Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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La disciplina delle incompatibilità nel lavoro pubblico: uno sguardo d'insieme (di Alberto Tampieri, Professore ordinario di Diritto del lavoro nell’Università di Modena e Reggio Emilia)


Lo scritto tratta della complessa disciplina delle incompatibilità e del conferimento di incarichi extra-lavorativi nell’ambito del lavoro pubblico privatizzato, muovendo dalla disciplina di carattere generale contenuta nell’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 e passando poi all’esame delle discipline specifiche per alcune categorie di dipendenti pubblici.

The paper deals with the complex regulation of incompatibility and outside-work tasks within the discipline of the “privatized” work in the public sector. Moving from the general regulation provided by article no. 53 of the Legislative Decree no. 165/2001, the author analyses the specific disciplines for some categories of public employees.

Keywords: public work – teaching staff – sanitary staff – local bodies – academic researchers – NHS

SOMMARIO:

PARTE II – LE DISCIPLINE SPECIALI - 14. Le eccezioni soggettive. Il personale docente della scuola - 15. Il personale dipendente dalle fondazioni liriche - 16. Il personale sanitario dipendente dal servizio sanitario nazionale e il personale universitario che svolge attività assistenziale - 17. Gli incarichi dei professori e ricercatori universitari dopo la l. n. 240/2010 - 18. Gli incarichi extraistituzionali dei magistrati e degli avvocati dello Stato - 19. Osservazioni conclusive - NOTE


PARTE II – LE DISCIPLINE SPECIALI

13. La regolamentazione specifica per il personale degli enti locali e delle Agenzie fiscali Dopo aver trattato della disciplina generale sulle incompatibilità e sul cumulo di incarichi, è necessario passare ora all’esame delle numerose regolamentazioni specifiche e delle ipotesi derogatorie [1]. Una disciplina particolare in tema di incompatibilità riguarda innanzitutto i dipendenti del comparto delle regioni – autonomie locali. L’estensione anche ai dipendenti degli enti locali del divieto di esercitare attività extralavorative incompatibili viene da lontano, poiché già l’art. 241, c. 3 del r.d. n. 383/1934, poi abrogato dall’art. 64 della l. n. 142/1990, estendeva ai dipendenti del comparto la regola generale sul dovere di esclusiva, facendo peraltro salva un’eventuale autorizzazione prefettizia per l’assunzione di cariche all’interno di società cooperative tra dipendenti, o per lo svolgimento delle attività di perito o consulente. Con l’avvento dell’art. 53, c. 1 del d.lgs. n. 165/2001, si è ribadito che la regola generale da esso posta vale anche per i dipendenti degli enti locali [2]. Vale dunque il meccanismo di diffida alla cessazione dell’incarico e l’eventuale, successiva, responsabilità disciplinare a carico del dipendente, ai sensi degli artt. 55 ss. del d.lgs. n. 165/2001 [3]. Tuttavia l’attuale testo unico del personale degli enti locali (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267) – che da più parti viene visto come una vera e propria legislazione concorrente e parallela al d.lgs. n. 165/2001 – all’art. 89, c. 1, prevede che gli enti locali possano regolamentare in modo autonomo ed in conformità allo statuto, l’ordinamento generale degli uffici e dei servizi, «in base a principi di autonomia, funzionalità ed economicità di gestione e secondo principi di professionalità e responsabilità». Il c. 2 dell’art. 89 specifica poi che la potestà regolamentare degli enti locali, salve le materie demandate alla contrattazione collettiva nazionale, riguarda anche la «disciplina della responsabilità e delle incompatibilità tra impiego nelle pubbliche amministrazioni ed altre attività e i casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici» (lett. g). Dal tenore [continua ..]


14. Le eccezioni soggettive. Il personale docente della scuola

Come si è detto all’inizio, l’art. 53, c. 1 del d.lgs. n. 165/2001 mantiene espressamente in vita le disposizioni sulle incompatibilità del personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola, nonché dei conservatori di musica, del personale degli enti lirici e del personale medico dipendente dal Servizio sanitario nazionale. Per il personale scolastico occorre fare riferimento alla Parte III, Titolo I del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297 (testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione relative alle scuole di ogni ordine e grado), il quale regolamenta la materia delle incompatibilità all’art. 508 [7]. Secondo questa norma, pienamente modellata sulla disciplina generale, il personale docente «non può e­ser­citare attività commerciale, industriale e professionale, né può assumere o mantenere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società od enti per i quali la nomina è riservata allo Stato e sia intervenuta l’autorizzazione del Ministero della pubblica istruzione» (c. 10); tale divieto non si applica nei casi di società cooperative (c. 11). Anche l’ufficio di docente, di direttore didattico, di preside (ora dirigente scolastico), di ispettore tecnico e di ogni altra categoria di personale prevista dal presente titolo non è cumulabile con altro rapporto di impiego pubblico (c. 7 dell’art. 508 t.u.). Il CCNL per la dirigenza scolastica 2002-2005, all’art. 10, c. 2 imponeva al dirigente, all’atto dell’assunzione, di dichiarare l’insussistenza, a suo carico, delle situazioni di incompatibilità di cui all’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, ovvero, in caso contrario, di optare per il rapporto di lavoro esclusivo con l’amministrazione scolastica; il più recente CCNL per l’area “Istruzione e Ricerca” 2016-2018 non modifica la norma suddetta, ma all’art. 26, comma 6 si limita a richiamare la disciplina delle incompatibilità di cui all’art. 53, d.lgs. n. 165/2001, “anche con riferimento all’art. 1, c. 60 ss. della legge n. 662/1996” e cioè le sanzioni (tra cui il licenziamento per giusta causa) previste per il pubblico dipendente a tempo pieno che svolga una seconda [continua ..]


15. Il personale dipendente dalle fondazioni liriche

L’art. 53, c. 1 del d.lgs. n. 165/2001 fa espressamente salva la particolare disciplina in materia di incompatibilità del personale amministrativo, artistico e tecnico degli enti lirici e delle istituzioni concertistiche assimilate, contenuta nell’art. 9, c. 1 e 2 della l. 23 dicembre 1992, n. 498. La norma in questione prevede, per tali dipendenti, l’incompatibilità «con qualsiasi altro lavoro dipendente pubblico o privato», con possibilità di opzione «entro trenta giorni per la trasformazione del rapporto in contratto a tempo determinato di durata biennale». L’unica eccezione consiste nelle attività «di lavoro autonomo o professionale (…) a carattere saltuario, per prestazioni di alto valore artistico e professionale», preventivamente autorizzate dal­l’ente di appartenenza. Detta disciplina, a dire il vero, dovrebbe ritenersi ormai superata per effetto della sopravvenuta trasformazione degli enti che operano nel settore musicale – ed in particolare degli enti lirici e delle istituzioni concertistiche assimilate – in fondazioni di diritto privato (fondazioni liriche), per opera del d.lgs. 29 giugno 1996, n. 367 e del­l’art. 1 del d.lgs. 23 aprile 1998, n. 134: trasformazione da cui è derivata la logica conseguenza della privatizzazione del rapporto di lavoro del personale (art. 22, d.lgs. n. 367/1996). Si tratta in questo caso di una privatizzazione del rapporto di lavoro del personale consequenziale rispetto al mutamento della natura giuridica dell’ente datore di lavoro, a differenza di quanto avvenuto per il personale delle pubbliche amministrazioni rientranti nel campo di applicazione dell’art. 1, c. 2 del d.lgs. n. 165/2001. Ne consegue che, come detto, per il personale delle fondazioni liriche non dovrebbe trovare più applicazione la disciplina delle incompatibilità prevista dal­l’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, ma soltanto la normativa privatistica sugli obblighi del lavoratore subordinato privato (artt. 2104-2105 c.c.) ed eventualmente la regolamentazione contrattuale collettiva. Eppure il d.l. 30 aprile 2010, n. 64 (Disposizioni urgenti in materia di spettacolo e attività culturali), convertito dalla l. 29 giugno 2010, n. 100, all’art. 3, c. 1 lascia espressamente e stranamente ferme le disposizioni di cui all’art. 9, c. 1 e 2, della l. n. 498/1992 (la cui [continua ..]


16. Il personale sanitario dipendente dal servizio sanitario nazionale e il personale universitario che svolge attività assistenziale

Altra disciplina particolare e di notevole importanza in materia di incompatibilità, espressamente fatta salva dall’art. 53, c. 1 del d.lgs. n. 165/2001, riguarda il personale medico dipendente dalle aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale [17]. L’art. 4, c. 7 della l. 30 dicembre 1991, n. 412, richiamato dall’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, prevede, quale regola generale, il «rapporto di lavoro unico» del personale medico con il Servizio sanitario nazionale [18] e la conseguente incompatibilità con l’esercizio di altre attività, o con la titolarità o la compartecipazione di quote in imprese potenzialmente in conflitto di interessi con le strutture sanitarie pubbliche [19]. Peraltro, già l’art. 4 della l. n. 412/1991 consentiva ai medici dipendenti dal Servizio sanitario nazionale l’esercizio di attività libero-professionale c.d. «intramuraria», al di fuori dell’orario di lavoro ed all’interno delle strutture sanitarie o all’es­terno delle stesse, purché non in strutture private convenzionate con il SSN. L’esclusività del rapporto di lavoro del dirigente medico, e la compatibilità con l’esercizio della libera professione intramuraria, sono state in un secondo momento riaffermate dall’art. 15-quater del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, introdotto dal d.lgs. n. 229/1999 e successivamente più volte modificato [20]; la norma in questione ha però dato la possibilità ai dirigenti medici di optare per il rapporto di lavoro non esclusivo, potendo conseguentemente svolgere la libera professione c.d. extra moenia, al di fuori delle strutture di appartenenza. Spetta ai contratti collettivi, nei limiti delle risorse disponibili, stabilire il trattamento economico aggiuntivo da corrispondere ai medici con rapporto di lavoro esclusivo (art. 15-quater, c. 5). L’art. 15-quinquies del medesimo d.lgs. n. 502/1992 ribadisce che il rapporto di lavoro esclusivo comporta la totale disponibilità nelle funzioni dirigenziali attribuite dall’azienda sanitaria (c. 5 e 6) [21]; esso costituisce titolo preferenziale per gli incarichi didattici e per i comandi e i corsi di aggiornamento (c. 8). L’assunzione di incarichi di direzione di struttura semplice o complessa «implica» il rapporto di lavoro [continua ..]


17. Gli incarichi dei professori e ricercatori universitari dopo la l. n. 240/2010

L’art. 53, d.lgs. n. 165/2001, al c. 7 si occupa degli incarichi extralavorativi del personale docente universitario a tempo pieno, prevedendo che con apposito regolamento, o direttamente nello Statuto, debbano essere regolamentati a livello di Ateneo i criteri e la procedura per il rilascio della relativa autorizzazione [36]. L’applicazione dell’art. 53, c. 7 e la scelta di delegare la materia alla regolamentazione a livello di singolo Ateneo ha dato adito, nel tempo, ad una grande varietà di soluzioni, non sempre condivisibili, e comunque foriere di una notevole (e talora inaccettabile) disparità di condizioni e di requisiti. Occorre ora chiedersi se la riforma dell’università (legge 30 dicembre 2010, n. 240) abbia superato la necessità della regolamentazione a livello di singolo Ateneo. L’art. 6 della legge delega n. 240/2010 definisce lo stato giuridico dei professori e dei ricercatori di ruolo, ridisegnando il sistema delle incompatibilità a suo tempo disciplinato dagli artt. 11 ss. del d.p.r. 11 luglio 1980, n. 382, peraltro non espressamente abrogati (ed anzi in parte richiamati) dalla nuova normativa. Viene in primo luogo riaffermata la distinzione fondamentale tra regime d’impegno a tempo pieno e tempo definito (art. 6, 1c. 1) [37]: il primo implica una quantificazione figurativa di 1500 ore annue di attività di ricerca, studio, insegnamento e il secondo un impegno dimezzato (pari a 750 ore). Per quanto riguarda invece l’impegno didattico integrativo, e il servizio agli studenti (inclusi il tutorato e l’orientamento), l’im­pegno massimo è, come in precedenza, di 350 ore per i docenti a tempo pieno e di 200 ore per quelli a tempo definito. Per quanto riguarda più specificamente l’incompatibilità tra lo status di docente ed eventuali incarichi extralavorativi, il regime di impegno a tempo definito non può consentire – sebbene la definizione dell’incompatibilità sia in concreto demandata ai singoli statuti – l’assunzione di cariche accademiche (c. 12); esso è viceversa compatibile con lo svolgimento, in modo anche continuativo, della libera professione e del lavoro autonomo, purché ovviamente non in conflitto di interessi con l’am­ministrazione. Secondo l’art. 6 della l. n. 240/2010, poi, i docenti a tempo pieno, nel rispetto dei loro [continua ..]


18. Gli incarichi extraistituzionali dei magistrati e degli avvocati dello Stato

Da ultimo – ma certamente non per ultimo in ordine di importanza, anche per la risonanza che il tema acquisisce, in modo ricorrente, nell’opinione pubblica nazionale [39] – conviene accennare agli incarichi extraistituzionali dei magistrati e degli avvocati dello Stato. In materia la fonte legale si accompagna a quella regolamentare, posto che l’art. 53, c. 3 del d.lgs. n. 165/2001 demanda appunto ad appositi regolamenti l’indivi­duazione degli «incarichi consentiti e quelli vietati ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonché agli avvocati e procuratori dello Stato». I suddetti regolamenti sono stati effettivamente emanati (già nella vigenza dell’analoga norma contenuta nel d.lgs. n. 29/1993) con d.p.r. 6 ottobre 1993, n. 418 per i magistrati amministrativi, con il d.p.r. 31 dicembre 1993, n. 584 [40] e con il d.p.r. 27 luglio 1995, n. 388, rispettivamente per gli avvocati e procuratori dello Stato e per i magistrati contabili. Per i magistrati ordinari vi è comunque una norma di riferimento nell’ordina­mento giudiziario (art. 16 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12), la quale prevede una incompatibilità di carattere generale tra il rapporto di lavoro del magistrato e l’assun­zione di incarichi pubblici o privati (fatta eccezione per gli incarichi di senatore, di deputato o di amministratore gratuito di istituzioni pubbliche di beneficenza), nonché con l’esercizio dell’industria e del commercio e della libera professione (art. 16, 1° comma) [41]. Inoltre i magistrati non possono accettare incarichi di qualsiasi specie, né assumere le funzioni di arbitro senza l’autorizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura (c. 2) [42]. In quest’ultimo caso (e cioè se autorizzati) possono assumere la veste di arbitro unico o presidente del collegio arbitrale ed esclusivamente nei giudizi arbitrali nei quali sia parte lo Stato o aziende ed enti pubblici (c. 3). Il regime di incompatibilità previsto per i magistrati ordinari è esteso dalla legge ai magistrati amministrativi (art. 28, l. 27 aprile 1982, n. 186) e a quelli contabili (art. 76, r.d. 12 ottobre 1933, n. 1364). Per gli avvocati e procuratori dello Stato, l’art. 24 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611 ribadisce l’impossibilità di assumere [continua ..]


19. Osservazioni conclusive

La materia delle incompatibilità e del cumulo di incarichi dei pubblici dipendenti si caratterizza, come si è visto, per una peculiare – ma non sempre riuscita – integrazione tra fonti legali di ispirazione marcatamente pubblicistica e altre più coerenti con i principi della privatizzazione del pubblico impiego, [57] oltre che – più marginalmente – con fonti negoziali. Ciò è particolarmente evidente nell’art. 53, c. 1 del d.lgs. n. 165/2001, ma anche in norme speciali come quella di cui all’art. 1, c. 61 della l. n. 662/1996. Le difficoltà di armonizzazione si manifestano particolarmente, come si è visto, sul piano sanzionatorio, dove la misura espulsiva prevista dal t.u. n. 3/1957 (la decadenza dall’impiego), nonostante l’opinione di certa giurisprudenza, deve opportunamente essere ricondotta nel quadro privatistico delle ipotesi, ormai prevalenti, di cessazione del rapporto di lavoro. In sostanza, almeno a mio avviso, il perdurante rinvio alle disposizioni del t.u. n. 3/1957 deve essere interpretato in modo restrittivo, e cioè come unicamente mirato alla sopravvivenza della disciplina sostanziale della incompatibilità; per il resto invece – ed in particolare per ciò che riguarda la procedura di accertamento e quella sanzionatoria o disciplinare – occorre fare riferimento alle previsioni contenute negli art. 55 ss. del d.lgs. n. 165/2001, ovvero alle leggi speciali che regolano la materia (come ad esempio la disciplina del part-time pubblico). Sarebbe decisamente opportuno, ai fini della riconduzione a unità e della complessiva coerenza del sistema, che venisse inserita direttamente nel d.lgs. n. 165/2001 – anche soltanto intervenendo sull’art. 53 – una previsione di carattere generale e univoco, senza ulteriori rinvii, sulle incompatibilità applicabili al pubblico dipendente. Ciò non impedirebbe certamente l’ulteriore intervento della normativa settoriale (come già avviene nei diversi casi sopra esaminati) mediante la previsione di deroghe ed eccezioni, calibrate sulle specifiche caratteristiche delle multiformi categorie di dipendenti pubblici.


NOTE