Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Questioni vecchie e nuove in tema di assunzioni dei disabili nelle pubbliche amministrazioni (di Stefano Caffio, ricercatore di Diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Bari – Aldo Moro – Angelica Riccardi, professoressa ordinaria di Diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Bari – Aldo Moro)


Il contributo prende in esame alcune criticità in materia di assunzioni (obbligatorie) dei disabili nelle pubbliche amministrazioni, alcune delle quali rimaste irrisolte nonostante i numerosi interventi legislativi susseguitisi nel corso degli oltre 20 anni di vigenza della l. n. 68/1999. L’analisi condotta, evidenziando le possibili cause all’origine delle difficoltà di elevare il livello di effettività del diritto al lavoro dei disabili nelle pp.aa., tenta di fornire alcune risposte, anche alla luce della revisione della disciplina prevista dalla legge delega n. 227/2021.

The contribution examines some critical issues in the area of (compulsory) hiring of the disabled in public administrations, some of which have remained unresolved despite the numerous legislative interventions that have followed during the more than 20 years in which Law No. 68/1999 has been in force. The analysis conducted, highlighting the possible causes at the origin of the difficulties in raising the level of effectiveness of the right to work of the disabled in the pp.a., attempts to provide some answers, also in the light of the revision of the regulations provided for by Delegated Law No. 227/2021.

SOMMARIO:

1. Premessa: il complesso quadro regolatorio in materia di assunzioni dei disabili nella p.a. - 2. Le quote di riserva - 2.1. La compensazione territoriale - 2.2. Il computo dei disabili interni - 3. L’attuale rilevanza del requisito dello stato di disoccupazione - 4. Gli accomodamenti ragionevoli - 5. Figure, organismi e competenze dopo il d.lgs. n. 75/2017 - 6. Gli adempimenti e il monitoraggio - 7. Brevi considerazioni conclusive - NOTE


1. Premessa: il complesso quadro regolatorio in materia di assunzioni dei disabili nella p.a.

A distanza di oltre vent’anni dal varo della l. n. 68/1999, che al collocamento imposto ha sostituito quello incentivato tramite il collocamento mirato [1], permangono diverse incertezze interpretative, conseguenti anche ai successivi aggiustamenti operati dal legislatore. L’indirizzo inaugurato con la l. n. 68/1999, oltre che essere più aderente ai principi costituzionali sui quali si fonda il diritto al lavoro dei disabili (artt. 2, 3, 4, c. 1, e 38, c. 3, Cost.), ha ricevuto consacrazione sia nella Convenzione ONU 13 dicembre 2006 sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia con l. n. 18/2009 e approvata dall’Unione europea con decisione del Consiglio 26 novembre 2009, n. 2010/48/CE, sia nell’art. 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE [2]. Già in precedenza, in attuazione della direttiva 2000/78/CE concernente la parità di trattamento in materia di condizioni di lavoro e di occupazione, il d.lgs. n. 216/2003 aveva introdotto il divieto di discriminazione fondato, tra l’altro, “sull’handicap”, assistito da una tutela giudiziaria rafforzata [3]. A conferma del rilievo assunto nel diritto europeo dall’effettività dell’inseri­mento lavorativo dei disabili, nel 2013, l’Italia è stata condannata a causa della non corretta (perché ritenuta incompleta) attuazione della dir. 2000/78/CE [4] e, in particolare, dell’art. 5 che prevede le c.d. “soluzioni ragionevoli”, vale a dire l’insieme di quelle misure che i datori di lavoro (pubblici e privati) devono adottare, ove ve ne sia necessità in funzione delle situazioni concrete e nei limiti della sostenibilità organizzativa ed economica e che riguardano diversi aspetti delle condizioni di lavoro, al fine di consentire ai disabili di accedere a un impiego, di svolgerlo, di avere una promozione e di ricevere la formazione. Numerosi sono stati gli interventi legislativi in materia, tanto sulla disciplina generale quanto su quella specifica per il pubblico impiego, tutti finalizzati ad accrescere il livello di (scarsa) effettività dell’accesso all’occupazione dei disabili, attraverso la razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti, ma anche mediante un irrobustimento dell’infrastruttura organizzativo-istituzionale all’interno delle pubbliche amministrazioni [continua ..]


2. Le quote di riserva

Il primo profilo da considerare è quello della determinazione della quota di disabili da assumere, operazione, questa, in via generale, come noto, effettuata sulla base della consistenza dell’organico datoriale, considerando il personale complessivamente occupato dall’amministrazione [11]. L’intento di favorire l’accesso dei disabili al pubblico impiego è all’origine delle disposizioni ex art. 7, c. 6, d.l. n. 101/2013, conv. in l. n. 125/2013, che, nel più ampio contesto dell’introduzione di misure miranti alla razionalizzazione della spesa per il personale, ha previsto da un lato che il calcolo delle assunzioni obbligatorie sia effettuato considerando le dotazioni organiche rideterminate in base alla normativa vigente e, dall’altro lato, che qualora all’esito di tale operazione risultino scoperture, queste devono essere colmate con assunzioni di disabili a tempo indeterminato, anche in deroga ai divieti di nuove assunzioni, persino nel caso in cui l’ammi­nistrazione sia in situazione di soprannumerarietà, tenendo conto, in simili circostanze, della dotazione organica e non del maggior numero di presenti in servizio [12] e del fatto che le assunzioni obbligatorie non vengono computate ai fini del budget della spesa per il personale [13]. Oltre che dalla consistenza dell’organico, il calcolo delle quote di riserva è influenzato anche dalle regole dettate per la determinazione della base di computo nella quale, in linea generale, sono inclusi tutti i lavoratori subordinati, salvo alcune eccezioni [14], tra cui quella controversa riguardante i lavoratori assunti con contratto di apprendistato, non menzionati dall’art. 4, c. 1, l. n. 68/1999, tra le categorie escluse ma, al contrario, considerati non computabili nell’organico per esplicita previsione del regolamento di esecuzione [15]. In proposito, è stato affermato [16] che la scelta operata in sede di normazione secondaria risulta coerente con la previsione di carattere generale contenuta nella disciplina dell’apprendistato che – per finalità incentivanti – esclude il computo degli apprendisti ai fini del raggiungimento delle soglie stabilite da leggi e contratti collettivi per l’applicabilità di particolari normative e istituti [17]. La questione, assai dibattuta in dottrina sin dalla promulgazione della l. n. [continua ..]


2.1. La compensazione territoriale

Pur non incidendo sul totale delle assunzioni da effettuare ai sensi dell’art. 3, l. n. 68/1999 [27], qualche considerazione merita l’istituto della compensazione territoriale, la cui praticabilità, riconosciuta anche ai datori di lavoro pubblici, è meno flessibile rispetto all’analoga facoltà attribuita alle imprese e agli enti pubblici economici, in considerazione dell’intento di garantire – nella copertura delle quote riservate – una distribuzione quanto più possibile omogenea tra le aree del territorio dello Stato, in virtù di una più equa ripartizione delle occasioni di lavoro a livello nazionale. Ciò spiega la ragione per la quale le compensazioni territoriali, nel pubblico impiego contrattualizzato, possono essere effettuate solo nell’ambito della medesima regione [28], anche al fine di evitare il ripetersi di antiche cattive pratiche clientelari, di concentrare le assunzioni in una o poche regioni. Le peculiarità del pubblico impiego nonché il perseguimento dell’obiettivo di favorire l’effettività del diritto al lavoro dei disabili unitamente a ragioni di ordine finanziario hanno indotto il legislatore a escludere la possibilità di ricorrere all’i­stituto dell’esonero (art. 5, c. 3, l. n. 68/1999), la cui utilizzabilità è rimasta circoscritta ai datori di lavoro privati e agli enti pubblici economici.


2.2. Il computo dei disabili interni

Altro aspetto di rilievo ai fini dell’assolvimento degli obblighi di assunzione ex l. n. 68/1999, concerne la computabilità dei disabili “interni”, vale a dire di coloro che hanno subito una riduzione permanente della capacità lavorativa nel corso del rapporto di lavoro e, di seguito, di coloro che pur essendo disabili già al momento dell’assunzione sono stati assunti al di fuori delle procedure di collocamento mirato [29]. Il riconoscimento di tale facoltà anche nell’ambito del pubblico impiego, pur già sostenuto in dottrina [30], è stato definitivamente sancito dall’accordo del 21 dicembre 2017, stipulato in sede di Conferenza unificata (Rep. Atti 184/CU). Se la seconda delle fattispecie menzionate non pone dubbi prevedendosi esclusivamente una percentuale di invalidità più elevata rispetto a quella ordinariamente stabilita [31], decisamente maggiori incertezze solleva la disciplina dell’altra ipotesi di computabilità del disabile “interno”, regolata dall’art. 4, c. 4, l. n. 68/1999, secondo cui è consentito includere nella quota di riserva i lavoratori divenuti “inabili” allo svolgimento delle proprie mansioni in conseguenza di infortunio o di malattia, a condizione che la riduzione della capacità lavorativa non sia inferiore al 60 per cento e che l’inabilità sopravvenuta non sia derivata dall’inadempimento da parte del datore di lavoro delle norme in materia di sicurezza e igiene sul lavoro. In presenza di tali requisiti, a tutela della posizione del lavoratore, si prevede che lo stesso, in ragione della capacità residua, sia adibito a mansioni equivalenti o, in mancanza, inferiori, con diritto alla conservazione del trattamento economico previsto dal livello di inquadramento di provenienza. Solo nell’ipotesi in cui non via sia possibilità di diversa collocazione del lavoratore divenuto disabile, l’art. 4, c. 4, prevede l’avviamento, per il tramite dei servizi per il collocamento mirato, presso altro datore di lavoro, senza necessità di iscrizione nell’elenco di cui all’art. 8, l. n. 68/1999. La disciplina dell’istituto si è palesata sin da subito di non semplice interpretazione a causa della non felice formulazione della norma tanto per l’impiego dell’e­spressione “lavoratori che [continua ..]


3. L’attuale rilevanza del requisito dello stato di disoccupazione

Un aspetto controverso della disciplina dell’inserimento lavorativo dei disabili nella p.a., ma al contempo indicativo della difficoltà di individuare – per la relativa concreta attuazione – assetti regolativi che realizzino un “accettabile” e condiviso contemperamento tra i diversi interessi in gioco (tutti di rilievo costituzionale), concerne il possesso dello stato di disoccupazione. Come noto, i disabili che intendano reperire un’occupazione compatibile con la ridotta capacità lavorativa, devono iscriversi in un apposito elenco tenuto presso i servizi per il collocamento mirato [58]. Condizione per l’iscrizione è il possesso dello stato di disoccupazione [59], requisito implicitamente richiesto anche per beneficiare della riserva dei posti nelle procedure di reclutamento mediante concorso, in ragione di quanto stabilito dall’art. 7. c. 2, l. n. 68/1999 [60]. A generare incertezza, per lungo tempo, è stato il coordinamento di tale previsione con quella contenuta nel­l’art. 16, c. 2, l. n. 68/1999, dedicato al reclutamento mediante concorsi pubblici, in virtù della quale le amministrazioni possono (tuttora) assumere i disabili risultati idonei all’esito di procedure concorsuali, oltre il limite dei posti a essi riservati, anche qualora – come stabiliva l’originaria formulazione – non versassero in condizione di disoccupazione. Secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza amministrativa, il combinato disposto delle due norme deve essere inteso nel senso di consentire l’assunzione del disabile (vincitore o idoneo) anche se non più disoccupato, a condizione che lo stato di disoccupazione sussista al momento della presentazione della domanda di partecipazione al concorso [61]. In direzione di un maggiore favor per i disabili si è pronunciata più volte la Corte di Cassazione secondo cui, privilegiando l’interpretazione sistematica del combinato disposto degli artt. 7, c. 2 e 8 c. 2, l. n. 68/1999, nell’ipotesi in cui all’esito di un concorso non risultino disabili (idonei) in possesso dello stato di disoccupazione e l’ente pubblico (non economico) presenti scoperture della quota di assunzioni obbligatorie, prevale «l’esigenza primaria e indifferibile» dell’amministrazione di garantire l’adempimento dell’obbligo [continua ..]


4. Gli accomodamenti ragionevoli

La disciplina in materia di accomodamenti ragionevoli è la parte della normativa sul lavoro dei disabili di più problematica implementazione. L’inottemperanza che il nostro ordinamento ha a lungo registrato in subiecta materia [73] – e che ha portato a una dura condanna della Corte di Giustizia – non pare completamente superata nel settore pubblico [74]; e, questa volta, non per un “disallineamento” della normativa interna rispetto a quella unionale, ma per limiti in un certo senso “strutturali” dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni. La stessa norma con la quale il legislatore italiano ha recepito la disciplina sovranazionale e ottemperato alla sentenza della Corte – l’art. 3, c. 3-bis, del d.lgs. n. 216/2003 [75], che stabilisce al primo periodo: «Al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata ai sensi della l. 3 marzo 2009, n. 18, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori» – porta in sé i semi di questa problematicità, disponendo al periodo successivo che «I datori di lavoro pubblici devono provvedere all’attuazione del presente comma senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente». Tale previsione si presta così a «precostituire un alibi e, quindi, depotenziare» l’apprestamento di soluzioni ragionevoli nel settore de quo [76]. Questa tara genetica continua a riemergere nella legislazione successiva, che, per altro verso, si muove in un sistema che è connotato da inevitabili rigidità a livello tanto strutturale quanto funzionale correlate all’organizzazione degli enti pubblici [77]. Un primo “correttivo” è stato introdotto con la l. 23 dicembre 2014, n. 190, che al c. 166 dell’art. 1 ha attribuito all’Inail una serie di competenze in tema di reinserimento e integrazione lavorativa delle persone con disabilità da lavoro tra le quali rientrano «interventi di adeguamento e [continua ..]


5. Figure, organismi e competenze dopo il d.lgs. n. 75/2017

La riorganizzazione della pubblica amministrazione operata nel 2017, come anticipato, ha previsto novità anche per i disabili, introducendo, dopo l’art. 39, d.lgs. n. 165/2001, tre nuove disposizioni attraverso cui rafforzare l’apparato organizzativo e aumentare l’efficacia e l’efficienza procedurale. Gli interventi pur apprezzabili se valutati sotto il profilo finalistico, non sono esenti da motivi di critica. Seguendo l’ordine di inserimento nel d.lgs. n. 165/2001, la prima novità è contenuta nell’art. 39-bis, d.lgs. n. 165/2001 [85], che istituisce presso il Dipartimento della funzione pubblica la Consulta nazionale per l’integrazione in ambiente di lavoro delle persone con disabilità, organismo a formazione composita [86], a cui sono attribuite, come detto, competenze specifiche riconducibili all’obiettivo di conferire maggiore effettività al diritto al lavoro dei disabili nelle pubbliche amministrazioni. In tale prospettiva, la Consulta ha principalmente il compito di elaborare piani e programmi per ottemperare agli obblighi della l. n. 68/1999 [87] e di effettuare il relativo monitoraggio anche con riferimento agli adempimenti comunicativi stabiliti dall’art. 39-quater, d.lgs. n. 165/2001 [88] (infra) e alla corretta applicazione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della disabilità, incluse quelle concernenti forme di agevolazione previste dalla normativa vigente [89]. A quelle ora menzionate, si aggiungono le attribuzioni concernenti la previsione di interventi straordinari per l’adozione degli accomodamenti ragionevoli nei luoghi di lavoro [90] e la promozione di proposte alle amministrazioni pubbliche aventi a oggetto iniziative e misure innovative finalizzate al miglioramento dei livelli di occupazione e alla valorizzazione delle capacità e delle competenze dei lavoratori disabili nelle pubbliche amministrazioni [91]. C’è da rilevare che ad oggi, salvo il decreto ministeriale istitutivo dell’orga­nismo [92], non si rinvengono tracce dell’attività della Consulta. La seconda novità introdotta dal d.lgs. n. 75/2017, anch’essa di carattere organizzativo, riguarda l’obbligo per le amministrazioni (di cui all’art. 1, c. 2, d.lgs. n. 165/2001) con organico superiore a 200 dipendenti, di nominare un responsabile dei processi di [continua ..]


6. Gli adempimenti e il monitoraggio

Strumentale all’adempimento degli obblighi assunzionali, come noto, anche per le amministrazioni pubbliche, è l’invio (telematico) del prospetto informativo, documento nel quale sono indicate tutte le informazioni necessarie [99] affinché i centri per l’impiego e i servizi per il collocamento mirato siano messi in condizione di compiere le necessarie incombenze ai fini dell’attuazione della l. n. 68. Il prospetto informativo deve essere trasmesso con cadenza annuale, entro il 31 gennaio, assumendo come dato occupazionale di riferimento ai fini della determinazione della quota di riserva, quello riferito al 31 dicembre dell’anno precedente [100]. Tuttavia, sempre secondo il regime generale applicabile indistintamente a tutti i datori di lavoro, pubblici e privati, l’art. 9, c. 6, l. n. 68/1999 prevede che l’obbligo di invio del prospetto sorge solo nel caso in cui il mutamento della situazione occupazionale influisca sull’entità della quota di assunzioni obbligatorie da effettuare [101]. Una lettura coordinata delle disposizioni che regolano la tempistica di trasmissione del prospetto informativo con la previsione che impone ai datori di lavoro di inoltrare la richiesta di avviamento entro 60 giorni dal momento in cui sorge l’ob­bligo di assunzione [102], ha indotto la dottrina a dedurne che il prospetto può perdere la sua cadenza annuale [103], in considerazione del fatto che l’obbligo della richiesta di avviamento può essere assolto anche solo attraverso l’invio del predetto documento [104]. L’innovazione da ultimo richiamata, attribuendo carattere di presunzione di richiesta alla trasmissione del prospetto informativo, ha consentito di superare il problema dell’effetto paralizzante sull’attività degli organi di collocamento prodotto dall’inerzia datoriale [105]. Tuttavia, va rilevato che per i datori di lavoro pubblici, a differenza di quelli privati (per i quali la conseguenza del mancato invio – sanzioni amministrative a parte – consisterebbe nella perdita del beneficio della chiamata nominativa [106]), gli effetti sono di portata limitata in ragione del fatto che la richiesta numerica costituisce ex lege [107] il primario canale di assolvimento degli obblighi assunzionali, potendo al più, l’inadempimento [108], inibire le amministrazioni [continua ..]


7. Brevi considerazioni conclusive

Nonostante i numerosi interventi legislativi mirati a rendere effettivo il diritto al lavoro dei disabili, permangono diverse criticità, talune rimaste irrisolte anche all’e­sito delle innovazioni più recenti, altre sorte proprio in relazione a queste ultime. L’inserimento lavorativo dei disabili nelle amministrazioni pubbliche deve fare necessariamente i conti con una serie di vincoli anche di natura finanziaria (con la sola eccezione del costo del personale assunto nell’ambito delle categorie protette, considerato neutro rispetto ai parametri di contenimento della spesa), che rischiano di minare in radice l’efficacia delle innovazioni introdotte negli ultimi anni, specie ove si tratti di realizzare accomodamenti ragionevoli. Tuttavia, un ulteriore aspetto da considerare è che le assunzioni nelle pubbliche amministrazioni sono strettamente legate alle funzioni istituzionali a esse attribuite e, dunque, al fabbisogno di specifiche qualifiche e profili professionali per i quali il concorso resta l’unica – e, al contempo, incerta negli esiti – modalità di reclutamento. Sotto questo profilo e, al di là delle criticità evidenziate, dall’ultima relazione al Parlamento sullo stato di attuazione delle l. n. 68/1999, prevista, come noto, dall’art. 21, emerge che al 31 dicembre 2018, solo il 21,5% degli iscritti negli elenchi del collocamento mirato risulta in possesso di diploma e, di questi, appena il 2,9% ha conseguito la laurea [115], titolo di studio necessario per accedere alle aree funzionali dei ruoli delle amministrazioni pubbliche, considerato che il personale appartenente a tale categoria costituisce la struttura portante delle risorse umane nel comparto pubblico a fronte della progressiva riduzione nelle dotazioni organiche di posizioni per le quali è sufficiente il requisito della scuola dell’obbligo. È evidente allora che, a meno di non voler sostenere (ma in proposito non vi sono evidenze statistiche) che la maggior parte dei disabili in possesso di titoli di “alta istruzione” ricerchino occupazione non transitando dai canali del collocamento mirato, l’attenzione va posta non solo (e non tanto) sul pur perfettibile quadro regolatorio in materia – anche con riferimento alla strutturale e mai superata inefficienza dei servizi pubblici per l’impiego – ma, altresì, [continua ..]


NOTE