Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Potestà legislativa statale e riserva sindacale di contrattazione collettiva nella disciplina del lavoro pubblico regionale. A proposito della riforma degli statuti speciali di autonomia (di Enrico Maria Mastinu, Professore associato di Diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Cagliari)


Il saggio analizza criticamente la giurisprudenza della Corte costituzionale sul riparto di competenze fra legge e contrattazione collettiva nella disciplina del pubblico impiego regionale.

Propone una lettura dell’art. 117 Cost., che riconosca: alle regioni ordinarie la competenza sulla sola materia dell’organizzazione amministrativa interna; allo Stato la competenza esclusiva sugli istituti fondamentali o sugli aspetti ordinamentali della disciplina del rapporto di lavoro individuale; al sindacato la competenza sugli elementi particolari dello scambio lavoro retribuzione.

Avanza, infine, una proposta di modifica degli statuti di autonomia delle cinque regioni speciali, che parifichi la loro potestà legislativa a quella delle regioni ordinarie.

Parole chiave: potestà legislativa – competenza – Regioni – riparto – ordinamento civile – pubblico impiego – riserva di contrattazione collettiva.

State legislative competence and union reservation of collective bargaining in the regulation of regional public employment. About the reform of special autonomy statutes

The essay critically analyzes the constitutional court’s jurisprudence on the division of competences between law and collective bargaining in the regulation of regional public employment.

Proposes an interpretation of Article 117 of the Constitution, which would grant: to the ordinary regions the competence only on the internal administrative organization; to the State the exclusive competence on the fundamental institutes or on the ordinamental aspects of the discipline of the relationship of individual job; and to the union the competence on the particular elements of public labor relations.

It concludes with a proposal to amend the statutes of autonomy of the five special regions, which would make their legislative powers equal to those of the ordinary regions.

SOMMARIO:

1. Organizzazione amministrativa delle Regioni e stato giuridico ed economico del personale nel riparto di potestà legislative Stato-Regioni - 2. Legge e contratto collettivo nella disciplina dello stato giuridico ed economico del personale pubblico: un primo regolamento di confini - 3. Riserva di legge statale e riserva di negoziazione collettiva nella disciplina del lavoro pubblico regionale - 4. Lo stato giuridico ed economico del personale regionale negli Statuti di autonomia speciale e nell’art. 117 Cost. - 5. Una proposta per il riassetto della materia. La modifica degli statuti speciali di autonomia - NOTE


1. Organizzazione amministrativa delle Regioni e stato giuridico ed economico del personale nel riparto di potestà legislative Stato-Regioni

Nella disciplina costituzionale del riparto di potestà legislative Stato-Regioni, il fascio di istituti e di rapporti che si suole denominare pubblico impiego è la somma di due grandi componenti: l’organizzazione amministrativa e lo stato giuridico ed economico del personale. La bipartizione, che nella legislazione ordinaria discrimina il regime giuridico degli atti del datore di lavoro pubblico [1], nel diritto costituzionale ha una sua specifica capacità di effetti perché un pressoché unanime consenso circoscrive la potestà legislativa regionale alla sola sfera dell’organizzazione amministrativa degli enti; lo stato giuridico ed economico del personale sarebbe invece nell’esclusivo dominio della legge statale. A questa sistemazione della materia, è noto, si è giunti non per la via lineare della divisione ma per quella laterale della sottrazione. Nell’art. 117 Cost. e nei cinque statuti di autonomia differenziata, l’intero pubblico impiego regionale sarebbe materia ascrivibile alla potestà legislativa di più ampia portata delle Regioni, ma l’accentramento sullo Stato della competenza a regolare i rapporti civili (art. 117, c. 2, lett. l, Cost.) sottrarrebbe, e di fatto ha sottratto, a questi enti la possibilità di disciplinare con proprie leggi lo stato giuridico ed economico del proprio personale [2]. L’angolo visuale del riparto di potestà legislative tende a limitare lo sguardo alla regolazione eteronoma della materia e a mettere in secondo piano il fatto rilevantissimo che il rapporto di lavoro del dipendente pubblico riceve disciplina soprattutto dai contratti collettivi di lavoro. È un difetto di prospettiva che deve essere preliminarmente svelato e poi rettificato.


2. Legge e contratto collettivo nella disciplina dello stato giuridico ed economico del personale pubblico: un primo regolamento di confini

La legge non è capace di dettare l’equilibrio contrattuale dei singoli rapporti di lavoro, pubblici o privati che siano. Omettendo molte precisazioni e molti distinguo, si può dire che vi ostino due fattori. In primo luogo, la legge deve avere caratteri di astrattezza, generalità, atemporalità, per lo più incompatibili con le necessità di regolazione particolare di uno o anche di una massa di rapporti contrattuali, tanto più se questi sono già in atto e hanno carattere continuativo nel tempo, come sono quelli di lavoro. In secondo luogo, il riconoscimento in Costituzione dell’autonomia sindacale rende doveroso che alla protezione degli interessi dei lavoratori attendano, prima di tutto, i lavoratori stessi tramite le loro rappresentanze sindacali [3]. Beninteso: non che alla legge sia inibito disciplinare gli istituti del contratto individuale di lavoro. Lo può e in certa misura lo deve fare, ma limitatamente agli aspetti generali od ordinamentali della disciplina (definizione del tipo contrattuale, regime delle invalidità, risoluzione, inadempimento, responsabilità, danno, prescrizione, accessori dei crediti, trattamento di fine rapporto, ripetizione dell’indebito, modifica delle mansioni, trasferimento, mobilità individuale e collettiva, rapporti fra diversi livelli di contrattazione collettiva, efficacia dei contratti collettivi in rapporto alla legge e ai contratti individuali, etc.); non a quelli che, per distinguerli dai primi, definirei particolari (retribuzione individuale, inquadramento professionale, codici disciplinari, periodi di preavviso, etc.) e che, per questo loro carattere, non possono che essere oggetto di regolazione da parte della contrattazione collettiva e, nei limiti da questa consentiti, dai contratti individuali di lavoro. Solo se e quando lo richiedano la necessità di salvaguardare beni e interessi protetti in Costituzione, cioè in un’ottica di bilanciamento di valori equi o sovra ordinati, il Legislatore ordinario potrebbe invadere l’ambito riservato all’autonomia del Sindacato. E mai nella forma della sostituzione puntuale all’autonomia collettiva nella regolazione dei singoli rapporti di lavoro, bensì in quella della limitazione di certe sue dinamiche, come una lunga esperienza insegna [4]. Se sono vere queste premesse, pur sbrigativamente enunciate, ne dovrebbe [continua ..]


3. Riserva di legge statale e riserva di negoziazione collettiva nella disciplina del lavoro pubblico regionale

La nostra Corte costituzionale accoglie e difende l’idea che la contrattazione collettiva avrebbe uno spazio riservato nella disciplina delle condizioni particolari dello scambio lavoro retribuzione, intangibile in linea di principio dalla legge [7]. E la fonda in modo condivisibile, prima di tutto, sulla valorizzazione costituzionale dell’autonomia sindacale (art. 39 Cost.) [8]. Ma quando la questione è affrontata nel contesto dell’applicazione della disciplina del riparto di competenze legislative Stato-Regioni, sorprendentemente quella riserva non è fatta discendere direttamente dal riconoscimento costituzionale dell’autonomia sindacale e quindi dall’art. 39, ma dall’art. 117 c. 2, lett. l, Cost., cioè dall’accentramento sullo Stato della potestà a disciplinare i rapporti civili. Il che significa, in ultima analisi, non da un vincolo costituzionale diretto ma da una scelta del Legislatore ordinario statale. Il punto è di particolare rilievo: secondo questo opinare, la libertà che la Costituzione garantisce al sindacato nella negoziazione collettiva avrebbe diversi referenti normativi e una diversa gradazione per lo Stato e per le Regioni, cosicché il vincolo che per il Legislatore statale deriverebbe dall’art. 39 Cost., per quello regionale discenderebbe dalla legge ordinaria adottata nell’esercizio della potestà legislativa in materia di ordinamento civile. Per quanto incongruo possa apparire, l’approdo è ineluttabile, date le premesse. La disciplina sul riparto di potestà legislative può costituire, ampliare o ridurre l’area materiale riservata alla fonte legislativa regionale in confronto a quella statale, ma nulla può dire sulla competenza del contratto collettivo. Su questo terreno ci vuole qualcosa d’altro, e se questo qualcosa non è un vincolo costituzionale materiale, cioè per l’appunto il riconoscimento della libertà di azione sindacale, non può che essere una previsione di legge ordinaria. Si spiega così il richiamo costante nella giurisprudenza costituzionale agli artt. 2 e 45, d.lgs. 165/2001, disposizioni sul riparto di competenze fra legge e contratto collettivo nella regolazione del lavoro pubblico, e quindi sulle fonti di disciplina privatistica prima che fonti di natura privatistica esse stesse [9]. Questo articolarsi del [continua ..]


4. Lo stato giuridico ed economico del personale regionale negli Statuti di autonomia speciale e nell’art. 117 Cost.

Quando il tema della riserva di contrattazione collettiva nella disciplina del lavoro pubblico è affrontato con riferimento alle regioni speciali, la riduzione della potestà legislativa ai soli aspetti organizzativi interni del pubblico impiego è fatta derivare non solo dall’accentramento sullo Stato della competenza a disciplinare i rapporti civili ma anche dall’obbligo statutario di rispettare le norme di grande riforma economica e sociale della Repubblica. Forse per puntellare un ragionamento che si avverte bisognoso di maggior sostegno oppure per evitare differenze di regime fra regioni orinarie e speciali, oppure per l’uno e per l’altro motivo, nella giurisprudenza della Corte costituzionale i due limiti, quello del diritto privato e quello delle grandi riforme economico e sociali della Repubblica, sono applicati congiuntamente. Onde la proposizione che le disposizioni di legge, le quali devolvono alla contrattazione collettiva la normazione delle condizioni particolari di lavoro e specificamente gli art. 2 e 45, d.lgs. n. 165/2001 costituirebbero «norma fondamentale di riforma economico-sociale della Repubblica e dettano princìpi che si configurano come tipici limiti di diritto privato» [21]. Se non che, in disparte la considerazione che i due limiti non avrebbero la stessa portata [22], l’assunto che le Regioni speciali dovrebbero sottostare alle norme di grande riforma economica e sociale della Repubblica in materia di pubblico impiego, se contribuisce a ridurre la potestà legislativa delle Regioni speciali entro lo stesso perimetro di quelle ordinarie, sottintende un’idea del rapporto fra la potestà legislativa delle due categorie di Enti che deve essere esplicitata e svolta in tutte le sue implicazioni, come non risulta sia mai stato fino ad ora. Dire che le Regioni speciali devono sottostare alle norme di grande riforma economica e sociale della Repubblica nella disciplina del pubblico impiego domestico presuppone accogliere la premessa che esse hanno conservato condizioni di autonomia maggiori di quelle spettanti alle cugine ordinarie nella materia considerata. Se così non fosse, il limite delle grandi riforme economiche e sociali della Repubblica dovrebbe ritenersi oggi ablato dall’operare della clausola di adeguamento automatico contenuta nell’art. 10, l.c. n. 3/2001 [23]. Ma per quale aspetto, l’autonomia [continua ..]


5. Una proposta per il riassetto della materia. La modifica degli statuti speciali di autonomia

Per uscire dall’impasse non vi sarebbe che una strada: dire con parole franche che, nella Costituzione, la potestà legislativa delle regioni ordinarie nasce limitata agli aspetti organizzativi interni e non si estende anche allo stato economico e giuridico del proprio personale. Nasce; non diventa limitata a cagione dell’incidenza di potestà legislative statali di tipo trasversale. Lo si potrebbe fare con buoni argomenti. Già sul piano strettamente testuale, il criterio di individuazione delle competenze esclusive di nuovo conio delle Regioni ordinarie è quello della non espressa assegnazione della materia allo Stato (art. 117, c. 4, Cost.). E allo Stato l’art. 117, c. 2, lett. g), Cost. attribuisce una potestà letteralmente circoscritta all’ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali. Dal che la conclusione che, nel nuovo testo dell’art. 117 Cost., la potestà legislativa delle Regioni ordinarie dovrebbe avere la stessa estensione materiale ed essere anche essa limitata all’ordinamento e all’organizzazione amministrativa, con esclusione dello stato giuridico ed economico del personale. Sul piano sostanziale varrebbe invece l’osservazione che l’autonomia legislativa degli enti territoriali minori si regge solo se vi è un legame forte con le esigenze peculiari del territorio e della comunità ivi insediata. Nella vicenda del pubblico impiego regionale, questo legame ha avuto e ha sostanza solo per la parte attinente all’organizzazione amministrativa dell’ente (quanti assessorati, quante direzioni generali, quale dislocazione delle sedi sul territorio, quanti enti strumentali, quali dotazioni organiche complessive, etc.); non per lo stato giuridico ed economico del personale. Il collegamento di quest’ultima porzione di materia non è mai stato direttamente con il territorio e gli interessi della comunità locale ma con l’orga­nizzazione degli apparati burocratici, e più nella cultura giuridica che nel diritto positivo [37]. Dopo che le riforme degli anni ’90 del secolo scorso hanno definitivamente sciolto ogni residuo di commistione fra le due componenti della materia, anzi hanno separato nettamente l’una dall’altra, l’attrazione delle ragioni di tutela individuale del dipendente pubblico nella sfera degli interessi organizzativi [continua ..]


NOTE