è legittimato a conferire incarichi di p.o., argomento che interseca, a monte, la materia dei poteri dirigenziali, a valle, il sindacato giurisdizionale sulla “scelta” da questi operata nel conferimento dell’incarico. Occorre, pertanto, indagare se la scelta dell’amministrazione pubblica (nel caso di specie, la Provincia di Salerno) fosse stata intrapresa nel rispetto del perimetro tracciato dalla legge e/o dalla contrattazione collettiva, chiarendo quali siano i limiti cui soggiace il potere datoriale (del dirigente) in relazione all’affidamento degli incarichi in discorso. In riferimento ai poteri dirigenziali, è noto come la c.d. (riforma della) “privatizzazione”, avviata con il d.lgs. n. 29/1993, in attuazione della l.d. n. 421/1992, abbia determinato una estensione delle attribuzioni del dirigente pubblico, riconoscendogli ampi spazi gestionali, specialmente nelle materie oggetto del passaggio dal regime pubblicistico a quello privatistico [19]. Proprio prendendo le mosse da tale passaggio, è possibile distinguere tra poteri pubblicistici e poteri privatistici del dirigente, i primi riconducibili all’area della c.d. macro-organizzazione (art. 2, c. 1, d.l.gs. n. 165/2001), i secondi a quella della c.d. micro-organizzazione (art. 5, c. 2, d.lgs. n. 165/2001); distinzione, questa, fondamentale per comprendere le ragioni che hanno condotto il Giudice di ultima istanza a disattendere le doglianze del ricorrente. Ciò premesso, circoscrivendo il campo d’indagine ai soli atti (dirigenziali) di micro-organizzazione (espressione di una capacità e di un potere di natura privatistica del dirigente), dal momento che, come già ricordato (v. par. 2), il conferimento dell’incarico di p.o. è ad essi riconducibile [20], è possibile rilevare la correttezza di quanto stabilito dalla pronuncia in commento, principalmente per due ordini di ragioni, peraltro connesse tra loro da un rapporto di causa-effetto: a) anzitutto, l’art. 5, c. 2, d.lgs. n. 165/2001 «consegna alla dirigenza pubblica un potere gestionale e micro organizzativo del tutto similare a quello del datore di lavoro privato» e tale per cui «tutte le determinazioni gestionali o micro organizzative dei dirigenti non hanno come proiezione immediata la [continua ..]
Infine, pochi cenni all’ulteriore questione, affrontata dai giudici nelle more dell’ordinanza in commento, relativa al diritto al risarcimento del danno (ivi compreso quello da perdita di chance), in questo caso evidentemente insussistente in ragione del rigetto della domanda del ricorrente circa la presunta illegittimità della mancata assegnazione dell’incarico. Sul punto, la Corte di Cassazione ha ribadito comunque che «in tema di pubblico impiego contrattualizzato, il lavoratore è […] titolare di un diritto soggettivo all’effettivo e corretto svolgimento delle operazioni valutative e può, da un lato, esercitare l’azione di esatto adempimento, al fine di ottenere la ripetizione della valutazione, […] dall’altro, agire per il risarcimento del danno anche da perdita di “chance”» (corsivo mio). Inoltre, la Corte di Cassazione precisa che la risarcibilità del danno da perdita di chance non discende automaticamente dall’accertamento dell’illegittimità della procedura all’esito della quale veniva conferito l’incarico di p.o., pur costituendo tale accertamento un «presupposto imprescindibile affinché possa anche solo astrattamente sollevarsi questione di risarcimento del danno da perdita di chance». Il dipendente che ritenga di essere stato danneggiato dal mancato conferimento di un incarico di p.o., ai fini del risarcimento del danno da perdita di chance, dovrebbe fornire prova di tre elementi: a) la sussistenza dell’inadempimento del datore di lavoro (id est, del dirigente); b) l’esistenza di un danno a suo carico quasi certo; c) la sussistenza del nesso di causalità tra l’inadempimento datoriale e il danno da egli subito.
In conclusione, non può non rilevarsi che la Corte avrebbe potuto soffermarsi maggiormente sulla valutazione della scelta (legittimamente) compiuta dall’amministrazione, facendo riferimento a “principi” che, a partire dalla riforma della c.d. “privatizzazione”, governano il pubblico impiego e che avrebbero potuto fornire ulteriori elementi per giustificare la correttezza della procedura di selezione seguita dalla Provincia di Salerno nell’attribuzione dell’incarico di p.o. Più in generale, relativamente alle procedure di conferimento degli incarichi di p.o. (o di EQ), siano consentite alcune brevi riflessioni finali. Innanzitutto, premesso che, trattandosi di incarichi di natura temporanea, appare giustificabile, in materia, la non applicazione del principio di cui all’art. 97, c. 4, Cost., la rilevanza delle attribuzioni e delle responsabilità che vi sono connesse indurrebbe però a riconsiderare il bilanciamento tra l’esigenza di contenimento della spesa pubblica e la necessità di sensibilizzare la dirigenza a ponderare attentamente le proprie scelte (discrezionali) all’atto del conferimento di tali incarichi, potendosi, queste ultime, riverberare significativamente sulla complessiva azione dell’amministrazione [29]. Anche la Corte costituzionale ha avuto modo di precisare che la non applicazione del principio espresso dall’art. 97, c. 4, Cost., «non esclude affatto che la selezione dei soggetti cui attribuire gli incarichi di p.o. debba rispondere ai principi di imparzialità, trasparenza ed efficienza», trattandosi pur sempre di «funzioni di alta specializzazione o responsabilità», per il cui espletamento è necessaria l’acquisizione di «specifiche conoscenze che devono essere imparzialmente vagliate dall’amministrazione conferente» [30]. Uno dei percorsi da intraprendere potrebbe essere quello di stimolare maggiormente il confronto con le parti sociali, momento partecipativo il cui oggetto è esteso, ex art. 5, c. 3, lett. d), CCNL Funzioni Locali, anche ai criteri per il conferimento e la revoca degli incarichi di p.o./EQ, in modo tale da garantire un «corretto coinvolgimento sindacale nell’assunzione delle decisioni dell’amministrazione» [31], pur senza sfociare in una funzionalizzazione o in una negoziabilità dei [continua ..]