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Sulla dequalificazione professionale del personale infermieristico
Alice Biagiotti, Assegnista in Diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
Il presente contributo analizza i limiti all’esercizio del potere di ius variandi in peius nelle pubbliche amministrazioni alla luce dell’evoluzione normativa che ha connotato l’istituto a partire dalla “prima privatizzazione” del rapporto di lavoro pubblico. Particolare attenzione è riservata alla fase giudiziale di valutazione della prevalenza ovvero accessorietà delle nuove e meno pregiate mansioni di destinazione del prestatore, valutazione da cui dipende la verifica circa l’effettiva sussistenza di una ipotesi di ius variandi in peius. Chiude il contributo una riflessione sul danno da dequalificazione risarcibile, sulla sua natura e sui criteri di accertamento.
Parole chiave: Pubblico impiego - Comparto sanità - Categorie - qualifiche e mansioni - Ius variandi - art. 52 - D. Lgs.n. 165/2001 - Dequalificazione professionale.
This paper analyzes the limits to the exercise of the power of ius variandi in peius in public administrations in light of the normative evolution that has characterized the institution since the “first privatization” of the public employment relationship. Particular attention is given to the judicial phase of assessing the prevalence or ancillary nature of the new and less valuable duties of the employee’s destination, an assessment on which depends the verification as to whether a hypothesis of ius variandi in peius actually exists. The paper closes with a discussion of compensable de-qualification damage, its nature and and the criteria for assessment.
Keywords: Public work - Health sector - Categories - qualifications and tasks - Ius variandi - art. 52 - D. Lgs.n. 165/2001 - Deskilling.
MASSIMA(1): Nel pubblico impiego privatizzato, il lavoratore può essere adibito a mansioni accessorie inferiori rispetto a quelle di assegnazione, solo a condizione che sia garantito al medesimo lo svolgimento, in misura prevalente e assorbente, delle mansioni proprie della categoria di appartenenza, che le mansioni accessorie non siano completamente estranee alla sua professionalità e che ricorra una obiettiva esigenza, organizzativa o di sicurezza, del datore di lavoro pubblico. MASSIMA(2): In tema di dequalificazione professionale, è risarcibile il danno non patrimoniale ogni qual volta si verifichi una grave violazione dei diritti del lavoratore, che costituiscono oggetto di tutela costituzionale, da accertarsi in base alla persistenza del comportamento lesivo, alla durata e alla reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale, all’inerzia del datore di lavoro rispetto alle istanze del prestatore di lavoro, anche a prescindere da [continua ..]
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Sommario:
1. Il caso concreto - 2. Equivalenza e ius variandi in peius nel pubblico impiego - 3. Il principio di prevalenza - 4. Il danno da dequalificazione professionale: natura e onere della prova - NOTE
1. Il caso concreto
La pronuncia in esame s’inquadra nell’ambito di quel filone casistico, già emerso all’attenzione dei giudici, avente ad oggetto ipotesi di dequalificazione professionale degli infermieri [1]. La condotta contestata è consistita nell’impiego, da parte dell’Azienda Sanitaria di Catanzaro (e in particolare dell’U.O.C. di Urologia del Presidio Ospedaliero di Lamezia Terme), del personale infermieristico, inquadrato nel livello D del CCNL – Comparto sanità, in mansioni ausiliarie di attività alberghiere, di igiene personale dei pazienti, di assistenza generica agli stessi, nonché di servizi relativi a segreteria di reparto. Si è trattato di attività ascrivibili alla diversa figura dell’operatore socio-sanitario, afferenti, secondo la declaratoria contrattuale, alla categoria B del CCNL applicato. Più nel dettaglio, il personale infermieristico ha dedotto di essere stato adibito, a [continua ..]
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2. Equivalenza e ius variandi in peius nel pubblico impiego
Il primo interrogativo posto all’attenzione del giudice riguarda, come si è visto, l’ammissibilità di un’assegnazione dei lavoratori a mansioni corrispondenti a un livello di inquadramento diverso e inferiore rispetto a quello di appartenenza. La questione involge un problema più ampio e generale relativo ai limiti posti al datore di lavoro pubblico nell’esercizio dello ius variandi, allorché quest’ultimo si esplichi nelle forme della mobilità verticale “verso il basso”. Se si guarda al tema da un punto di vista storico-evolutivo, punto di partenza obbligato è il regime antecedente alla c.d. privatizzazione, quando per la quasi totalità dei rapporti di pubblico impiego, venivano privilegiate le “funzioni” rispetto alle mansioni, intendendosi per “funzioni” «un momento organizzativo assai generico» [2], suddivisibile in una molteplicità di [continua ..]
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3. Il principio di prevalenza
Non è un caso che il secondo interrogativo posto all’attenzione del giudice sia stato proprio quello della possibilità di considerare effettivamente rispettata la regola di equivalenza considerato che le mansioni di destinazione erano sicuramente di area inferiore, ma assegnate per una sola parte del turno di servizio, rimanendo i lavoratori per l’ulteriore parte del medesimo impegnati nelle loro ordinarie mansioni di area D. La questione chiama in causa, come si diceva, il tema delle “mansioni promiscue” nel pubblico impiego e della applicabilità di quel principio di prevalenza, tradizionalmente chiamato a fungere da criterio orientativo in merito all’effettiva assegnazione piena ovvero solo marginale a mansioni inferiori. Il principio di prevalenza, un tempo espressamente previsto dall’art. 56 con riferimento all’adibizione a mansioni inferiori, non è però più contemplato, a tal proposito, [continua ..]
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4. Il danno da dequalificazione professionale: natura e onere della prova
Un terzo interrogativo posto all’attenzione del giudice ha riguardato la tutela nei confronti delle vittime, per così dire, dell’atto di ius variandi in peius. Scontata la nullità di tale atto, la tutela è, da un punto di vista più generale, in primis reintegratoria, poi anche risarcitoria, quest’ultima rilevante nel caso di specie. A tal proposito, va subito detto che il danno da dequalificazione professionale può acquisire una duplice connotazione. Si parla di danno patrimoniale qualora il demansionamento abbia determinato l’impoverimento della capacità professionale del lavoratore o la mancata acquisizione di maggiori capacità, con la connessa perdita di chances ovvero di ulteriori possibilità di guadagno. Differentemente nel caso in cui il demansionamento abbia provocato una lesione della dignità lavorativa. In questa ipotesi, si configura un danno non patrimoniale, atto a comprendere [continua ..]
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NOTE