Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Pubblico e privato nella dispensa dal servizio per incapacità del docente di scuola secondaria (di Roberto Pettinelli, Ricercatore di Diritto del Lavoro nell'Università del Piemonte Orientale)


Prendendo spunto da un caso che ha avuto ampia risonanza sugli organi di stampa, l’Autore si interroga sull’intersezione esistente tra diritto pubblico e diritto privato nell’ambito dello speciale rapporto di lavoro del personale docente di scuola secondaria, con particolare attenzione alla dispensa dal servizio per incapacità. Inoltre, ragiona attorno ai limiti della libertà di insegnamento e, precisamente, attorno al­l’impossibilità di garantire un esercizio negativo della stessa, specialmente a fronte della specifica funzione assunta dal docente con il contratto di lavoro.

Public and private in secondary school teacher's dispensation from service due to incapacity

Inspired by a case that has been widely discussed in the press, the Author inquires into the intersection between public law and private law in the context of the special employment relationship of high school teachers, with particular attention to the dismissal from service due to professional incapacity. Moreover, he reasons around the limits of teaching freedom and around the impossibility of guaranteeing a negative exercise of this freedom, especially in the light of the specific function assumed by the teacher with the employment contract.

MASSIMA: Ai sensi dell’art. 512 d.lgs. n. 297/1994 il provvedimento di dispensa per incapacità non discende da comportamenti colpevoli dell’insegnante e, pertanto, non implica una responsabilità né postula un giudizio di proporzionalità, poiché non ha carattere sanzionatorio, trattandosi di atto che si limita a constatare l’oggettiva inidoneità a svolgere la funzione di docenza. PROVVEDIMENTO: FATTI DI CAUSA 1. Con sentenza n. 227/2018, il Tribunale di Venezia accoglieva la domanda presentata da D.L.C.P., docente di ruolo di storia e geografia sin dall’a.s. 2001/2002, presso diverse sedi della scuola secondaria di secondo grado e destinataria dall’a.s. 2007/2008 di assegnazioni provvisorie annuali (in ragione della sicurezza personale del convivente, ufficiale della Guardia di Finanza), tesa ad accertare l’illegittimità del provvedimento di dispensa ex art. 512 d.lgs. n. 297/1994, emesso nei suoi confronti dalla P.A. il 2 marzo 2017, poco dopo l’ultima sua destinazione a (Omissis), per incapacità didattica, da intendersi come “assoluta e permanente inettitudine alla docenza”. Il giudice del lavoro riteneva, in particolare, che i fatti posti a fondamento del provvedimento di destituzione non fossero supportati da adeguati elementi probatori, non potendo, a tal fine rilevare né i documenti acquisiti a seguito della visita ispettiva ministeriale, né le dichiarazioni di alunni e professori ivi contenute, in quanto il periodo di tale valutazione ispettiva era troppo “stretto e breve” (Omissis). Pur ammettendo una “disorganizzazione e faciloneria” della docente, riteneva che il suddetto limitato periodo di valutazione non potesse certificare un’inettitudine “assoluta e permanente”. In conseguenza, ordinava alla P.A. di reintegrare l’insegnate con pagamento di tutte le retribuzioni, oltre rivalutazione ed interessi, e delle spese di lite. 2. Avverso tale pronuncia proponeva appello il M.I.U.R., contestando sia la valutazione delle prove documentali operata dal giudice di prime cure, sia la sua decisione di non ammettere prove testimoniali sui fatti contestati dalla docente. In particolare, secondo l’appellante, molti dei fatti dedotti, non considerati dal Tribunale quali elementi probatori idonei, erano stati in realtà appresi direttamente dagli ispettori ministeriali e, pertanto, costituivano atti aventi pubblica fede ex art. 2700 c.c. Inoltre, nei registri riportati nei verbali, era documentato il fatto che la docente, su 24 anni di insegnamento, risultava essere stata assente per complessivi 20 anni (di cui i primi 10 totalmente assente e per i residui 14 era in gran parte in malattia, da 40 a 180 giorni per anno), totalizzando, in definitiva, un totale cumulativo di 4 anni di insegnamento che rendeva impossibile esaminare periodi più lunghi di quelli [continua..]
SOMMARIO:

1. La specialità del diritto del lavoro scolastico - 2. La dispensa dal servizio per incapacità didattica - 2.1. Segue. L’inettitudine professionale - 2.2. Segue. Un caso “di scuola”. Natura oggettiva dell’incapacità tra libertà di insegnamento, diritto all’istruzione e interesse dell’amministrazione - 3. La relazione con l’impossibilità sopravvenuta della prestazione - 4. La natura del provvedimento - NOTE


1. La specialità del diritto del lavoro scolastico

La dottrina che si è interessata della privatizzazione dei rapporti di impiego del personale della scuola mostra, ancora, talune incertezze nella comprensione del grado di allontanamento dall’originaria impostazione pubblicistica del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni [1]. In effetti, pare che per essa il principale problema sia stato la giustificazione della specialità del rapporto alla luce del canone costituzionale stabilito all’art. 33 Cost., relativo alla libertà di insegnamento. Per conseguenza, i contributi che si sono occupati del tema hanno guardato al lavoro dei docenti di scuola premurandosi principalmente di garantirne la indispensabile libertà didattica, sia pur nell’ambito dei programmi di insegnamento previsti, ed evitare il perpetrarsi di un controllo o, comunque, un sindacato di merito sulle manifestazioni compiute nella relazione didattica [2], analogo a quello previsto, nel­l’ambito di un sistema in cui lo Stato si premurava di assicurare la formazione culturale della popolazione secondo i dettami del regime, dall’art. 133 r.d. n. 577/1928, laddove condizionava il permanere dello stato di servizio alla piena garanzia di un fedele adempimento dei doveri e all’assenza di condizioni di incompatibilità con le generali direttive politiche del Governo [3]. Astretti entro questa prospettiva di indagine, tuttavia, gli studiosi hanno generalmente sottovalutato di considerare l’imperfetto livello di «osmosi normativa» [4] derivante dal travagliato processo di privatizzazione del lavoro pubblico (a partire dal d.lgs. n. 29/1993) e dalla pressoché coeva riorganizzazione della disciplina in materia di personale scolastico (d.lgs. n. 297/1994). E ciò sebbene all’interprete, chiamato a comprendere e a valutare la compenetrazione di due testi che, pro parte, ambiscono alla regolazione della stessa materia, l’intreccio attuale tra il d.lgs. n. 165/2001 (e, a monte, appunto, il d.lgs. n. 29/1993) e il d.lgs. n. 297/1994 restituisca già a primo sguardo un quadro delle fonti ispirato ad assetti regolativi del tutto antitetici. Ed invero, quest’ultimo decreto, frutto della revisione del D.P.R. n. 417/1974, risulta rigidamente ancorato alla tradizionale disciplina autoritativa del rapporto di impiego, pur a fronte dell’evoluzione del diritto del lavoro pubblico in senso [continua ..]


2. La dispensa dal servizio per incapacità didattica

Uno degli esempi dello strabismo della legislazione in materia è dato – e così ci avviciniamo al tema di nostra competenza – dal provvedimento di dispensa dal servizio per incapacità didattica, con il quale l’Amministrazione dichiara cessato il rapporto di impiego, esonerando i docenti di scuola dall’adempimento di una prestazione di lavoro diventata inutile a fronte della manifestazione di un’inettitudine professionale permanente e assoluta [11]. L’attribuzione di tale potere, già contemplato nel particolare settore che ci occupa dall’abrogato art. 112 d.p.r. n. 417/1974 sulla falsariga dell’art. 129 d.p.r. n. 3/1957 e ora ripreso dall’art. 512 d.lgs. n. 297/1994 [12], trovava il suo fondamento in una particolare (e ormai vetusta) concezione del rapporto di impiego, basato su una posizione di supremazia speciale dell’amministrazione pubblica e sulla funzionalizzazione di poteri e atti di gestione del rapporto all’interesse pubblico, al cui servizio la prestazione di lavoro doveva essere indirizzata [13]. In tal modo, la dispensa veniva tradizionalmente configurata quale tipica misura di autotutela amministrativa diretta a garantire il regolare funzionamento dell’attività scolastica nell’oggettivo interesse dell’istituzione, mediante l’eliminazione delle carenze incidenti negativamente sul­l’efficienza dell’ufficio connesse ad inadeguati comportamenti del personale nel­l’espletamento dei propri compiti [14]. Si giustificava pertanto in base all’esigenza di assicurare il perseguimento dell’interesse pubblico al buon andamento della amministrazione scolastica (art. 97 Cost.) [15] e, in ultima analisi, della soddisfazione, attraverso l’attività di lavoro del dipendente pubblico, della pubblica funzione formativa attribuita allo Stato (art. 33, c. 2 Cost.). La progressiva opera di privatizzazione dell’impiego pubblico, oggi risultante dal d.lgs. n. 165/2001, non ha inciso sulla vitalità dell’istituto [16]. D’altro canto, l’art. 512 cit. non risulta ricompreso nel lungo elenco di disposizioni abrogate o divenute inapplicabili a seguito dell’intervento della contrattazione collettiva per il personale della scuola dal d.lgs. n. 165/2001 (artt. 70 e 71 e Allegato 1, VI), né, stante la natura non disciplinare [continua ..]


2.1. Segue. L’inettitudine professionale

Prima di procedere oltre nell’indagine, converrà a questo punto chiarire in qual senso si possa parlare di un’incapacità tale da giustificare il provvedimento di dispensa e, con ciò, consentire di incamerare una serie di nozioni utili, poi, a trarre le nostre conclusioni. Il concetto di incapacità consiste, sulla base della stratificata giurisprudenza in materia, in un criterio di controllo circa la permanente rispondenza del docente rispetto alla funzione esercitata. Ne fa fede, sul piano storico, l’art. 27 d.CpS. n. 629/1947, il quale, nel prevedere la facoltà di dispensa dal servizio nei confronti dei docenti divenuti inidonei didatticamente a prestare opera proficua alla scuola, instaurava una relazione di corrispondenza tra la stabilità del rapporto di impiego e la permanenza dei requisiti utili allo svolgimento dell’insegnamento, che ne costituisce l’oggetto. L’incapacità attiene, pertanto, al substrato soggettivo della prestazione e deve essere assoluta: ossia, generata «da deficienze obiettive, comportamentali, intellettive o culturali» che manifestino la completa mancanza nel prestatore delle caratteristiche necessarie all’assolvimento degli incarichi di docenza [21]. L’incapacità deve inoltre essere definitiva: per legittimare la dispensa, deve cioè essere tale da impedire ogni possibilità di adempimento futuro, perché l’ostacolo preclude la possibilità che il dipendente ottemperi proficuamente al programma di comportamento previsto dal contratto di lavoro [22]. In tal senso, essa è generalmente identificata nella «inettitudine permanente del docente a svolgere le mansioni inerenti» alla funzione di docenza [23] ovvero nella perdita «dei requisiti minimali», personali e professionali, per adempiervi [24]. Si tratta quindi di un vizio che, data l’immanenza delle qualità personali del lavoratore nel contenuto della prestazione, reagisce sulla stessa esprimendo una valutazione negativa in ordine all’idoneità ad attendere al ruolo professionale attribuito. Ciò lo differenzia dalle altre cause che legittimano l’adozione della dispensa: dal­l’inidoneità fisica, che presuppone l’impossibilità, assoluta o relativa, all’esple­ta­mento delle mansioni, derivante dalle [continua ..]


2.2. Segue. Un caso “di scuola”. Natura oggettiva dell’incapacità tra libertà di insegnamento, diritto all’istruzione e interesse dell’amministrazione

La lettura della disciplina offerta nel precedente paragrafo produce immediatamente un risultato: esclude che la negligenza del docente possa essere considerata criterio di determinazione dell’incapacità, la quale scaturisce invece da un evento indipendente dalla volontà del lavoratore [26] ed è oggettiva, ossia fondata sul fatto materiale della «inidoneità non transeunte a svolgere le mansioni inerenti» alla qualifica professionale [27]. Si pensi all’esempio più agevole ed evidente offerto dalla pronuncia in commento, a ragione ripreso dai maggiori organi di stampa per il clamore suscitato. Qui, il provvedimento di dispensa era stato intimato ad un’insegnante di scuola secondaria, risultata assente dal lavoro per circa 20 anni su 24 di servizio (per complessivi 4 anni di insegnamento «pure frammentato»), che nell’ultimo anno di docenza aveva sostanzialmente disatteso lo svolgimento dell’attività di insegnamento con lezioni improvvisate e tali da dimostrare una carente metodologia di lavoro e un’assegna­zione dei voti disattenta (anche a causa dell’uso continuo del cellulare), quando non casuale, estemporanea e umorale. La Cassazione ha riconosciuto la propensione dell’insegnante ad evitare di attendere all’incarico, riscontrando «impreparazione, incoerenza, confusione didattica» e carenza degli «aspetti “vitali”, “essenziali” dell’insegnare». Ha rilevato come i comportamenti fossero tali da dimostrare la mancanza di «qualsivoglia capacità didattica “residua” della docente». E ha considerato, infine, perduto «quel minimum di elementi essenziali alla capacità di insegnamento che solo possono delineare il ruolo di guida, coordinazione, rendicontabilità, chiarezza, trasparenza, progettualità ed efficacia cui corrispondono altrettante aspettative dei discenti». Orbene, il caso appena illustrato offre una chiara indicazione di come l’«istintiva repulsione del dipendente al genere di attività da esplicare» [28], anche se individua una condizione soggettiva inequivocabilmente orientata a produrre un progressivo e continuo inadempimento tanto dalle attività di insegnamento, quanto delle attività ad esso funzionali [29], non acquisisce rilevanza in quanto fondamento [continua ..]


3. La relazione con l’impossibilità sopravvenuta della prestazione

In effetti, rinvenuto un primo parallelismo tra privato e pubblico e, segnatamente, tra l’interesse durevole dell’istituzione scolastica, quale creditrice di lavoro, a che la prestazione del docente sia continuativamente rivolta all’esecuzione del contratto e l’interesse all’efficienza dell’apparato scolastico, quale espressione del principio direttivo di buon andamento amministrativo (art. 97 Cost.), è possibile osservare il grado di tensione registrato nella materia che ci occupa tra le due anime del diritto del lavoro scolastico anche da un secondo punto di vista. Le osservazioni svolte nei paragrafi precedenti inducono infatti a verificare il grado di identità della disfunzione da cui origina il provvedimento di dispensa rispetto all’impossibilità sopravvenuta della prestazione, che nell’impostazione privatistica del d.lgs. n. 165/2001 giustifica, secondo la ricostruzione prevalente, la risoluzione del rapporto ex art. 1463 c.c. a fronte della manifestazione di un’inidoneità assoluta e permanente [41]. Sia chiaro. L’indagine circa la presenza di elementi di sostanziale contiguità (anche se non di parità strutturale) è utile a stabilire, nella nostra prospettiva di indagine, il grado di separazione tra i docenti di scuola e gli impiegati pubblici soggetti al regime generale del d.lgs. n. 165/2001, quali relazioni caratterizzate da un diverso rapporto di ordinazione rispetto ai poteri del datore di lavoro. Ma non sta a significare, come potrebbe equivocarsi, il tentativo di una riconduzione tout court dell’istituto nell’ambito del diritto privato del lavoro, posto che il passaggio da una supremazia speciale alla subordinazione di diritto privato non osta alla possibilità che le due tecniche di normazione variamente si combinino. È del resto nella disponibilità del legislatore la graduazione del riconoscimento di spazi di operatività al­l’autonomia privata [42]. Non a caso, muovendo dalla considerazione che la privatizzazione concerne il rapporto, ma non il soggetto datore di lavoro, che resta pubblico, la dottrina ha considerato giustificabile una contaminazione dell’area dell’auto­nomia nella gestione dei rapporti di lavoro con principi pubblicistici volti a garantire il perseguimento del pubblico interesse, senza che ciò debba implicare un «tradimento [continua ..]


4. La natura del provvedimento

Se si tengono presenti le osservazioni svolte nel precedente paragrafo, ci si rende perfettamente conto che la disciplina relativa alla dispensa per incapacità non costituisce completa eccezione ai principi che regolano l’incidenza delle sopravvenienze perturbative nei contratti a prestazioni corrispettive: salvaguarda la funzionalità del contratto di lavoro (e la corrispettività tra le prestazioni), legittimando il datore di lavoro pubblico a sciogliersi unilateralmente da un vincolo che non garantisce all’organizzazione scolastica alcuna utilità. In un certo modo consequenziale è la soluzione della questione relativa alla natura del provvedimento di dispensa. Il «problema antico» [66] per cui attraverso la dispensa le amministrazioni potessero mascherare l’adozione di sanzioni disciplinari ha indotto parte della dottrina a ritenere che il provvedimento espulsivo abbia natura discrezionale, in modo da poter assoggettare l’atto a controllo circa il mancato rispetto dei limiti e degli scopi che presiedono all’esercizio del potere amministrativo (eccesso di potere) [67]. Senonché, se si tiene a mente che la valutazione sottostante alla dispensa è fondata sul riscontro oggettivo dell’incapacità, senza che possano residuare margini di opinabilità nel giudizio, è preferibile ritenere che la dispensa costituisca un atto vincolato [68], in quanto la legge avrebbe già effettuato un bilanciamento di interessi e descritto con sufficiente precisione la fattispecie e le conseguenze che ne derivano, lasciando all’amministrazione pubblica il solo compito di verificare l’esistenza dei presupposti previsti per l’emanazione dell’atto [69]. Né in questo senso ci si dovrebbe preoccupare del fatto che, a fronte dell’utilizzo a scopo disciplinare della dispensa, il dipendente possa essere privato di adeguati mezzi di tutela. Se la giurisdizione fosse ancora attribuita al giudice amministrativo, non sarebbe disagevole affermare che, per quanto non soggetta a scrutinio in merito all’eccesso di potere [70], la dispensa potrebbe essere comunque valutata in relazione al rispetto della disciplina legale e, in particolare, dei presupposti e delle condizioni previste, in assenza dei quali il potere di emanare l’atto non sussisterebbe [71]. Di conseguenza, il provvedimento di [continua ..]


NOTE