Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Personale sanitario e potestà regolamentare dello Stato (di Giulio Rivellini, Dottorando di ricerca in Diritto e impresa nell’Università Luiss Guido Carli di Roma)


Con la sentenza n. 6 del 2022 la Corte costituzionale ha aggiunto un ulteriore tassello al delicato rapporto fra Stato e regioni, specificando alcuni importanti principi in merito alla disciplina del personale sanitario. La Corte ha ammesso la possibilità di utilizzare anche i regolamenti per conformare l’autonomia organizzativa regionale in questa materia. Il presente contributo descrive l’evoluzione giurisprudenziale che ha condotto a tale risultato. In primo luogo, si dà conto del riparto della potestà legislativa in materia di organizzazione amministrativa, soprattutto per quanto concerne il pubblico impiego. In secondo luogo, si approfondiscono i profili attinenti all’organizzazione del sistema sanitario nazionale, che deve garantire al contempo l’effettività del diritto alla salute e il rispetto dell’autonomia regionale. Infine, si descrive il sempre più frequente uso dei regolamenti statali per conformare l’organizzazione sanitaria regionale. Questa tendenza, avallata dalla Corte, rischia di creare ulteriore incertezza nel sistema delle fonti ma, allo stesso tempo, potrebbe aprire la strada a nuovi interventi di riordino normativo da parte dello Stato.

 

In the ruling no. 6/2022, the Constitutional Court released a new chapter of the saga on the conflicts between State and regions, pointing out some significant principles regarding the personnel of the national health system. Namely, the Court provided the State with the possibility to set out rules shaping the regional organization of the personnel by means of mere regulations, instead of using the primary sources. The article thus describes the evolution of the case law of the Court that led to this conclusion. In the first part the essay focuses on the division of competences between State and regions when it comes to administrative organization, especially regarding the civil servants. The analysis then dives into the peculiarities of the national health system, affected by the struggle between the urge to ensure the effectiveness of the right to health to every person and the federal principle. In this subject matter, the State has progressively widened its own prerogatives, usually imposing upon the regions precise and mandatory rules. In the last part, the article underlines the even more frequent use by the State of secondary sources in shaping the healthcare system. This trend, backed by the Court, could increase the legal uncertainty but, at the same time, could open new perspectives in the relationship with regions.

Keywords: Public employment – National Health System – Administrative organization – Power to issue regulations – Hospital pharmacists – Admission requirements.

SOMMARIO:

1. Organizzazione amministrativa e autonomia regionale - 2. L’organizzazione regionale in ambito sanitario - 3. La sentenza 18 gennaio 2022, n. 6 - 4. La potestà regolamentare dello Stato in materia di organizzazione sanitaria - NOTE


1. Organizzazione amministrativa e autonomia regionale

Con la sentenza riportata, la Corte costituzionale ha accolto un ricorso promosso in via principale dallo Stato nei confronti di una legge della Regione Calabria [1]. Quest’ultima prevedeva l’assunzione e l’inquadramento di alcuni farmacisti all’in­terno delle strutture sanitarie, pubbliche e private, della Regione. La decisione della Consulta merita di essere segnalata perché contiene delle precisazioni rilevanti per l’organizzazione amministrativa delle regioni, specialmente in ambito sanitario. Per comprenderle, però, è necessario compiere un piccolo passo indietro. Parlare di «organizzazione» significa parlare prima di tutto di «autonomia», come insegna la giuspubblicistica più risalente. Per il pensiero istituzionalista, infatti, «il carattere specifico dell’autonomia deve ricercarsi […] nel fatto oggettivo della formazione di un ordinamento che abbia certi requisiti di indipendenza e, nello stesso tempo, di dipendenza, cioè di limitata indipendenza da un altro ordinamento» [2]. Se a ciò si aggiunge che – coerentemente con quell’indirizzo – ogni ordinamento giuridico si manifesta in un’organizzazione sociale [3], si comprende perché allora la capacità di darsi norme sull’organizzazione sia considerata la caratteristica preminente delle autonomie territoriali [4]. Non è un caso, quindi, che l’«ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla regione» fosse la prima delle materie assoggettate alla potestà condivisa fra lo Stato e le regioni nella formulazione iniziale dell’art. 117 Cost. Nemmeno è un caso che, con la riforma del Titolo V del 2001, tale voce sia scomparsa, così da confluire nella potestà esclusiva delle regioni, ex art. 117, c. 4, Cost. Questa scelta ha infatti rappresentato lo sviluppo coerente di una riforma che, quantomeno nei suoi propositi, mirava appunto ad aumentare quella «autonomia» degli enti territoriali. Ma «autonomia» è anche e prima di tutto un concetto relazionale [5]: vuol dire godere di parziale indipendenza da un ordinamento generale (nel caso delle regioni, dallo Stato), ma anche esserne parzialmente dipendenti. All’indomani della riforma del Titolo V, dunque, ci si chiedeva se lo Stato avesse mantenuto delle [continua ..]


2. L’organizzazione regionale in ambito sanitario

Nell’ambito del servizio sanitario nazionale le cose sono andate in parte diversamente. Sicuramente la materia dell’ordinamento civile ha giocato un ruolo analogo anche nei confronti del personale sanitario, investito dalla privatizzazione in forza dell’art. 1, l. 23 ottobre 1992, n. 421. Tuttavia, in questo settore, lo Stato ha allargato la propria sfera di influenza anche ai profili attinenti all’organizzazione del personale, come quelli concernenti la determinazione dei fabbisogni, le procedure di reclutamento o l’inquadramento professionale dei dipendenti. Questa tendenza si spiega in base a diversi fattori. Un primo elemento da considerare è che l’amministrazione sanitaria è soprattutto un’amministrazione «di prestazione». Il diritto «fondamentale» alla salute, enucleato all’art. 32 Cost., si traduce innanzitutto nella pretesa a ricevere delle cure, con tutti i corollari che ne discendono [21]. Ciò significa che, parallelamente a quanto accade per gli altri diritti sociali, i profili organizzativi dell’amministrazione pubblica non sono mai irrilevanti, ma costituiscono invece il presupposto ineludibile per il loro godimento effettivo. Per questa ragione l’ordinamento non può limitarsi a disciplinare i rapporti intersoggettivi fra gli enti erogatori e l’utenza, ma deve sciogliere anche e prima di tutto i nodi che pertengono l’organizzazione interna delle strutture [22]. Così si spiegano gli appelli all’uniformità organizzativa contenuti nelle sentenze della Corte costituzionale antecedenti alla riforma del Titolo V, posto che la disciplina organizzativa del personale ha una forte incidenza sulla capacità delle strutture di erogare delle cure appropriate [23]. Tale ragionamento, peraltro, ha ispirato la giurisprudenza della Corte anche successivamente al 2001, con delle implicazioni tut­t’ora attuali [24]. Un secondo aspetto da tenere a mente è che l’organizzazione sanitaria costa. Secondo le elaborazioni fornite dalla Ragioneria Generale dello Stato, nel 2019 la spesa sanitaria in Italia ha inciso sull’6,5% del PIL nazionale [25]. Da ciò si comprende perché, in questo settore, lo Stato ha esasperato le proprie competenze in materia di «coordinamento della finanza pubblica» [26]. Il risultato è stato una [continua ..]


3. La sentenza 18 gennaio 2022, n. 6

Nella sentenza in commento, invece, la Corte costituzionale ha pacificamente utilizzato un regolamento statale per valutare la legittimità della legge regionale impugnata. Quest’ultima recava essenzialmente tre disposizioni: in primo luogo, prescriveva la presenza di almeno un farmacista «ospedaliero» ogni sessanta posti letto all’interno strutture pubbliche e private del servizio sanitario regionale; in secondo luogo, richiedeva che tali farmacisti fossero semplicemente abilitati ed iscritti al relativo albo professionale, senza richiederne la specializzazione; in terzo luogo, elencava le mansioni loro assegnate, ricomprendendovi lo svolgimento di attività in parte ulteriori rispetto a quelle elencate dalla normativa statale. Nell’accogliere la questione, la Corte ha ribadito dei principi già consolidati nella propria giurisprudenza. Innanzitutto, la legge della Regione Calabria contrasterebbe con i principi fondamentali in materia di «coordinamento della finanza pubblica». Secondo la Corte, infatti, l’obbligo di assumere un farmacista ogni sessanta posti letto prescinderebbe da un’effettiva programmazione dei fabbisogni e, soprattutto, non farebbe i conti con il regime di commissariamento della Regione. Un intervento di questo tipo si tradurrebbe in una interferenza delle prerogative del Commissario ad acta e contrasterebbe con la disciplina contenuta nel relativo piano di rientro dal disavanzo (§ 4.1.). Il riferimento ai piani di rientro per la fissazione dei principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica non deve stupire. Si tratta in realtà di un meccanismo ormai rodato nella giurisprudenza della Corte costituzionale [49], anche se criticabile per diversi aspetti [50]. In secondo luogo, la legge regionale sarebbe incostituzionale perché attribuirebbe al farmacista «ospedaliero» di quella regione delle mansioni ulteriori rispetto a quelle elencate nella disciplina statale. Così facendo, la disposizione regionale contrasterebbe con l’art. 51 del d.lgs. 9 novembre 2007, n. 206 che, nel disciplinare le attività professionali del farmacista, dà attuazione alla direttiva 2005/36/CE [51]. Poiché, come detto, l’individuazione delle «professioni» spetta soltanto allo Stato, la disposizione regionale sarebbe incostituzionale. In realtà, anche sotto questo [continua ..]


4. La potestà regolamentare dello Stato in materia di organizzazione sanitaria

La conclusione cui è pervenuta la Corte appare coerente con le premesse di partenza: dal momento che ci troviamo in materia di «ordinamento civile», allo Stato è permesso intervenire anche con regolamento. Sennonché, è proprio nelle premesse che tale decisione lascia a desiderare, soprattutto se rapportata ad altri precedenti analoghi. La questione da dirimere preliminarmente è se la disciplina dei requisiti di accesso agli uffici pubblici rientri nella materia dell’ordinamento civile oppure in quella dell’organizzazione regionale. Sul punto, lo spartiacque è sempre lo stesso: tutto ciò che viene prima della stipula del contratto di lavoro è attratto dalla disciplina pubblicistica, mentre soltanto quello che viene dopo è omologato al diritto privato [55]. Questa regola generale ha trovato plastica applicazione anche nei confronti dei requisiti di ammissione ai concorsi, pacificamente estranei all’ordina­mento civile: ciò è stato ribadito tanto per il pubblico impiego statale [56], quanto per quello regionale in ambito sanitario [57]. Chiarito questo, non è comunque possibile liquidare la pronuncia in esame come se si trattasse di un caso isolato. In realtà, il ricorso alla fonte regolamentare per limitare l’organizzazione regionale è oggi ammesso dalla Corte costituzionale anche fuori da quest’ipotesi. Ciò è vero innanzitutto rispetto ai profili finanziari dell’ordinamento regionale. Oltre al noto problema dei piani di rientro cui si è già fatto cenno, la Corte costituzionale ha da tempo accettato che lo Stato utilizzi fonti di rango secondario per determinare i principi fondamentali in materia di finanza pubblica. Sul punto è sufficiente richiamare la giurisprudenza inaugurata all’indomani della riforma del Titolo V, secondo la quale «il coordinamento finanziario può richiedere, per la sua stessa natura, anche l’esercizio di poteri di ordine amministrativo, di regolazione tecnica, di rilevazione di dati e di controllo: onde, attesa la specificità della materia, non può ritenersi preclusa alla legge statale la possibilità, nella materia medesima, di prevedere e disciplinare tali poteri, anche in forza dell’art. 118, c. 1, della Costituzione» [58]. È però possibile riscontrare [continua ..]


NOTE