Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Sul trattamento economico incentivante dei dipendenti del comparto sanitario: la performance non è misurabile con il criterio della “presenza in servizio” (di Giancarlo Ricci, Professore ordinario di Diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Catania)


La sentenza in commento ha ritenuto illegittime le disposizioni di un contratto collettivo integrativo nel settore sanitario che collegava la retribuzione incentivante al criterio della presenza in servizio. L’autore, dopo averne colto l’essenziale ratio, passa in esame le attuali disposizioni del contratto collettivo del comparto sanitario in materia di retribuzione di performance, segnalando la perdurante esistenza di regolamenti aziendali che commisurano la retribuzione ai tassi di assenza dei dipendenti.

Parole chiave: Personale pubblico – Retribuzione incentivante – Presenza in servizio – Valutazione della performance – Contratto collettivo.

The sentence under exam deemed illegitimate the provisions of a supplementary collective agreement in the health sector, which linked incentive pay to the criterion of presence on duty. The author, after focusing the essential rationale, examines the current provisions of the collective agreement of the healthcare sector on performance pay, pointing out the continuing existence of company regulations that commensurate pay with employee absence rates.

Keywords: Public employees – Variable pay – Presence on duty – Performance evaluation – Collective agreement.

MASSIMA: Dalla disamina delle disposizioni sia anteriori sia successive all’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2009 (c.d. “decreto Brunetta”) si ricava che la retribuzione incentivante per il personale del comparto sanitario non può essere corrisposta secondo il criterio della mera presenza in servizio, bensì alla stregua dell’accertato raggiungimento di obiettivi misurabili e valutabili, risultando pertanto nulle le corrispondenti clausole del contratto collettivo integrativo. PROVVEDIMENTO: 1. Il Tribunale di Milano, adito dagli odierni controcorrenti ed intimati-dipendenti della ASST Santi Paolo e Carlo di Torino (in prosieguo: ASST) – per il pagamento, negli anni 2009/2013, dell’“acconto di produttività” previsto dal contratto collettivo aziendale, con sentenza del 4 giugno 2020 ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 64, comma 3, interpretava le disposizioni dei Contratti collettivi nazionali del comparto sanità (CCNL 1 settembre 1995, artt. 46 e 47; CCNL 7 aprile 1999, artt. 4 e 38; CCNL 10 aprile 2008, art. 13; CCNL 2009, art. 5) nel senso che la delega alla contrattazione integrativa aziendale per la determinazione dei compensi incentivanti consentisse la previsione di un compenso legato alla mera presenza in servizio. 2. Il Tribunale esponeva che il contratto integrativo aziendale del 25 gennaio 2001 aveva stabilito di utilizzare il fondo dell’anno 2000 per le quote di incentivo già corrisposte e di conservare, a regime, tali acconti negli anni successivi, come quota stabile di incentivo corrisposta sulla base della presenza in servizio. Detto acconto individuale di produttività era stato mantenuto dal contratto integrativo aziendale del 17 febbraio 2003 come “elemento significativo del contributo da parte del personale di comparto al raggiungimento degli obiettivi aziendali”. 3. Rilevava che la questione di causa non era toccata dalla evoluzione normativa sulla erogazione dei trattamenti accessori, applicabile dalla stipula dei contratti collettivi successivi al D.Lgs. n. 150 del 2009, né dalle modifiche apportate al suddetto decreto legislativo, art. 19, dal D.Lgs. n. 74 del 2017. 4. Osservava che in una situazione incentrata sulla politica del risparmio di spesa e nell’ambito di strutture, quali quelle ospedaliere, con esigenze specifiche, appariva astrattamente coerente con le indicazioni della contrattazione collettiva nazionale la scelta delle parti sociali di ancorare il raggiungimento di obiettivi di qualità e quantità essenzialmente alla effettiva presenza in servizio, come garanzia di crescita professionale– fondata sull’esperienza maturata– e qualità del servizio all’utenza. Tale criterio era passibile di verifica a posteriori rispetto ai risultati aziendali; la circostanza che l’azienda non avesse attivato gli strumenti per dettagliare gli [continua..]
SOMMARIO:

1. La sentenza in commento: il fatto e l’articolata motivazione - 1.1. Il principale motivo di accoglimento: nel comparto sanitario la retribuzione di produttività non può dipendere dalla mera “presenza in servizio” del dipendente - 1.2. Il secondo motivo di accoglimento: nullità delle clausole del contratto collettivo integrativo difformi, nel caso di specie, dai principi del “decreto Brunetta” e non oggetto di successivo adeguamento - 2. Sulla ratio della pronunzia e su alcuni “supporti” giurisprudenziali - 3. La regolazione della retribuzione di performance nei più recenti rinnovi del CCNL comparto Sanità - 4. Per concludere. Tassi di presenza/assenza del personale sanitario e retribuzione di performance: quid iuris? - NOTE


1. La sentenza in commento: il fatto e l’articolata motivazione

Un gruppo di lavoratori di un’azienda sanitaria proponeva ricorso in giudizio al fine di chiedere la corresponsione di compensi incentivanti (definiti “acconti di produttività”) per gli anni 2009-2013, calcolati sulla base del criterio della presenza in servizio, alla stregua delle corrispondenti previsioni del contratto collettivo integrativo. Il Tribunale di Milano accoglieva l’istanza sulla base di un duplice ordine di argomentazioni. Il primo motivo riguardava il rapporto di conseguenzialità fra le disposizioni del CCNL integrativo e le “indicazioni della contrattazione collettiva nazionale”, orientata ad “ancorare il raggiungimento di obiettivi di qualità e quantità essenzialmente alla effettiva presenza in servizio, come garanzia di crescita professionale – fondata sull’esperienza maturata – e qualità del servizio all’utenza”. Rilevandosi ulteriormente, al riguardo, che il fatto per cui “l’azienda non avesse attivato gli strumenti per dettagliare gli obiettivi non incideva sulla bontà del criterio in sé”. La seconda motivazione andava ad impingere sull’irrilevanza dello ius superveniens. Nello specifico senso, rileva il Tribunale meneghino, per cui “la questione di causa non era toccata dall’evoluzione normativa sull’erogazione dei trattamenti accessori, applicabile dalla stipula dei contratti collettivi successivi al d.lgs. n. 150/2009, né dalle modifiche apportate all’art. 19 del suddetto decreto legislativo dal d.lgs. n. 74/2017”. Da qui, concludeva il Tribunale, la legittimità della corresponsione dell’incen­tivo economico e l’inapplicabilità della sanzione di nullità della clausola contrattual-collettiva ex art. 40, c. 3-quinquies, d.lgs. n. 165/2001, stante la coerenza della disciplina del contratto collettivo integrativo rispetto alle previsioni del contratto collettivo nazionale del comparto sanitario. La Corte di Cassazione, adita dall’azienda sanitaria ai sensi dell’art. 64 d.lgs. n. 165/2001, anche sulla base di una memoria depositata dall’ARAN, accoglie il ricorso, cassando con rinvio la sentenza impugnata [1]. La pronunzia è di notevole rilievo anzitutto sul piano casistico: infatti, colma il pressoché totale deficit di contenzioso in tema di retribuzione premiale per i [continua ..]


1.1. Il principale motivo di accoglimento: nel comparto sanitario la retribuzione di produttività non può dipendere dalla mera “presenza in servizio” del dipendente

Come già accennato, dall’articolata trama motivazionale emerge con chiarezza che sin dal CCNL per il comparto sanitario per il quadriennio 1994-1997 – e in conformità con le disposizioni di legge allora vigenti (art. 49 d.lgs. n. 49/1993) – sono state introdotte svariate previsioni sui trattamenti economici accessori collegati alla produttività individuale e collettiva (integrativi del trattamento economico fondamentale), demandandosi alla contrattazione collettiva integrativa la funzione di attribuire gli incentivi alimentati con i relativi fondi “secondo regole che tengano conto del diverso apporto dei dipendenti al raggiungimento degli obiettivi complessivi”, alla luce della verifica sulla valutazione dei risultati perseguiti (artt. 5 e 40 CCNL comparto sanitario sopra citato). Il sistema di valutazione della produttività e conseguente erogazione degli incentivi, precisa ancora la pronunzia in epigrafe, operava “a cascata”, sulla base di una sequenza procedimentale disciplinata dagli artt. 46 e 47 CCNL di comparto e riassumibile come segue: i) obbligo di individuazione degli obiettivi da parte dei dirigenti, i quali stabiliscono altresì anche il grado di partecipazione dei singoli dipendenti ai progetti; ii) condivisione degli stessi coi dipendenti gerarchicamente sotto-ordinati; iii) positiva valutazione da parte del servizio di controllo interno circa il raggiungimento degli obiettivi medesimi; iv) ulteriore asseverazione dei dirigenti e distribuzione selettiva dell’incentivo in relazione al raggiungimento (parziale o totale) del risultato. Al culmine dell’articolata ricostruzione in parte motiva, la conclusione della Suprema Corte è netta: “contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, gli artt. 46 e 47 CCNL 1° settembre 1995 e gli artt. 4 e 38 CCNL 7 aprile 1999 per il personale del comparto Sanità si interpretano nel senso di non consentire la erogazione di compensi legati esclusivamente alla verifica della presenza in servizio”. Inoltre, le previsioni sui principi in materia di premialità e la regolazione delle sequenze procedimentali finalizzate alla valutazione dei risultati e alla erogazione degli incentivi rimangono sostanzialmente immutate anche nel vigore dei successivi contratti collettivi di comparto (CCNL quadrienni 1998-2001; 2002-2005; 2006-2009).


1.2. Il secondo motivo di accoglimento: nullità delle clausole del contratto collettivo integrativo difformi, nel caso di specie, dai principi del “decreto Brunetta” e non oggetto di successivo adeguamento

L’ulteriore argomento che il Tribunale meneghino ha utilizzato per convalidare la corresponsione di compensi per presenza in servizio, parimenti oggetto di impugnativa in sede di legittimità, verteva sulla “insensibilità” dei contratti collettivi integrativi preesistenti all’intervenuta disciplina sulla “valutazione della performance” di cui al d.lgs. n. 150/2009, presuntivamente applicabile soltanto ai contratti stipulati successivamente all’entrata in vigore di quest’ultimo [3]. Anch’esso viene però censurato dalla Corte di Cassazione, che si appella, sul punto, all’effettività del termine di adeguamento alle disposizioni del Titolo III del d.lgs. n. 150/2009, ricavabile dall’art. 65, c. 1, d.lgs. n. 150/2009; norma che, anche in forza della disposizione interpretativa di cui all’art. 5, c. 1, d.lgs. n. 141/2011, ha imposto alle amministrazioni pubbliche di adeguare i contratti collettivi integrativi previgenti ai principi di cui al decreto Brunetta in materia di valorizzazione del merito e utilizzo di sistemi premianti selettivi di natura meritocratica. Poiché dal combinato disposto degli artt. 31 e 74, c. 2, d.lgs. n. 150/2009 deriva che le amministrazioni del SSN adeguano i propri ordinamenti ai principi contenuti in gran parte delle disposizioni del Titolo III del decreto [4]; e in quanto fra queste disposizioni si situa l’art. 18, c. 2, d.lgs. n. 150/2009, che pone espresso divieto di distribuire incentivi e premi di performance in forma automatica e in assenza di verifiche mediante misurazione e valutazione delle prestazioni, consegue che i contratti integrativi che non siano stati “adeguati” ai dettami del nuovo regime normativo, continuando a contemplare misure di incentivazione economica correlate a parametri “statici” quale la presenza in servizio, integrano ipotesi di violazione di legge, con relativa applicazione del presidio sanzionatorio di cui all’art. 40, c. 3-quinquies, d.lgs. n. 165/2001, da cui la nullità delle clausole di contatto per contrarietà a norme imperative (ex artt. 1419, c. 2 e 1339 c.c.).


2. Sulla ratio della pronunzia e su alcuni “supporti” giurisprudenziali

Potrebbe supporsi che il commentatore, aduso all’ormai conclamata cogenza dei principi di selettività e meritocrazia in tema di premialità retributiva, ritenga pressoché scontata una pronunzia di tal tenore, con cui la Corte di Cassazione ha ritenuto illegittima l’erogazione di incentivi agganciati al criterio della mera presenza fisica del dipendente e non collegati funzionalmente, invece, a meccanismi procedimentali e sostanziali che contemplano l’assegnazione dell’obiettivo, la sua misurazione e la sua positiva valutazione [5]. Tuttavia, già il fatto che il giudizio di merito avesse intrapreso una piega radicalmente diversa indica che, nella materia de qua, nulla sia scontato, e che la pronunzia della S.C. sia in realtà da ritenersi gravida di interessanti implicazioni. Ciò, anzitutto, in ordine alla sua ratio; ma anche, come si vedrà, per le conseguenze di sistema, considerando la perdurante (ma discutibile) vigenza di sistemi regolativi che inglobano il limitrofo criterio della presenza/assenza quale fattore di commisurazione di trattamenti retributivi incentivanti. Per quanto concerne la ratio della pronunzia, prevale l’impressione di una sorta di “non detto” della sentenza sunteggiabile come segue: il criterio della presenza in servizio non può costituire parametro di determinazione della retribuzione incentivante, in quanto contrasta con quel postulato teorico, alla base della disciplina sui trattamenti economici di performance, che osta al riconoscimento di forme retributive che paiono duplicare lo schema ordinario di determinazione della retribuzione tabellare [6]. Se infatti “l’incentivo economico ha la funzione di compensare lo scostamento migliorativo della prestazione rispetto al proprio rendimento medio” [7], esso abbisogna, per essere legittimamente corrisposto, di un “extrarendimento”, effettivamente misurabile alla stregua di obiettivi previamente assegnati e successivamente verificati [8]. In definitiva, l’aggancio al criterio della pura e semplice presenza in servizio, pur avendo il senso di frapporre ostacoli all’eventuale assenteismo “patologico”, non può assurgere a criterio di commisurazione della retribuzione premiale, in quanto difetta della correlazione ex contractu al sovrappiù di rendimento che eccede la prestazione ordinariamente diligente [continua ..]


3. La regolazione della retribuzione di performance nei più recenti rinnovi del CCNL comparto Sanità

L’ampia retrospettiva fornita dalla pronunzia della Corte di Cassazione lumeggia come il collegamento fra performance e trattamenti economici accessori attraversi l’intero iter della riforma nota come “privatizzazione” del lavoro pubblico, rinvenendo nelle due ultime tappe della riforma (“decreto Brunetta” e “decreto Madia”) una definitiva consacrazione [14]. Il sistema normativo attualmente in vigore si palesa, al riguardo, connotato da particolare “densità”, in forza di nuclei derivanti da molteplici incroci testuali fra il d.lgs. n. 165/2001 (nel testo modificato dai due decreti sopra indicati) e il d.lgs. n. 150/2009 (nel testo introdotto dalla “riforma Brunetta” e modificato dalla “riforma Madia”) [15]. Il principio di fondo – già ampiamente rimarcato – è quello in virtù del quale le pubbliche amministrazioni non possono erogare trattamenti accessori non corrispondenti a prestazioni effettivamente rese (art. 7, c. 5, d.lgs. n. 165/2001), trattandosi invece di incentivare il merito e la qualità della prestazione lavorativa, da un lato impedendo le cc.dd. “erogazioni a pioggia”, dall’altro creando i presupposti per migliorare la qualità dei servizi offerti dalla p.a. nell’ottica della efficacia ed efficienza della stessa (artt. 1, c. 2; 2, c. 1, d.lgs. n. 150/2009), intesi quali corollario del principio costituzionale di buon andamento dell’amministrazione pubblica [16]. Poiché magna pars dell’implementazione della disciplina legale è affidata al sistema della contrattazione collettiva (nazionale di comparto e integrativa), per provare ad “attualizzare” la questione affrontata dalla sentenza in epigrafe, non può sfuggire la rilevanza dei due rinnovi contrattuali per il comparto Sanità, quelli per intenderci intervenuti nel vigore del sistema delineato dal Contratto collettivo nazionale quadro del 13 luglio 2016 [17], in tardiva attuazione – a causa della lunga fase di freezing contrattuale (e retributivo) legata alla crisi economica-finanziaria che ha attraversato la prima metà del decennio scorso [18] – di quanto disposto dal decreto Brunetta in ordine alla “drastica riduzione del numero dei comparti e delle aree dirigenziali di contrattazione collettiva nazionale” [19]. Punto [continua ..]


4. Per concludere. Tassi di presenza/assenza del personale sanitario e retribuzione di performance: quid iuris?

Tornando, infine, al profilo più direttamente oggetto della pronunzia della S.C., occorre chiedersi se i tassi di assenza/presenza dei dipendenti siano attualmente estranei alla disciplina della retribuzione di performance. Ebbene, così non è. Come si avrà modo di vedere, anzi, l’analisi di alcuni regolamenti aziendali vigenti rivela dati sorprendenti e soluzioni regolative obiettivamente controverse. Un primo versante su cui impingono i livelli di presenza/assenza è invero regolato direttamente dalla legge: si tratta del disposto dell’art. 40, c. 4-bis d.lgs. n. 165/2001 (come introdotto dall’art. 11 d.lgs. n. 75/2017), per cui le amministrazioni possono introdurre meccanismi di penalizzazione retributiva ove registrino tassi elevati di assenteismo, in riferimento a periodi in cui è necessario assicurare continuità nell’erogazione dei servizi all’utenza o in continuità con i riposi settimanali o le giornate festive. Tali tassi rilevano nella misura in cui manifestino “significativi scostamenti a dati medi annuali nazionali o di settore” [27]. Alla stregua delle direttive del legislatore, il CCNL comparto Sanità 2016-2018 ha previsto che, ricorrendo i presupposti legali, l’organismo paritetico istituito a livello di comparto propone “misure finalizzate a conseguire obiettivi di miglioramento” (c. 1), in assenza delle quali si impone il “blocco” delle risorse destinate al Fondo nella misura non superiore a quelle stanziate per l’anno precedente, con reiterazione del limite, di anno in anno, sino all’effettivo conseguimento degli obiettivi di miglioramento (c. 2) [28]. Assai più gravido di implicazioni è il secondo versante regolativo “inciso” dalla tematica delle presenze/assenze del personale. In alcuni regolamenti di aziende facenti parte del SSN si palesano infatti disposizioni che collegano la spettanza o comunque l’ammontare della retribuzione di performance al dato delle assenze dal servizio. Paradigmatico al riguardo il caso del regolamento AGENAS [29], aggiornato all’anno 2022. L’art. 7.1, dopo aver stabilito che “l’erogazione del premio per la performance individuale è proporzionata all’effettivo raggiungimento degli obiettivi di cui alla scheda di valutazione”, precisa che “nella determinazione [continua ..]


NOTE