Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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L'assegnazione temporanea del dipendente pubblico ex art. 42-bis d.lgs. n. 151/2001 nella giurisprudenza recente (di Riccardo Maraga)


Il saggio analizza l’istituto dell’assegnazione temporanea ex art. 42-bis, d.lgs. n. 151/2001 alla luce della giurisprudenza recente. In particolare, dopo una ricostruzione relativa alle varie opzioni interpretative sulla natura giuridica dell’istituto, il saggio analizza, sulla base delle indicazioni fornite dalla giurisprudenza, i principali problemi interpretativi della disposizione legislativa. I temi trattati riguardano, in particolare, il requisito soggettivo del lavoratore che può chiedere l’assegnazione temporanea, il requisito anagrafico del minore, figlio del lavoratore istante, e le condizioni cui la legge subordina la possibilità delle amministrazioni di provenienza e di destinazione di negare l’assegnazione richiesta. Il tutto inquadrando l’istituto alla luce dei principi costituzionali ed eurounitari cui la norma si ispira.

he paper analyzes the temporary assignment pursuant to article 42bis of the Legislative Decree no. 151/2001 in light of recent case law. In particular, after a recapitulation of the various interpretative options on the legal nature of the temporary assignment, the paper analyzes, on the basis of the indications provided by the case law, the main interpretative problems of the legislative provision. The topics addressed concern, in particular, the subjective requirement of the employee who can request the temporary assignment, the age requirement of the minor, child of the instant employee, and the conditions to which the law subordinates the possibility of the administrations of origin and destination to deny the required assignment. All of this by framing the temporary assignment in the light of the constitutional and European union principles which the legal provision is inspired by.

SOMMARIO:

1. La natura giuridica dell’istituto, tra diritto soggettivo, interesse legittimo e mera aspettativa - 2. Il raccordo tra il requisito anagrafico del figlio ed il periodo di durata massima triennale dell’assegnazione - 3. La nozione di amministrazione pubblica di provenienza e di destinazione - 4. Il requisito di stabilità dell’attività lavorativa dell’altro genitore - 5. I requisiti per la concessione dell’assegnazione temporanea del lavoratore - 5.1. La sussistenza del posto vacante di corrispondente posizione retributiva - 5.2. Il nulla osta delle amministrazioni di provenienza e di destinazione - 6. Assegnazione temporanea e vincolo di permanenza quinquennale ex art. 35, c. 5-bis d.lgs. n. 165/2001 - 7. Assegnazione temporanea del lavoratore in prova - 8. Conclusioni - NOTE


1. La natura giuridica dell’istituto, tra diritto soggettivo, interesse legittimo e mera aspettativa

Nella sua versione originaria, l’art. 42-bis, d.lgs. n. 151/2001 [1] prevedeva la possibilità del genitore con figli minori fino a tre anni di età, dipendente di amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, c. 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, di essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa. La norma originaria subordinava tale assegnazione alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva presso l’amministrazione di destinazione nonché al previo assenso di entrambe le amministrazioni, di provenienza e destinazione, limitandosi a richiedere la motivazione scritta del dissenso. La disposizione, inoltre, con una previsione tutt’oggi in vigore, prevede che l’assenso o il dissenso siano comunicati all’interessato entro trenta giorni dalla domanda. La dottrina si è sin da subito interrogata sulla natura della posizione giuridica soggettiva assegnata dalla norma al dipendente pubblico genitore con figli minori fino a tre anni di età. La riformulazione della disposizione operata dal legislatore nel 2015 [2] ha, senza dubbio, reso tale indagine ancora più necessaria, ai fini di una corretta ricostruzione giuridica dell’istituto. La modifica apportata all’istituto, infatti, ha inciso sensibilmente sulla discrezionalità con cui le amministrazioni di provenienza e di destinazione possono assentire o negare la richiesta di assegnazione temporanea del dipendente pubblico con figlio minore di anni tre. Se, infatti, nella sua formulazione originaria, la norma si limitava a richiedere la motivazione scritta del provvedimento di assenso o di diniego, preludendo dunque ad un mero controllo di congruità del giudice di merito sulla effettiva sussistenza della motivazione addotta e sulla sua ragionevolezza, nella sua attuale formulazione la disposizione prevede espressamente che “L’eventuale dissenso deve essere motivato e limitato a casi o esigenze eccezionali” con ciò rafforzando, indubbiamente, la posizione giuridica del richiedente e limitando proporzionalmente la facoltà di diniego delle amministrazioni. La forte restrizione del perimetro delle esigenze [continua ..]


2. Il raccordo tra il requisito anagrafico del figlio ed il periodo di durata massima triennale dell’assegnazione

Come già evidenziato, dal punto di vista soggettivo, la disposizione riconosce la possibilità di richiedere l’assegnazione temporanea al “genitore con figli minori fino a tre anni di età”. L’assegnazione può essere disposta “per un periodo complessivamente non superiore a tre anni”. Il doppio richiamo, operato dalla norma ai “tre anni” ha fatto sorgere qualche perplessità in dottrina. In particolare, ci si è chiesti se i due requisiti debbano essere letti in maniera coordinata nel senso di escludere il perdurante diritto dell’istante alla assegnazione temporanea quando il figlio supera il requisito anagrafico dei tre anni di età. La soluzione maggiormente condivisibile è quella secondo cui l’assegnazione temporanea può essere disposta per un massimo di tre anni, indipendentemente dal­l’età anagrafica del bambino, a condizione che al momento della domanda il bambino abbia meno di tre anni. La norma, infatti, richiede che, al momento della presentazione dell’istanza, il genitore abbia “figli minori fino a tre anni di età” e prevede che l’assegnazione può essere disposta “per un periodo complessivamente non superiore a tre anni”. Ciò significa che l’assegnazione può durare sino a tre anni, indipendentemente dall’età anagrafica del bambino e può protrarsi anche quando il bambino ha superato i tre anni. Tale interpretazione risulta confermata dal Dipartimento della Funzione Pubblica [15] che ha chiarito che il limite di età stabilito dalla disposizione indica solo l’arco temporale entro il quale va fatta la richiesta e non il limite entro cui deve necessariamente concludersi l’assegnazione provvisoria. L’espressione utilizzata dal legislatore "per un periodo complessivo non superiore a tre anni" definisce, pertanto, la durata massima (tre anni) dell’agevolazione, senza alcun riferimento all’età dei minori. Nello stesso si è espressa anche la giurisprudenza, secondo la quale “la legge, con il richiamo duplice all’età del minore contenuto nella lettera della norma, prevede quale condizione legittimante del beneficio l’essere lavoratore genitore di figlio di età inferiore a tre anni (dal che si desume l’onere della richiesta entro il [continua ..]


3. La nozione di amministrazione pubblica di provenienza e di destinazione

Sempre con riferimento all’ambito soggettivo di applicazione della disposizione, sin dalla fase di prima applicazione dell’istituto, non sono mancati dei contrasti interpretativi relativi alla nozione di amministrazione pubblica contenuta nella norma. In particolare, non sono mancati i tentativi di alcune amministrazioni pubbliche di ritenersi escluse dall’ambito di applicazione della disposizione, a causa delle caratteristiche – del tutto peculiari – proprie di tali organizzazioni [17]. Ci si riferisce, in particolare, alla compatibilità tra l’istituto dell’assegnazione temporanea ex art. 42-bis, d.lgs. n. 151/2001 e la natura speciale di alcuni rapporti di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche come, ad esempio, il rapporto di lavoro delle forze armate, delle forze di polizia e della magistratura. La conclusione cui è giunta la giurisprudenza e la dottrina largamente maggioritarie è nel senso della generale applicabilità dell’istituto in quanto lo stesso è teso a tutelare la sfera familiare, ossia, a realizzare un obiettivo di politica legislativa proprio sia del programma costituzionale [18], sia di quello eurounitario [19]. Tale conclusione sarebbe, peraltro, corroborata anche dal dato testuale della disposizione, che riferendosi a tutti i dipendenti di pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 c. 2 del d.lgs. n. 165/2001, ricomprenderebbe anche dei dipendenti di amministrazioni statali non privatizzati, quali poliziotti, militari e magistrati [20]. Non si può, tuttavia, sottacere il fatto che tale tesi, apparsa per lungo tempo consolidata, è stata negata anche di recente da parte della giurisprudenza [21]. Sotto distinto profilo ci si è chiesti se l’assegnazione temporanea sia possibile solo presso diverse sedi territoriali della medesima amministrazione pubblica oppure anche presso amministrazioni pubbliche diverse. La giurisprudenza ammette pacificamente entrambe le possibilità, ovvero, sia la mobilità interna alla stessa amministrazione, sia l’assegnazione tra amministrazioni diverse [22].


4. Il requisito di stabilità dell’attività lavorativa dell’altro genitore

Per quanto concerne i requisiti oggettivi, la disposizione attribuisce al dipendente pubblico-genitore il diritto di richiedere l’assegnazione temporanea “ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa”. Come già evidenziato, infatti, l’istituto mira a ricostituire, quantomeno temporaneamente, l’unità familiare in quei nuclei familiari in cui i due genitori, entrambi lavoratori, prestano la propria attività lavorativa in sedi ubicate in territori diversi. In particolare, dal punto di vista geografico, la disposizione individua nella provincia l’ambito territoriale ottimale nel quale entrambi i genitori dovrebbero lavorare per non ledere l’interesse superiore dell’unità della famiglia. Si deve, dunque, dedurre che anche il genitore che lavori nella medesima regione dell’altro genitore, ma in una provincia diversa, possa legittimamente tentare di ottenere l’assegnazione temporanea presso una sede di servizio ubicata nella medesima provincia in cui lavora il proprio partner. Non può sfuggire, infatti, che spesso la distanza tra due territori di una medesima regione, ubicati in province diverse, può essere ben maggiore della distanza di due territori ubicati in due regioni diverse confinanti. Per quanto concerne la natura della attività lavorativa esercitata dall’altro genitore, la giurisprudenza ha affermato che l’assegnazione temporanea ex art. 42-bis d.lgs. n. 151/2001 “sia possibile solo nel caso in cui l’altro genitore eserciti “stabile e documentata attività lavorativa” [23]. Il dato testuale della norma, dal quale occorre sempre partire nell’attività esegetica, tuttavia, si limita ad affermare che l’assegnazione temporanea può essere richiesta presso “una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa”. La norma, dunque, non richiede che il coniuge eserciti la propria attività lavorativa nell’ambito di una specifica tipologia contrattuale. Ciò che conta, sulla base della lettera della norma, è che l’altro genitore svolga una qualsivoglia attività lavorativa presso la provincia o la regione in cui si trova la [continua ..]


5. I requisiti per la concessione dell’assegnazione temporanea del lavoratore

5.1. La sussistenza del posto vacante di corrispondente posizione retributiva

Con riferimento alla sfera oggettiva delle amministrazioni cui è richiesto di assentire o negare l’assegnazione temporanea del lavoratore istante, la disposizione subordina l’assenso all’istanza al ricorrere di due condizioni: a) la sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e, b) il previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione. Con riferimento alla sussistenza del posto vacante di corrispondente posizione retributiva presso l’amministrazione di destinazione, la giurisprudenza ha evidenziato che le assegnazioni temporanee possono essere fatte solo in ipotesi di sussistenza di posti vacanti e disponibili in organico di diritto, cioè in quella che viene definita comunemente come “pianta organica” [24]. Ciò significa che la verifica della sussistenza del posto vacante non deve riferirsi all’organico di fatto ma a quello di diritto. Tale precisazione rende quanto mai opportuno, per le amministrazioni pubbliche, il tempestivo aggiornamento degli organici di diritto alle reali esigenze di servizio, essendo spesso in uso presso il comparto pubblico la prassi di mantenere delle piante organiche “teoriche” ben più nutrite degli organici di fatto e, spesso, sovradimensionate rispetto al reale fabbisogno di manodopera del servizio.


5.2. Il nulla osta delle amministrazioni di provenienza e di destinazione

Con riferimento alla seconda condizione cui la disposizione subordina concessione dell’assegnazione temporanea, ossia al previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione, occorre notare come, nella gran parte dei casi, l’am­ministrazione di destinazione esprime il proprio dissenso sulla base dell’assenza, nella propria pianta organica, di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva. Sovente è l’amministrazione di provenienza a dissentire circa l’assegnazione temporanea del dipendente paventando il rischio che la fuoriuscita, seppure temporanea, del dipendente possa pregiudicare il buon funzionamento del servizio cui il lavoratore è addetto e motivando il diniego, quindi, con la situazione di deficitarietà in cui verrebbero a trovarsi gli organici aziendali. Come già evidenziato, la modifica della disposizione introdotta nel 2015, nel subordinare l’eventuale dissenso delle amministrazioni ai soli “casi o esigenze eccezionali”, ha inteso gravare i soggetti chiamati ad esprimersi sulla richiesta di assegnazione temporanea di un onere di motivazione particolarmente stringente, assegnando alla posizione soggettiva del dipendente istante, pur non qualificabile come diritto soggettivo, un innegabile rilievo rispetto alle problematiche tecnico-organiz­zative che lo spostamento temporaneo del lavoratore determina per l’ente di provenienza. Ne consegue che, pur essendo astrattamente possibile negare l’assegnazione temporanea del dipendente sulla base di casi o esigenze eccezionali, il sindacato del giudice circa la reale eccezionalità delle motivazioni addotte sarà particolarmente stringente. Non sarà, dunque, possibile limitarsi ad invocare delle scoperture di organico a fondamento del diniego. Infatti, secondo la giurisprudenza, la clausola normativa contenuta nell’art. 42-bis d.lgs. n. 151/2001, se da un lato consente alle Amministrazioni di tenere conto di esigenze organizzative anche non direttamente o esclusivamente connesse con le competenze professionali dell’istante e con l’insostitui­bilità delle mansioni da questi svolte in sede, non permette di riferire tali esigenze alla mera scopertura di organico che, ove si mantenga entro un limite numerico tutto sommato contenuto, appaia fronteggiabile con una migliore riorganizzazione del servizio e, dunque, con gli [continua ..]


6. Assegnazione temporanea e vincolo di permanenza quinquennale ex art. 35, c. 5-bis d.lgs. n. 165/2001

Un problema di coordinamento tra due disposizioni, entrambi afferenti al lavoro pubblico, si può porre con riferimento all’art. 35, c. 5-bis, d.lgs. n. 165/2001, in base al quale “I vincitori dei concorsi devono permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni”. La disposizione, introdotta per soddisfare le esigenze organizzative delle amministrazioni che procedono all’assunzione di nuovo personale per far fronte alle proprie esigenze di organico, potrebbe infatti essere invocata dalle amministrazioni a fondamento del diniego all’assegnazione temporanea eventualmente richiesta da un dipendente assunto, presso la sede di origine, da meno di cinque anni. Pur non essendovi né una disposizione di legge né un consolidato orientamento giurisprudenziale che possa risolvere tale nodo giuridico, appare corretto ritenere che il divieto di lasciare la propria sede di prima assunzione nei primi cinque anni di servizio non possa comportare la compressione di una posizione giuridica, come quella del lavoratore-genitore di figlio con meno di tre anni, che è stata introdotta dall’ordinamento per tutelare interessi di rango costituzionale che appaiono, senza dubbio, prevalenti rispetto al pur legittimo interesse organizzativo dell’ente. La giurisprudenza, seppure con riferimento ad un diverso istituto, in casi analoghi di conflitto tra disposizioni volte a proteggere beni tutelati dalla Costituzione ed il vincolo di permanenza quinquennale ha avuto modo di affermare che il “subordinare l’esigenza di tutela del soggetto debole alle necessità organizzative dell’Am­ministrazione, [comporterebbe una, ndr] violazione della scala dei valori dettata dai principi costituzionali” [29]. Il potenziale conflitto tra le due disposizioni andrà, dunque, risolto con il ricorso al criterio di specialità della norma volta a proteggere l’unità familiare e l’equilibrio psico-fisico del minore, rispetto ai pur legittimi interessi organizzativi dell’ente di appartenenza, che si esprimo nel vincolo quinquennale di permanenza presso la sede di prima assunzione. Secondo tale chiave di lettura, l’art. 42-bis, d.lgs. 151/2001, si pone in termini di specialità e, quindi, di prevalenza, rispetto alle disposizioni di carattere generale del d.lgs. 165/2001, quali l’art. 35, c. [continua ..]


7. Assegnazione temporanea del lavoratore in prova

Un ulteriore problema interpretativo è rappresentato dall’eventualità in cui il lavoratore pubblico che richiede l’assegnazione temporanea presso un’altra amministrazione ex art. 42-bis, d.lgs. n. 151/2001 sia ancora in prova presso l’amministra­zione di provenienza. La questione non è di poco conto in quanto, come noto, la ratio della clausola di prova è consentire ad entrambe le parti di verificare la convenienza dell’instaurazione definitiva del rapporto di lavoro. Proprio alla luce di tale funzione, alle parti è data la possibilità, nel periodo di prova, di recedere dal rapporto di lavoro senza dover addurre una giustificazione causale del recesso e senza dover rispettare i termini di preavviso previsti dal contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro. L’assegnazione temporanea del lavoratore in prova, dunque, non priva l’ammi­nistrazione di provenienza, semplicemente, di una figura professionale necessaria nei propri organici, determinandone la temporanea indisponibilità, ma rischia di impedire all’ente di prima assunzione di verificare la convenienza del rapporto di lavoro, con ciò frustrando la ratio stessa del patto di prova inserito nel contratto di lavoro. Non può sfuggire, infatti, che la verifica circa la reciproca convenienza all’in­staurazione definitiva del rapporto di lavoro non può prescindere dal concreto svolgimento della prestazione di lavoro, da parte del lavoratore, nelle mansioni previste dal contratto di lavoro, a favore del destinatario dell’obbligazione lavorativa, ossia il datore di lavoro presso il quale il dipendente ha vinto il concorso pubblico ed è stato assunto. La tematica non è nuova ed è stata ampiamente affrontata dalla giurisprudenza che ha affermato, facendo applicazione dei suesposti principi, che la sospensione del rapporto di lavoro per l’insorgere di eventi come la malattia, l’infortunio o la fruizione delle ferie annuali determina la sospensione del decorso del periodo di prova in quanto, nei periodi in cui il lavoratore è assente e non svolge la prestazione di lavoro dedotta nel contratto, le parti non possono accertare la reciproca convenienza ad instaurare un rapporto di lavoro definitivo [31]. Nel caso dell’assegnazione temporanea, a ben vedere, non si realizza una ipotesi di [continua ..]


8. Conclusioni

L’istituto dell’assegnazione temporanea del lavoratore pubblico ex art. 42-bis, d.lgs. n. 151/2001, soprattutto dopo le modifiche introdotte nel 2015, appare caratterizzato ancora da numerose incertezze e difficoltà interpretative. Queste ultime non riguardano solo il mai sopito dibattito circa la qualificazione giuridica della posizione soggettiva conferita al lavoratore-genitore (tema qualificatorio, peraltro, privo di significativi effetti pratici), che può essere ascrivibile all’interesse legittimo o al diritto soggettivo. Continuano ad esservi delle perplessità – foriere di ben maggiori problemi applicativi – circa l’applicabilità dell’istituto ai rapporti di lavoro pubblico non privatizzato (forze dell’ordine, magistrati, forze di polizia), questione su cui si registra un andamento ancora oscillante della giurisprudenza. Inoltre sussistono alcune difficoltà nel coordinare tale istituto con l’eventuale apposizione di un patto di prova al rapporto di lavoro con l’ente di origine e con il vincolo di permanenza quinquennale del lavoratore nella sede di assunzione. Quel che è certo è che l’inquadramento sistematico dell’istituto evidenzia – nel bilanciamento tra i beni costituzionalmente rilevanti tutelati dalla norma e l’inte­resse al buon funzionamento degli uffici pubblici – una netta prevalenza dell’inte­resse del lavoratore all’unità familiare, rispetto alle esigenze tecnico-organizzative delle amministrazioni che possono avere la prevalenza solo quando assumono i caratteri della eccezionalità.


NOTE
Fascicolo 2 - 2020