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Il licenziamento per falsa attestazione della presenza in servizio al vaglio della corte Corte costituzionale: “comunque” sia, al giudice spetta il controllo di proporzionalità

Giuseppe Antonio Recchia, Ricercatore di Diritto del Lavoro nell’Università di Bari “Aldo Moro”.

L’autore commenta la prospettata incostituzionalità della previsione dell’art. 55-quater, c. 1, lett. a), d.lgs. n. 165/2001, relativa al licenziamento disciplinare per falsa attestazione della presenza in servizio, se qualificato come automatismo sanzionatorio. La Corte costituzionale, con la decisione n. 123/2020, nel dichiarare la questione inammissibile, finisce comunque per dichiarare implicitamente la coerenza di un “diritto vivente” che ha fornito di quella norma una interpretazione adeguatrice e coerente con i principi costituzionali.

The Author comments on the alleged constitutional breach of the provision of art. 55-quater, para. 1, letter a), of Legislative Decree no. 165/2001, relating to disciplinary dismissal for false attestation of presence in service, if qualified as a sanctioning automatism. The Constitutional Court, with decision no. 123/2020, in declaring the question inadmissible, however, ends up implicitly declaring the coherence of a “living law” which has provided an adequate and consistent interpretation of that provision in line with the constitutional principles.

L’art. 55-quater, comma 1, D.lgs. n. 165/2001, limitatamente alla parte in cui prevede che la sanzione disciplinare del licenziamento, nell’ipotesi di falsa attestazione della presenza in servizio, si applichi «comunque», pone una questione di costituzionalità in riferimento agli artt. 3, primo comma, 4, primo comma, 24, primo comma, 35, primo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 24 della Carta sociale europea, riveduta, fatta a Strasburgo il 3 maggio 1996, e ratificata con Legge n. 30/1999. La disposizione è invero inequivoca nell’introdurre un automatismo sanzionatorio; il suo tenore letterale preclude interpretazioni adeguatrici e conduce alla cessazione anticipata del rapporto di lavoro, quale epilogo normativamente necessitato in tutti i casi in cui il precetto in questione trovi applicazione. Il ricorrente agisce per l’accertamento dell’illegittimità del recesso [continua ..]

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Sommario:

1. Il caso e il rinvio incidentale alla Corte costituzionale - 2. Il licenziamento disciplinare ex art. 55-quater, d.lgs. n. 165/2001: evo­luzione e problemi interpretativi - 3. Il licenziamento per falsa attestazione della presenza in servizio quale possibile eccezione al principio di proporzionalitā - 4. La decisione della Corte costituzionale e il suo significato - NOTE


1. Il caso e il rinvio incidentale alla Corte costituzionale

Sollecitata dal Tribunale di Vibo Valentia, la Corte costituzionale torna ad occuparsi dell’art. 55-quater, d.lgs. n. 165/2001 sul licenziamento disciplinare del pubblico dipendente, a poca distanza dalla sentenza n. 61/2020 [1]. Questa volta, però, è chiamata a sciogliere lo snodo ermeneutico centrale della fattispecie che, come disegnata nell’ultimo decennio dal legislatore, sembra rappresentare un vero e proprio automatismo sanzionatorio per i comportamenti tipizzati ex lege. Di più, oggetto dell’analisi dei giudici costituzionali è proprio la falsa attestazione della presenza in servizio che, nell’ampia e variegata casistica del primo comma dell’art. 55-quater, meglio racconta «dell’illusione circa le virtù taumaturgiche della legislazione» [2] di contrasto all’assenteismo pubblico [3]. Benché la questione si chiuda tecnicamente con un nulla di fatto – la pronuncia [continua ..]

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2. Il licenziamento disciplinare ex art. 55-quater, d.lgs. n. 165/2001: evo­luzione e problemi interpretativi

L’analisi dell’ordinanza di rinvio e della sentenza costituzionale deve prendere necessariamente le mosse dalla complessiva valutazione della regolazione del potere disciplinare nel rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni che, rimasta originariamente al margine dell’interesse del legislatore nel percorso di privatizzazione e contrattualizzazione [5], ha conosciuto, a partire dal 2009, una strategica centralità: da un lato, infatti, funge da strumento repressivo di comportamenti giudicati riprovevoli (ivi compreso il fenomeno dei cd. furbetti del cartellino) e stigmatizzati, indipendentemente dalle loro effettive dimensioni, anche in ragione del loro clamore mediatico [6]; dall’altro, è pungolo di una efficienza e produttività degli uffici pubblici, parole d’ordine e magnifica ossessione delle logiche aziendaliste sottese alla riforma [7]. Come è noto, il d.lgs. n. 150/2019 – [continua ..]

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3. Il licenziamento per falsa attestazione della presenza in servizio quale possibile eccezione al principio di proporzionalitā

Se questo è il quadro complessivo, non si può nascondere come l’ipotesi del licenziamento legato alla «falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’al­terazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente» (art. 55-quater, c. 1, lett. a) possa rivelarsi alquanto problematica: la norma-ma­ni­festo della lotta ai fannulloni rischia di diventare, nella sua categoricità, la “notte in cui tutte le vacche sono nere” [32]. Alcune delle perplessità stanno nella stessa costruzione della condotta, su cui, come ricordato, è intervenuto il d.lgs. n. 116/2016, aggiungendo all’art. 55-quater il c. 1-bis. In ogni caso, anche dopo l’introduzione della definizione di «falsa attestazione della presenza in servizio», la fattispecie dell’illecito disciplinare che qui si osserva resta strutturalmente aperta e teleologicamente [continua ..]

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4. La decisione della Corte costituzionale e il suo significato

Come già anticipato, i giudici costituzionali hanno dichiarato l’inammissibilità della questione di legittimità sollevata dal giudice a quo per non avere questi tenuto conto, in termini esaustivi, dell’interpretazione adeguatrice resa dal diritto vivente. Invero, la Consulta ha rilevato come il Tribunale rimettente, pur mostrando di conoscerla, si è limitato ad affermare che l’interpretazione adeguatrice seguita dalla dottrina e dalla giurisprudenza, specialmente di legittimità, sia semplicemente antiletterale. Ed invece, l’enfasi posta sull’avverbio «comunque» come spia di un licenziamento disciplinare automatico avrebbe dovuto essere messa a confronto con un quadro normativo in cui permane, anche dopo la riforma del 2009, il testuale richiamo all’art. 2106 c.c., ossia un rinvio diretto al canone generale di proporzionalità delle sanzioni disciplinari; né è stato sufficientemente [continua ..]

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NOTE

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