Analizzati il principio costituzionale di autonomia universitaria e la normativa sui doveri didattici dei docenti universitari, nel saggio si pongono in luce i ritardi nella regolamentazione della disciplina sull’attività didattica a distanza e si suggeriscono alcune soluzioni.
This essay discusses some of the challenges related to the implementation of distance learning. After analyzing the constitutional principle of university autonomy and the rules on the teaching duties of university professors, the paper highlights the delays in the regulation of distance teaching and suggests some solutions to face the new teaching needs.
Keywords: university autonomy – distant learning – educational activities – teaching in presence – university teachers – Covid 19
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1. Alcune osservazioni sul principio di autonomia universitaria - 2. La disciplina della didattica nelle fonti normative primarie - 3. Segue: … e nelle fonti normative secondarie - 4. Conclusioni e problemi de iure condendo - NOTE
1.1. Come è noto, il principio di autonomia universitaria è fissato dall’art. 33 della Costituzione, secondo cui “le istituzioni di alta cultura, università e accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato”. In tal modo, sono garantite, da un lato, un’ampia libertà nello svolgimento della didattica e della ricerca [1]; da un altro, l’autonomia delle istituzioni accademiche mediante specifici ordinamenti [2]. L’autonomia universitaria va declinata sia in negativo sia in positivo. Perciò, va intesa sia come limite all’invadenza del potere pubblico sia come potere di una comunità, quella universitaria, di autodeterminarsi e di svolgere liberamente le funzioni attribuite, per perseguire l’interesse pubblico nella ricerca scientifica e nell’insegnamento. Di conseguenza, la valutazione di metodi, programmi, attività e persone è demandata a chi svolge direttamente le attività di ricerca e di insegnamento. Per garantire il principio di autonomia, è posta una riserva di legge, sulla quale la dottrina si è confrontata in merito al suo carattere “assoluto” o “relativo”, chiedendosi in quest’ultimo caso se lo spazio concesso alla normazione secondaria fosse da ritenersi aperto all’intervento dei regolamenti governativi o solo a quello di statuti e di regolamenti universitari. Se la prassi legislativa e la giurisprudenza costituzionale in proposito hanno interpretato la riserva come relativa, si è anche prospettata una diversa interpretazione, secondo cui la riserva sarebbe polimorfa: “relativa” verso le fonti normative prodotte dagli atenei, “assoluta” verso le fonti governative secondarie [3]. Perciò, solo la legge o gli atti a essa equiparabili possono disciplinare i limiti dell’autonomia normativa universitaria, ma non certamente i regolamenti, perché «la legge ordinaria che prevedesse la possibilità di discipline (non autonome) della materia inciderebbe, illegittimamente, sul riparto delle competenze normative ricavabili dall’art. 33, ultimo comma, Cost.» [4]. In tal senso, gli atenei sono detentori di un’autonomia normativa verso lo Stato e verso le altre università e hanno il «diritto di formare veri e propri [continua ..]
2.1. A distanza di dieci anni dall’emanazione della Costituzione, il principio di autonomia è ribadito nella legge sullo stato giuridico ed economico dei professori universitari, in cui si è riaffermata, da un lato, la libertà di insegnamento e di ricerca scientifica; da un altro, solo l’obbligo in capo ai docenti di uniformarsi alle deliberazioni delle Facoltà in merito al coordinamento dei rispettivi programmi didattici [23] anche perché proprio il principio di autonomia non può che essere esercitato in “un sistema complesso e coordinato con una programmazione di ateneo e di dipartimento” [24]. 2.2. Dopo una prolungata stasi legislativa durata oltre vent’anni, il tema della didattica è ripreso, all’interno dei provvedimenti urgenti del 1980 [25], in due articoli, che tengono conto delle profonde modifiche introdotte nello stato giuridico della docenza universitaria. Nel primo, rubricato “Doveri didattici dei professori”, ricordati gli obblighi didattici dei professori ordinari (attività didattica e partecipazione alle commissioni degli esami di profitto e di laurea), prima si fissa un tetto temporale minimo [26], poi si prevede l’obbligatoria partecipazione agli organi collegiali; infine, si stabilisce un ulteriore arco temporale minimo di presenza (100 ore) per l’assolvimento di compiti organizzativi interni e di orientamento degli studenti [27]. Su questo profilo, in seguito, il legislatore ha precisato come l’attività didattica dei professori universitari, compresi gli associati, possa essere svolta anche nei corsi di orientamento degli studenti, gestiti dalle università eventualmente in collaborazione con le scuole secondarie superiori, nonché nei corsi di diploma universitario [28]. Sempre negli stessi provvedimenti urgenti del 1980, si sono specificati anche i “Compiti dei ricercatori universitari” [29]. In questo caso, in virtù delle ambiguità genetiche da sempre sottese a questo ruolo previsto poi a esaurimento, non è casuale che il legislatore abbia utilizzato il termine “compiti” e non “attività didattica” (come per i professori di ruolo), in quanto ha sempre negato una vera e propria funzione docente per tale categoria. Infatti, ha precisato che i ricercatori assolvono a “compiti didattici [continua ..]
3.1. Sul piano normativo, i “prodotti” del processo di Bologna sono rappresentati da fonti normative secondarie: due importanti decreti ministeriali del Miur [40]. Con essi, si è definito un duplice obbligo nell’approvare gli ordinamenti didattici dei corsi di laurea: da un lato, la specificazione degli obiettivi formativi in termini di risultati di apprendimento attesi; da un altro, l’individuazione degli sbocchi professionali secondo le attività economiche classificate dall’Istat. Tuttavia, pur sottolineandone l’indubbia rilevanza per l’avvio dell’autonomia didattica nel sistema universitario, in essi non vi è alcun riferimento alla didattica e-learning, ma solo un sintetico riferimento alle “abilità informatiche e telematiche”, in quanto “ritenute utili per l’inserimento nel mondo del lavoro”, insieme con altri parametri, presenti nell’articolo rubricato “Obiettivi e attività formative qualificanti delle classi” [41]. Il secondo decreto ministeriale, quello del 2004, ha l’obiettivo di “correggere talune anomalie” e “conferire al sistema maggiore funzionalità e flessibilità”, senza compromettere l’architettura di sistema riassumibile nella formula del cd. “3 + 2” [42]. Inoltre, definisce i punti cardine della riforma, detta i criteri generali per l’ordinamento degli studi universitari e determina, altresì, la nuova articolazione dei corsi e dei titoli di studio, in conformità con gli standard condivisi dai Paesi dell’Unione Europea. Tuttavia, pur nell’innovatività dell’ordito normativo, non si avverte l’opportunità/necessità di regolamentare l’attività didattica a distanza, pur molto diffusa all’estero: l’avvicinamento alla disciplina dell’Unione Europea si compie solo parzialmente, trascurando totalmente l’e-learning. 3.2. Ancora una volta, deve trascorrere un lungo arco temporale, oltre dieci anni, perché vi sia un primo riferimento definitorio, seppur del tutto insoddisfacente, sulla didattica a distanza, attraverso due decreti ministeriali del 2016, emanati però per finalità diverse. Nel primo, relativo alla programmazione triennale del sistema universitario [43], in un allegato [continua ..]
4.1. Al termine dell’analisi sulle esigue fonti normative primarie circa gli obblighi didattici [46] in capo ai docenti universitari e la didattica a distanza, emergono alcune osservazioni finali. Innanzitutto, appare in tutta la sua evidenza la singolare contraddizione tra la realtà effettuale, data dalla progressiva, forte diffusione della didattica e-learning nel sistema universitario, specie internazionale, ma anche nazionale, e la realtà “ufficiale”, quella codificata dal legislatore. Sotto questo profilo, è superfluo sottolineare come tale tipologia di didattica abbia assunto un ruolo ancor più rilevante a seguito del fenomeno epidemiologico del covid-19, diventando quasi l’unico canale di docenza non solo nelle università [47], ma anche nell’intero sistema scolastico. Insegnare a distanza comporta anche un netto mutamento nel «modo di insegnare e [nel]l’articolazione della materia (che diventa “a rete”), coltivando una dimensione attiva e partecipativa (“in azione”) di contatto della lezione» [48]. Andrebbe di conseguenza rivista l’intera fascia dell’istruzione superiore, aggiornando «valori, bisogni, esigenze e obiettivi di regolamentazione di una società complessa e instabile, focalizzandosi su utenti differenti (studenti universitari e laureati)» in un’ottica di formazione continua, tanto più all’interno di una società della conoscenza, caratterizzata dalla rapida obsolescenza delle tecnologie, «in un ecosistema integrato in cui mutano gli assetti di potere interni alla società e alla vita materiale» [49]. In tale prospettiva, va ulteriormente rimarcata la totale assenza di una qualsivoglia disciplina legislativa sulla didattica a distanza, molto diffusa e ormai declinabile sulla base di una pluralità di modelli, già emersi nella prassi applicativa nel 2010, data dell’ultimo, importante intervento legislativo, che ha però lasciato quasi inalterata la normativa sulla didattica. Inoltre, con il trascorrere degli anni, è emersa l’assenza e/o la scarsissima attenzione del legislatore in merito alla opportunità/necessità di riformare, accanto alla disciplina sull’attività e-learning, anche gli obblighi didattici dei professori: invece di una [continua ..]