Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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I sistemi “resilienti” di inquadramento professionale del personale pubblico dopo il decreto reclutamento ed i CCNL 2019-21 (di Valerio Talamo, Direttore generale dell'Ufficio Relazioni Sindacali presso il Dipartimento della Funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri)


Il contributo esplora la complessa vicenda degli inquadramenti professionali nel lavoro pubblico a partire dai decreti della cosiddetta “seconda privatizzazione”, fino all’arresto giurisprudenziale della Corte costituzionale, a seguito del quale le progressioni di carriera sono state riportate nell’alveo del concorso pubblico. Con il decreto-legge n. 80/2021 (cosiddetto Decreto Reclutamento) vengono restaurate procedure verticali, riservate al solo personale interno, che, in via transitoria, si svolgono anche in deroga ai titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno. La sensazione complessiva che deriva dal nuovo decreto è quella di una progressiva perdita di centralità del concorso pubblico, che, anche a seguito delle nuove progressioni carriera, diviene solo una delle diverse vie per l’accesso ai “posti” pubblici. Vengono ricostruiti inoltre gli altri istituti, anche fortemente innovativi, introdotti dai CCNL 2019-21: dall’area delle elevate professionalità (che sublima la mancata previsione della categoria dei quadri e della vice-dirigenza nel lavoro pubblico), alle nuove progressioni economiche, alle famiglie professionali. Si svolgono, infine, alcune considerazioni di sintesi e prospettiva anche alla luce della costituzionalità dei nuovi assetti che, sulla base della giurisprudenza sull’art. 97 cost., in taluni casi pare dubbia.

The ‘resilient’ systems of the civil service professional classification after the recruitment decree and the 2019-21 national collective labour agreements

The paper explores the complex story of civil service professional classification starting from the decrees of the so-called ‘second privatisation’, up to the judgment of the Constitutional Court, following which career progressions were brought back into the area of public competitions. With Decree-Law No. 80 of 2021 (the so-called ‘Recruitment Decree’), vertical procedures are restored, reserved for internal staff only, which, on a transitional basis, also take place in derogation of the qualifications required for access from outside. The overall feeling that derives from the new decree is that of a progressive loss of centrality of the public competition, which becomes only one of several ways to access public ‘posts’. Other provisions highly innovative introduced by the 2019-21 National Collective Labour Agreements, are also reconstituted: from the area of high professionalism (which sublimates the lack of provision for the category of middle managers and vice-managers in public employment), to the new economic progressions, to the ‘professional families’, and finally, some summary and perspective considerations are drawn, also in the light of the constitutionality of the new provisions, which, on the basis of the case law regarding the Article 97 of the Constitution, in some cases seems to be uncertain.

SOMMARIO:

1. Premessa introduttiva - 2. La “seconda” privatizzazione e la delega alla contrattazione collettiva in tema di inquadramento professionale - 2.1. Gli esiti imprevisti o inattesi dei nuovi sistemi di progressione professionale - 2.2. Dal decreto “Brunetta” al decreto “Madia”. Alla ricerca di un precario equilibrio - 2.3. Pandemia e PNRR - 3. La riclassificazione professionale nel Decreto Reclutamento - 4. La mission (im)possibile dei CCNL 2019-21 - 4.1. Alla ricerca del middle-management del settore pubblico - 4.2. Progressioni di carriera, transitorie ed a regime. Il nodo del periodo transitorio e della concorrenza delle procedure - 4.3. I passaggi all’interno delle aree: dalle fasce retributive ai differenziali stipendiali - 4.4. Dai profili alle famiglie professionali: alla ricerca di ordinamenti professionali “broad banding” (ma solo per il comparto Funzioni centrali) - 5. La resistenza costituzionale dei nuovi assetti. La perdita d centralità del concorso pubblico - 6. Fra timori e speranze alla ricerca dell’organizzazione (pubblica) perduta - NOTE


1. Premessa introduttiva

Gli inquadramenti professionali sono al centro dell’ennesimo intervento di riforma del lavoro pubblico, normato dal d.l. 9 giugno 2021, n. 80 (da ora in poi anche «Decreto Reclutamento») [1] e messo a regime dai CCNL della stagione 2019-2021. Essi intercettano tutta una serie di istituti, dalle progressioni (nella duplice veste di progressioni economiche e di progressioni giuridiche), ai profili professionali (che nel CCNL Funzioni centrali evolvono in famiglie professionali). Inoltre provano a dare casa, in un’apposita area di inquadramento, ai “quadri del lavoro pubblico”, declinati sub specie di “elevate professionalità”, dopo le prove (fallite) della vice-dirigenza e quelle (riuscite soprattutto negli enti locali e nelle agenzie fiscali) delle posizioni organizzative. Lambiscono, infine, i temi del reclutamento con le connesse implicazioni di ordine costituzionale. In questa riflessione ci si spingerà, innanzitutto, in una prospettiva diacronica, a verificare le opzioni praticate da leggi e contratti collettivi con riferimento al complesso degli istituti citati a partire dalla privatizzazione di fine secolo (la cosiddetta “seconda privatizzazione”) [2]. Successivamente si descriveranno gli assetti vigenti, dischiusi, come si è avvertito, dall’ennesima legge in materia, ma che a valle, per dispiegarsi in concreto, hanno avuto bisogno di una nuova tornata di contratti collettivi. Al riguardo si farà riferimento prevalentemente al contratto Funzioni centrali con le dovute incursioni in altri contratti sottoscritti, quelli della Sanità e delle Funzioni locali, tralasciando invece quello del comparto Istruzione e ricerca, la cui parte “normativa” è ancora in corso di definizione, essendo stata prevista al momento per via contrattuale solo un’anticipazione retributiva [3]. Nell’ultima parte di questa riflessione, infine, si verificherà la compatibilità costituzionale delle nuove regole, compito molto complesso rispetto al quale già la migliore dottrina lavoristica si divide in più schieramenti [4]. Si svolgeranno, infine, alcune considerazioni di sintesi e prospettiva.


2. La “seconda” privatizzazione e la delega alla contrattazione collettiva in tema di inquadramento professionale

Il dies a quo della storia va collocato a valle dei decreti della “seconda” privatizzazione [5], emanati sulla base della delega contenuta nella legge Bassanini sul decentramento amministrativo (legge 15 marzo 1997, n. 59). Infatti la “prima” privatizzazione, normata, come noto, dal d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, in questa materia agisce poco. La privatizzazione del 1993 fu, com’è noto, profondamente condizionata dal mandato economico-finanziario connesso al risanamento ed alla moderazione salariale, posti alla base della maxi-delega contenuta nella legge 23 ottobre 1992, n. 421. Le finalità di controllo della spesa imposero una rigidità gestionale che finì con l’imbrigliare anche la contrattazione collettiva, formalmente privatizzata ma sostanzialmente ancora ascrivibile al modello dell’evidenza pubblica [6]. La “prima” privatizzazione, in definitiva, forse non fu “insincera”, come pure scrisse Umberto Romagnoli [7], ma sicuramente si risolse in un mix tra innovazione e compromesso, non in grado di superare la matrice unilaterale e centralistica ed ancora latamente autoritativa della pubblica amministrazione, anche nei temi, qui oggetto di indagine, degli inquadramenti, delle carriere, delle mansioni. Diversamente i decreti della “seconda” privatizzazione di fine secolo, che si giovarono anche dell’apporto delle importanti sentenze della Consulta con le quali venne pienamente sdoganato il diritto comune quale legittima fonte di regolazione del rapporto di lavoro pubblico [8]. Il secondo legislatore, anche sull’onda di questa giurisprudenza, spinse il più possibile l’area privatizzata fino a lambire la sfera organizzativa, sub specie della micro-organizzazione, fra l’altro permettendo ai contratti collettivi di definire nuovi sistemi di inquadramento professionale. Forti di questa autorizzazione, i CCNL 1998-2001 sostituirono le qualifiche funzionali della legge 11 luglio 1980, n. 312, con un “sistema di carriere collettive contrattate” sotto forma di sviluppi professionali. Le qualifiche funzionali diventano fasce retributive collocate in macro aree giuridiche (o “categorie” a seconda della denominazione prescelta nei diversi comparti). I passaggi all’interno dell’area, per merito ed esperienza maturata, configurano progressioni economiche, i passaggi fra le [continua ..]


2.1. Gli esiti imprevisti o inattesi dei nuovi sistemi di progressione professionale

Dall’attuazione dei nuovi inquadramenti devoluti alla fonte collettiva discesero conseguenze inattese ed esiti imprevisti, innanzitutto di tipo organizzativo ed economico. Il personale “piega l’organizzazione” e fin da subito si assistette al reinquadramento verso l’alto di gran parte dei dipendenti in servizio. Tale dinamica finì con il provocare l’effetto figurato del “fungo” o della “piramide rovesciata”, che comporta il rischio di sovrainquadramenti e disallineamenti con le competenze possedute [9]. Le progressioni verticali, quale percorso chiuso e separato, d’altra parte, avvengono a discapito del concorso pubblico, che risultò fatalmente sacrificato dal ricorso illimitato ai passaggi riservati agli interni. Nel 2006 si stimarono l’84,79% di progressioni interne e il 15,21% di ingressi esterni [10]. L’addensamento nelle categorie superiori attraverso selezione interna inoltre preclude le stesse posizioni all’accesso dall’esterno, generando un conflitto fra outsiders ed insiders: l’inquadramento professionale è in funzione del personale interno ed era fatale che le esigenze dei primi risultassero in buona parte pretermesse alle ragioni dei secondi. Ciò comportò inevitabilmente che le progressioni effettuate furono, insieme al blocco del turn over, l’altra causa che impedì per anni alle giovani e ai giovani capaci di aspirare al reclutamento nelle qualifiche adeguate nei servizi pubblici ed alla conseguente carriera, a vantaggio degli interni, prevalentemente sprovvisti del titolo di studio adeguato [11]. In questa prima fase, infatti, i CCNL consentono il reinquadramento in deroga ai titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno. Una delle più pacchiane conseguenze che venne presto a determinarsi sul piano organizzativo e funzionale è quindi costituita dal mismatch, sub specie di disallineamento fra titoli di studio richiesti e quelli posseduti nell’area che si va ad occupare per effetto delle progressioni verticali (matching educativo). Il mismacht dà vita a fenomeni sia di undereducation (assenza del titolo), nei confronti dei vincitori di progressione verticale, che di overeducation (possesso di titoli più pregiati rispetto a quelli richiesti per accedere al­l’area), per i nuovi assunti. Fermandoci ai primi, fino al 2012, per [continua ..]


2.2. Dal decreto “Brunetta” al decreto “Madia”. Alla ricerca di un precario equilibrio

Il vero cambio di prospettiva normativa avviene con il d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 (cosiddetta “Riforma Brunetta”), al quale si deve la modifica dell’art. 52, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001 [20]. La progressione verticale, costituita come procedura chiusa riservata agli interni, viene senza indugi riportata nell’alveo del concorso pubblico. Ciò che prima era una selezione riservata diviene una mera quota di riserva (fino al 50% dei posti) ed il concorso aperto torna ad essere, in nome e per conto dell’art. 97 Cost., l’unica (tendenziale) via di accesso al lavoro presso le pubbliche amministrazioni. Le progressioni orizzontali, invece, rimangono competenza della contrattazione collettiva, confermando gli orientamenti ormai consolidati della Corte di cassazione, sebbene la stessa legge li vincoli più apertamente a selettività e merito, essendo stabilito dalle norme che le stesse interessino quote limitate di personale e siano ancorate alla valutazione delle prestazioni [21]. Sennonché la “Riforma Brunetta” impatta con la crisi dei debiti sovrani del primo decennio del secolo. Tutte le analisi di settore, da quelle dell’ARAN, a quelle di Eurofound, ma anche i mirabili studi del compianto Lorenzo Bordogna [22], evidenziano come tutti i Paesi Europei, a fronte di questa crisi finanziaria, per ciò che interessa il lavoro pubblico abbiano avuto (sia pure con qualche eccezione) una reazione comune: da un lato decelerando la dinamica retributiva e dall’altro lato bloccando (o riducendo) il tasso di sostituzione dei dipendenti cessati [23]. L’Italia agì sui due versanti: il salario venne cristallizzato ad un ammontare storicizzato ad una determinata data (senza possibilità di adeguamenti tramite progressioni o scatti a qualunque titolo denominati ovvero rinnovi contrattuali o incrementi dei fondi per il trattamento accessorio), mentre il turnover venne bloccato, eccettuate talune, limitate e parziali, deroghe per alcune categorie di personale [24]. Quindi bloccati i concorsi, seguirono la stessa sorte le progressioni verticali, doppiamente inibite sia nella veste di progressioni retributive, che di procedure concorsuali. È a partire da questo periodo, fra l’altro, che si registrano gli effetti devastanti in materia di personale e di organizzazione del lavoro pubblico. Il personale risulta progressivamente [continua ..]


2.3. Pandemia e PNRR

Proprio quest’amministrazione sfiancata dalle cure dell’austerity è stata chiamata a fronteggiare la seconda crisi del nuovo secolo, connessa agli effetti della Pandemia da Covid-19. In questo caso, tuttavia, la reazione dell’Europa è stata di segno opposto rispetto a quella concepita nel periodo immediatamente precedente. Non si assecondano più politiche restrittive per ripianare i debiti storici e rasserenare i mercati, ma si invita a spendere, e bene, un grosso credito, quello derivante da prestiti che gravano su di un debito comune europeo, formato per le esigenze della ripresa post-pandemica ed ammontante a circa 750 miliardi di euro. Un gigantesco piano di rilancio per far fronte alla crisi finanziaria derivante dalla pandemia. I Paesi che ricorrono a questo finanziamento straordinario sono chiamati a predisporre dei Piani nazionali di riforme amministrative che vengono valutati dalla Commissione europea e poi approvati dal Consiglio. Queste riforme vengono poi controllate dalla Commissione europea sulla base dei principi consolidati del best for value review [30]. Il piano di resilienza nazionale (PNRR) è stato approvato il 22 giugno 2021 e prevede un prestito complessivo di circa 191 miliardi, di cui il 36% a fondo perduto. A queste risorse si aggiungono peraltro circa 30 miliardi derivanti da risorse nazionali ed ulteriori 13 miliardi derivanti da un’altra linea di credito con l’Europa [31]. Complessivamente un tesoretto di circa 235 miliardi di euro, da investire nelle sei missioni individuate dal Piano nazionale che prevede diverse riforme orizzontali ed altre cosiddette abilitanti. Per il lavoro pubblico il Piano concordato con la Commissione ritiene espressamente necessaria una revisione dei percorsi di carriera della pubblica amministrazione che introduca maggiori elementi di mobilità, sia orizzontale tra amministrazioni, che verticale all’interno della stessa amministrazione, per facilitare le progressioni di carriera dei più meritevoli e capaci. Più nel dettaglio emerge in più parti l’asserita esigenza di valorizzazione professionale, con percorsi di carriera collegati alle valutazioni, la costruzione di profili specifici attrattivi per il pubblico impiego e poi, ancora, la costituzione di un’area intermedia fra i dirigenti e il personale non dirigente ed una riforma del reclutamento basata sulla verifica delle competenze [continua ..]


3. La riclassificazione professionale nel Decreto Reclutamento

Al centro del decreto n. 80/2021, ai nostri fini, è l’art. 3, recante “Misure per la valorizzazione del personale ed il riconoscimento del merito”, che sostituisce il comma 1-bis del d.lgs. n. 165/2001. Fra i vari contenuti del nuovo comma vi è la piena restaurazione delle progressioni verticali, quale circuito chiuso e separato rispetto al concorso aperto. In particolare, viene distinta una fase di prima attuazione da una a regime. Nella prima si legittima la contrattazione collettiva per il periodo 2019-21 ai fini della definizione di “tabelle di corrispondenza” fra i vecchi e i nuovi inquadramenti che possono operare, valorizzando esperienza e professionalità maturate, anche in deroga al titolo di studio richiesto per l’accesso dall’esterno [32]. Si ripropone in questa maniera una linea legislativa che promuove progressioni di carriera in assenza del titolo di studio richiesto nell’area che si va ad occupare (undereducation). Le progressioni verticali “a regime”, invece, non derogano al titolo di studio, sono a carattere comparativo, si svolgono entro il limite del 50% dei posti disponibili e non sono oggetto di rinvii alla contrattazione collettiva, anche perché è la legge medesima ad individuare gli elementi da considerare nella comparazione, che peraltro valorizzano la storia professionale pregressa del dipendente (valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, assenza di provvedimenti disciplinari, possesso di titoli o competenze professionali o di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area dall’esterno, numero e tipologia degli incarichi rivestiti) [33]. L’altra previsione qualitativamente decisiva contenuta nel nuovo comma 1-bis dell’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001, riguarda l’area del personale di elevata professionalità. La legge individua quale contenuto obbligatorio dei CCNL la costituzione di un’“ulteriore” area in cui collocare il personale di elevata qualificazione dell’am­ministrazione, sia pure senza chiarirne i requisiti di accesso. L’area nasce (rectius dovrebbe nascere) vuota ed è apertis verbis sottratta alle “tabelle di corrispondenza” tra vecchi e nuovi inquadramenti in deroga ai titoli di studio. Inoltre la legge prevede che i costi derivanti dall’attuazione della [continua ..]


4. La mission (im)possibile dei CCNL 2019-21

Le norme del decreto-legge, tranne che nel caso delle progressioni verticali “a regime”, richiedevano in ogni caso la mediazione della contrattazione collettiva. I CCNL relativi alla tornata 2019-2021 erano tuttavia forti anche di una missione propria, che essi stessi si erano dati a margine dei contratti 2016-2018, che recavano un’indicazione per la creazione di Commissioni paritetiche per l’innovazione dei sistemi di classificazione professionale [38]. Queste Commissioni, anche nelle more dei rinnovi contrattuali, hanno costituito un laboratorio di sperimentazione per la costituzione di sistemi aggiornati di inquadramento professionale che superassero gli anacronismi dei preesistenti modelli, risalenti nel proprio corpo fondamentale ancora al secolo scorso e sui quali si erano sedimentate leggi e giurisprudenza ma anche gli effetti normativi delle due crisi del nuovo secolo [39]. I CCNL 2019-21 hanno innanzitutto disposto il reinquadramento automatico del personale nelle neo-costituite aree. Tale reinquadramento, che avviene a parità di mansioni, decorre dal primo novembre 2022 per le amministrazioni collocate nel comparto delle Funzioni centrali (art.18) ed ovviamente in tempi successivi per gli altri comparti che hanno sottoscritto in tempi seguenti i propri contratti [40]. Si tratta di una mera trasposizione che discende dalla previsione contrattuale e non postula intervento discrezionale da parte delle amministrazioni. Per cui, per esempio, nel CCNL Funzioni centrali nell’area degli operatori confluisce il personale prima collocato nella prima area, nell’area degli assistenti confluisce il personale della ex seconda area, in quella dei funzionari quello della ex terza area [41].


4.1. Alla ricerca del middle-management del settore pubblico

Il contratto delle Funzioni centrali e quello della Sanità aggiungono alle aree/categorie esistenti un’ulteriore area apicale nell’ambito del ricostruito sistema di classificazione professionale in cui sono collocate le elevate professionalità (EP). Nel comparto Funzioni locali l’area non è aggiuntiva ma deriva dalla trasformazione dell’ex categoria D. Quando venne diffuso il testo del d.l. si affacciò negli interpreti un dubbio circa la natura ed i compiti di questa costituenda figura professionale. Era chiaro a tutti che si trattava dell’ennesimo capitolo dalla saga dei quadri/vicedirigenti nelle amministrazioni pubbliche. Era infatti rimasta impregiudicata, come prima si è chiarito, la questione relativa alla valorizzazione di quelle figure intermedie, che operano fra dirigenza e restante personale ed esercitano i propri compiti in snodi e funzioni critiche, costituendo un vero capitale intellettuale cui è devoluto il compito di trasformare in comportamenti operativi le decisioni dei dirigenti, spesso costituendo quel corpo tecnico di cui le amministrazioni si sono progressivamente impoverite (professionals). Non era tuttavia ben chiaro se l’“ulteriore area” costituisse un grado di inquadramento, come avviene sostanzialmente per le EP costituite dal CCNL Università, ovvero fosse collegata al conferimento di un incarico pregiato, come accade per le posizioni organizzative di agenzie fiscali ed enti locali [42]. Sembra che il Ccnl Funzioni centrali abbia costituito una crasi tra i due modelli, perché al personale che viene inquadrato a titolo stabile nell’area delle elevate professionalità debbono essere obbligatoriamente conferiti degli incarichi di funzione ed altrettanto viene fatto nel contratto della Sanità. In questi due comparti non è neanche teoricamente ipotizzabile un EP non destinatario di incarico [43]. La struttura della retribuzione, sempre rimanendo al comparto delle Funzioni centrali, è ricostruita mimeticamente su quella della dirigenza. Viene prevista una parte tabellare, ma anche una retribuzione di posizione ed una di risultato. Complessivamente le elevate professionalità possono fruire di una retribuzione di posizione ricompresa nel limite minimo e massimo di 11.000 e 29.000 euro, a cui va aggiunta la retribuzione di risultato, per un importo massimo complessivo lordo, [continua ..]


4.2. Progressioni di carriera, transitorie ed a regime. Il nodo del periodo transitorio e della concorrenza delle procedure

Come si è sommariamente anticipato, il reinquadramento automatico in deroga ai titoli di studio in prima attuazione (rectius le “tabelle di corrispondenza fra vecchi e nuovi inquadramenti”), previsto dalla legge e rinviato all’attuazione contrattuale, è divenuto nei CCNL una progressione verticale che si esplica per un periodo transitorio definito dagli stessi contratti. Si è quindi trasformato in una sorta di progressione di carriera straordinaria regolata in via negoziale. Tale avanzamento straordinario di carriera è stato fortemente sollecitato dalla compagine sindacale ed aveva infatti trovato rappresentazione in uno degli impegni contenuti nel Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, sottoscritto da Governo e maggiori confederazioni sindacali il 10 marzo 2021. La giustificazione di tale richiesta sindacale è stata rinvenuta dalla lunga stasi degli avanzamenti di carriera nel lavoro pubblico, conseguenza del già ricordato blocco del turn-over che ha fatto seguito alle misure straordinarie che hanno interessato il lavoro pubblico dopo il 2010. La stasi concorsuale, se da un lato ha inibito l’attivazione di percorsi di carriera interna (sia pure sub specie di quota riservata del concorso unico aperto all’esterno), dall’altra parte, per i vuoti di organico che ha generato, avrebbe imposto un diffuso “mansionismo di fatto”, per la richiesta delle amministrazioni di utilizzare personale in funzioni superiori a quelle di inquadramento. Alla base delle istanze sindacali vi sarebbe quindi anche l’esigenza di far coincidere, attraverso questo reinquadramento straordinario e transitorio, l’organico di diritto con quello di fatto, con il conseguente riposizionamento alle aree superiori del personale allocato nell’area/categoria immediatamente inferiore. La procedura straordinaria seppur definita transitoria, si dispiega per un periodo tutt’altro che transitorio. Per le Funzioni centrali dura dal 1° novembre 2022 (data di entrata in vigore del nuovo sistema di classificazione) fino al 31 dicembre 2024, per la Sanità dal 1° gennaio 2023 al 30 giugno 2025, per le Funzioni locali dal 1° maggio 2023 al 31 dicembre 2025. Fino a tale momento, come scrive l’ARAN nei suoi orientamenti applicativi, sarebbero consentite solo queste progressioni straordinarie in deroga ed inibite quelle verticali a [continua ..]


4.3. I passaggi all’interno delle aree: dalle fasce retributive ai differenziali stipendiali

Una parte molto innovativa nei nuovi contratti collettivi riguarda invece le progressioni orizzontali o economiche, le quali non erano state incise in modo sostanziale dal decreto n. 80/2021. Qui si registra, innanzitutto, il superamento delle posizioni giuridiche all’interno di ogni area/categoria e del modello piramidale formato da posizioni economiche di valore crescente per fasce sovrapposte. La retribuzione di accesso all’area/categoria diventa quindi la retribuzione unica dell’area. Successivamente potranno essere acquisiti dei “differenziali stipendiali” nella misura e per un numero massimo di volte definito per ogni area dai diversi CCNL. Questa scelta del contratto nazionale svuota pro-quota la contrattazione integrativa, prima competente ad ogni fine nel limite delle risorse fisse e continuative disponibili nel fondo per i trattamenti accessori, ma permette anche a coloro che sono collocati nelle fasce retributive apicali di ogni area di riprendere ad effettuare progressioni economiche e quindi di crescere retributivamente senza necessariamente accedere all’area superiore. Nel nuovo modello, come chiarito, scompare la suddivisione in fasce economiche sovrapposte di valore via via superiore, per cui l’acquisizione dell’incre­mento retributivo a seguito di progressione (differenziale stipendiale), non determina l’in­quadramento in una fascia economica superiore come avveniva in passato. Ovviamente chi aveva già acquisito un trattamento retributivo superiore rispetto alla retribuzione unica di area, o per effetto di un passaggio ad una fascia economica superiore (per superamento di una progressione economica secondo le precedenti regole) o perché entrato direttamente in una fascia economico-giuridica superiore a quella di base, trattiene questa retribuzione nella forma di differenziale stipendiale di partenza non riassorbibile: in termini super tecnici conserva uno “zainetto”, costituito dalla differenza tra la retribuzione base ed il trattamento già in godimento. Questo “zainetto” ed i “differenziali stipendiali” successivamente acquisiti, vengono restituiti, come in passato, al fondo risorse decentrate o in caso di passaggio di area del dipendente oppure a seguito di quiescenza dello stesso lavoratore.


4.4. Dai profili alle famiglie professionali: alla ricerca di ordinamenti professionali “broad banding” (ma solo per il comparto Funzioni centrali)

Un ultimo ma decisivo tema affrontato dal CCNL Funzioni centrali per il triennio 2019-2021, riguarda le famiglie professionali. L’inquadramento giuridico “ragiona” in verticale per aree, ma anche in orizzontale, all’interno dell’area, attraverso le neo-costituende famiglie professionali. Con riferimento alle aree, naturalmente, man mano che si ascende dall’area degli operatori verso l’area delle EP, passando per quelle degli assistenti e dei funzionari, sono previsti gradi sempre più importanti di autonomia e responsabilità e richieste maggiori competenze professionali. Con le nuove progressioni economiche, sub specie di differenziali stipendiali, invece, si valutano i livelli crescenti di competenza acquisita. Ma questo, a bene vedere, è il modello che ha operato anche sulla base dei preesistenti sistemi di classificazione. La vera innovazione riguarda, invece, in “orizzontale”, la costituzione delle famiglie professionali, che sostituiscono nel comparto delle Funzioni centrali i profili professionali del precedente regime. I profili professionali non erano contrattabili. L’art. 5, comma 2, in combinato disposto con l’art. 40, comma 1, 165/2001, li consegna(va) alla determinazione unilaterale attraverso l’esercizio delle prerogative datoriali privatistiche, collegandovi esclusivamente forme di partecipazione sindacale. Le famiglie professionali sono invece per il CCNL Funzioni centrali dichiaratamente contrattabili, ma sono cosa diversa dai profili professionali [54]. Le differenze fra le prime ed i secondi, verrebbe da dire, sono innanzitutto quantitative. In via di consapevole semplificazione le famiglie professionali sono macro contenitori di profili professionali, contenitori a bande larghe che individuano un complesso vasto di attività per svolgere le quali occorrono le medesime conoscenze e capacità. Si passa quindi dal profilo, che identifica una mansione o un mestiere, ad una impostazione più ampia, cioè ad una macrocategoria che individua le competenze e le abilità necessarie per lo svolgimento di una pluralità di mestieri. Le ragioni della modificazione sono innanzitutto da ricondurre ad esigenze di funzionalità del sistema e di promozione della mobilità orizzontale. Le mansioni sono caratterizzate da una veloce obsolescenza, conseguenza diretta dell’eccessiva parcellizzazione [continua ..]


5. La resistenza costituzionale dei nuovi assetti. La perdita d centralità del concorso pubblico

Dopo aver ricostruito sommariamente la storia ed aver descritto legge e contratti collettivi, rimane da monitorare la compatibilità costituzionale di questo complesso di innovazioni. Se si risale nel tempo e fino a tutto il primo decennio del nuovo secolo, si può notare come storicamente la Corte costituzionale in tema di concorsi, per i profili affrontati in questo scritto, sia andata principalmente a sanzionare il mancato rispetto del principio dell’adeguato accesso dall’esterno e quello relativo al mancato possesso del titolo di studio richiesto per l’accesso dall’esterno. Questi principi sono stati applicati anche alle progressioni verticali (infra 2.1.). Il presupposto di tale applicazione, a sua volta, è costituito dalla nota affermazione, già contenuta nella sentenza n. 1/1999, per la quale ogni inquadramento alla fascia funzionale superiore costituisce un nuovo posto non sottraibile dall’accesso dall’esterno (e, quindi, dal concorso pubblico). Questo principio è il corollario delle prime due affermazioni ed è stato ribadito in tante e tali occasioni fino a consolidarsi, provocando la reazione della Corte di cassazione che si è assestata sul decisum della Consulta con il revirement già descritto nella prima fase di questa riflessione. Occorre quindi ora verificare se sul punto il d.l. n. 80/2021 e le soluzioni esperite dai contratti collettivi successivi impattino con questi principi. Importa a tale fine preliminarmente verificare se le nuove progressioni verticali corrispondano a quelle procedure che il Giudice delle leggi aveva identificato come concorso ovvero se, nella nuova qualificazione giuridica imposta dal legislatore, le stesse vengano a costituire una diversa fattispecie. Al riguardo diversi elementi testuali spingono a considerare le nuove progressioni verticali come analoghe a quelle a cui fu applicata la giurisprudenza costituzionale e di legittimità sul concorso pubblico. Si tratta della stessa fattispecie rigenerata dal d.l. n. 80/2021: procedimenti autonomi e separati, distinti dal concorso aperto, riservati esclusivamente agli interni, che comportano l’acquisizione della qualifica superiore. Il dato letterale e sistematico pare inequivoco. Si è in presenza di una “tradizionale” progressione verticale che la stessa legge continua ad ascrivere a concorso. Basta, al riguardo, leggere, nel d.lgs. n. [continua ..]


6. Fra timori e speranze alla ricerca dell’organizzazione (pubblica) perduta

Al netto delle vicende relative alla natura giuridica delle nuove progressioni di carriera, i nuovi sistemi di classificazione professionali aggiornano un sistema che richiedeva aggiustamenti e correzioni di rotta ormai improcrastinabili. Per il funzionamento del nuovo modello pare tuttavia imprescindibile una “pregiudiziale organizzativa” senza il rispetto della quale anche i nuovi istituti rischiano di replicare schemi già vissuti nel passato, riproponendone i vizi. Il PIAO (piano integrato di attività e organizzazione), introdotto dall’art. 6 del Decreto Reclutamento, non costituisce semplicemente un “dialogo” fra documenti, prima disallineati nel tempo ed ora contestuali, ma pare uno dei più importanti tentativi di sottomettere l’organizzazione amministrativa ad un disegno unitario e programmatorio, in cui i dipendenti pubblici siano il vero start-up del processo. Non piegando l’organizzazione, che li precede, ma al contempo non rimanendo una variabile indipendente rispetto all’organizzazione. Le politiche del personale dovrebbero recare di base le strategie organizzative rappresentate nel PIAO (dalla programmazione dei reclutamenti, fondati sui fabbisogni di competenze, alla formazione, allo smart working, alla valutazione delle performance, all’attività di prevenzione della corruzione). È il PIAO che è tenuto a prevedere la percentuale di posizioni disponibili per progressione fra le varie aree e quella per l’assunzione dall’esterno, ma anche le diverse modalità di valorizzazione dell’esperienza e dell’accrescimento delle competenze. I dipendenti sono il più importante asset di ogni organizzazione, che dipende dalle loro performance. E la pubblica amministrazione ricomprende circa un quinto di tutti gli occupati del Paese ed è quindi il primo fra i datori di lavoro nel mercato del lavoro nazionale. Per questo motivo i lavoratori della pubblica amministrazione non possono non essere al centro del progetto. E deve cambiare, in questa prospettiva, anche il ruolo del dirigente pubblico: non più un sacerdote che officia l’applica­zione di una norma, ma il promotore dello sviluppo del personale[74]. Il personale, a sua volta, deve essere fortemente motivato da incentivi nella carriera e nella retribuzione corrisposti sulla base dei meriti effettivi (progressioni di carriera, elevate [continua ..]


NOTE