Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Le potenzialità del lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni: da modalità ordinaria di gestione dell'emergenza a volano per l'innovazione? (di Carla Spinelli)


 A partire dalla regolamentazione adottata e dalla esperienza maturata durante la pandemia da Covid 19, il presente contributo analizza le potenzialità del ricorso al lavoro agile da parte delle amministrazioni pubbliche nel contesto del processo di sviluppo digitale nel quale sono coinvolte. In particolare, si evidenzia il rilievo che assumono, a tal riguardo, la cultura manageriale dei dirigenti pubblici, l’innovazione organizzativa, la formazione, lo sviluppo delle competenze, nonché un adeguato assetto regolativo anche negoziale.

Taking into account the regulations adopted and the current concrete experience conducted during the pandemic due to the Covid 19, this article analysis the smart work potentiality in order to enhance the digital development of public administrations. The most relevant conditions to be put in place to promote smart work as a tool to foster digitalisation are: public manager approach towards organisational innovation, strong investments in training to develop digital skills, consistent legal and collective bargaining regulations.

SOMMARIO:

1. Un quadro normativo a formazione progressiva - 2. La disciplina semplificata per il lavoro agile nell’emergenza sanitaria - 3. Il lavoro agile in transizione - 4. Il lavoro agile “a regime” - 5. L’innovazione organizzativa: una questione di cultura non meno che di processi - 6. La conciliazione vita-lavoro - 7. Le fonti regolative del lavoro agile nella p.a. - NOTE


1. Un quadro normativo a formazione progressiva

Tra gli effetti inattesi della pandemia da coronavirus, che ha travolto il nostro Paese nei primi mesi dell’anno in corso e ancora ne condiziona significativamente ogni attività, va annoverata l’accelerazione della diffusione del lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni. Queste ultime, infatti, avevano manifestato finora un interesse assai modesto per tale modalità flessibile di esecuzione della prestazione lavorativa, affermatasi per lo più a livello sperimentale, anche grazie all’azione promozionale del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri [1]. Nell’ultima rilevazione dell’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano, che fin dal 2012 si occupa di monitorarne la diffusione nelle organizzazioni private e pubbliche presenti in Italia, si registrava ancora un ritardo evidente delle amministrazioni pubbliche, nonostante i dati risultassero in crescita rispetto all’anno precedente relativamente all’attivazione sia di progetti strutturati che di iniziative informali (ottobre 2019) [2]. Eppure, il legislatore già nel 2015, con la l. n. 124, aveva aperto la strada alla sperimentazione “di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa”, anche al fine di tutelare le cure parentali, avendo cura di precisare che tali modalità organizzative dovessero costituire oggetto di valutazione nell’am­bito dei percorsi di misurazione della performance organizzativa e individuale all’interno delle amministrazioni pubbliche (art. 14, c. 1) [3]. Con l’inasprirsi dell’emergenza sanitaria e il susseguirsi della decretazione d’ur­genza, che ha comportato inevitabili ricadute della normativa sopravvenuta sull’at­tività delle pubbliche amministrazioni, è stato sancito il superamento del regime sperimentale dell’obbligo per le amministrazioni di adottare misure organizzative per il ricorso a nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa, per effetto della modifica apportata all’art. 14 della l. n. 124/2015 [4]. Di conseguenza, il lavoro agile è stato dichiarato modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa, con l’obiettivo prioritario di estenderne al massimo l’utilizzo anche per le attività [continua ..]


2. La disciplina semplificata per il lavoro agile nell’emergenza sanitaria

Come è noto, l’art. 18, c. 3 della l. n. 81/2017 prevede che la disciplina del lavoro agile, dettata agli artt. 18-23, trovi applicazione anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni “in quanto compatibile” e, comunque, nel rispetto delle “direttive emanate anche ai sensi dell’art. 14 della l. 7 agosto 2015, n. 124, e fatta salva l’applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti”. Le linee guida per l’adozione del lavoro agile nel settore pubblico sono state dettate con la Circolare del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione n. 3/2017 [7]. La prestazione lavorativa in modalità agile si caratterizza per essere eseguita in parte all’interno dei locali aziendali (e, quindi, dell’amministrazione) e in parte all’esterno, senza una postazione fissa, senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, ma entro i limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici. Tale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato deve essere stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi. La finalità sottesa al ricorso al lavoro agile dichiarata dal legislatore è duplice: incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (art. 18, c. 1, l. n. 81/2017). Appare evidente, in relazione al dato normativo richiamato, che la modalità di lavoro agile che i dipendenti pubblici stanno praticando in conseguenza della pandemia è ben lontana dalla fisionomia tipica dell’istituto [8]: a cominciare dalla finalità perseguita con la sua adozione, che ne fa una misura prioritariamente intesa a tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, da contemperare con l’esigenza di garantire la continuità dell’azione amministrativa [9], per seguire con la mancanza del­l’alternanza tra sede di lavoro e altro luogo esterno ad essa per lo svolgimento della prestazione, confinata invece nelle sole mura domestiche. Ma l’aspetto persino più saliente dell’anomalia deve ravvisarsi nella possibilità data alle amministrazioni, e giustificata con esigenze di semplificazione [continua ..]


3. Il lavoro agile in transizione

In considerazione delle modalità anomale con cui si è dato avvio al ricorso intensivo al lavoro agile, quale misura volta a consentire di limitare la presenza del personale negli uffici ai soli casi in cui la presenza fisica fosse indispensabile per lo svolgimento delle attività strettamente funzionali alla gestione dell’emergenza e di quelle indifferibili [11], le amministrazioni pubbliche e i loro dipendenti si sono trovati, dunque, ad affrontare una sorta di stress test sul campo, esposto al rischio, tuttavia, di produrre risultati fuorvianti. La percezione delle reali potenzialità e criticità del lavoro agile, infatti, potrebbe facilmente risultare compromessa in considerazione del fatto che le amministrazioni, per la gran parte, non erano preparate ad adottare questa misura e i dipendenti pubblici stanno sperimentando sostanzialmente una forma di lavoro da casa, da gestire peraltro contestualmente ad una quotidianità – personale e familiare – che è stata stravolta durante il lockdown [12]. Con il d.p.c.m. del 26 aprile 2020 si è dato avvio alla c.d. fase 2 di gestione della pandemia, con un primo cauto allentamento delle misure restrittive adottate per il contenimento del contagio. Il provvedimento governativo non ha previsto disposizioni innovative per le pubbliche amministrazioni, sicché la disciplina normativa applicabile è rimasta quella contenuta nell’art. 87 del decreto “Cura Italia” (n. 18/2020). Ciò nondimeno, un nuovo intervento regolativo ministeriale è stato adottato per assicurare la necessaria attività amministrativa di supporto all’immediata ripresa di alcune attività produttive, industriali e commerciali, prevista dal suddetto decreto. In particolare, la Direttiva del Ministero per la pubblica amministrazione n. 3/2020 è intervenuta per sollecitare le amministrazioni “a valutare se le nuove o maggiori attività possano continuare a essere svolte con le modalità organizzative finora messe in campo ovvero se le stesse debbano essere ripensate”, ferma restando la necessità di “assicurarne la compatibilità con la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori” (punto 2). In altri termini, la Direttiva contiene un invito a riconsiderare le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa a distanza, [continua ..]


4. Il lavoro agile “a regime”

Per quanto la strumentazione tecnologica costituisca unicamente il supporto e non valga a qualificare l’«agilità» della prestazione di lavoro, per cui rilevano piuttosto la flessibilità del luogo e del tempo, certamente non si può svolgere lavoro da remoto senza un adeguato livello di dematerializzazione dei processi di produzione dei beni ed erogazione dei servizi per la collettività, che le amministrazioni presidiano con la loro attività. È fatto notorio che nel settore pubblico il processo di digitalizzazione incontra molte resistenze e risulta più lento e più farraginoso di quanto non sia nel settore privato, benché sia un tassello altrettanto fondamentale per il progresso del paese [15]. Lo sviluppo digitale delle amministrazioni pubbliche, nonostante i buoni propositi, sconta ancora un notevole ritardo, come testimonia da ultimo la Relazione nazionale sull’Italia per il 2020 relativa all’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI), che riassume gli indicatori rilevanti per le prestazioni digitali dell’Europa e traccia l’evoluzione degli Stati membri dell’UE nella competitività digitale. Tra le cinque dimensioni intorno alle quali tale indice è strutturato figurano, oltre a connettività, capitale umano, uso di internet e integrazione della tecnologia digitale, appunto i servizi pubblici digitali. L’Italia si posiziona al 25° posto fra i 28 Stati membri dell’UE e le sue prestazioni si collocano all’interno del gruppo di paesi dai risultati inferiori rispetto alla media eurounitaria. Già nel d.l. n. 18/2020 e, ancora più in sede di conversione, sono state previste misure di incentivazione e ausilio alla diffusione del lavoro agile attraverso il potenziamento delle dotazioni informatiche e dei sistemi di rete delle pubbliche amministrazioni. In particolare, l’art. 75 autorizza fino al 31 dicembre 2020 procedure di acquisto semplificate di beni e servizi informatici, preferibilmente basati sul modello cloud SaaS (software as a service), nonché di servizi di connettività, mentre l’art. 87-bis modifica la normativa che regola gli acquisti attraverso la Consip S.p.A. di personal computer e tablet da destinare ai lavoratori agili. In una prospettiva ancora più ampia si colloca l’intervento del c.d. decreto [continua ..]


5. L’innovazione organizzativa: una questione di cultura non meno che di processi

Il lavoro agile può assumere un rilievo costitutivo nel processo di sviluppo e consolidamento dell’amministrazione digitale a condizione che si accompagni, anzi sia preceduto, da un approccio innovativo nell’organizzazione del lavoro. Del resto, fin dagli esordi del processo di privatizzazione e contrattualizzazione dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso, nella riflessione dottrinale si è sottolineato come modificare le regole dei rapporti di lavoro pubblici, senza intervenire anche sul­l’organizzazione delle amministrazioni, risultasse d’ostacolo al tanto invocato obiettivo di modernizzazione delle stesse [16]. Tutto questo implica un cambiamento culturale, che, per un verso, presuppone strategie di gestione del personale ispirate a relazioni fiduciarie e collaborative con i dipendenti e, d’altra parte, acuisce l’importanza di una precisa definizione degli obiettivi e, conseguenzialmente, dei contenuti e delle modalità di esercizio della misurazione e valutazione della performance nelle amministrazioni. Al riguardo, la Direttiva del Ministero per la pubblica amministrazione n. 3/2017 precisa che la valutazione della performance è una condizione abilitante per un efficace ricorso al lavoro agile, la cui diffusione, a sua volta, deve essere oggetto di valutazione della performance organizzativa e individuale (par. 5). In particolare, la Direttiva specifica che gli indicatori da definire per la valutazione della performance organizzativa devono misurare: la maggiore produttività, la maggiore qualità dei servizi, i minori costi, il miglior tasso di conciliazione vita-lavoro, il miglioramento del benessere organizzativo. Il ricorso al lavoro agile è concepito, infatti, come misura volta al soddisfacimento del proprio interesse organizzativo da parte delle amministrazioni, anche nella prospettiva della riduzione della spesa, almeno tanto quanto la si intende strumentale alle esigenze di conciliazione dei lavoratori. Il decreto “Rilancio” postula un ritorno allo svolgimento della prestazione lavorativa in sede contrassegnato dalla “flessibilità dell’orario di lavoro, rivedendone l’articolazione giornaliera e settimanale, introducendo modalità di interlocuzione programmata, anche attraverso soluzioni digitali e non in presenza con [continua ..]


6. La conciliazione vita-lavoro

Tra le maggiori criticità che l’esperienza di lavoro agile nell’emergenza ha posto in evidenza, infatti, c’è proprio la difficoltà di gestire il tempo di lavoro nel rispetto dei limiti di durata massima giornaliera e settimanale previsti dalla legge e dai contratti collettivi, spesso complicata dalla esiguità degli spazi abitativi e dalla contestuale presenza di tutti i membri della famiglia, nonché dal già richiamato deficit di funzionalità delle infrastrutture di rete e dei sistemi informatici verificatosi di frequente, sia che i relativi strumenti fossero forniti dalle amministrazioni sia che appartenessero ai lavoratori. Da questo punto di vista il lockdown ha agito da lente di ingrandimento delle sfide che la destrutturazione spazio-temporale della prestazione di lavoro pone alla separazione tra vita lavorativa e vita privata e ha contribuito a rafforzare gli stereotipi di genere. Anche quando entrambi i genitori lavorano da casa, infatti, si conferma la tendenza per cui sono prevalentemente le donne ad attendere alle faccende domestiche e alle attività di cura familiare [24]. Da questo scenario emerge la conferma che la variabile essenziale della dimensione smart è la libera scelta, condizione necessaria per un’autentica flessibilità. È indispensabile, cioè, che ai lavoratori sia data la possibilità di condividere con l’or­ganizzazione finalità e motivazioni del progetto di lavoro agile che si è scelto (o si sceglierà) di mettere in campo. Va pur detto che, sul fronte della conciliazione vita-lavoro, il datore di lavoro pubblico ha qualche problema in più da affrontare rispetto a quello privato, quando si tratta di gestire la flessibilità del tempo di lavoro. In primo luogo, perché l’am­ministrazione agisce entro precisi vincoli normativi, più complessi di quelli che deve fronteggiare l’impresa. La disciplina dell’orario, infatti, rileva sia sul piano della macro-organizzazione (quello di ufficio e di apertura al pubblico), sia su quello del rapporto di lavoro, i quali, in ossequio al sistema delle fonti che regolano attualmente il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, sono soggetti a regime giuridico diverso, rispettivamente pubblicistico e privatistico (artt. 2, c. 1 e 5, d.lgs. n. 165/2001). Per le [continua ..]


7. Le fonti regolative del lavoro agile nella p.a.

L’art. 18 c. 3 della l. 81/2017, come già ricordato (supra, par. 2) dichiara applicabili alle pubbliche amministrazioni le disposizioni legislative sul lavoro agile, in quanto compatibili e fatte salve eventuali disposizioni speciali adottate al riguardo. Le sole regole speciali che sono intervenute finora sono proprio quelle della fase emergenziale, per lo più declinate in termini di esclusione dell’applicazione di alcuni profili anche rilevanti della disciplina, come la stipulazione del patto individuale di lavoro agile. Linee guida e criteri di adeguamento sono stati dettati, poi, attraverso le Direttive e le circolari interpretative del Ministero per la pubblica amministrazione. Le sperimentazioni relative all’adozione del lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni che erano state avviate prima che scoppiasse la pandemia hanno fatto prevalente ricorso a regolamenti di organizzazione accompagnati da schemi tipo di accordo individuale da sottoscrivere con i lavoratori, in ossequio alle indicazioni fornite dalla direttiva n. 3/2017. Quest’ultima prevede, infatti, che “è necessario che le amministrazioni, nel rispetto della disciplina normativa e contrattuale vigente, adottino un atto interno, secondo i rispettivi ordinamenti, in materia di lavoro agile che tratti gli aspetti di tipo organizzativo e i profili attinenti al rapporto di lavoro” (par. 3, lett. d). Più raramente sono stati stipulati accordi sindacali, coerentemente con la scelta del legislatore del 2017 di non riconoscere esplicitamente alcun ruolo alla contrattazione collettiva in materia di lavoro agile, esercitando l’opzione a favore dell’au­tonomia individuale delle parti contraenti quale unica chiave di accesso alla modalità agile di esecuzione della prestazione lavorativa subordinata. D’altro canto, questa preferenza legislativa non può certo costituire pregiudizio per la legittimità dell’intervento dell’autonomia collettiva ai sensi dell’art. 39, c. 1, Cost., nel rispetto dei principi che ne presidiano il rapporto con la legge, che nel settore pubblico conosce maggiori limiti, ma in ogni caso non tali da impedire che le parti sociali si guadagnino spazi di intervento. Rivendicazioni in tal senso hanno fatto capolino, durante la fase dell’emergenza, in relazione agli aspetti che sono risultati più controversi nella definizione del [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2020