Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
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Il termine di conclusione del procedimento disciplinare a carico del lavoratore alle dipendenze della pubblica amministrazione successivo a sentenza penale irrevocabile (Corte di cassazione, sez. lav., 23 febbraio 2018, n. 4429) (di Riccardo Gentile – Dottore di Ricerca nell’Università degli Studi di Palermo)


CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. LAV., 23 FEBBRAIO 2018, N. 4429 Pres. G. Napoletano, Rel. P. Negri Della Torre Impiegati dello Stato e pubblico impiego in generale – Disciplina – Procedimento disciplinare successivo a sentenza penale di condanna – Termine di conclusione – Inammissibilità del ricorso per cassazione per difetto di autosufficienza In tema di pubblico impiego contrattualizzato, il procedimento disciplinare iniziato o proseguito dopo che nei confronti del dipendente sia stata pronunciata sentenza penale irrevocabile di condanna, deve concludersi, a norma dell’art. 5, comma 4, del D.Lgs. n. 97 del 2001, nel termine di centottanta giorni dalla data di inizio o prosecuzione, fatti salvi, per i procedimenti nei quali la notizia dell’infrazione risulti acquisita dagli organi dell’azione disciplinare prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2009, i termini diversi previsti dalla contrattazione collettiva, da considerarsi perentori. [Il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., n. 3, formulato per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., ove venga dedotta un’erronea interpretazione del contenuto della domanda, è inammissibile per difetto di autosufficienza se non risulta trascritto, né comunque riportato nelle sue parti rilevanti, tanto il ricorso di primo grado quanto lo specifico motivo di gravame] Massima non ufficiale.   SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con sentenza n. 1433/2014, depositata il 13 gennaio 2015, la Corte di appello di Bologna respingeva il gravame di F.S. avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia che ne aveva rigettato la domanda volta all’accertamento della illegittimità del licenziamento senza preavviso disposto nei suoi confronti, con provvedimento in data 15 ottobre 2010, dall’Agenzia Interregionale per il Fiume Po – AIPO e altresì rigettato, insieme con essa, le ulteriori e diverse domande proposte di contenuto patrimoniale e risarcitorio. 2. La Corte, esaminati i profili formali del procedimento disciplinare, escludeva in primo luogo che la sanzione fosse stata applicata da soggetto non legittimato; escludeva inoltre: (a) che vi fosse stata violazione del termine intercorrente fra la riassunzione del procedimento successivamente alla pronuncia della sentenza penale dichiarativa della prescrizione e l’adozione della sanzione, dovendo trovare applicazione nella specie il termine di 180 giorni e non già quello di 120 giorni stabilito dall’art. 24 CCNL 6 luglio 1995, il rinvio ai termini della contrattazione collettiva dovendo ritenersi soppresso a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2009; (b) che il procedimento fosse stato tardivamente riassunto, in data 16/6/2010, rispetto al passaggio in giudicato della sentenza penale, in data 13/3/2010, dovendo applicarsi il termine di 60 giorni D.Lgs. n. 165 del [continua..]
SOMMARIO:

1. Premessa - 2. L'art. 5, comma 4, legge 27 marzo 2001, n. 97 come modificato dal comma 2 dell’art. 72, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 - 3. La normativa applicabile in caso di successione di leggi nel tempo - 4. La natura perentoria del termine di conclusione del procedimento disciplinare - NOTE


1. Premessa

La sentenza in commento affronta questioni di natura sostanziale relative ai termini di regolazione e definizione del procedimento disciplinare a carico del dipendente della pubblica amministrazione, per fatti in relazione ai quali sia stata pronunciata sentenza penale irrevocabile di condanna, e questioni di natura processuale relative alle condizioni di ammissibilità del ricorso per cassazione. Essa non presenta aspetti di dirompente innovatività ma necessita un approfondimento per la complessità dei temi affrontati. Anzitutto viene individuata la norma applicabile ratione temporis al procedimento disciplinare. Una volta stabilito che esso avrebbe dovuto concludersi entro il termine di 120 giorni indicato nel contratto collettivo di riferimento, e non entro 180 giorni come previsto all’art. 5, comma 4, legge 27 marzo 2011, n. 97, la Corte si occupa di definire la natura di tale termine, qualificato come perentorio al contrario di quelli volti a scandire le fasi interne al procedimento e stabiliti dalla stessa contrattazione collettiva ritenuti, invece, ordinatori. Sul fronte processuale, in primo luogo la Corte sancisce che il motivo di ricorso con cui si denunci la violazione dell’art. 112 c.p.c per omessa pronuncia e, contestualmente, la violazione di norme di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3, nonché il vizio di motivazione ex art. 360, n. 5 c.p.c., è inammissibile per ontologica contraddittorietà. Sul punto la sentenza in commento trova facile sponda nel costante orientamento di legittimità che ritiene inammissibile la sovrapposizione di mezzi di impugnazione fondati sulle diverse ipotesi di cui ai numeri 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c. [1], a meno che non vengano specificamente evidenziate e trattate analiticamente le doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto [2]. Infatti, se può risultare incoerente la censura di violazione o falsa applicazione di norme di diritto e di contratto collettivo, effettuata contestualmente a quella per il vizio di motivazione, a maggior ragione deve ritenersi radicalmente antinomico il motivo di ricorso che contenga anche la denuncia di una radicale omissione di qualsivoglia pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c. Sempre in ordine all’ammissibilità, la Corte di cassazione ritiene che il motivo con cui si censura [continua ..]


2. L'art. 5, comma 4, legge 27 marzo 2001, n. 97 come modificato dal comma 2 dell’art. 72, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150

La vicenda giudiziaria prendeva le mosse dal licenziamento del ricorrente, lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione, avvenuto il 15 ottobre 2010 a conclusione del procedimento disciplinare avviato a seguito dell’irrogazione da parte dell’autorità giudiziaria di un provvedimento restrittivo della libertà personale. Il procedimento veniva dapprima sospeso e successivamente riassunto il 16 giugno 2010 a seguito del passaggio in giudicato della sentenza penale in data 13 marzo 2010. Il Tribunale di Reggio Emilia rigettava la domanda volta all’accertamento del­l’illegittimità del licenziamento e, a seguito dell’impugnazione del lavoratore, la Corte di Appello di Bologna respingeva il gravame ritenendo, in ordine ai limiti formali, che il procedimento si fosse correttamente concluso nel termine di 180 giorni dalla data di riassunzione come previsto dall’art. 5, comma 4, legge 27 marzo 2001, n. 97 che disciplina gli effetti della sentenza penale irrevocabile di condanna per i dipendenti indicati al precedente comma 1 dell’art. 3 [8]. In virtù di quest’ultimo rinvio, il relativo campo di applicazione deve ritenersi limitato ai soli casi di procedimenti disciplinari a carico di dipendenti della pubblica amministrazione, di enti pubblici o di enti a prevalente partecipazione pubblica i quali, nello svolgimento della funzione di pubblico ufficiale, abbiano commesso contro la stessa pubblica amministrazione i delitti di peculato, concussione, corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio. Per i militari della guardia di finanza, il campo di applicazione dell’art. 5, comma 4, legge 27 marzo 2001, n. 97 è limitato ai delitti indicati all’art. 3, legge 9 dicembre 1941, n. 1383 di collusione in frode alla legge ovvero di appropriazione o distrazione di beni di cui abbiano l’amministrazione o la custodia o su cui esercitino la sorveglianza [9]. In applicazione dell’art. 32-quinquies cod. pen. fatto salvo dall’art. 5, comma 4, legge 27 marzo 2001, n. 97, la condanna in relazione a tali delitti comporta la pena accessoria dell’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego quando venga comminata la [continua ..]


3. La normativa applicabile in caso di successione di leggi nel tempo

La Corte d’appello di Reggio Emilia, riteneva che il procedimento disciplinare si fosse correttamente concluso nel termine di 180 giorni previsto dall’art. 5, comma 4, L. 27 marzo 2001, n. 97, come modificato dal comma 2 dell’art. 72, D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, sul presupposto che il licenziamento è stato notificato il 22 ottobre 2010 e, dunque, successivamente all’abrogazione dell’inciso “fatti salvi i diversi termini previsti dai contratti collettivi”. Il lavoratore ricorreva in cassazione lamentando l’errata applicazione dell’art. 5, comma 4, legge 27 marzo 2001, n. 97 in quanto il procedimento disciplinare a suo carico era stato avviato con lettera di contestazione dell’addebito del 27 ottobre 2005 e dunque, prima della entrata in vigore del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150. Egli, pertanto, riteneva che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare l’invali­dità del provvedimento disciplinare in quanto irrogato oltre il termine di 120 giorni previsto dall’art. 24 del contratto collettivo 6 luglio 1995 del comparto degli Enti locali. La Suprema Corte accoglie il ricorso ritenendo, conformemente ad un orientamento già consolidato in tema di modifiche apportate dal D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 al D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che i procedimenti vadano regolati dalla normativa del tempo in cui gli atti sono posti in essere [17] e che tale valutazione va fatta in riferimento al momento in cui la notizia dell’infrazione risulti acquisita dagli organi dell’azione disciplinare. La sentenza in commento non approfondisce il tema del dies a quo perché, nel caso di specie, risalgono a data anteriore alla modifica legislativa sia l’informativa della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino circa l’esercizio dell’a­zione penale, sia l’avvio del procedimento disciplinare. Tuttavia a partire dalle precedenti pronuncie è possibile desumere la regola elaborata dalla giurisprudenza. Infatti, il principio espresso dal noto brocardo tempus regit actum, ha già trovato attuazione in tema di procedimento disciplinare nel pubblico impiego contrattualizzato per escludere l’applicabilità del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 nel frattempo intervenuto, quando l’amministrazione abbia optato per il differimento dell’inizia­tiva [continua ..]


4. La natura perentoria del termine di conclusione del procedimento disciplinare

Già all’indomani della introduzione della L. 27 marzo 2001, n. 97, la giurisprudenza di legittimità si era posta il problema della natura perentoria o ordinatoria dei termini introdotti dai contratti collettivi in funzione derogatoria della disciplina legale di cui all’art. 5, comma 4. Nelle prime pronunce, mutuando dal giudice amministrativo un risalente orientamento su una analoga questione [23], la Corte di cassazione riteneva che la qualificazione dei termini previsti dal contratto collettivo dovesse essere orientata a realizzare “l’inderogabile garanzia di tutto il procedimento” [24]. Rimane difficile da comprendere perché tra i termini previsti dalla contrattazione collettiva quello finale era considerato necessario a garantire la regolarità del procedimento, con la conseguenza di qualificarlo come perentorio e di ritenere nullo il provvedimento di irrogazione della sanzione in caso di violazione [25], mentre si escludeva che il termine per la contestazione degli addebiti avesse analoga natura [26], sopratutto alla luce del costante orientamento espresso sui limiti formali all’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro privato ex art. 7, L. 20 maggio 1970, n. 300 [27]. In effetti, nel tempo la suprema Corte ha ammorbidito il proprio formalistico orientamento ammettendo che, nonostante i termini endoprocedimentali previsti dalla contrattazione collettiva debbano essere considerati ordinatori, la loro violazione può comportare la nullità della sanzione qualora l’incolpato denunci con concreto fondamento l’impossibilità o la eccessiva difficoltà della propria difesa [28]. I principi elaborati dalla giurisprudenza sono stati recentemente recepiti dal legislatore nel nuovo comma 9-terdell’art. 55-bis, D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 introdotto dall’art. 13, comma 1 lett. j), D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 75 che esclude la decadenza dall’azione disciplinare e l’invalidità degli atti e della sanzione irrogata nel caso di violazione dei termini e delle disposizioni sul procedimento disciplinare previste dagli articoli da 55 a 55-quater [29]. La novella si è, invece, dissociata dall’orientamento di legittimità in tema di dies a quo del termine di conclusione del procedimento, che aveva ritenuto che nel caso di procedura aggravata esso [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2019