Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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La risalente disciplina pubblicistica del periodo di comporto dei docenti e ricercatori universitari (di Leonardo Battista, Assegnista di ricerca in Diritto del lavoro nell’Università di Bologna)


l presente lavoro si propone di analizzare il tema relativo al computo del periodo di comporto nel pubblico impiego non privatizzato. Questo istituto viene affrontato alla luce dell’intervento della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 68, c. 3, del d.P.R. n. 3/1957 che non esclude i periodi di ricovero ospedaliero o quelli dovuti alle conseguenze certificate delle terapie salvavita dal computo dei 18 mesi di assenza per malattia previsti per i docenti e ricercatori universitari.

Parole chiave: Lavoro pubblico – Università – Ricercatori – Periodo di comport – terapie oncologiche.

 

The essay focuses on the issue of the calculation of the period of absence related to illness in the non-privatized public service. This topic has been recently under scrutiny of the Constitutional Court, that within the ruling no. 28/2021, stated the illegitimacy of art. 68, third point of the d.P.R. n. 3/1957 which does not exclude periods of hospitalization or related to certified consequences of life-saving therapies from the calculation of the 18 months of absence due to illness provided for university professors and researchers.

Keywords: Public employee – University – Researcher – Maximum period of absence for sickness leave – Oncological therapies – Unconstitutionality.

MASSIMA: Fondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 68, comma 3, del DPR 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), sollevata in riferimento agli artt. 3 e 32 della Cost., nella parte in cui, per il caso di gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti, non esclude dal computo dei consentiti diciotto mesi di assenza per malattia, i giorni di ricovero ospedaliero o di day-hospital e quelli di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle terapie. PROVVEDIMENTO:   Omissis) 1. Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, con ordinanza del 3 luglio 2019, iscritta al n. 195 del reg. ord. 2019, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 68, comma 3, del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione. 2. La suddetta norma è sospettata di illegittimità costituzionale nella parte in cui "per il caso di "gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti" non esclude dal computo dei consentiti 18 mesi di assenza per malattia i periodi non computabili secondo l’art. 35, comma 14, del c.c.n.l. 2006-2009 – comparto Università, vale a dire i "giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital e quelli di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle terapie"". 3. Il rimettente premette che il TAR Sicilia, Catania, sezione prima, era stato adito dalla professoressa P. M., ricercatrice universitaria confermata, presso un dipartimento dell’Università di M. Alla stessa era stata diagnosticata una grave patologia che aveva comportato la sottoposizione ad esami clinici, ad un intervento chirurgico e, successivamente, a terapie salvavita (radioterapia e terapia farmacologica). Con decreto del rettore, l’Università aveva proceduto al recesso datoriale dal rapporto di lavoro, per scadenza del periodo massimo di aspettativa per motivi di salute. Il TAR Sicilia, nel rigettare l’impugnazione del recesso, aveva escluso che potesse trovare applicazione la disciplina contenuta nel Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) relativo al personale del comparto Università per il quadriennio normativo 2006-2009, in quanto il rapporto di lavoro dei docenti e dei ricercatori universitari era sottoposto ad uno statuto speciale di diritto pubblico, disciplinato dal D.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica). In particolare, la ricorrente aveva invocato l’applicazione dell’art. 35, comma 14, del suddetto contratto collettivo, che stabilisce che, in caso di gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente [continua..]
SOMMARIO:

1. I fatti di causa - 2. Il rapporto tra assenza per malattia e terapia salvavita nel pubblico impiego privatizzato e non - 3. Il ragionamento della Corte costituzionale: tra arretratezza della disciplina pubblicistica e maggior dinamicità della contrattazione collettiva - 4. Osservazioni conclusive - NOTE


1. I fatti di causa

Con la sentenza n. 28/2021, la Corte costituzionale, sollecitata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia, si è pronunciata sulle regole applicabili in tema di malattia e composizione del periodo di comporto in regime di diritto pubblico. La Corte costituzionale ha avuto occasione di affrontare tale istituto nel quadro di un rapporto di lavoro pubblico non privatizzato riguardante una ricercatrice universitaria, dovendo valutare se il periodo di comporto dovesse essere esteso in caso di terapie salvavita, escludendo tali periodi dal conteggio, o se le assenze conseguenti a tali terapie invalidanti non dovessero essere escluse dal periodo di massimo di comporto, computandole ai fini del suo superamento, come previsto dall’art. 68, c. 3, del d.P.R. n. 3/1957. La vicenda prende le mosse dal ricorso proposto da una ricercatrice universitaria avverso il decreto rettorale con il quale l’Università di Messina aveva proceduto al recesso dal rapporto di lavoro. La motivazione alla base del recesso riguardava il superamento da parte della ricorrente del periodo di aspettativa per motivi di salute, disciplinato dagli artt. 68 e 70 del d.P.R. n. 3/1957; norme che prevedono un periodo massimo di assenza continuativa per malattia pari a 18 mesi e un periodo massimo cumulato tra malattia e motivi di famiglia pari a due anni e mezzo in un quinquennio mobile. La ricercatrice universitaria aveva superato tale periodo in ragione di una grave patologia che aveva comportato la sottoposizione ad esami clinici, ad un intervento chirurgico e a terapie salvavita di natura oncologia tale da rendere temporaneamente impossibile adempiere ai propri doveri d’ufficio. Il ricorso da parte della ricercatrice, depositato presso il T.A.R. Sicilia nel 2015, si basava sulla richiesta di applicazione, da parte del Tribunale amministrativo, del­l’art. 35, c. 14, del CCNL relativo al personale del comparto Università (2006/2009) anche al rapporto di lavoro dei docenti e dei ricercatori universitari, sottoposto ad uno statuto speciale di diritto pubblico e disciplinato dal d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 [1]. La ricorrente invocava l’applicazione del medesimo trattamento garantito ai dipendenti pubblici del comparto Università in caso di gravi patologie necessitanti di terapie salvavita, che garantiva l’esclusione dal computo dei giorni di assenza per malattia, oltre che dei giorni di ricovero [continua ..]


2. Il rapporto tra assenza per malattia e terapia salvavita nel pubblico impiego privatizzato e non

La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia riguardante la disciplina pubblicistica applicabile ai docenti e ricercatori universitari contrapposta a quella di maggior favore di natura privatistica dei dipendenti pubblici del comparto Università permette la valutazione delle sostanziali differenze in materia di assenza per malattia tra i due regimi di impiego. Nei confronti dei primi, esclusi dalla c.d. privatizzazione del pubblico impiego disposta dall’art. 2 d.lgs. n. 29/1993, confluito poi nell’art. 3, c. 2, d.lgs. n. 165/2001 [4], l’assenza per malattia è tuttora regolata dal d.P.R. n. 3/1957 (TU degli impiegati civili dello Stato). Sebbene negli anni si siano susseguite diverse riforme che hanno cercato di riordinare la carriera universitaria [5], queste non hanno però innovato né rivisto la disciplina delle assenze per malattia o per motivi famigliari, se non nel caso delle assenze durante le c.d. visite domiciliari di controllo, dove la disciplina è ormai comune. Per quanto concerne il periodo di comporto, per il personale non contrattualizzato, non sottoposto a norme provenienti dalla contrattazione collettiva di comparto, trovano, come detto, applicazione le disposizioni contenute nel TU degli impiegati civili dello Stato, “ancorché le stesse disposizioni non siano richiamate dalle speciali normative dei rispettivi enti o riguardanti singoli comparti del pubblico impiego, non derogati in ragione della specificità del rapporto” [6]. Il citato art. 68 d.P.R. n. 3/1957 [7] prevede un periodo massimo di assenza per malattia, rubricata sotto il nome di “aspettativa per infermità”, pari a diciotto mesi, durante i quali il lavoratore ha diritto all’intero stipendio per i primi dodici mesi e alla metà di esso per la restante parte. Tale periodo può raggiungere un massimo di due anni e mezzo in un quinquennio mobile [8], come disposto dall’art. 70 d.P.R. n. 3/1957 sul cumulo delle aspettative, se sommato all’aspettativa per motivi di famiglia non retribuita prevista dall’art. 69 del medesimo decreto. Il combinato disposto degli artt. 68-70 del suddetto decreto, però, non riporta alcuna indicazione sull’eventuale esclusione dal computo del periodo di assenza di quei giorni in cui il lavoratore pubblico [continua ..]


3. Il ragionamento della Corte costituzionale: tra arretratezza della disciplina pubblicistica e maggior dinamicità della contrattazione collettiva

La questione di legittimità costituzionale dell’art. 68, c. 3, d.P.R. n. 3/1957 in considerazione degli artt. 3 e 32 Cost. era stata anche invocata, in sede di appello, dalla ricercatrice universitaria. Quanto invocato dalla rimettente, però, mirava a far riconoscere come lesiva dell’art. 3 Cost. sotto il profilo dell’uguaglianza, la differente disciplina applicabile alle due diverse categorie di lavoratori e, dunque, prospettando la prevalenza di una disciplina sull’altra. Tale assunto non è stato condiviso dalla Corte costituzionale, in quanto le caratteristiche strutturali dei due tipi di rapporto di lavoro (docenti universitari/dipendenti pubblici del comparto Università) si sono differenziate ed evolute nel tempo. Una differenza che, come riportato dai Giudici della Corte Costituzionale”, “lungi dal potersi considerare una anomalia, suscettibile di censura ai sensi del principio di uguaglianza” ma che “risponde alle obiettive differenze di status, legate al carattere privatizzato o meno del rapporto”. Queste discipline, infatti, a causa delle intrinseche differenze legate alla privatizzazione o alla natura pubblicistica del rapporto non sono suscettibili di un confronto diretto, né è possibile applicare una di queste nei confronti dell’altra, così come richiesto in entrambi i gradi dalla ricercatrice. Tuttavia, come evidenziato dalla Corte costituzionale, “il mancato riconoscimento del periodo di comporto manifesta una intrinseca irrazionalità che lo rende costituzionalmente illegittimo per violazione, sotto questo diverso profilo, dell’art. 3 Cost, con assorbimento del residuo parametro (art. 32 Cost.)”. Nel ragionamento dei Giudici costituzionali viene posta in luce l’irrazionalità della diversa disciplina tra docenti e ricercatori universitari e pubblico impiego privatizzato [13]. La disciplina pubblicistica prevista dall’ormai risalente d.P.R. n. 3/1957 è legata ad un “ritardo storico del legislatore rispetto alla contrattazione collettiva”, visto che quest’ultima, con la sua dinamicità e le continue negoziazioni tra le parti, ha tenuto conto dello sviluppo dei protocolli di cura per le gravi patologie, tra cui quelle che richiedono l’intervento delle c.d. terapie salvavita. La contrattazione collettiva, infatti, tramite l’esclusione di queste [continua ..]


4. Osservazioni conclusive

In definitiva, alla luce di quanto prospettato, è totalmente condivisibile la decisione della Corte costituzionale di dichiarare costituzionalmente illegittimo il d.P.R. n. 3/1957 nella parte in cui non esclude dal computo dei periodi di malattia quei giorni riferiti ai ricoveri ospedalieri o alle terapie salvavita legate a patologie gravi ed invalidanti. Si tratta di un orientamento che elimina così una rilevante discriminazione perpetrata nei confronti dei rapporti di lavoro pubblico non privatizzato, cui si applica una disciplina, quella pubblicistica, estremamente risalente nel tempo. Una disciplina che, al contrario di quella contrattuale collettiva destinata ai dipendenti pubblici privatizzati, non è stata in grado di seguire l’evoluzione delle terapie e dei trattamenti relativi alle gravi patologie a cui queste fanno riferimento, rimanendo ancorata ad una norma di più di cinquanta anni fa che non tiene assolutamente conto delle nuove tecnologie utilizzate in ambito sanitario. Ci si attende, dunque, un intervento del Legislatore per garantire l’evoluzione della disciplina pubblicistica sotto il profilo delle assenze per malattia, sia vista l’il­legittimità costituzionale del c. 3 dell’art. 68 d.P.R. n. 3/1957 dichiarata dalla Corte costituzionale nella sentenza in commento, sia per garantire che i dipendenti pubblici non contrattualizzati ad un’adeguata ed effettiva tutela del diritto alla salute.


NOTE