Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo leggi articolo leggi fascicolo


Mancata indicazione degli obiettivi dirigenziali, valutazione negativa illegittima e danno da perdita di chance (di Chiara Paolini)


CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 aprile 2017, n. 9392

Impiegato dello Stato e pubblico in genere – Lavoro – Dirigente – Perdita di chance – Indennità di risultato non riscosse – Risarcimento del danno

In una controversia in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il giudice ordinario se accerta l'illegittimità del procedimento amministrativo di valutazione negativa di un dirigente per mancato raggiungimento degli obiettivi da perseguire (nella specie per l'illo­gicità derivante dalla avvenuta indicazione degli obiettivi stessi con un abnorme e immotivato ritardo rispetto al periodo nel quale gli stessi avrebbero dovuto essere raggiunti) non può certamente sostituirsi all'organo deputato ad effettuare la verifica dei risultati che condiziona la corresponsione dell'indennità di risultato e, quindi, commisurare automaticamente la condanna dell'ente datore di lavoro a risarcire i danni richiesti I all'indennità di risultato non percepita dal dirigente. Tuttavia, in base al principio consolidato secondo cui la perdita di chance è dimostrabile anche per presunzioni e la relativa liquidazione è necessariamente equitativa, il giudice non può neppure escludere in radice la sussistenza del diritto al risarcimento dei danni per perdita di chance, ritualmente richiesto. Svolgimento del processo 1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 24 giugno 2010), in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Venezia n. 900/2007, dichiara l'illegittimità della procedura amministrativa conclusasi con la valutazione professionale per l'an­no 2003, di M. G., Direttore dell'Ufficio provinciale di Belluno dell'Agenzia del Territorio, dall'8 febbraio 1999 al 3 agosto 2003 e conferma il rigetto di tutte le ulteriori domande proposte nel ricorso di primo grado. La Corte d'appello di Venezia, per quel che qui interessa, precisa che: a) la dirigente ha rilevato di avere avuto conoscenza degli obiettivi da raggiungere per l'anno 2003, per i quali era stata effettuata la valutazione negativa dell'atti­vità svolta a Belluno, soltanto nel gennaio 2005 in sede di colloquio per tale valutazione; b) diversamente da quanto affermato dal primo giudice, non si deve confondere il merito del giudizio sull'operato del dirigente con il rispetto delle regole procedurali previste per addivenire a tale giudizio, che il giudice ordinario può sindacare; c) da questo ultimo punto di vista la procedura di cui si tratta è del tutto illegittima, non essendo dato comprendere per quale ragione vi sia stato un così considerevole ritardo nell'assegnazione degli obiettivi, visto che è pacifico che la G. ha regolarmente prestato servizio a Belluno dall'1 gennaio al 3 agosto 2003; d) peraltro non è condivisibile l'assunto secondo cui dall'illegittimità del provvedimento nasca automaticamente il diritto al risarcimento del danno in quanto il danno va concretamente dimostrato, tanto più che, nella specie, per la situazione di conflittualità certamente creata a Belluno la G. è stata “premiata” con il conferimento di un [continua..]
SOMMARIO:

1. Premessa. Fatti di causa - 2. La disciplina dei dirigenti pubblici: assegnazione degli incarichi e valutazione delle performance - 3. Carattere premiale dell'indennità di risultato - 4. Il danno patrimoniale da perdita di chance - 5. Conclusioni - Note


1. Premessa. Fatti di causa

La sentenza che si annota offre spunti di riflessione in materia di assegnazione di incarichi dirigenziali nella Pubblica Amministrazione, ossia sulle conseguenze derivanti dal mancato rispetto delle procedure amministrative dell'assegnazione degli incarichi stessi. In particolare, la vicenda prende le mosse dal ricorso presentato da una dirigente dell'Agenzia del Territorio della Provincia di Belluno, avverso sentenza della Corte di Appello di Venezia con cui, benché venisse dichiarata l'illegittimità della procedura amministrativa di valutazione dell'operato dirigenziale, non si riteneva condivisibile l'assunto per il quale dall'illegittimità del provvedimento nasca automaticamente il diritto al risarcimento del danno. La ricorrente denunciava di aver avuto conoscenza degli obiettivi da raggiungere per l'anno 2003, soltanto nel gennaio 2005 in sede di colloquio per la valutazione dell'attività svolta. Valutazione peraltro conclusasi con esito negativo, proprio in ragione del mancato raggiungimento dei suddetti obiettivi e per la quale, conseguentemente, non le veniva erogata la corrispondente indennità di risultato. La dirigente ricorreva, dunque, per ottenere ristoro al pregiudizio subito, inteso quale perdita di chance, da computarsi in misura corrispondente alla retribuzione di risultato non percepita che, se solo avesse conosciuto gli obiettivi da raggiungere in tempi congrui, con molta probabilità avrebbe ottenuto, visto il suo curriculum professionale. La Corte di legittimità trova ivi occasione per chiarire quali debbano essere i criteri da utilizzare per il riconoscimento e la determinazione del risarcimento del danno così patito, anche facendo richiamo a precedenti decisioni.


2. La disciplina dei dirigenti pubblici: assegnazione degli incarichi e valutazione delle performance

La disciplina degli incarichi dirigenziali nella Pubblica Amministrazione, come del resto la disciplina del lavoro pubblico in generale, è prevalentemente contenuta nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, meglio noto come Testo Unico del pubblico impiego (TUPI). Per quanto non regolato dal testo unico, ovvero dalla legislazione speciale, trovano applicazione le norme del codice civile e le leggi sul rapporto di lavoro subordinato nell'impresa, la contrattazione collettiva di comparto ed eventualmente di secondo livello, nonché il contratto individuale di lavoro. Il D.Lgs. 165/2001 è stato oggetto di numerosi interventi di modifica, di cui certamente il più importante va rintracciato nel D.Lgs. del 27 ottobre 2009, n.150, meglio noto come “Riforma Brunetta”, di recepimento della legge delega del 4 marzo 2009, n. 15; successivamente modificato dalla più recente “Riforma Madia”, introdotta con legge delega del 7 agosto 2015[1]. Tutti i suddetti provvedimenti sono accumunati dalla volontà di procedere al compimento della cosiddetta “privatizzazione del pubblico impiego”, iniziata negli anni Ottanta e finalizzata, oltre che a rendere sempre più efficiente, efficacie e trasparente l'attività delle pubbliche amministrazione, all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico[2]. In tal contesto, si tende ad assimilare il pubblico dirigente al manager del settore privato. Questi, inteso quale figura indispensabile per assicurare il progressivo miglioramento della qualità delle prestazioni erogate al pubblico, viene sempre più responsabilizzato[3]. A tal fine gli viene conferita piena autonomia operativa nell'am­bito degli obiettivi e dei programmi fissati dagli organi di governo. Così, ai sensi dell'art. 4 TUPI gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi e i programmi da attuare; viceversa spetta ai dirigenti l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane e strumentali e di controllo[4]. I dirigenti sono, dunque, responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati e agli organi di direzione politica spetta, [continua ..]


3. Carattere premiale dell'indennità di risultato

La Cassazione segue un orientamento ormai costante nel ritenere che la retribuzione di risultato debba intendersi come retribuzione avente carattere “premiale” e, dunque, in ogni caso strettamente connessa alla verifica del merito. Così, ad esempio, in una controversia nella quale la pubblica amministrazione non aveva provveduto a dare avvio alla fase di valutazione, la Corte di legittimità – facendo espresso richiamo agli artt. 6,8,9 e 10 del CCNL del comparto Regioni e autonomie locali sulla revisione del sistema di classificazione professionale del 31 marzo 1999 – definisce la retribuzione di risultato come retribuzione a carattere “premiale”, legata alla positiva valutazione dell'attività svolta dai dipendenti[11]. Ciò comporta che anche laddove l'ente non provveda all'organizzazione e/o avvio della procedura di valutazione, deve in ogni caso compiersi una valutazione dell'operato; sicché, sarà onere del dirigente quantomeno allegare in giudizio la sussistenza dei presupposti per l'erogazione della retribuzione accessoria, non potendo il giudice condannare l'ente all'erogazione della stessa automaticamente e sull'unico presupposto del mancato avvio della procedura di valutazione[12]. Se da un lato, la mancata adozione del sistema di valutazione non esenta in ogni caso l'ente dall'erogazione dell'emolumento poiché, se così fosse, non si potrebbe più parlare di “premialità” ma di “discrezionalità”; dall'altro una valutazione è pur sempre necessaria trattandosi di un emolumento che certamente non è suscettibile di corresponsione “automatica”. Del resto, dello stesso avviso è la Corte dei conti che ha condannato l'attribu­zione delle indennità di risultato in assenza del raggiungimento e/o dell'indicazione degli obiettivi[13]. La retribuzione di risultato, quale forma di incentivazione della produttività, è collegata a valutazioni, criteri e procedure particolarmente accurate sancite dall'art. 6 del CCNL 31 marzo 1996[14], dunque, «la generale erogazione, con stereotipa motivazione” costituisce danno erariale»[15]. Non si tratta di una forma atipica di aumento retributivo, ma ha la precisa finalità di compensare l'operato dei dirigenti (ovvero dei dipendenti in generale) per il raggiungimento di finalità migliorative dello [continua ..]


4. Il danno patrimoniale da perdita di chance

La Corte, dando continuità a precedenti pronunce, delibera che nei casi quali quello in esame il danno debba essere configurato come “danno da perdita di chance”. Precisamente, nel cassare la sentenza enuncia il seguente principio di diritto a cui dovrà attenersi il giudice di rinvio: «in una controversia in materia di pubblico impiego contrattualizzato, il giudice ordinario se accerta l'illegittimità del procedimento amministrativo di valutazione negativa di un dirigente per mancato raggiungimento degli obiettivi da perseguire – nella specie per l'illogicità derivante dall'avvenuta indicazione degli obiettivi stessi con un abnorme ed immotivato ritardo rispetto al periodo nel quale gli stessi avrebbero dovuto essere raggiunti – non può certamente sostituirsi all'organo deputato ad effettuare la verifica dei risultati che condiziona la corresponsione dell'indennità di risultato e, quindi, commisurare automaticamente la condanna dell'ente datore di lavoro a risarcire i danni richiesti all'indennità di risultato non percepita dal dirigente. Tuttavia, in base al principio consolidato secondo cui la perdita di chance è dimostrabile anche per presunzione e la relativa liquidazione è necessariamente equitativa, il giudice non può neppure escludere in radice la sussistenza del diritto al risarcimento dei danni per perdita di chance, ritualmente richiesto». Gli Ermellini distinguono, dunque, i due piani d'indagine a cui può essere chiamato il giudice. Un conto è procedere alla cosiddetta “valutazione delle performance”; altro è procedere all'accertamento e/o alla liquidazione del danno per mancato rispetto della procedura amministrativa. Benché il giudice non possa in alcun modo sostituirsi all'organo di valutazione e dunque automaticamente ritenere sussistente il diritto all'erogazione della prestazione di risultato; egli potrà viceversa verificare la sussistenza del danno e provvedere alla liquidazione dello stesso. La giurisprudenza, nel configurare il danno in parola nella fattispecie del “danno da perdita di chance”, riconosce al dirigente il diritto ad ottenere ristoro per un danno futuro. Con tale nozione si intende, infatti, la perdita attuale della possibilità futura di ottenere un risultato utile, in ciò differenziandosi dalla perdita di un mero vantaggio economico[18]. La [continua ..]


5. Conclusioni

Ebbene, con la sentenza in commento la Suprema Corte ribadisce il proprio orientamento, perfettamente sintetizzato nel principio di diritto sopra testualmente riportato, secondo cui sebbene il giudice di merito non possa sostituirsi all'organo di valutazione, ciò non toglie che il dirigente che abbia subito un pregiudizio a causa dell'illegittimità del procedimento amministrativo di valutazione possa essere riconosciuto il diritto a ricevere l'indennità di risultato, non già quale “premio” per l'attività prestata, bensì quale ristoro al pregiudizio subito.


Note