Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Progressioni verticali e principi di concorsualità: un equilibrio difficile (di Mario De Rosa, Dottore di ricerca, Primo Segretario di legazione Ministero degli Affari Esteri)


L'’articolo esamina l’istituto delle progressioni di carriera verticali del personale delle pubbliche amministrazioni sotto una prospettiva storica e giuridico-sistematica. Viene analizzata la compatibilità costituzionale dell’istituto alla luce dell’insegnamento del Giudice delle Leggi, il riparto di giurisdizione che ad esso è conseguito, nonché l’evoluzione dell’iter legislativo che ha riguardato le progressioni, con particolare attenzione alle riforme “Brunetta” e “Madia”. Da ultimo, alla luce della proroga del regime transitorio che ha esteso l’utilizzo di suddette progressioni, si fornisce un’ipotesi sull’effettiva opportunità di comprimere il principio del concorso pubblico oltre i termini originariamente previsti dalla Riforma “Madia”.

 

Vertical progression and the principle of competition: a difficult balance

The article examines the legal institution of the so called “vertical progressions” by means of which the employees of numerous public administrations can be promoted without undergoing a new public competition. The constitutional compatibility of the institution, problems related to the jurisdiction and the legislative reforms that have addressed this topic are also taken into account. In the light of the extension of the use of such legal instrument recently set forth by the legislator, the article provides also a hypothesis on the opportunity to compress the constitutional principle of public competition beyond a determined period of time.

Keywords: Vertical professional progressions, legal progressions, public competition, art. 97 Cost.

SOMMARIO:

1. Cenni introduttivi sull’istituto - 2. La natura derogatoria dello strumento assunzionale. La posizione del Giudice delle Leggi - 3. Conseguenze in merito al riparto di giurisdizione - 4. Dalla Riforma “Brunetta” alla Riforma “Madia”: due direzioni diverse - 5. Conseguenze logico-sistematiche: un esempio - 6. La proroga del regime transitorio e il “nuovo corso” a seguito della pandemia - 7. Dalla pratica alla teoria: una possibile conclusione sul futuro delle progressioni verticali - NOTE


1. Cenni introduttivi sull’istituto

Per la sensibilità politica e la delicatezza degli interessi coinvolti, che incidono direttamente sul reclutamento del personale da adibire ai pubblici uffici, l’inqua­dramento giuridico delle progressioni giuridiche (anche denominate “progressioni verticali” e/o “progressioni interne” [1]) ha da sempre costituito un tema di difficile risoluzione non solo per il legislatore, bensì, a fortiori, per giurisprudenza e dottrina [2]. Queste ultime, infatti, sono state chiamate al non semplice compito di stabilire un raccordo tra il principio del concorso pubblico da un lato, previsto dal c. 4 dell’art. 97 della Carta Costituzionale e baluardo imprescindibile per la realizzazione di quel buon andamento consostanziale alla natura dei pubblici uffici [3], e l’esi­genza, dall’altro, di carattere empirico prima ancora che giuridico, di premiare il merito e l’esperienza dei dipendenti pubblici medesimi [4]. Un’esigenza, quest’ulti­ma, che appare di intuitiva evidenza nel contesto di una oculata politica del personale, essendo oramai provata anche in ambito economico l’importanza della leva motivazionale negli ambienti di lavoro pubblici oltre che in quelli privati [5]. In questo breve scritto, con il conforto della giurisprudenza si analizza il tema delle progressioni giuridiche “verticali” da una prospettiva sistematica, inquadrandole come uno strumento assunzionale di natura derogatoria. Viene dunque approfondito il riparto di giurisdizione, che consegue logicamente all’inquadramento costituzionale dell’istituto. In seguito, si esaminano le recenti novelle legislative che hanno dapprima limitato poi esteso l’utilizzo dello strumento, ponendo alcuni problemi pratici direttamente connessi con l’espletamento delle progressioni e offrendo per essi possibili soluzioni. Infine, vengono tratte alcune conclusioni sul futuro delle progressioni verticali in ragione della proroga del regime transitorio operata con il d.l. n. 162/2019 e, da ultimo, con il d.l. n. 80/2021, convertito con l. n. 113/2021.


2. La natura derogatoria dello strumento assunzionale. La posizione del Giudice delle Leggi

Le progressioni verticali possono definirsi come uno strumento assunzionale di natura derogatoria a mezzo del quale viene garantita la progressione di carriera del personale delle pubbliche amministrazioni. Si parla di uno strumento assunzionale alternativo rispetto al concorso pubblico [6] dal momento che, anziché privilegiare l’accesso alle qualifiche superiori da parte di candidati esterni non ancora nei ruoli delle amministrazioni medesime, le progressioni verticali sono destinate al personale già in servizio, che dunque progredisce e acquisisce qualifiche superiori competendo in procedure selettive destinate unicamente agli interni. Si tratta, perciò, di uno strumento dalle potenzialità notevoli, ma anche dai numerosi risvolti critici, se è vero che, con la privatizzazione del pubblico impiego, esso poteva divenire – e talora è divenuto, non senza criticità – oggetto di contrattazione tra il personale (specialmente delle c.d. Aree funzionali) e il datore di lavoro – Pubblica Amministrazione [7]. La natura derogatoria delle progressioni interne è stata ribadita a più riprese dalla giurisprudenza amministrativa e contabile, sebbene a farvi luce in prima battuta sia stata la Corte costituzionale. Il Giudice delle Leggi ha infatti ribadito come il concorso pubblico costituisca la regola generale per l’accesso ad ogni tipo di pubblico impiego e, dunque, anche a quello inerente ad una fascia funzionale superiore, essendo lo stesso «il mezzo maggiormente idoneo ed imparziale per garantire la scelta dei soggetti più capaci ed idonei ad assicurare il buon andamento della Pubblica amministrazione» [8]. La Consulta ha affermato in particolare che «deve escludersi la legittimità di arbitrarie restrizioni alla partecipazione alle procedure selettive», poiché «al concorso pubblico deve riconoscersi un ambito di applicazione ampio, tale da non includere soltanto le ipotesi di assunzione di soggetti precedentemente estranei alle pubbliche amministrazioni, ma anche i casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio» [9]. Secondo la dottrina, il Giudice delle Leggi avrebbe dunque sposato un’interpre­tazione «parcellare» dell’accesso [10], in ragione della quale la crescita professionale tra le aree abbisogna di una nuova analisi delle competenze e, in [continua ..]


3. Conseguenze in merito al riparto di giurisdizione

Dato l’inquadramento giuridico appena richiamato, era soltanto questione di tempo prima che anche il riparto di giurisdizione venisse chiarito nel senso più coerente possibile con la logica del concorso. E di fatti, la Corte di Cassazione, con la sentenza delle Sezioni Unite n. 15403/2003, ha devoluto i procedimenti concorsuali interni, destinati a consentire l’inquadramento dei dipendenti in aree funzionali o categorie più elevate (con novazione oggettiva del rapporto di lavoro), alla cognizione del giudice amministrativo. Si è trattato, come appena detto, di una conseguenza logica, posto che l’equi­parazione – condivisa sempre più dalla giurisprudenza e dalla dottrina – tra progressioni interne e concorsi pubblici obbligava a individuare come giudice dotato di giurisdizione il medesimo preposto alla verifica della legittimità delle procedure concorsuali tout court. Cionondimeno, anche su questo punto la Cassazione è tornata più volte a pronunciarsi, individuando nuovi limiti e temperamenti alla regola generale. In particolare, il Giudice di Legittimità ha ritenuto necessario distinguere le progressioni giuridiche tra le aree e le progressioni (sempre giuridiche) all’interno della stessa area, asserendo che, in questo secondo caso, la giurisdizione dovesse invece restare in capo al Giudice Ordinario. Restano dunque devolute alla cognizione del G.O. le controversie riguardanti le progressioni all’interno di ciascuna area professionale o categoria, sia che riguardino l’acquisizione di posizioni più elevate di natura meramente economico-retri­butiva (c.d. progressioni economiche), sia che si riferiscano al conferimento di qualifiche superiori (art. 52, c. 1, del d.lgs. n. 165/2001), «perché esse sono regolate da procedure poste in essere dall’Amministrazione con la capacità ed i poteri del datore di lavoro privato (art. 5, comma 2, dello stesso d.lgs.; Cass. 11 dicembre 2007, n. 25839; Cass., Sez. un., 9 giugno 2011, n. 12543; Cass. 20 dicembre 2016, n. 26270 cit.)» [15].


4. Dalla Riforma “Brunetta” alla Riforma “Madia”: due direzioni diverse

In questo contesto si è inserita la Riforma della Pubblica Amministrazione “Brunetta” [16], che per il tramite del combinato disposto dell’articolo 24 del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, e dell’art. 52, c. 1-bis, del TUPI ha inteso abolire la disciplina contrattuale delle progressioni verticali, riassorbendole nell’alveo pubblicistico, obbligando così le amministrazioni ad attenersi – in modo esclusivo – ai principi di concorsualità e selettività. La novella del 2009, nata anche al fine di porre rimedio al già menzionato abuso dello strumento delle progressioni interne, a sua volta favorito da una contrattazione sovente troppo attenta alle aspettative di miglioramento economico dei dipendenti e poco alle esigenze di buon funzionamento delle amministrazioni [17], ha innovato la materia, limitando la progressione di carriera esclusivamente alla partecipazione ai concorsi pubblici, con riserva di posti non superiore al 50% per i dipendenti delle PP.AA. in procinto di bandire. Pertanto, perché un dipendente pubblico potesse aspirare ad una progressione verticale, era necessario che l’ente di appartenenza bandisse un concorso potendo assicurare la copertura dei posti – per un limite massimo del 50 per cento – al personale interno. Particolarmente rilevante ai fini dell’odierna analisi è il fatto che la giurisprudenza amministrativistica abbia qualificato la novella del 2009 come un vero spartiacque. A tal proposito, appare di notevole importanza l’esempio offerto dal tema dello scorrimento delle graduatorie relative agli idonei delle progressioni verticali – che infatti erano pacificamente utilizzabili prima dell’entrata in vigore della Riforma Brunetta [18]. I Giudici Amministrativi hanno infatti escluso in più occasioni che, a far data dal 1° gennaio 2010, le amministrazioni potessero utilizzare gli esiti di procedure di selezione interna, bandite anteriormente a tale data, in quanto la suddetta riforma della modalità di reclutamento di personale per le fasce funzionali superiori (progressioni di carriera), introdotta dagli artt. 24 e 62 del d.lgs. n. 150/2009, con la sostanziale abrogazione delle progressioni verticali interne avrebbe comportato – a decorrere dal 1° gennaio 2010 – l’inefficacia delle disposizioni dei bandi concernenti la copertura di posti per i non [continua ..]


5. Conseguenze logico-sistematiche: un esempio

A dispetto delle ordinarie progressioni di carriera previste dall’art. 52, c. 1-bis, l’art. 22, c. 15, del d.lgs. n. 75/2017 non ha previsto la riserva di posti in concorsi pubblici, ma procedure selettive interamente riservate ai dipendenti interni. In altre parole, la disposizione de qua si configurava [27] come un’ipotesi assolutamente eccezionale e contenuta dal punto di vista temporale, che non aveva dunque abrogato né modificato le disposizioni del TUPI come previste dalla Riforma Brunetta, destinate a ri-espandersi allo scadere del triennio entro il quale la Legge Madia aveva facoltizzato le progressioni interne suddette [28]. Come abbiamo più volte ribadito, le progressioni verticali sono state connotate, secondo una lettura costituzionalmente orientata, da un carattere derogatorio, e consentite soltanto entro limiti serrati. Tale assunto, posto dalla Consulta e seguito con rigore in special modo dalla giurisprudenza amministrativistica, ha consentito, in via logico-deduttiva, di trarre numerose conseguenze. Il carattere derogatorio e speciale della disciplina contenuta nel poc’anzi richiamato art. 22, ad esempio, ha consentito di ritenere ancora applicabile l’orientamento della giurisprudenza amministrativa e contabile formatosi prima della Riforma “Madia” in relazione all’impossibilità per le pubbliche amministrazioni di utilizzare, ai fini delle progressioni verticali, le graduatorie delle procedure selettive interne bandite prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2009 [29]. Come più volte chiarito dai giudici speciali, le “graduatorie” di idonei afferenti alle progressioni verticali non sarebbero equiparabili alle graduatorie concorsuali e perciò non dovrebbero ritenersi soggette al principio di preferenza per lo scorrimento delle graduatorie sancito nella già menzionata Adunanza Plenaria n. 4/2011. Quanto appena esposto è stato confermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, che ha ritenuto le norme generali sulla durata della validità delle graduatorie di cui all’art. 35, c. 5-ter, del d.lgs. n. 165/2001, con le relative proroghe e il principio della preferenza per lo scorrimento della graduatoria, non applicabili alle procedure selettive che non costituiscono concorsi pubblici [30]. Identici principi sono stati, del resto, affermati dal Dipartimento della Funzione [continua ..]


6. La proroga del regime transitorio e il “nuovo corso” a seguito della pandemia

Con il decreto legge “mille proroghe” 30 dicembre 2019, n. 162, coordinato con la legge di conversione 28 febbraio 2020, n. 8: «Disposizioni urgenti in materia di proroga di termini legislativi, di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, nonché di innovazione tecnologica», il regime transitorio introdotto con la Riforma “Madia” è stato ulteriormente prorogato temporalmente ed esteso sotto il profilo “quantitativo”. L’art. 1-ter di suddetto decreto, infatti, è intervenuto sull’art. 22, c. 15, del d.lgs. n. 75/2017, modificandone l’ambito temporale (dal triennio 2018-2020 il regime è stato prorogato al triennio 2020-2022) e ampliandone la percentuale interessata, giunta al 30 per cento dei posti previsti nei piani dei fabbisogni come nuove assunzioni consentite per la relativa area o categoria. Come già esaminato, il regime transitorio ed eccezionale introdotto con la Riforma “Madia” non ha in alcun modo modificato i principi contenuti nel TUPI come riformato dalla novella del 2009 né, quindi, i consolidati orientamenti del Giudice delle Leggi e delle giurisdizioni ordinaria e speciali testé illustrati in materia di graduatorie di vincitori e/o idonei di progressioni interne e relativi, eventuali scorrimenti [33]. Ragioni di carattere interpretativo-sistematico hanno impedito di ritenere che la proroga del regime transitorio avesse ripercussioni sulla disciplina generale stabilita dalla Riforma “Brunetta”, con tutti i corollari che ne conseguono; ad esempio, la già esaminata impossibilità di applicare il principio dello scorrimento delle graduatorie alle procedure verticali interne. Ciò discende dal fatto che anche la proroga non incideva sulla regola generale, contenuta nel TUPI, in base alla quale l’ingresso nella P.A. avviene, in via generale, mediante concorso pubblico. Le tormentate vicende legate alla pandemia da Covid 19, con gli strascichi importanti che esse hanno recato con sé anche a livello giuridico, non hanno mancato di investire la materia delle progressioni verticali. Si può anzi ritenere che a questo strumento, come detto “di natura derogatoria”, il legislatore abbia conferito una funzione nuova, ovverossia quella di garantire il rafforzamento della capacità operativo-funzionale della P.A., tanto nel contesto del Piano Nazionale [continua ..]


7. Dalla pratica alla teoria: una possibile conclusione sul futuro delle progressioni verticali

Giunti a questo punto appare necessario trarre alcune conclusioni, con il conforto dell’analisi topica delle fattispecie condotta in questo breve scritto. Come visto nelle sezioni precedenti, dopo l’entrata in vigore della Riforma “Brunetta”, per la giurisprudenza l’assunzione dei non vincitori idonei di una procedura interna non era apparsa possibile, non essendo la posizione degli interessati equiparabile a quella degli idonei di un pubblico concorso. Tale assetto, come visto, non è stato scalfito nemmeno in seguito alla riapparizione delle progressioni verticali operata con l’art. 22, c. 15, del d.lgs. n. 75/2017, posto che la giurisprudenza ha continuato a ritenere eventuali eccezioni passibili di violare il principio dell’accesso per concorso nei ranghi delle amministrazioni pubbliche. Fino a poco tempo fa, dunque, l’esigenza di privilegiare gli ingressi nella P.A. da parte degli esterni che superino un concorso pubblico appariva come criterio dominante, a fronte delle pur lecite aspettative di crescita professionale degli interni alla pubblica amministrazione. Oltre alle già menzionate ragioni di carattere giuridico, è bene sottolineare che a questo esito concorrevano anche motivi – almeno in parte – di carattere extra-giuridico, tra cui, in primis, la necessità di garantire l’ac­cesso alla P.A. (e in particolare alle aree funzionali più elevate) dei migliori candidati selezionati in regime di piena concorsualità, posta la maggiore complessità dei concorsi pubblici rispetto alle progressioni interne, anche in considerazione del fatto che queste ultime non presentano, di regola, la stessa struttura concorsuale-procedi­mentale e lo stesso numero di prove, scritte e orali, stabilite dalla normativa generale. Sotto questo profilo, è appena il caso di ricordare che la Riforma “Madia” parlava apertamente di «prove volte ad accertare la capacità dei candidati di utilizzare e applicare nozioni teoriche per la soluzione di problemi specifici e casi concreti» [37], senza però che le disposizioni esaminate facessero direttamente riferimento alla disciplina in materia di pubblico concorso di cui al d.P.R. n. 487/1994. Il nuovo regime “post-pandemico”, tuttavia, ha inteso in modo affatto diverso questo rapporto, da un lato ritenendo costituzionalmente valido lo strumento delle [continua ..]


NOTE