Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Sull'esonero dal servizio del pubblico dipendente ex art. 72, d.l. n. 112/2008: il diniego è insindacabile (di Maria Barberio, Assegnista di ricerca di Diritto del lavoro nell’Università di Modena e Reggio Emilia)


Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione afferma che la pubblica amministrazione non è tenuta ad accogliere la richiesta di esonero dal servizio presentata dal dipendente ai sensi dell’art. 72, cc. 1-6, d.l. n. 112/2008. Si afferma, dunque, l’insindacabilità del diniego frapposto, salva la prova dell’abuso del diritto, posta a carico del dipendente. La pronuncia offre lo spunto per riflettere sulla valutazione discrezionale della pubblica amministrazione in tema di esonero dal servizio e sull’onere della prova in ordine agli elementi su cui si basa il diniego.

 

On the exemption from the service of the public employee pursuant to art. 72, d.l. n. 112/2008: the denial is unquestionable

In judgment no. 19536/2021, the Italian Court of Cassation stated that the public administration (PA) is not obliged to accept an employee’s request for release from service pursuant article 72 of legislative decree n. 112/2008 (paras 1-6). The Court thus clarified that an employee could not challenge the PA’s dismissal of his/her request except in the event of abuse of rights. Overall, the judgment at hand offers insights on the PA’s evaluation mechanisms of work-exemption requests for further elaboration in this essay.

Keywords: Public work – Exemption from work – Refusal – Burden of proof.

MASSIMA: In tema di pubblico impiego privatizzato, la facoltà di adesione della P.A. alla richiesta di esonero dal servizio formulata dal dipendente ex art. 72, c. 1, del d.l. n. 112/2008, conv., con modif., dalla l. n. 133/2008, “ratione temporis” vigente, costituisce libero esercizio della dismissione del diritto datoriale alla continuazione del rapporto di lavoro, sicché il diniego frapposto alla richiesta si giustifica in sé e non è sindacabile, salvo la prova dell’abuso del diritto a carico del dipendente, a differenza dell’ipotesi disciplinata dal comma 11 dello stesso art. 72, che, configurando un recesso datoriale, richiede l’adozione di adeguate motivazioni, per consentire la verifica che la caducazione del diritto del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro sia avvenuta sulla base di controllabili esigenze organizzative. PROVVEDIMENTO: Fatti di causa 1. La Corte d’Appello di Roma, riformando la sentenza del Tribunale della stessa città, ha rigettato la domanda con la quale I.F., dipendente del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, aveva chiesto l’esonero dal servizio, ai sensi del D.L. n. 112/2008, art. 72, comma 1-6, nel quinquennio antecedente la data di maturazione dell’anzianità contributiva massima di 40 anni, con i trattamenti economici previsti dalla norma e previo riconoscimento dell’illegittimità del diniego frapposto alle sue domande dal datore di lavoro. La Corte osservava, quanto all’istanza presentata nel 2012, che essa era preclusa dall’abrogazione dell’istituto ad opera del D.L. n. 201 del 2011, mentre, rispetto all’istanza del 2011, riteneva che il diniego frapposto dalla P.A. fosse legittimo in quanto, nonostante il parere favorevole del dirigente del servizio cui era addetta la ricorrente, esso era stato motivato con richiamo alla grave carenza di personale esistente ed alle bassissime percentuali entro cui era consentito il turn over. La P.A. aveva poi – secondo la Corte di merito – una mera facoltà e nessun obbligo rispetto alla concessione dell’esonero, né risultava che l’ufficio di appartenenza della ricorrente fosse interessato da una riduzione del personale. Infine, concludeva la Corte d’Appello, la ricorrente non aveva mosso una specifica contestazione alle ragioni addotte dal Ministero, essendovi stato solo il richiamo ad altri casi in cui l’esonero era stato concesso, senza neppure che fosse specificamente dedotta l’avvenuta violazione dei principi di correttezza e buona fede. 2. La I. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, poi illustrati da memoria e resistiti dal Ministero con controricorso. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso. Diritto RAGIONI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo di ricorso la I. denuncia l’omesso [continua..]
SOMMARIO:

1. Sui fatti di causa - 2. Sull’esonero dal servizio ex art. 72, cc. 1-6, d.l. n. 112/2008 - 3. La valutazione “discrezionale” della pubblica amministrazione sulla richiesta di esonero del dipendente - 4. Una (non) corretta applicazione dei criteri di ripartizione dell’onere della prova - 5. Incongruenze della pronuncia in commento e rilievi conclusivi - NOTE


1. Sui fatti di causa

Nel 2011 I.F., dipendente del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, proponeva al proprio ufficio domanda di esonero dal servizio ai sensi dell’art. 72, cc. 1-6, del d.l. n. 112/2008. Tale richiesta veniva rigettata, nonostante il parere favorevole del dirigente del servizio cui era addetta la dipendente, richiamando nella motivazione del provvedimento la grave carenza di personale e le bassissime percentuali entro cui era consentito il turn over. A fronte del diniego frapposto dalla P.A., la dipendente insisteva con una successiva domanda nel 2012, anch’essa rifiutata. La ricorrente adiva, dunque, il Tribunale di Roma per vedersi riconoscere la legittimità della propria richiesta, adducendo come ulteriore elemento a sostegno del ricorso l’approvazione, nel 2009 e 2010, di analoghe istanze presentate da altri dipendenti. Il tribunale capitolino accoglieva la domanda della dipendente, concedendo l’e­sonero dal servizio ai sensi dell’art. 72, cc. 1-6, del d.l. n. 112/2008. Siffatto provvedimento veniva però impugnato dalla P.A. avanti alla Corte di Appello di Roma che riformava la sentenza, confermando il diniego dell’istanza di esonero dal servizio. Più precisamente, il giudice di seconda istanza affermava l’illegittimità della richiesta presentata nel 2012, stante l’avvenuta abrogazione dell’istituto ad opera del d.l. n. 201/2011, e confermava la validità del diniego del Ministero sulla prima domanda, asserendo che l’adesione alla richiesta di essere esonerata dal servizio rappresenta una mera facoltà della P.A. che, come tale, non si traduce in un obbligo di concessione alla dipendente. La pronuncia della Corte di appello veniva, poi, impugnata, avanti alla Corte di Cassazione che ne confermava il disposto, asserendo che l’esonero dal servizio è espressione del libero esercizio della dismissione di un diritto, quello datoriale alla continuazione del rapporto di lavoro, il cui solo limite è rappresentato dall’abuso del diritto, tuttavia, non dimostrato dalla lavoratrice, su cui gravava l’onere della prova.


2. Sull’esonero dal servizio ex art. 72, cc. 1-6, d.l. n. 112/2008

La pronuncia in commento affronta il tema dell’esonero dal servizio richiesto dal dipendente ai sensi dell’art. 72, cc. 1-6, del d.l. n. 112/ 2008, conv. in l. n. 133/2008. L’art. 72 – rubricato “Personale dipendente prossimo al compimento dei limiti di età per il collocamento a riposo” – contempla, invero, tre distinte ipotesi: la richiesta di esonero dal servizio, disciplinata dai cc. 1-6 [1]; il trattenimento in servizio per un biennio secondo quanto disposto dai cc. 7-10 [2] e il recesso da parte della P.A. ai sensi del c. 11 [3]. Sebbene gli istituti appena enucleati postulino requisiti differenti e soggiacciano a procedure diverse, per impulso e diritti conseguenti, la direttrice che li ispira è comune. La previsione, difatti, s’inserisce nell’ambito di un intervento legislativo, rappresentato dal d.l. n. 112/2008 [4], dal contenuto piuttosto eterogeneo, che puntava all’ottimizzazione della produttività del lavoro e alla riorganizzazione della pubblica amministrazione, perseguendo importanti obiettivi di contenimento della spesa pubblica [5] e di modernizzazione [6] o, per usare le parole di D’Antona, di “svecchiamento” del personale [7]. L’art. 72 del d.l. n. 112/2008 rappresenta, dunque, una disposizione in cui si riconosce alla P.A. un’ampia discrezionalità nell’ambito della gestione delle risorse umane [8] e, maggiormente nello specifico, del personale più anziano, posto che gli istituti ivi disciplinati si applicano unicamente ai dipendenti che abbiano maturato “un’anzianità massima di servizio effettivo di quarant’anni” [9]. Si tratta di una previsione dal carattere sperimentale, atteso che almeno due dei tre istituti contemplati nella norma – la richiesta di esonero e la risoluzione del rapporto di lavoro ai sensi del c. 11 – avrebbero dovuto operare solo per il triennio 2009-2011. Tuttavia, mentre la richiesta di esonero dal servizio è stata abolita dal d.l. n. 201/2011, conv. in l. n. 214/2011 [10], la risoluzione ex c. 11 è stata dapprima estesa, per effetto del d.l. n. 138/2011, conv. in l. n. 148/2011, anche per il triennio 2012-2014, per poi essere modificata, secondo la sua attuale conformazione, dal­l’art. 5 del d.l. n. 90/2014, conv. in l. n. 114/2014, divenendo, quindi, una fattispecie [continua ..]


3. La valutazione “discrezionale” della pubblica amministrazione sulla richiesta di esonero del dipendente

La pronuncia in commento chiarisce che la pubblica amministrazione non è tenuta a dare adesione alla richiesta formulata ai sensi dell’art. 72, cc. 1-6, del d.l. 112/2008 dal dipendente, il quale, pertanto, non è titolare di un diritto soggettivo assoluto all’esonero [26]. L’articolo in parola, invero, istituisce, expressis verbis, in capo alla P.A. una mera facoltà, “sicché il diniego frapposto alla richiesta altrui si giustifica in sé quale forma di esercizio non sindacabile della situazione giuridica di vantaggio della P.A., interna al rapporto di diritto privato che la lega al dipendente, cui si chiede di rinunciare”. Invero, proprio questo passaggio della sentenza estrinseca la contraddittorietà endemica del pubblico impiego privatizzato per cui la relazione di lavoro si esercita secondo i crismi del “rapporto di diritto privato che lega al dipendente” ma senza dismettere quella “situazione giuridica di vantaggio della P.A.” che rimane, quindi, sullo sfondo [27]. Orbene, è evidente che una piena privatizzazione del rapporto di pubblico impiego comporta la perdita di questa situazione di vantaggio della P.A. che dovrebbe agire al pari di qualsiasi altro datore di lavoro privato [28]. Ciò vale anche per le determinazioni in tema di organizzazione dell’ufficio nonché delle misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro che, ai sensi dell’art. 5, c. 2, del d.lgs. 165/2001, sono assunte con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro [29]. Differentemente da quanto riguarda gli atti di c.d. macrorganizzazione [30] che, designando le linee fondamentali di organizzazione degli uffici e delle dotazioni complessive degli stessi, sono espressione, invece, di potestà amministrative, con i noti riflessi in tema di giurisdizione [31]. La valutazione dell’esonero del pubblico dipendente è, pertanto, realizzata dalla pubblica amministrazione avendo solo sullo sfondo un’analisi delle dotazioni complessive dell’ufficio e delle esigenze organizzative dello stesso. La determinazione sull’esonero, dunque, non incide sulle linee fondamentali dell’organizzazione del­l’ufficio, avendo riflessi immediati solo rispetto al singolo rapporto di lavoro con il dipendente. Semmai l’atto inerente alle linee gestionali generali può [continua ..]


4. Una (non) corretta applicazione dei criteri di ripartizione dell’onere della prova

Il quadro appena tratteggiato chiarisce che l’inesistenza di un obbligo della P.A. di concedere l’esonero non determina la piena insindacabilità del diniego e neppure un vaglio limitato al solo abuso del diritto. A mente della Suprema corte, invece, le adeguate motivazioni si attagliano solo alla diversa fattispecie, contemplata dal c. 11 dell’art. 72 del d.l. n. 112/2008, prevedendo essa un recesso ad iniziativa datoriale, smentendo la pertinenza del richiamo operato dalla dipendente alle pronunce della giurisprudenza della Corte [34]. Invero, se la motivazione deve sorreggere l’ipotesi di cui al c. 11 (che pur si basa su un fatto del tutto obiettivo: il raggiungimento da parte del dipendente della massima anzianità contributiva), a maggior ragione dovrebbe ritenersi necessaria nel comma 1, per supportare l’esercizio della “facoltà” di diniego esercitata dalla P.A. Ne consegue che, sebbene nell’ipotesi in commento l’iniziativa sia assunta dal dipendente, viene in rilievo comunque una prerogativa datoriale, quella – opposta rispetto a quella di cui al c. 11 – di negare la cessazione anticipata del rapporto, la quale non può essere sottratta a qualsivoglia apprezzamento sull’appropriatezza rispetto alla finalità di riorganizzazione della P.A. sottesa al diniego. Ciò vuol dire che il giudicante dovrebbe conoscere ed esaminare le ragioni organizzative che hanno indotto l’amministrazione a rifiutare l’esonero, non per sindacarne il merito, si badi bene, ma per verificarne la legittimità. Nella sentenza in commento l’attenzione del giudicante non pare concentrarsi sulle valutazioni operate dalla pubblica amministrazione e, in particolare, sullo scrutinio operato dalla corte territoriale in ordine alla legittimità delle carenze di organico e delle difficoltà per il turn over asserite per negare la cessazione anticipata del rapporto. Viene, invece, condotto un giudizio di rilevanza sui fatti posti dalla dipendente a sostegno dell’illegittimità del diniego. La Cassazione ha, infatti, ritenuto prive di rilievo, le concessioni dell’esonero ad altri dipendenti, da cui avrebbe potuto emergere una disparità di trattamento, poiché collocate temporalmente in periodi anteriori rispetto a quello in cui è stata inoltrata la richiesta dal dipendente. Ha, altresì, [continua ..]


5. Incongruenze della pronuncia in commento e rilievi conclusivi

La pronuncia in esame sollecita considerazioni che esorbitano dall’istituto da cui trae le mosse, stante l’abrogazione dello stesso e data, nondimeno, la sua vigenza limitata nel tempo. Invero, ciò che induce riflessioni è la ritrosia del giudicante a valutare il comportamento della pubblica amministrazione nei termini di un potere datoriale “privato”, anche quando sia sorretto, come nel caso di specie, da una chiara “logica aziendalistica”, rispetto alla quale non appare necessario, oltre che corretto, richiamare la posizione di vantaggio della P.A. Quest’ultima, peraltro, viene mobilitata per qualificare il diniego come insindacabile, escludendo il vaglio di legittimità sull’atto, richiamando il solo abuso del diritto come limite all’esercizio del potere datoriale di negare la sospensione della prestazione lavorativa, ai sensi dell’art. 72, cc. 1-6, del d.l. n. 112/2008. In seconda battuta, la pronuncia in esame non pare correttamente allocare il carico probatorio delle parti, onerando la dipendente di allegazioni che non dovrebbe assolvere e non semplicemente che non può onorare perché non “prossime” o “eccessivamente gravose”. Va tenuto, poi, in considerazione che la pronuncia sembra contraddittoria nell’apprezzamento degli elementi offerti dalla dipendente a sostegno della propria pretesa, asserendo che “tutti gli elementi così addotti finiscono semplicemente per prospettare la richiesta di una diversa valutazione di merito”, cui però la Suprema corte non rinvia, ritenendo “plausibile” lo scrutinio operato dalla corte territoriale, sebbene forse la plausibilità non rappresenti il canone cui occorre far riferimento allorquando si esclude una nuova valutazione nel merito di una vicenda processuale.


NOTE