Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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La Cassazione fa il punto: falsa attestazione della presenza in servizio dei dipendenti pubblici, procedimento disciplinare e giudizio penale (di Silvia Zinolli, Dottoranda di ricerca in Diritto del lavoro presso l'Università di Pisa)


Il contributo commenta due pronunce della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione che, confermando i licenziamenti di due dipendenti pubblici per falsa attestazione della presenza in servizio ed agevolazione della medesima condotta da parte di altri, si è pronunciata sull’autonomia del procedimento disciplinare rispetto al correlativo processo penale, in linea con i precedenti orientamenti. I giudici di legittimità, in particolare, hanno colto l’occasione per riaffermare i principi di facoltatività della sospensione del procedimento disciplinare in pendenza del processo penale e di non vincolatività dell’eventuale pronuncia penale non definitiva, nonché per precisare il valore del giudicato penale in tali procedimenti, limitato all’accertamento che il fatto non sussiste, non costituisce reato e l’imputato non lo ha commesso. Tali pronunce offrono lo spunto per indagare, in primo luogo, le ragioni di un’impostazione legislativa particolarmente rigorosa nella punizione di tali condotte, e, poi, i rapporti tra il procedimento disciplinare che ne consegue, per certi aspetti peculiare, ed il processo penale aperto per i medesimi fatti, improntati di regola alla reciproca autonomia, con tassative eccezioni.

The Supreme Court makes a point: false attestation of the public employee's presence at work, disciplinary proceeding and criminal trial

The present contribution comments two sentences of the Labor Section of the Supreme Court. The sentences have confirmed the redundancies of two public employees for false attestation of presence at work and facilitating the same behaviour from colleagues, and they have expressed themselves about the autonomy of the disciplinary proceeding and the related criminal proceeding, in accordance with the former jurisprudential guidelines. In particular, the judges took the opportunity to reconfirm the principle of the optionality of disciplinary proceedings’ suspension during the pendency of the criminal trial and the principle of the non-binding nature of the non-definitive criminal sentence. The Court also pointed out the value of the criminal final judgment within the disciplinary proceedings, which is limited to the establishment that the fact itself does not subsist, it does not constitute a crime and the defendant did not commit it. These sentences offer a starting point, at first, to investigate the reasons behind the particular strictness of the legislation in punishing similar behaviour and, then, to deepen the relationships between the disciplinary proceeding, peculiar under different points of view, and the criminal trial started for the same facts: these proceedings are normally independent but there are few exhaustive exceptions to analyse.

MASSIMA: Qualora la pubblica amministrazione, nel perseguire in via disciplinare fatti oggetto anche di procedimento penale, non decida di attendere gli esiti di quest’ultimo, solo la sentenza penale di assoluzione impedisce, se passata in giudicato, ai sensi dell’art. 653, c. 1, c.p.p., una diversa decisione, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste, nel giudizio civile di impugnazione della sanzione disciplinare; anche la valutazione degli elementi istruttori che il giudice civile trae dagli atti del procedimento o del processo penale non è vincolata dalla valutazione di essi che si sia avuta in quest’ultimo, fermi i casi di inutilizzabilità per specifica previsione di legge o diretta lesione di interessi costituzionalmente garantiti della parte contro la quale essi siano usati e fermo restando che, in caso di successivo passaggio in giudicato della sentenza penale, può chiedersi la riapertura del procedimento disciplinare, nel quale contesto la sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste dispiega gli effetti propri di cui all’art. 653, c. 1, c.p.p. (Confermato il licenziamento di un Direttore Asl per alcuni episodi di falsa attestazione della presenza in servizio, restando irrilevante il fatto che il contestuale procedimento penale si fosse concluso con l’assoluzione “perché il fatto non sussiste”). PROVVEDIMENTO: RILEVATO IN FATTO 1. la (Omissis) ha contestato a P.S., direttore di Struttura Complessa, in ragione anche della contestuale pendenza di procedimento penale, la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-quater, per aver falsamente attestato la propria presenza in servizio ed avere tollerato condotte gravemente negligenti nell’uso del cartellino marcatempo poste in essere dai dipendenti a lui sottoposti; la contestazione era poi sfociata nel licenziamento disciplinare del P. in ragione a quel punto però solo della fraudolenta attestazione dalla presenza in servizio in due giornate, in cui egli era rientrato a casa nonostante le registrazioni del tesserino attestassero la sua presenza in ufficio; 2. il licenziamento è stato impugnato da parte del P. ed il Tribunale di Teramo ha respinto la domanda, con sentenza confermata dalla Corte d’Appello di L’Aquila; nel corso del giudizio di secondo grado era peraltro sopravvenuta sentenza penale del Tribunale di Teramo di assoluzione del P. “perché il fatto non sussiste” con riferimento anche alle circostanze su cui si fondava il licenziamento irrogato; la Corte territoriale, nel respingere l’impugnativa, ha sostenuto che l’au­tonomia del procedimento disciplinare non consentisse di ritenere che l’assoluzione anche per i fatti oggetto di contestazione fosse di per sé dirimente nel far ritenere che l’accaduto si riportasse a mera dimenticanza o superficialità; il licenziamento riguardava [continua..]
SOMMARIO:

1. La notoria intollerabilità della falsa attestazione della presenza in servizio - 2. L’autonomia del procedimento disciplinare rispetto al giudizio penale - 3. La vincolatività del giudicato penale - NOTE


1. La notoria intollerabilità della falsa attestazione della presenza in servizio

Con le due pronunce in commento la Cassazione ha dato continuità al­l’orien­tamento che postula la tendenziale autonomia tra il procedimento disciplinare e gli esiti del giudizio penale [1] e ha confermato un’impostazione rigorosa nei confronti dei dipendenti pubblici che commettono scorrettezze legate alla falsa attestazione della presenza in servizio. Nella vicenda oggetto della pronuncia n. 6660/2023, in particolare, un direttore di un’azienda sanitaria locale non solo aveva attestato falsamente la propria presenza sul luogo di lavoro ma aveva altresì tollerato analoghi comportamenti da parte del personale a lui sottoposto, senza in alcun modo attivare il relativo procedimento disciplinare (in violazione dell’art. 55-quater, c. 1, lett. a) e 3-quinquies, Testo Unico del Pubblico Impiego (da qui, TUPI) [2]. Licenziato per giusta causa aveva poi ottenuto, in sede penale, una pronuncia di assoluzione perché il fatto non sussiste, con sentenza non ancora definitiva al momento del giudizio di legittimità dallo stesso intrapreso avverso la sanzione disciplinare. Entrambi i giudici di merito chiamati a pronunciarsi sul licenziamento lo avevano infatti ritenuto legittimo e, a seguito del ricorso del lavoratore, la Corte di cassazione ha respinto la sua domanda, evidenziando l’intrinseco disvalore delle condotte fraudolente perpetrate e comunque la piena autonomia del giudice civile di provvedere alla sospensione o meno del proprio giudizio in pendenza di processo penale e, in ogni caso, di attingere da quest’ultimo alcuni elementi probatori senza vincoli di sorta per la valutazione disciplinare [3]. Nella vicenda oggetto della pronuncia n. 5194/2023, invece, una dipendente del comparto scuola aveva più volte provveduto a strisciare preordinatamente il badge di una collega assente e tali comportamenti avevano condotto l’Amministrazione dapprima a sospendere la lavoratrice cautelativamente e poi a licenziarla per giusta causa. In entrambi i gradi di merito, e nonostante il proscioglimento nel frattempo intervenuto in sede penale ex art. 131-bis c.p., la sanzione era stata ritenuta congrua. La Cassazione, adita dalla dipendente, con la pronuncia in commento, ha confermato la legittimità del licenziamento, escludendo qualsiasi incidenza vincolante sul procedimento disciplinare degli accertamenti condotti sia in sede penale sia in sede amministrativa [continua ..]


2. L’autonomia del procedimento disciplinare rispetto al giudizio penale

Le pronunce in commento poi ci ricordano la ormai consolidata autonomia tra procedimento disciplinare e giudizio penale. Se in pendenza di quest’ultimo sussiste la semplice facoltà in capo alla Pubblica Amministrazione e al giudice civile investito di un’eventuale impugnazione di sospendere il proprio giudizio, salva la possibilità di riaprirlo in ogni momento attingendo quanto discrezionalmente ritenuto rilevante, un vero e proprio vincolo discende esclusivamente dal giudicato penale, che, solo in alcune formule, impone la conformità del sindacato disciplinare. Più nello specifico, le sentenze in esame, in linea con tale orientamento, hanno confermato che, dinanzi a condotte di timbratura irregolare di cartellino, la Pubblica Amministrazione deve immediatamente attivarsi, senza alcun margine di discrezionalità [19], per instaurare il relativo procedimento disciplinare, rispetto a cui, qualora proceda altresì penalmente l’autorità giudiziaria, essa, come poi il giudice civile, dispone di due opzioni: i) sospendere il procedimento disciplinare per attendere gli esiti del processo penale, ai quali, comunque non sarà strettamente vincolata [20]. Tale possibilità viene da lungo tempo ritenuta un’opzione facoltativa per l’Amministrazione e, anzi, un’ipotesi eccezionale, da attivare con adeguata motivazione solo nei casi di illeciti particolarmente gravi e di difficile accertamento, come sottolineato dalla sentenza n. 6660 [21]. Si ricordi, inoltre, che, anche qualora si sospenda l’accertamento disciplinare, l’Amministrazione e/o il giudice civile sono comunque liberi di riprenderlo quando ritengono di disporre di elementi sufficienti per addivenire ad una decisione. Pertanto, una volta concluso il processo penale, l’eventuale assoluzione [22] non ancora definitiva costituisce un fatto di cui tenere conto in sede disciplinare, ma ferma la legittimità di conclusioni di segno opposto, data la possibile diversità del corredo probatorio fondante i separati giudizi o di una loro diversa valutazione [23]. ii) Non attendere, non sussistendo più alcun rapporto di pregiudizialità [24], posto che, solo nel caso in cui il processo penale dovesse successivamente concludersi con giudicato di segno opposto, il giudice civile sarebbe poi obbligato a riaprire il procedimento per conformare la propria [continua ..]


3. La vincolatività del giudicato penale

Come accennato, alla tendenziale autonomia del procedimento disciplinare rispetto al processo penale si contrappongono alcune eccezioni, in seno al lavoro pubblico [32], in cui il primo è maggiormente vincolato alle risultanze irrevocabili del secondo, con limiti e obblighi diversi in relazione al tipo di pronuncia. Innanzitutto, di fronte ad una sentenza di proscioglimento definitiva, ai sensi dell’art. 653, c. 1, c.p.p. [33] nonché dell’art. 55-ter, c. 2, TUPI, decadono automaticamente le misure cautelari eventualmente applicate al prestatore [34] e la Pubblica Amministrazione e/o il giudice civile, su istanza del lavoratore da proporre entro sei mesi dal passaggio in giudicato, risultano vincolati a conformare le proprie statuizioni agli accertamenti per cui il fatto addebitato non sussiste, non costituisce reato, o il dipendente pubblico non lo ha commesso, se del caso con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro [35]. Si noti, tuttavia, che la vincolatività della sentenza penale non è così marcata come potrebbe prima facie apparire, in quanto, in realtà, si addiverrà alla piena assoluzione anche in sede disciplinare solo nel caso in cui il fatto contestato al lavoratore coincida esattamente con la fattispecie stessa di aver commesso un reato, salva la possibilità che la medesima condotta venga considerata irrilevante dal punto di vista penale e censurabile in ambito disciplinare, comportando l’applicazione di una sanzione anche molto severa se adeguatamente giustificata, nonostante la pronuncia penale assolutoria definitiva, in conformità, ancora, con il principio dell’autonomia dei procedimenti. Specularmente, ex art. 653, c. 1-bis, c.p.p., solo il giudicato penale di condanna circa la sussistenza del fatto, la sua natura di illecito penale o l’imputabilità del medesimo al lavoratore ha efficacia di accertamento nel procedimento disciplinare e ne impedisce un discostamento, ma non riverbera alcun effetto in punto di giudizio di colpevolezza né di proporzionalità della sanzione irrogata, di esclusiva competenza della Pubblica Amministrazione e del giudice civile [36]. Nonostante la condanna penale per fatti commessi sul lavoro sia infatti idonea a minare gravemente il rapporto di fiducia tra il prestatore e la Pubblica Amministrazione nonché la sua immagine, il legislatore non ha voluto inserire un [continua ..]


NOTE