Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Il riposo giornaliero nel comparto sanità e la sua derogabilità ad opera della contrattazione collettiva (di Sebastiano Castellucci, Dottorando di ricerca in Diritto del lavoro nell’Università degli studi di Bologna.)


La sentenza in commento permette di esaminare il diritto alle undici ore di riposo giornaliero in un comparto, quale quello della sanità, caratterizzato dall’esigenza di garantire la continuità del servizio. La particolare relazione che in materia sussiste tra il diritto all’integrità psico-fisica dei lavoratori e il diritto a ricevere le cure degli utenti non determina cambiamenti alla disciplina generale apprestata dal legislatore, ma induce certamente gli interpreti a trovare un giusto equilibrio tra gli interessi sostanziali in gioco, entrambi costituzionalmente garantiti. Le deroghe della contrattazione collettiva al regime dei riposi incontrano quindi dei limiti, per garantire almeno una “protezione appropriata” ai lavoratori.

This judgement allows to examine the right to daily rest period of eleven hours in the healthcare system, characterized by the need to ensure continuity of service. The peculiar relationship in this field between the workers’ right to physical and psychological health and the right of users to be treated does not modify the application of general discipline relating to working time. Interpreters, however, must strike a fair balance between the interests at stake, both constitutionally guaranteed. Derogations set out in collective bargaining from the rules on rest periods, therefore, have to provide employees with at least an “appropriate protection”.

Keywords: working time – daily rest – compensatory rest – healthcare – weekly rest

TRIBUNALE DI MODENA, 24 GENNAIO 2020 La disciplina del riposo giornaliero, di cui all’art. 7 del d.lgs. n. 66/2003, non è violata se le deroghe alla sua operatività sono previste dal contratto collettivo nazionale di riferimento. L’abrogazione del c. 6-bis dell’art. 17 del d.lgs. n. 66/2003 non esclude l’applicazione delle deroghe contrattuali attuative dell’art. 17, c. 1, del d.lgs. n. 66/2003. (Omissis) Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. Con ricorsi depositati entrambi in data 19.10.2018 le parti ricorrenti proponevano opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione (Omissis) emessa dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Modena in data 14.09.2018, notificata in data 19.9.18 quanto ad Azienda ospedaliero-Universitaria di Modena Policlinico ed in data 20.9.18 quanto a (Omissis), con la quale è stato ingiunto il pagamento della somma complessiva somma di € 2.415,90. Il procedimento in opposizione radicato da (Omissis) veniva riunito al presente procedimento per connessione ex art. 274 c.p.c. con provvedimento del 6.3.19. La sanzione amministrativa quivi opposta veniva erogata per il mancato rispetto dei turni di riposo dei lavoratori ospedalieri e, nello specifico, per le seguenti violazioni: a) RIPOSO GIORNALIERO – Art. 7 e 18 bis del D.lgs n. 66/2003 come modificato dall’art. 7 L. 183/2010 e dal DL 145/2013 conv. con L. 9/2014 per non aver consentito il riposo giornaliero di almeno undici ore ai n. 27 lavoratori indicati nelle pagg. 4 e 5 del verbale unico. Parti opponenti eccepivano l’insussistenza della violazione posta le legittime deroghe ai turni di riposo previste dalla contrattazione collettiva e, in sintonia con la normativa vigente, l’applicabilità al personale OSS del contratto collettivo del comparto sanità. Veniva altresì rilevata la sussistenza delle ragioni obiettive ed eccezionali legittimanti le deroghe alle prescrizioni in materia di riposo giornaliero del personale e comunque rilevata l’eccessività dalla sanzione erogata, con conseguente richiesta, in via subordinata, della sua riduzione. L’opposta Amministrazione, costituitasi in giudizio, affermava la correttezza delle contestazioni effettuate. La causa veniva istruita mediante produzioni documentali e l’escussione di testimoni. L’opposizione è fondata e va accolta. La questione centrale della vicenda (e punto controverso tra le parti) è l’ammis­sibilità di deroghe al regime dei riposi giornalieri di cui all’art. 7 del D.lgs. 66/2003. Con l’entrata in vigore della L. 161/2014, e, segnatamente, ai sensi dell’art. 14 della citata legge, è stata espressamente abrogato il comma 6-bis dell’art. 17 D.Lgs. 66/2003 che escludeva l’applicabilità al personale del ruolo sanitario del Servizio Sanitario [continua..]
SOMMARIO:

1. Premessa. La tutela della salute e la limitazione dell’orario di lavoro - 2. I fatti di causa in un quadro giuridico segmentato - 3. Il diritto al riposo giornaliero - 4. La derogabilità del riposo giornaliero da parte della contrattazione collettiva - NOTE


1. Premessa. La tutela della salute e la limitazione dell’orario di lavoro

Il diritto alla salute, quale aspettativa qualificata di essere curati, costituisce una delle più significative espressioni dello Stato nella sua evoluzione sociale. Le relazioni giuridiche che si creano tra utenti e servizio sanitario nazionale si distinguono da quelle orizzontali – proprie delle obbligazioni, anche di lavoro – in virtù del principio di autorità di cui ancora gode l’amministrazione nell’esercizio della funzione pubblica [1]. Il diritto fondamentale sancito dall’art. 32 Cost. si deve quindi confrontare con la concreta organizzazione dei servizi da parte delle amministrazioni pubbliche, a loro volta vincolate alle scelte di politica di bilancio espresse dal legislatore. L’impegno della Repubblica di tutelare la salute, nel contesto delle relazioni di lavoro e con specifico riguardo al profilo della durata della prestazione, viene assunto dai c. 2 e 3 dell’art. 36 Cost. In questa seconda parte dell’articolo confluiscono una serie di valori supremi, a cominciare appunto dalla salute, ora intesa quale integrità psico-fisica e stato di completo benessere della persona, abbracciando anche il rispetto della dignità umana e la partecipazione ai doveri di solidarietà politica, economica e sociale nonché alla vita di comunità [2]. Il legame tra orario di lavoro e garanzia del diritto alla salute del prestatore ha trovato riconoscimento anche sul piano delle fonti europee [3]. In particolare, con la direttiva 23 novembre 1993, n. 104, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, il Consiglio ha stabilito “prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro” (art. 1, § 1), secondo una ratio non dissimile da quella della disciplina interna che muove nel senso di assicurare, in via preventiva, una migliore protezione della salute dei lavoratori. Tuttavia, gli scopi prefissati dal legislatore europeo vengono subito ridimensionati e in parte smentiti dagli effettivi contenuti della direttiva. La varietà delle normative nazionali su cui questa doveva incidere e il tentativo di superare le resistenze del Regno Unito hanno, infatti, aperto la strada ad un’ampia flessibilità, che si rinviene nella mancata definizione di un limite all’orario giornaliero di lavoro e nelle rilevanti deroghe [continua ..]


2. I fatti di causa in un quadro giuridico segmentato

La vicenda portata all’attenzione del Tribunale di Modena si sviluppa tutta all’interno del diritto alla salute, alla ricerca di un bilanciamento tra il diritto alle cure degli utenti e il diritto all’integrità psico-fisica dei lavoratori. L’Ispettorato Territoriale del Lavoro, con ordinanza ingiunzione, contestava all’azienda ospedaliera la violazione del diritto alle undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore, riconosciuto in capo ai lavoratori dall’art. 7 del d.lgs. n. 66/2003. In particolare, l’Ispettorato sosteneva che le deroghe alla disciplina del riposo giornaliero previste dalla contrattazione collettiva fossero da ritenere illegittime a seguito dell’en­trata in vigore della l. n. 161/2014 [8]. Tale legge, dal contenuto assai eterogeneo, racchiude all’art. 14 le misure adottate dal Parlamento italiano per ottemperare alla procedura di infrazione n. 2011/4185 avviata ai sensi dell’art. 258 TFUE. La Commissione europea aveva ritenuto violati una serie di articoli della direttiva 2003/88/CE, tra cui l’art. 3 concernente il riposo giornaliero, da parte del d.l. n. 112/2008. L’art. 41, c. 13, aveva infatti escluso il personale delle aree dirigenziali degli Enti e delle Aziende del Servizio Sanitario Nazionale dalle garanzie della durata massima del lavoro giornaliero e settimanale [9]. Nell’adempiere agli obblighi imposti dall’Unione con l’abrogazione di quest’ul­tima disposizione, il legislatore nazionale ha contestualmente eliminato anche il c. 6-bis dell’art. 17 del d.lgs. n. 66/2003, inserito dalla legge finanziaria 2008 (art. 3, c. 85, l. n. 244/2007). Il c. 6-bis dell’art. 17 escludeva dall’applicazione del regime dei riposi giornalieri il personale del ruolo sanitario del SSN, «per il quale si fa riferimento alle vigenti disposizioni contrattuali in materia di orario di lavoro, nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori». Già l’art. 17, § 3 della direttiva 2003/88/CE riconosceva agli Stati membri la possibilità di derogare con legge alla disciplina del riposo giornaliero “per le attività caratterizzate dalla necessità di assicurare la continuità del servizio o della produzione, in particolare, quando si tratta: i) di servizi relativi [continua ..]


3. Il diritto al riposo giornaliero

Nel nostro ordinamento, il principio per cui il lavoratore ha diritto a undici ore di riposo consecutivo ogni ventiquattro ore è stato introdotto, per la prima volta, dal d.lgs. n. 66/2003 [15]. In precedenza, infatti, la legge si limitava a stabilire esplicitamente la durata minima di riposo quotidiano solo per specifiche categorie di lavoratori (come, ad esempio, l’art. 8 della l. n. 339/1958 per i lavoratori domestici) [16], senza che vi fosse alcuna disposizione generale che lo imponesse a tutti i rapporti di lavoro. La funzione propria del riposo quotidiano è garantire uno spazio temporale minimo tra prestazioni rese in due giornate di lavoro successive. Si lega dunque alla collocazione dell’orario di lavoro, ancor più che alla sua estensione, e mira ad arginare il relativo potere datoriale. Tuttavia, la scelta del legislatore di non prevedere la durata massima giornaliera della prestazione ha fatto assumere indirettamente tale compito alla disciplina del riposo quotidiano. In questo modo, nell’art. 7 del d.lgs. n. 66/2003 confluiscono due profili diversi della tutela della salute del lavoratore. Il vincolo della durata giornaliera impedisce un eccessivo logoramento delle forze del lavoratore e limita il carico di lavoro quotidiano, mentre il periodo minimo di riposo consente il recupero delle energie psico-fisiche e salvaguarda uno spazio di tempo libero. I due profili si integrano tra loro, ma per assicurare “una tutela reale ed effettiva” ciascuno deve mantenere una sua autonomia concettuale distinta anche sul piano giuridico [17]. D’altronde, la fonte del riposo minimo è comunitaria e la sua traduzione nell’ordinamento interno non pone problemi di congruità con la direttiva. Il principio della limitazione della giornata lavorativa è richiesto dall’art. 36, c. 2, Cost., e al contrario la sua individuazione fatta per sottrazione solleva dubbi di costituzionalità che diventano stringenti quando il limite delle undici ore di riposo è derogato [18]. Il d.lgs. n. 66/2003 ha disciplinato, in maniera unitaria, tempo di lavoro e tempo di non lavoro, in linea con l’impianto della direttiva e con l’idea che non andassero frazionati i segmenti nei quali si svolge un’esistenza continuativa [19]. Ritrovata questa concordia, si spiega come la definizione del periodo di riposo sia intrecciata con quella di orario [continua ..]


4. La derogabilità del riposo giornaliero da parte della contrattazione collettiva

La direttiva 23 novembre 1993, n. 104, figlia del compromesso realizzato dal Consiglio tra le esperienze giuridiche continentali europee e la tradizionale grande apertura britannica verso la flessibilità [28], ha mantenuto anche nella sua versione consolidata, la direttiva 2003/88/CE, rilevanti aspetti contraddittori. Ciò emerge con evidenza nella seconda parte dell’atto legislativo (Capo 5), che privando “di ogni effetto imperativo” le regole poste dalla prima parte ha portato la dottrina a definire la direttiva in termini di “testo schizoide” [29]. La fedele riproduzione, nell’ordinamento interno, di tale articolazione elastica ha avuto conseguenze significative che hanno interessato pure l’operatività del prin­cipio del riposo giornaliero. Già l’art. 7 mostra come il suo contenuto non sia indefettibile, perché esclude la fruizione in modo consecutivo del riposo per “le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata o da regimi di reperibilità”. Ma è soprattutto l’art. 17 che rivela quanto siano penetranti le facoltà di deroga in materia. Circoscrivendo l’analisi al primo comma, si nota come il legislatore abbia affidato all’autonomia collettiva la competenza a disapplicare tutta una serie di disposizioni del d.lgs. n. 66/2003 (tra cui appunto l’art. 7), senza alcuna limitazione per settori o tipologie di rapporti. Tali deroghe, definite incondizionate proprio per l’as­senza di presupposti oggettivi che le giustificano [30], sono vincolate soltanto alla fonte da cui promana la deroga, ovvero i «contratti collettivi stipulati a livello nazionale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative» nonché, se questi mancassero, ma solo per il settore privato, «i contratti collettivi territoriali o aziendali stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale». Siffatta rilevante apertura si pone, del resto, in coerente attuazione dell’impegno di rispettare pienamente il ruolo della autonomia negoziale collettiva, assunto all’art. 1 del decreto [31]. L’obiettivo di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori porta però il legislatore a mitigare le deroghe previste dalla contrattazione collettiva (oltre che [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2020