Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


La responsabilità erariale del professore universitario per violazione del regime di incompatibilità (Corte dei conti, sez. giur. Regione Lombardia, sentenza 3 febbraio 2020 n. 11) (di Luigi Carbone - Dottorando di ricerca in Giurisprudenza nell’Università degli Studi di Catania)


Nella sentenza oggetto di commento la Sezione giurisdizionale Lombardia affronta un argomento complesso e attuale quale quello della responsabilità erariale del professore universitario a tempo pieno conseguente alla violazione del relativo regime di incompatibilità. La decisione si sofferma su diversi aspetti concernenti la violazione dell’art. 53, d.lgs. n. 165/2001, chiarendo la ratio di tale disposizione, la natura della responsabilità conseguente all’espletamento di attività non autorizzate, nonché il plesso giurisdizionale competente a conoscerne. In particolare, la sentenza si segnala per aver fornito una rilevante soluzione interpretativa in ordine all’individuazione del discrimen tra attività di consulenza e attività libero-professionale, individuando un criterio guida volto a sorreggere tale distinzione, fondato su un dato fattuale base e su due indici sintomatici.

The Lombardy Section of Court of Auditors ruled on a complex and current subject such as the full university professor’s accounting liability, in relation to breach of the applicable incompatibility framework. The ruling highlights several issues regarding the breach of art. 53 of the Legislative Decree no. 2001/165, clarifying the ratio of that regulation, the juridical nature of the liability deriving from the performance of unauthorised activities and the competent court. In particular, the ruling is noteworthy for the interpretation concerning the difference between advisory and professional activities, with the recognition of a guideline to support such distinction, based on one base factual element and two symptomatic indicators.

    CORTE DEI CONTI, SEZ. GIUR. REGIONE LOMBARDIA SENTENZA 3 FEBBRAIO 2020 N. 11 (Pres. A. CARUSO – Est. V. TENORE) Nel caso di espletamento di attività extra-lavorative remunerate e non autorizzate dal­l’amministrazione di appartenenza da parte di un dipendente pubblico, sussiste la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti del dipende qualora lo stesso abbia omesso di versare alla propria amministrazione, in base all’art. 53, cc.7 e 7-bis, d.lgs. n. 165 del 2001, gli importi percepiti, anche per gli introiti anteriori alla introduzione del c. 7-bis nel citato art. 53 a opera della legge n. 190 del 2012, essendo disposizione ricognitiva di un pregresso indirizzo giurisprudenziale favorevole alla giurisdizione contabile. L’azione erariale volta a far valere la responsabilità tipizzata di cui all’art. 53, c. 7-bis, d.lgs. n. 165 del 2001 non esclude la proponibilità di un’azione civile nei confronti del dipendente pubblico da parte della pubblica amministrazione. Ove però tale amministrazione non si attivi, anche in via giudiziale, facendo valere l’inadempimento degli obblighi del rapporto di lavoro, per ottenerne il versamento nel proprio bilancio e abbia, invece, a tal fine agito il procuratore contabile, non potrà più la medesima amministrazione promuovere azione per ottenere detto versamento. Si deve infatti escludere, stante il divieto del bis in idem, una duplicità di azioni attivate contestualmente che tendano a conseguire, dinnanzi al giudice munito di giurisdizione per ciascuna di esse, i compensi percepiti dal dipendente pubblico in difetto di autorizzazione allo svolgimento dell’incarico che li ha determinati, i quali una volta soltanto possono essere oggetto di recupero al fine di essere destinati al bilancio dell’amministrazione di appartenenza di quel dipendente. La condotta omissiva del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore di cui all’art. 53, c. 7, d.lgs. n. 165 del 2001 configura un’ipotesi autonoma di responsabilità amministrativa tipizzata, a carattere risarcitorio, con conseguente applicazione degli ordinari canoni sostanziali e processuali della responsabilità, con rito ordinario, previa notifica a fornire deduzioni di cui all’art. 67 c.g.c. Ai professori universitari a tempo pieno, in base all’art. 6, cc. 9 e 10, legge n. 240 del 2010, è consentito l’espletamento di attività di consulenza, ma non di attività libero-professionale, che non è dunque neppure autorizzabile dal rettore, non potendo un atto amministrativo derogare a un divieto legislativo. Per i professori universitari a tempo pieno, il distinguo logico-concettuale tra attività consulenziali consentite e attività libero-professionali vietate, va individuato facendo [continua..]
SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il caso deciso dal giudice contabile - 3. Il regime di incompatibilità del professore universitario - 4. La distinzione tra attività libero-professionale e attività di consulenza - 5. La responsabilità del professore universitario per violazione dell'art. 53, d.lgs. n. 165-2001 - 6. La responsabilità per omesso versamento del compenso da parte del professore universitario indebito percettore - 7. Conclusioni - NOTE


1. Premessa

Con la decisione che si annota la Sezione giurisdizionale Lombardia della Corte dei conti [1] aggiunge un ulteriore tassello alla tormentata questione del regime di incompatibilità dei docenti universitari [2], sollecitando un approfondimento su un tema che continua ad alimentare dubbi e incertezze interpretative. La sentenza in esame offre molteplici spunti per esaminare il problema della responsabilità erariale dei professori universitari a tempo pieno, intervenendo e prendendo posizione su diverse questioni oggetto di contrasti giurisprudenziali non soltanto dinnanzi al giudice contabile, ma che hanno interessato, e continuano a interessare, anche la giurisprudenza amministrativa e di legittimità [3]. La pronunzia in commento ha affrontato diversi aspetti concernenti la violazione dell’art. 53, d.lgs. n. 165/2001, chiarendo la ratio di tale disposizione, la natura della responsabilità conseguente all’omesso versamento all’università di appartenenza dei compensi percepiti da parte del docente universitario per l’espletamento di attività non autorizzate, nonché il plesso giurisdizionale competente a conoscerne. Tale decisione si segnala in particolare per aver proposto una soluzione interpretativa in ordine all’individuazione del discrimen tra attività libero-professionale vietata e attività di consulenza consentita, rilevante ai fini della configurabilità di una responsabilità amministrativa del professore universitario a tempo pieno, soffermandosi inoltre sulle possibili conseguenze dannose, conoscibili dal giudice contabile, derivanti dallo svolgimento di attività vietate o non autorizzate ex art. 53, d.lgs. n. 165/2001.


2. Il caso deciso dal giudice contabile

La pronunzia della Sezione giurisdizionale Lombardia è intervenuta a seguito dell’azione di responsabilità avviata dal procuratore contabile nei confronti di un professore associato a tempo pieno, a fronte di una denuncia della Guardia di finanza. In particolare, si è contestato al convenuto un duplice danno erariale derivante dallo svolgimento di attività libero-professionali da architetto non autorizzabili, e dolosamente occultate in quanto non oggetto di richieste di autorizzazione, in relazione a cinque tipologie di incarichi espletati in violazione degli artt. 6, c. 9, l. n. 240/2010 e 53, c. 7, d.lgs. n. 165/2001. Segnatamente, le due poste dannose, contestate dalla procura contabile, sono state individuate nell’omesso versamento all’uni­ver­sità di appartenenza dei compensi extra-lavorativi percepiti in violazione del citato art. 53, nonché nella differenza del trattamento economico percepito tra il regime di impiego a tempo pieno e il regime di impiego a tempo definito previsto per i docenti universitari. A fronte di tali contestazioni, la difesa del convenuto ha eccepito principalmente la non corretta qualificazione delle attività contestate quali attività libero-pro­fes­sionali vietate, sostenendo la configurabilità delle stesse quali attività di collaborazione scientifica e di consulenza, come tali consentite ai sensi dell’art. 6, c. 10, l. n. 240/2010, la sussistenza dell’autorizzazione del rettore dell’università di appartenenza per lo svolgimento di uno degli incarichi contestati e in ogni caso l’esclusione del dolo e della colpa grave, stante la buona fede e il ragionevole affidamento ingenerato nel docente universitario sulla legittimità delle attività espletate e derivante dalle rassicurazioni ricevute dai vertici dell’ente conferente alcuni degli incarichi contestati, dal rettore e dal proprio commercialista. Tali difese non sono state condivise dal giudice contabile. Segnatamente, è stata disattesa l’eccezione difensiva in ordine alla qualificazione delle attività contestate (fornendo a tal proposito un criterio interpretativo idoneo a consentire la distinzione tra attività libero-professionale vietata e attività di consulenza consentita anche senza autorizzazione), sicché gli incarichi svolti dal convenuto sono stati ricondotti [continua ..]


3. Il regime di incompatibilità del professore universitario

Prima di affrontare le specifiche problematiche attinenti all’individuazione del discrimen tra attività libero-professionale vietata e attività di consulenza consentita e alle conseguenze derivanti dall’esercizio di attività libero-professionali a opera di professori universitari a tempo pieno come decise dal giudice contabile lombardo, appare opportuno un preliminare inquadramento della disciplina in materia di incompatibilità e di attività extra-istituzionali dei docenti universitari che rispetto a quella applicabile agli altri dipendenti pubblici si arricchisce di ulteriori tratti peculiari. Il rapporto di pubblico impiego è stato tradizionalmente considerato dalla legislazione ordinaria in termini di esclusività, in diretta espressione dell’art. 98, c. 1, Cost. [4]. Si rinviene nel principio costituzionale di esclusività la ratio del regime delle incompatibilità nel pubblico impiego, al fine di preservare le energie del dipendente pubblico e per tutelare il buon andamento della P.A., che risulterebbe turbato dal­l’esple­tamento da parte dei propri dipendenti di attività imprenditoriali caratterizzate da un nesso tra lavoro, rischio e profitto; centri di interessi alternativi al pubblico uf­ficio rivestito, implicanti un’attività caratterizzata da intensità, continuità e profes­sionalità, potrebbero turbare la regolarità del servizio o attenuare l’indipendenza del dipendente e il prestigio della P.A. [5]. Le disposizioni in tema di incompatibilità sono state considerate, seppure in epoca antecedente alla privatizzazione, espressione di una specialità del pubblico impiego che dalla Costituzione procede alla legislazione ordinaria, la cui ragione giustificatrice risiede nei principi di imparzialità e di buon andamento della P.A., affinché la stessa amministrazione possa acquisire persone dedite senza altre distrazioni alle prestazioni loro richieste dal rapporto di lavoro di diritto pubblico e immuni da influenze esterne [6]. La Corte costituzionale, pur evidenziando come il principio di esclusività sia volto a garantire la P.A. e i suoi dipendenti da influenze politiche o, comunque, di parte, in relazione al complesso delle fasi concernenti l’impiego pubblico (accesso all’ufficio e svolgimento della [continua ..]


4. La distinzione tra attività libero-professionale e attività di consulenza

Con riferimento ai professori universitari a tempo pieno, a fronte di tale comples­so quadro normativo, caratterizzato da disposizioni difficili da coordinare e spes­so contraddittorie, si pone la specifica questione della distinzione tra attività libe­ro-professionale vietata e attività di consulenza consentita. Tale problematica è stata affrontata dal giudice contabile con la pronunzia in commento che, dopo un’accurata analisi dei diversi orientamenti emersi in dottrina e in giurisprudenza, nonché anche delle interpretazioni fornite dal vecchio MIUR, ha proposto una soluzione interpretativa in ordine all’individuazione del discrimen tra attività di consulenza e attività libero-professionale. Non ha sollevato, invece, particolari problematiche uno degli incarichi contestati dal­la procura contabile al convenuto, ovvero quello svolto quale relatore in una singo­la lezione; in tal caso si è esclusa la violazione dell’art. 53, c. 7, d.lgs. n. 165/2001, in quanto ritenuta attività liberamente esercitabile, senza la necessità di autorizzazione anche se retribuita. La Sezione giurisdizionale Lombardia ha infatti ricordato che lo svolgimento, anche dietro compenso, di lezioni, di attività di formazione, di docenza, come anche la partecipazione a convegni e seminari, è liberalizzato sia dal regime generale stabilito dal citato art. 53 per tutti i dipendenti pubblici, sia dal regime speciale applicabile ai docenti universitari a tempo pieno ai sensi dell’art. 6, c. 10, l. n. 240/2010. Il giudice contabile si è anche profuso nel cogliere le differenze tra i due regimi. Si è chiarito che il citato art. 6, consentendo espressamente ai docenti universitari a tempo pieno di svolgere liberamente, anche con retribuzione, lezioni e seminari di carattere occasionale, implicherebbe la necessità di richiedere un’autorizzazione al rettore ove gli interventi dovessero assumere carattere sistematico; diversamente invece un’autorizzazione da parte dell’amministrazione di appartenenza non è necessaria per i restanti dipendenti pubblici a fronte di una normativa generale che non fissa limiti quantitativi alla docenza. Così, alla singola lezione contestata si è riconosciuto il carattere occasionale, trattandosi di un solo intervento e senza che lo stesso carattere [continua ..]


5. La responsabilità del professore universitario per violazione dell'art. 53, d.lgs. n. 165-2001

La Sezione giurisdizionale Lombardia, riconosciuta la natura libero-pro­fes­sio­nale delle attività contestate al contenuto, ha affrontato dunque la specifica questione afferente alle relative conseguenze in punto di responsabilità. A tal riguardo, pri­ma di addentrarsi nella soluzione offerta dal giudice contabile lombardo, appaiono op­portune alcune considerazioni in ordine agli effetti della violazione delle disposizioni in tema di incompatibilità dei professori universitari, anche alla luce dei più recenti indirizzi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, amministrativa e contabile che hanno affrontato l’argomento. È l’art. 53, d.lgs. n. 165/2001 che disciplina gli effetti della violazione del regime di incompatibilità dallo stesso delineato, facendo discendere conseguenze diverse a seconda che il dipendente pubblico abbia svolto delle attività assolutamente incom­patibili, ovvero delle attività relativamente incompatibili. Tale articolo, ove non de­rogato da disposizioni speciali, trova applicazione anche in caso di violazione del­lo speciale regime di incompatibilità che caratterizza i professori universitari. Nel caso di svolgimento di attività vietate, occorre fare riferimento all’art. 63, d.P.R. n. 3/1957, come richiamato dal citato art. 53, che postula quale conseguenza dell’inosservanza delle disposizioni in tema di attività assolutamente incompatibili la decadenza dall’impiego. La disciplina contenuta al suddetto art. 63 prevede che l’impiegato che si trovi in situazione di incompatibilità venga diffidato a cessare da tale situazione e che, decorsi quindici giorni dalla diffida, decada dall’incarico. Secondo il giudice di legittimità, ne consegue che soltanto nel caso in cui l’impiegato ottemperi alla diffida, il suo comportamento assume rilievo disciplinare e rientra nelle previsioni di cui all’art. 55, d.lgs. n. 165/2001, posto che, diversamente, trova applicazione l’istituto della decadenza, che non ha natura sanzionatoria o disciplinare, ma costituisce una diretta conseguenza della perdita di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, se fossero mancati ab origine, avrebbero precluso la stessa costituzione del rapporto di lavoro [63]. L’istituto della decadenza dal rapporto di impiego, dunque, in quanto [continua ..]


6. La responsabilità per omesso versamento del compenso da parte del professore universitario indebito percettore

In disparte ai profili di costituzionalità, a fronte della riconosciuta natura sanzionatoria dell’obbligo di versamento del compenso si è posto il diverso e ulteriore problema di definire la natura della responsabilità erariale conseguente alla connessa ma diversa condotta prevista dal c. 7-bis del citato art. 53, ovvero derivante dal­l’omissione dell’obbligo di versamento del compenso indebitamente percepito da parte del docente universitario. Invero, prima dell’importante intervento delle Sezioni Riunite della Corte dei conti, non essendo sempre chiara la distinzione tra le due differenti condotte rispettivamente disciplinate dai cc. 7 e 7-bis dell’art. 53, si è spesso giustificata la giurisdizione contabile per il solo fatto obiettivo dello svolgimento di un’attività extra-istituzionale non autorizzata, in violazione del principio della esclusività della funzione pubblica [106]. Con tale interpretazione, invalsa in una parte della giurisprudenza contabile e sostenuta anche in dottrina [107], si è finito, dunque, per propugnare una ricostruzione della responsabilità erariale in chiave sanzionatoria, in quanto ritenuta integrata dal mero svolgimento di un’attività extra-istituzionale retribuita in difetto di autorizzazione, anziché dal mancato riversamento dei compensi indebitamente percepiti. In alcune pronunzie del giudice contabile è stato, infatti, affermato che l’obbligo di versamento del compenso, in difetto di autorizzazione, costituisce un rafforzamento del dovere di richiedere l’autorizzazione all’amministrazione di appartenenza [108] e che l’omesso versamento è previsto da una norma specifica, a carattere sanzio­natorio, introdotta dal legislatore quale deterrente per le trasgressioni del regime di esclusiva [109]. Si è anche sostenuto che la violazione del vincolo costituzionale sancito all’art. 98 viene sanzionata a prescindere dalla produzione di un danno, affermandosi pertanto espressamente che l’obbligo di versamento non presuppone di per sé un effettivo danno patrimoniale a carico della P.A., ma integra piuttosto una responsabilità di carattere eminentemente punitivo [110]. La natura sanzionatoria è stata riconosciuta, inoltre, dalle Sezioni Unite della Cor­te di Cassazione secondo cui [continua ..]


7. Conclusioni

Dalla natura risarcitoria della responsabilità per omesso versamento dei compen­si indebitamente percepiti discende l’applicazione degli ordinari canoni sostanziali e processuali della responsabilità amministrativa, sicché, affinché possa dirsi integrata, occorre dimostrare non soltanto la mancanza di autorizzazione espressa da parte dell’amministrazione di un incarico e che si sia verificata l’omissione del riversamento da parte del docente universitario, ma anche che tale omissione sia connotata da dolo o colpa grave [152]. Per quanto attiene a questo elemento strutturale dell’illecito amministrativo-contabile [153], il giudice contabile lombardo ha attestato la sussistenza del dolo in capo al convenuto a fronte dell’espletamento di un’attività durevole e professionale contra legem reiterata negli anni, come tale ritenuta espressiva di una condotta dolosa, in quanto tradottasi anche in una non chiara e completa informazione all’uni­versità di appartenenza delle attività concretamente svolte e, soprattutto, della loro pluriennale durata. Anche con riferimento all’elemento soggettivo si riscontrano diversi orientamenti nella giurisprudenza contabile. Il giudice contabile [154], soprattutto in sede di appello [155], talvolta ha infatti escluso la sussistenza dell’elemento psicologico neces­sario a integrare l’illecito erariale, a fronte di un ambito normativo estremamente farraginoso e contraddittorio e dunque dell’incertezza interpretativa e della difformità applicativa della normativa in tema di incompatibilità nel comparto universitario, dando rilievo alla produzione da parte del docente universitario di una serie di comunicazioni e di richieste di autorizzazioni per lo svolgimento di attività extra-istituzionali. Tali comunicazioni e richieste di autorizzazioni, anche se afferenti ad attività assolutamente incompatibili, ovvero ad attività libero-professionali abituali e continuative, sono state ritenute comunque idonee a dimostrare l’intenzione del professore universitario di comunicare all’università di appartenenza ogni attività esterna nella ragionevole convinzione dell’assoluta liceità della propria condotta [156]. In altri casi, la configurabilità della colpa grave è stata, altresì, [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2020