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Incarichi dirigenziali e poteri datoriali: le regole del diritto e le torsioni della politica
Valerio Talamo, Direttore generale dell’Ufficio per le Relazioni Sindacali – Dipartimento della Funzione pubblica, Presidenza del Consiglio dei Ministri
Nell’assetto della dirigenza pubblica non sono tuttora sciolti i nodi e le ambiguità relative al rapporto intercorrente con la politica. A fronte di un sistema di valutazione sostanzialmente quiescente, quest’ultima continua ad esercitare poteri decisivi in tema di nomina agli incarichi dirigenziali, con cui condiziona indirettamente anche l’amministrazione attiva che, dalla privatizzazione del 1993, dovrebbe essere appannaggio esclusivo della dirigenza. Il dirigente non riesce ad esercitare appieno i poteri del privato datore di lavoro anche in quanto è condizionato da una serie di obblighi di condotta, normativamente imposti, che sono alla base di un neo-legalismo manageriale che è il contrario della responsabilità dirigenziale per i risultati, alla base della riforma attuata nel segno della privatizzazione.
In public management system, the difficulties and ambiguities concerning the relationship with politicians have not been resolved yet. In the face of an essentially ‘dormant’ evaluation system, politicians continue to exercise decisive powers in terms of appointments to management positions, through which they indirectly also condition the power of active administration that, starting from the privatisation of 1993, should be an exclusive prerogative of management. In addition, the manager is not in the position of fully exercise his powers as a ‘private’ employer because he or she is conditioned by a number of obligations of conduct established by law, which are the basis of a managerial ‘neo-legalism’, the opposite of managerial responsibility for results which is the core of the reform implemented as a consequence of the privatisation.
Keywords: Public management - Politics and administration - Powers of the ‘private’ employer - Autonomy, accountability and evaluation.
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Sommario:
1. Premessa - 2. La relazione fra politica ed amministrazione. Il modello dell’imparzialità: autonomia, responsabilità e valutazione - 3. La corruzione del modello - 4. Il potere datoriale nel prisma della privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico - 5. Quale futuro per la dirigenza pubblica? - NOTE
1. Premessa
In questa riflessione valuterò l’effettività di due istituti essenziali nella riforma della dirigenza pubblica che ha fatto seguito alla doppia privatizzazione del lavoro pubblico dell’inizio e della fine degli anni ’90: da una parte la relazione tra politica ed amministrazione, tradizionale nodo gordiano negli assetti regolativi della dirigenza pubblica di ogni tempo e, dall’altra, l’esercizio dei poteri datoriali esercitati dal dirigente con i poteri del privato datore di lavoro, anch’esso un precipitato della privatizzazione. A questo fine esaminerò, anche in successione diacronica, gli schemi normativi di riferimento, le loro evoluzioni e le prassi concrete che falsificano fortemente, a mio avviso, gli intenti e gli equilibri ipotizzati dal legislatore della prima privatizzazione [1]. In tale prospettiva cercherò di uscire dal seminato esclusivo degli enti locali e delle loro specificità, per cogliere il [continua ..]
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2. La relazione fra politica ed amministrazione. Il modello dell’imparzialità: autonomia, responsabilità e valutazione
Prendo le mosse dalla relazione fra politica e amministrazione. Come è noto una sorta di “peccato originale” è nella stessa Costituzione. Questa quando parla di pubblica amministrazione e di burocrazia si destreggia ambiguamente fra due concezioni di pubblica amministrazione e di burocrazia: da un lato, il modello contenuto principalmente negli artt. 97 e 98, quello dell’amministrazione indipendente, imparziale, weberiana oserei dire, al servizio della Nazione e conformata al principio di imparzialità e di legalità, dall’altro lato quello dell’art. 95, che aderisce all’idea di una pubblica amministrazione quale apparato servente dell’esecutivo, in cui gli atti del Ministro coincidono con quelli del dicastero. La Costituzione non sceglie tra questi due modelli, li tiene in bilico ed affida alla legge il compito di determinare soluzioni equilibratici. Queste, in una prima fase, fino alla prima privatizzazione, sono [continua ..]
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3. La corruzione del modello
Quali sono le ragioni alla base dell’abbandono del modello della gerarchia a favore di quello della distinzione funzionale? La riflessione in tema è copiosa e non è il caso di ripercorrerla in questa sede. Non mi pare tuttavia sia stato messo in sufficiente risalto il ruolo del vincolo esterno, sub specie della governance europea che, a partire dagli anni ’90, ha progressivamente reso obiettivamente incompatibile il mantenimento del modello del pubblico impiego: un modello tutto coeso sul proprio centro, ordinato sullo Stato, massima persona giuridica pubblica, che agiva con il suo diritto speciale ed un proprio giudice domestico nell’ambito di un ordinamento del tutto separato dal diritto comune. Al contrario, l’inserimento dell’Italia nel contesto comunitario, con le sue regole giuridiche ed il suo mercato, ha agito favorendo il superamento del “secolo breve del pubblico impiego”, per citare Massimo D’Antona, vale a dire [continua ..]
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4. Il potere datoriale nel prisma della privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico
Nel modello reale e non in quello astratto preconizzato dalle norme, la prassi si incarica di smentire anche il mito dell’esercizio da parte del nuovo manager pubblico “dei poteri del privato datore di lavoro”. Una volta “fatta la privatizzazione”, occorreva “fare il dirigente”, vale a dire costruire giuridicamente la figura di colui che è chiamato a tradurre l’input pubblicistico dell’organizzazione nell’output privatistico del rapporto di lavoro. Anche in questo caso risuona la lezione del new public management che tendeva ad assimilare tout court il datore di lavoro pubblicistico a quello privatistico, ignorando del tutto il “contesto politico” in cui lo stesso opera. Di questa creazione normativa la letteratura giuridica ha avuto ben contezza, allorquando ha scomodato alcune raffigurazioni quasi di carattere mitologico, descrivendo il dirigente pubblico come un Giano bifronte, dalla natura [continua ..]
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5. Quale futuro per la dirigenza pubblica?
C’è la possibilità di uscire da questo labirinto? Seppure con qualche difetto ci aveva provato l’ultima Riforma Madia dell’anno 2017, confluita in un’ipotesi di decreto legislativo affossato implicitamente da una sentenza vagante della Consulta senza precedenti e senza seguiti, che per la prima volta ha applicato il principio di leale collaborazione al procedimento legislativo. Una sentenza che, per i tempi ed i modi in cui venne pronunciata, negò la possibilità stessa della successiva correzione del decreto legislativo per il decorso dei termini entro cui poteva essere esercitata la relativa delega [12]. Quel testo rimane però un documento dal quale qualche indirizzo utile può essere tratto. Il decreto di riforma ricevette all’epoca del suo quasi varo molte critiche, ma forse non quelle giuste. Il decreto, per esempio, non incrementava la curvatura fiduciaria delle nomine, una fiduciarietà che, [continua ..]
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NOTE