Il commento analizza la recente e consolidata giurisprudenza di legittimità in materia di rapporto di lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico: secondo la Corte di Cassazione, che fa leva sui principi generali in tema di nullità contrattuale e di buon andamento e imparzialità dell’agere amministrativo, la nullità della procedura di reclutamento per violazione di norme imperative costituisce causa di nullità virtuale dei contratti di lavoro sottoscritti in esito ad essa, a prescindere dalla circostanza che i lavoratori abbiano dato causa al vizio o ne abbiano avuto consapevolezza. Tale orientamento è stato del resto formalizzato in progresso di tempo dal legislatore con il d.lgs. n. 175/2016 (Testo unico in materia di società a controllo pubblico).
The essay analyses the recent and consolidated jurisprudence of the Court of Cassation on the employment relationship for public controlled companies: in the view of the Court, in compliance with general principles on contracts voidness and impartiality and good performance of public administrations, the voidness of the recruitment proceedings for infringement of imperative rules, represents a cause of nullity of the contract of employment, even if the workers know or less the fault. Such an orientation has been formalised by the national legislator with Legislative decree no. 175/2016.
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Con la sentenza in epigrafe la Suprema Corte torna a pronunciarsi sulle conseguenze sul rapporto di lavoro alle dipendenze delle società a controllo pubblico, a seguito di nullità della procedura di assunzione: in particolare, la Cassazione ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato nulli i contratti di lavoro dei ricorrenti con la società in house del comune di Roma preposta alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti, per difetto dell’utile collocazione in graduatoria degli stessi, all’esito di una procedura di reclutamento viziata dall’alterazione dei punteggi da parte della commissione giudicatrice. Tanto in primo grado quanto in appello la nullità dei contratti veniva motivata sulla base delle prove acquisite in sede di giudizio penale, da cui risultava accertata la violazione dei principi di terzietà, economicità ed imparzialità che presiedono alla costituzione dei rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni e, sulla scorta di un’interpretazione teleologica e sistematica, anche con le società a controllo pubblico: risultava infatti come i ricorrenti avessero in realtà un punteggio inferiore alla soglia di idoneità utile per essere assunti. Tanto premesso, l’autorità giudiziaria considerava assorbite le ulteriori doglianze dei lavoratori circa il carattere ingiurioso e/o discriminatorio del licenziamento.
La vicenda in esame si inscrive in un contesto di forte incertezza normativa, frutto della stagione delle privatizzazioni a cavallo tra anni ’80 e ’90, in cui gli enti locali hanno devoluto a compagini societarie, detenendone in toto o in parte il capitale sociale, l’esecuzione di gran parte dei servizi pubblici essenziali di loro competenza [1]. La fiducia di ascendenza neoliberista negli automatismi del mercato non ha tuttavia portato dei benefici concreti al diritto pubblico dell’economia [2]: si sono infatti registrati incrementi dei costi di gestione con ingenti oneri per la finanza locale, procedure di mobilità del personale dagli enti locali alle nuove compagini sociali, ed assunzioni non sempre trasparenti in ragione degli strumenti privatistici per la costituzione dei rapporti di lavoro, in funzione elusiva della dotazione organica dell’amministrazione controllante e del principio costituzionale del concorso pubblico [3]. Considerazioni di politica del diritto a parte, le società a controllo pubblico si caratterizzano per la natura ibrida a livello strutturale e funzionale [4]: si configurano formalmente quali società di capitali, ma sono possedute da un ente pubblico, ed erogano servizi espressione di diritti della persona costituzionalmente tutelati all’interno dello Stato di democrazia pluriclasse, che oggi parte della dottrina giuridica qualifica come beni comuni in ragione della non declinabilità alla luce del paradigma proprietario [5] (ad esempio, la fornitura e la distribuzione di acqua e risorse energetiche, o il trasporto pubblico urbano ed interurbano). Da qui si è originato un forte contenzioso in giurisprudenza nel tentativo di ricondurre ad unità un quadro normativo frammentato e disorganico: in linea di massima sino ai primi anni 2000 si registrava una summa divisio, in caso di violazione delle procedure di reclutamento, tra i fautori della tesi della nullità e quelli dell’annullabilità [6]. Se per la prima opzione ermeneutica il rapporto era inesistente ex tunc, fatta salva la corresponsione del salario e dei contributi previdenziali per le prestazioni già svolte ex art. 2126 c.c., per la seconda il rapporto tra le parti continuava ad intercorrere, senza possibilità per il datore di lavoro di disconoscerne gli effetti. In progresso di tempo si sono registrati vari [continua ..]
La vicenda in esame è soggetta ratione temporis al d.l. 25 giugno 2008, n. 112: poiché la società convenuta in giudizio è in house providing, nulla quaestio che sia soggetta a quanto previsto dall’art. 35 del d.lgs. 31 marzo 2001, n. 165 in materia di procedure di reclutamento. Come anticipato il problema che si pone, nel silenzio dell’allora dettato normativo, è l’individuazione della tecnica di tutela applicabile a presidio dell’interesse pubblico. Nel riprendere un indirizzo oramai consolidato [23] la Suprema Corte fa leva sui principi civilistici in materia di nullità di contratti ed obbligazioni: nel processo di formazione del contratto individuale di lavoro, il bando di gara e la graduatoria finale si configurano rispettivamente come proposta al pubblico ed atto di individuazione del futuro contraente [24], e quindi come atti presupposti di una sequenza procedimentale che porta alla formazione del negozio giuridico. Se dunque l’atto di individuazione del contraente è nullo per violazione delle norme imperative ex art. 35 t.u., ne consegue la nullità del contratto di lavoro ai sensi dell’art. 1418, c. 1, c.c.: in particolare, si è in presenza di una nullità virtuale non espressamente sancita dalla legge, ma giustificata da un giudizio di dannosità sociale del negozio, in ragione di interessi non giuridicamente meritevoli di tutela che incidono anche sulla causa rendendola illecita [25]. L’interprete dovrà cioè verificare di volta in volta che il rimedio della nullità sia effettivamente coerente e compatibile con l’interesse pubblico specificamente perseguito dalla norma imperativa [26]: ciò, del resto, risulta dal dato testuale di cui all’art. 1418, c. 1, c.c., che commina la generale nullità del contratto stipulato in violazione di norme imperative salvo specifica disposizione di legge che preveda una diversa forma di invalidità [27]. Tuttavia, applicando la dogmatica civilistica nel caso di specie si potrebbe obiettare che l’alterazione della graduatoria rientri nel novero delle norme di comportamento dei contraenti e non tra quelle di validità del contratto. Al riguardo, già da tempo le Sezioni Unite hanno opportunamente precisato come in quest’ultima categoria vadano sussunte non solo quelle disposizioni che si riferiscono [continua ..]
La sentenza in commento è estremamente stringata in motivazione, in quanto torna su una questione per così dire pacifica: la nullità virtuale degli atti presupposti e “a cascata” del contratto di assunzione è stata largamente applicata tutte le volte che l’ente pubblico o la società a questo funzionalmente equiparata non abbiano rispettato le prescrizioni che presiedono al corretto svolgimento delle prove concorsuali e di reclutamento e/o alla formazione delle graduatorie, come nel caso di mancata osservanza delle quote di riserva ex lege in favore delle categorie protette [33]; ed ancora, quando i soggetti utilmente collocati in graduatoria per la supplenza non si siano presentati presso l’istituto scolastico per difetto di convocazione [34]. In chiave costituzionalmente orientata, nella decisione in commento riecheggia la giurisprudenza del Giudice delle leggi che già dal 1993 – quando venivano costituite le prime municipalizzate – distingueva tra privatizzazione formale e sostanziale [35]: al di là della veste societaria, se il controllo della compagine organizzativa rimane nelle mani di una pubblica amministrazione si è in presenza di un ente pubblico, soggetto alle procedure apposite in materia di reclutamento del personale, con l’ineludibile vincolo costituzionale del concorso quale garanzia di selezione di una burocrazia su base esclusivamente meritocratica [36]. A tale meccanismo sono sì ammesse deroghe, come del resto previsto dallo stesso art. 97 della carta fondamentale, ma solo in presenza di peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle, come affermato a più riprese dalla stessa Corte costituzionale [37], che di certo non si rinvengono in una personale aspettativa degli aspiranti o nell’avere anteriormente prestato attività a tempo determinato presso l’amministrazione [38]. In particolare, la deroga al meccanismo concorsuale deve: interessare un numero limitato di assunzioni; corrispondere ad una specifica necessità della pubblica amministrazione; e si deve pur sempre assicurare che il personale abbia le competenze necessarie per adempiere la prestazione dedotta in contratto [39]. Orbene, nel caso di specie è evidente come la società in house abbia effettuato delle assunzioni a seguito di alterazione [continua ..]