Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Un caso di disapplicazione del diritto del lavoro: i magistrati onorari (di Giorgio Fontana, Professore ordinario di Diritto del lavoro nell’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria)


La questione dei giudici onorari italiani sta interessando da tempo le istituzioni e le autorità giudiziarie in Europa. Prima il Comitato europeo dei diritti sociali ha rilevato la violazione della Carta Sociale Europea per l’assenza di tutela pensionistica, poi la Corte di Giustizia europea con due sentenze ha dichiarato l’illegittimità della regolamentazione del rapporto di servizio di queste figure lavorative. Il punto critico è l’inquadramento giuridico di questa categoria come “giudici onorari”, che l’ordinamento italiano ritiene estranei a qualsiasi tipologia di contratto di lavoro (autonomo o subordinato). La conseguenza è la disapplicazione del diritto del lavoro. La giurisprudenza italiana e soprattutto le Corti nazionali (Corte costituzionale, Corte di Cassazione e Consiglio di Stato) hanno sempre approvato questo inquadramento, ritenendolo legittimo e giustificato. Tuttavia dopo le sentenze della Corte di Giustizia europea, la Commissione europea ha avviato una procedura d’infrazione contro lo Stato italiano per la violazione del diritto dell’Unione europea. La situazione sempre dunque preludere ad uno scontro fra le Corti nazionali e le Corti europee. Il contributo dell’autore si occupa di queste problematiche cercando anche di suggerire le soluzioni per risolvere il conflitto fra le Corti.

Parole chiave: Magistrati onorari – nozione di lavoratore – direttiva europea 1999/70 – lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione – primato del diritto dell’Unione europea – Carta Sociale Europea.

A case of non-application of labour law: honorary judges

The question of the Italian honorary judges has long been of interest to institutions and judicial authorities in Europe. First the European Committee of Social Rights found the violation of the European Social Charter due to the absence of pension protection, then the European Court of Justice with two sentences declared the illegality of the regulation of the service relationship of these workers. The critical point is the legal classification of this category as “honorary judges”, which the Italian legal system deems unrelated to any type of employment contract (self-employed or subordinate). The consequence is the non-application of labor law. However, the European Court of Justice has ruled that honorary judges are to be considered workers under European Union law. On the contrary, the Italian jurisprudence and above all the national Courts (also the Constitutional Court) have always approved this classification, considering it legitimate and justified. However, after the rulings of the European Court of Justice, the European Commission has started an infringement procedure against the Italian state for the violation of European Union law. The situation is therefore always a prelude to a clash between the national courts and the European courts. The author’s contribution deals with these issues, also trying to suggest solutions to resolve the conflict between the Courts.

Keywords: Honorary judges – notion of worker – European Directive 1999/70 – work employed by the public administration – primacy of European Union law – European Social Charter.

SOMMARIO:

1. Un contrasto radicale di orientamenti - 2. Dove nasce il conflitto - 3. Il magistrato onorario secondo la giurisprudenza nazionale: un caso atipico - 4. La crisi della teoria del “funzionario onorario” e il diritto del lavoro. La “voce” del Ceds - 5. Le sentenze della Corte di Giustizia sul problema delle tutele inderogabili del magistrato onorario in quanto “lavoratore europeo” - 6. Gli effetti delle pronunce della Corte europea e le resistenze delle Corti nazionali. Uno scontro che pare inevitabile - 7. Una strana norma a conclusione (provvisoria) di una storia strana - 8. Una nota finale - NOTE


1. Un contrasto radicale di orientamenti

Il caso della magistratura onoraria è diventato nel giro di qualche anno una delle spie più evidenti dei difficili rapporti con la Corte di Giustizia europea, specialmente quando si affrontano i problemi del precariato nella pubblica amministrazione. La vicenda appare sotto certi aspetti grottesca, considerando che la quaestio iuris è soltanto quella di stabilire una volta per tutte se i magistrati onorari italiani devono essere considerati “lavoratori” – e non semplicemente “volontari” che prestano servizio per adempiere un incarico onorario che, secondo gli orientamenti più risalenti (ma sempre ribaditi) della giurisprudenza italiana sarebbero per questo degli estranei al “mondo del lavoro” (e privati quindi delle tutele e dei diritti che ne derivano). Preceduta dalla decisione dell’influente Comitato europeo dei diritti sociali nel 2016, che aveva rilevato in questo assetto normativo la violazione della Carta Sociale Europea, la Corte di Giustizia ha ribadito per ben due volte (nel 2020 e nel 2022) l’illegittimità del trattamento economico e normativo di questa categoria, ritenendo che queste figure rientrassero a pieno titolo nel perimetro del lavoro dipendente. Ma le nostre Corti nazionali continuano ad avere orientamenti divergenti. Sia la Consulta che la Corte di Cassazione hanno, anzi, ignorato totalmente il dictum della Corte di Giustizia europea e la “condanna” del Ceds [1]. Né il legislatore ha inteso adoperarsi concretamente per rimuovere la difformità della disciplina vigente, lasciando in piedi un regime di disciplina giudicato non conforme al diritto dell’Unione europea ma avallato dalla stessa Corte costituzionale. Eppure, oltre alle pronunce della Corte di Giustizia e del Ceds, anche la Commissione europea ha preso posizione ripetutamente contro le scelte del nostro legislatore, avviando una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano con la comunicazione del 15 luglio 2021 [2], dopo aver esaurito la procedura “Eu-Pilot” nel 2016 respingendo le giustificazioni dello Stato italiano. Per completare il quadro si aggiunga che negli ultimi giorni del 2021 il Governo ha interrotto il proprio immobilismo sul piano legislativo (che durava dal 2017, ossia dalla riforma della magistratura onoraria introdotta con il d.lgs. n. 116/2017, su cui si sono appuntate le critiche delle istituzioni [continua ..]


2. Dove nasce il conflitto

Una breve premessa sull’origine di questa vicenda pare dunque utile per comprendere la genesi delle questioni giuridiche sottese, considerando anche l’importanza della “posta in gioco”, riguardante la condizione di un’intera categoria di magistrati in servizio esclusa dall’applicazione del diritto del lavoro e relegata in un limbo giuridico, su cui si registra uno scontro forse senza precedenti fra le Corti nazionali e le Corti europee. I magistrati onorari di cui si discute in questo scritto sono del resto figure presenti nel sistema giudiziario non da ieri, anzi possono dirsi dei protagonisti oramai da molti anni del sistema giudiziario italiano, ancorché siano stati assunti con incarichi a termine, poi prorogati infinite volte. Sono i vice procuratori onorari, i giudici di pace, i giudici onorari di tribunale, i giudici aggregati e i giudici ausiliari, e altri ancora, come ad esempio i giudici tributari, gli esperti dei tribunali dei minorenni, inseriti con finalità e motivazioni diverse nel corso del tempo all’interno dell’ammi­nistrazione giudiziaria. Un numero man mano cresciuto fino a diventare poderoso, che oggi quasi eguaglia il numero dei magistrati togati e che con il suo lavoro (pardon, servizio “volontario”), permette alla macchina giudiziaria di non affondare. La loro “esistenza” si deve ad una legislazione disordinata, ad interventi disorganici, con la sola eccezione, bisogna dire, della l. n. 374/1991, che introdusse nel sistema giudiziario il giudice di pace; un giudice che avrebbe dovuto rappresentare la concretizzazione della previsione costituzionale ex art. 106 Costituzione del giudice “laico”, per portare la giustizia più vicina al cittadino e far emergere a livello giuridico, dopo gli anni del conflitto capitale-lavoro, i nuovi bisogni e i nuovi conflitti sociali, gli interessi diffusi (come la casa, l’ambiente, la tutela del consumatore, ecc.) che si manifestavano nella realtà sociale. Una riforma a cui mancava tuttavia l’effettiva garanzia di indipendenza e autonomia del giudice onorario data dalla stabilità del rapporto e da un appropriato statuto di diritti, come per le altre figure di magistrati onorari. Si è creata così una “provvista” di personale giudiziario a basso costo, per garantire il funzionamento della giustizia, che un noto processualista, Andrea Proto [continua ..]


3. Il magistrato onorario secondo la giurisprudenza nazionale: un caso atipico

Non capita frequentemente che l’ordinamento giuridico, nelle sue diverse componenti, sia così compatto, soprattutto considerando che vengono in gioco principi consolidati, come, ad esempio, la possibilità di chiamare in causa il dispositivo di salvaguardia stabilito dall’art. 2126 c.c., che, com’è noto, differenzia nettamente la disciplina della nullità nel diritto del lavoro rispetto al diritto comune dei contratti [17]. La giurisprudenza ha tuttavia costantemente negato tale possibilità, con un orientamento univoco e costantemente riaffermato, che potrebbe definirsi diritto vivente. Ma non solo la giurisprudenza di legittimità e amministrativa è scesa in campo a difendere l’impostazione data dall’ordinamento giudiziario al problema dell’inqua­dramento giuridico della magistratura “non di ruolo”. L’altro importante protagonista di questa vicenda è la Corte costituzionale, che si è pronunciata diverse volte su problemi riguardanti l’assetto della magistratura onoraria [18]. La Corte ha sempre giudicato costituzionalmente legittima l’inapplicabilità delle comuni disposizioni giuslavoriste, come ha fatto ad esempio respingendo l’assi­milazione dei compensi percepiti ad una vera e propria retribuzione, trattandosi, secondo i giudici costituzionali, di “semplici emolumenti la cui disciplina esula dalla previsione dell’art. 108 Cost., né incide sull’indipendenza del giudice” (v. ord. n. 272/1999). La Consulta non ha avuto remore, come nella sentenza n. 479/2000, nell’affermare che non viola il principio di uguaglianza il diverso trattamento economico dei magistrati onorari rispetto ai magistrati professionali, fra di loro incomparabili secondo la Corte, in quanto per i magistrati onorari “il compenso è previsto per un’attività che essi non esercitano professionalmente ma, di regola, in aggiunta ad altre attività, per cui non deve agli stessi essere riconosciuto il medesimo trattamento economico, sia pure per la sola indennità giudiziaria” [19]. Il fondamento teorico viene individuato nella discrezionalità che possiede l’au­torità statale nel definire il trattamento applicabile ai funzionari onorari; principio enunciato nell’ordinanza n. 377/1987 con scarsa convinzione (rel. Andrioli) [continua ..]


4. La crisi della teoria del “funzionario onorario” e il diritto del lavoro. La “voce” del Ceds

La posizione delle Corti nazionali, oltre che in contrasto con le fonti di diritto europeo, non sembra perfettamente allineata ai principi del diritto del lavoro italiano, fra cui spicca, com’è noto, il rispetto dell’effettività del rapporto di lavoro, per impedire qualificazioni arbitrarie, non valorizzato senza una chiara e convincente ragione. Viene messo da parte e trascurato il principio di indisponibilità del tipo, uno dei principi cardinali del diritto del lavoro, secondo cui “... non è consentito al legislatore negare la qualificazione giuridica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura, ove da ciò derivi l’inapplicabilità delle norme inderogabili previste dall’ordinamento...”, con il corollario che “...a maggior ragione non sarebbe consentito al legislatore di autorizzare le parti ad escludere, direttamente o indirettamente, con la loro dichiarazione contrattuale, l’applicabilità della disciplina inderogabile prevista a tutela dei lavoratori a rapporti che abbiano contenuto e modalità di esecuzione propri del rapporto subordinato” [28]. Quando la Corte costituzionale stabilì il limite della discrezionalità legislativa chiarì che nulla avrebbe potuto impedire l’applicazione del diritto del lavoro “allorquando il contenuto concreto del rapporto e le sue effettive modalità di svolgimento siano di lavoro subordinato”. D’Antona osservò che il particolare valore di queste decisioni era insito nel principio secondo cui ai fini della qualificazione dei rapporti di lavoro “assumono rilevanza diretta i connotati economico-sociali del rapporto che effettivamente si instaura tra le parti, quale che sia il titolo o la disciplina deliberati in astratto dal legislatore o prescelti dalle parti con la dichiarazione negoziale”, ossia che “l’insieme degli effetti normativi, nei quali sul piano dell’ordinamento positivo sono tradotte le garanzie costituzionali del lavoro subordinato, debbono trovare applicazione ogni qual volta vi sia nei fatti quel rapporto economico-sociale al quale la Costituzione riferisce quelle garanzie” [29]. La giurisprudenza non spiega in verità perché un rapporto di servizio sorto come onorario sia incompatibile con il riconoscimento dei diritti fondamentali derivanti [continua ..]


5. Le sentenze della Corte di Giustizia sul problema delle tutele inderogabili del magistrato onorario in quanto “lavoratore europeo”

Dopo tre sentenze che sostengono la stessa linea interpretativa, che implica il riconoscimento a queste figure della qualificazione di “lavoratore” ai sensi del diritto dell’Unione europea, non dovrebbero esserci molti dubbi sulla legittimità della normativa del diritto interno che, invece, disconosce proprio questa caratteristica basilare nel rapporto di servizio dei magistrati onorari italiani. Si tratta di un orientamento maturato – già prima di pronunciarsi con la sentenza UX del 16 luglio 2020 (C-658/18) e poi di nuovo con la sentenza PG del 7 aprile 2022 (C-236/20) sulla disciplina del diritto interno – con la sentenza del 1° marzo 2012 O’Brien (C-393/10) quasi dieci anni prima, riguardante il trattamento pensionistico dei giudici inglesi a tempo parziale, retribuiti in base a tariffe giornaliere (c.d. recorder) ed esclusi dal regime previsto per i giudici professionali a tempo pieno [33]. Come farà anche successivamente, in base al principio di non discriminazione di cui alla clausola 4 della direttiva 97/81 la Corte ha affermato in questa sentenza la parità di trattamento quanto al regime previdenziale, nonostante le divergenze tra le loro carriere, essendo decisiva piuttosto “la questione se essi svolgano sostanzialmente la stessa attività”. Da qui il principio secondo cui “…l’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale va interpretato nel senso che osta a che, ai fini dell’accesso al regime della pensione di vecchiaia, il diritto nazionale operi una distinzione tra i giudici a tempo pieno e i giudici a tempo parziale retribuiti in base a tariffe giornaliere, a meno che tale differenza di trattamento sia giustificata da ragioni obiettive, che spetta al giudice del rinvio valutare” (punto 62) [34]. Pur lasciando al giudice nazionale il compito di definire l’ambito di applicazione della direttiva in conformità al diritto o alle prassi nazionali – e per quanto possa variare in relazione al settore di applicazione [35], o essere precisato nelle sue coordinate dal diritto nazionale – la Corte ha sempre chiarito che gli stati hanno l’obbligo di salvaguardare l’effetto utile della direttiva. Si tratta di elementi di diritto noti: agli Stati membri non è consentito di applicare una normativa che possa pregiudicare la realizzazione degli obiettivi perseguiti dall’Unione [continua ..]


6. Gli effetti delle pronunce della Corte europea e le resistenze delle Corti nazionali. Uno scontro che pare inevitabile

Le ultime sentenze della Corte di Giustizia (e particolarmente la sentenza UX del 16 luglio 2020) e il precedente pronunciamento del Ceds sulla violazione della Carta Sociale Europea, hanno riaperto il dibattito giurisprudenziale, che era divenuto oramai asfittico e ripetitivo, e costretto governo e parlamento a misurarsi con tesi giuridiche fino a quel momento sconosciute nel panorama giurisprudenziale italiano. Si sono così registrati arresti innovativi della giurisprudenza di merito, in antitesi agli orientamenti dominanti nelle alte Corti [48]. Inoltre, inaspettatamente, su una linea critica ed europeista si è posto anche il giudice amministrativo, per la precisione il Tar di Bologna, che aveva disposto il nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE, come si è già accennato. Ma a queste nuove decisioni si è contrapposta una riaffermazione da parte della Cassazione dei vecchi orientamenti, incurante delle pronunce della Corte di Giustizia europea. Ne è una prova l’ordinanza n. 21986 del 30 luglio 2021, con cui le Sezioni Unite (rel. Criscuolo) hanno velocemente e sommariamente liquidato il problema della competenza giurisdizionale nelle controversie promosse dai magistrati onorari per ottenere non lo status del magistrato professionale ma il rispetto delle direttive europee e l’applicazione del principio antidiscriminatorio. Con una stringatissima e poco articolata motivazione, la Corte ha dichiarato l’incompetenza del giudice del lavoro, e la competenza esclusiva del giudice amministrativo, distogliendo le cause da quello che può considerarsi il suo “giudice naturale” (e forse bloccando un’evoluzione degli orientamenti dei giudici di merito non particolarmente gradita) [49]. Ma soprattutto, ancor più recentemente, con altra sentenza (n. 13973 del 3/5/2022) la Corte di Cassazione si è nuovamente espressa sulle rivendicazioni della categoria ribadendo per l’ennesima volta la tesi del “non-lavoro” e del carattere volontario ed onorario del rapporto di servizio. In questa sentenza, la Cassazione ignora completamente le sentenze della Corte di Giustizia europea, tamquam non essent, tanto da far pensare alla giurisdizione italiana e a quella europea come binari paralleli che non s’incontrano mai. Prova di una palese incomunicabilità fra Corti nazionali ed europee, la logica che filtra fra le [continua ..]


7. Una strana norma a conclusione (provvisoria) di una storia strana

Quest’ultima annotazione, riguardante gli imperativi della finanza pubblica, ci traghetta all’ultimo capitolo di questa vicenda, che è difficile dissociare da ragioni di opportunità (o di opportunismo, sua variante degenerativa) di carattere politico-finanziario. Forse puntualizzare qual è l’apporto della magistratura onoraria al funzionamento del sistema giudiziario e il suo costo reale, in confronto al contributo (ovviamente centrale) della magistratura professionale, può far comprendere meglio quali sono (o possono essere) le motivazioni reali delle remore del legislatore a modificare realmente il quadro regolamentare in materia. Dato questo ancor più significativo considerando che il settore della giustizia è “un’organizzazione ad alta intensità di lavoro” e che “il principale fattore produttivo è costituito dal personale, quindi magistrati e personale amministrativo, che insieme coprono circa l’80% dei costi di funzionamento degli uffici” [60]. Ebbene, se si considera la realtà della magistratura onoraria in termini di numerosità (oltre novemila addetti, quasi pari al numero di magistrati professionali) e di produttività (facendosi carico di circa il 40% del contenzioso), e se poi si confronta il costo complessivo della magistratura onoraria – che secondo i dati forniti Contini e Viapiana, nell’articolo appena richiamato, sarebbe pari ad un costo medio negli anni 2015-2017 di 28,1 milioni di euro all’anno – con quello della magistratura professionale – 490,3 milioni all’anno in media nello stesso periodo –, si comprende immediatamente quale sia il problema di fondo che la legislazione non intende e forse non può risolvere [61]. Rimettere mano a questo sistema così conveniente di “estrazione” di valore professionale – buono o cattivo che sia – a costi così bassi richiederebbe un investimento che forse nessuno sente di voler o poter fare [62]. Da qui forse deriva anche la ratio sottesa all’ultimo intervento legislativo, un’altra fonte di confusione e di smarrimento, inserito nella l. n. 234/2021 e finalizzato a disinnescare la procedura d’infrazione con una nuova disciplina transitoria riservata al personale con maggiore anzianità di servizio, modificando integralmente il precedente testo degli [continua ..]


8. Una nota finale

Si conclude qui, provvisoriamente, la cronaca giudiziaria di un caso che potrebbe far deflagrare uno scontro fra le Corti europee e le Corti nazionali, le quali, nelle loro diverse funzioni, sono molto compatte nel rifiuto di seguire la Corte di Giustizia sulla traccia delle due sentenze del 16 luglio 2020 e 7 aprile 2022. Anche la Corte costituzionale – che presto o tardi dovrà pronunciarsi sul caso della magistratura onoraria – ha finora mantenuto una posizione che ha di fatto relegato in un angolo buio il diritto del lavoro, dimenticandone il valore costituzionale. Sulla testa di queste figure lavorative precarie si rinnova così l’eterna prassi di aggirare il problema del fabbisogno di personale, e della relativa provvista finanziaria, attraverso l’assunzione di personale precario. Sono nodi che vengono al pettine ciclicamente, dando luogo a periodiche operazioni di sanatoria in via legislativa, annunciate quasi sempre insieme al solenne impegno di non ricorrere più ad assunzioni “irregolari”. Ma, diversamente da quanto è avvenuto ed avviene negli altri comparti della pubblica amministrazione, qui non sembra possibile alcuna “sanatoria”, anzi si è negato, come si è visto, finanche la classificazione dei magistrati onorari fra i lavoratori in senso proprio. Queste figure lavorative sono state mantenute in servizio, proroga dopo proroga, reiterando ogni volta la loro emarginazione dall’area del diritto del lavoro. Si ha quindi l’impressione che, oltre ad una preoccupazione economica, il caso della magistratura onoraria nasconda problemi anche di altra natura e in particolare, forse, resistenze provenienti non solo dal potere politico. Il costo, a ben pensare, forse non è solo economico ma pesa anche in termini di perdita di controllo e di stravolgimento di un sistema che funziona grazie all’utilizzo di una classe inferiore di personale (addetto alla “giustizia minore” e a compiti di sostituzione e supplenza). Si potrebbe pensare che ci sia una convergenza di interessi a che questi magistrati restino invisibili, senza potere, in balia di decisioni eteronome sul loro futuro, sperando che prima o poi la crisi della giustizia passi e scompaiano con essa anche questi scomodi (e forse non graditi) “estranei”. Restano dunque aperti e irrisolti tutti i problemi che da anni vengono discussi che, a seguito della sentenza UX [continua ..]


NOTE