Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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A proposito di lavoro a distanza “post-emergenziale”: il caso degli uffici giudiziari (di Alice Biagiotti, Assegnista di ricerca in Diritto del lavoro nell'Università degli Studi di Urbino Carlo Bo)


Il presente contributo mira a verificare il grado di implementazione del lavoro agile in un settore peculiare della pubblica amministrazione come quello giudiziario. L’analisi si focalizza sull’uso che in particolare gli Uffici giudiziari hanno fatto di questo strumento di recente conio, prima e dopo la pandemia. Nonostante il numeroso intreccio di fonti, legali e pattizie che disciplinano l’istituto, emerge come il lavoro agile abbia assunto un ruolo di primo ordine nell’ambito del sistema giudiziario rivelandosi fondamentale per il miglioramento della qualità del lavoro e per il benessere organizzativo.

Regarding post-emergency smart working: the case of the courts

This paper aims to verify the degree of implementation of smart-working in a peculiar sector of public administration such as the judicial one. The analysis focuses on the use that Courts in particular have made of recently invented instrument, before and after the pandemic. Despite the numerous interweaving of sources, legal and covenants governing the institution, it emerges how smart-working has taken on a leading role in the judicial system, proving to be fundamental for the improvement of the quality of work and for organizational well-being.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Il lavoro agile e il diritto a un’amministrazione giudiziaria efficiente - 2.1. Segue: il lavoro agile nel PNRR - 2.2. Segue: quale spazio per il lavoro agile nella riforma organizzativa del sistema giudiziario? - 3. La sperimentazione del lavoro agile “emergenziale” negli Uffici giudiziari: l’accordo collettivo del 14 ottobre 2020 - 4. La regolamentazione del lavoro agile “post-emergenziale” negli Uffici giudiziari: la circolare ministeriale del 29 aprile e il CCNL del 9 maggio 2022 - 4.1. Le “molteplici” finalità del lavoro agile - 4.2. La definizione di lavoro agile in relazione alle altre forme di flessibilità organizzativa: il duplice aspetto qualitativo e quantitativo - 4.3. Le attività delocalizzabili - 4.4. Chi programma il lavoro agile? - 4.5. Come si programma il lavoro agile? Dal Piano organizzativo del lavoro agile (POLA) al Piano integrato di attività e organizzazione (PIAO) - 4.6. La procedura per la collocazione del dipendente in modalità agile: il rilievo dell’accordo individuale - 4.6.1. Segue: la disconnessione - 4.6.2. Segue: la definizione del trattamento giuridico e normativo - 4.7. Individuazione degli obiettivi e monitoraggio della prestazione agile - 5. Il Tribunale di Pesaro: un caso studio - 5.1. L’organizzazione agile del lavoro nel Tribunale di Pesaro - 5.2. L’Ufficio per il processo può farsi agile? - 6. Accorgimenti regolativi per un lavoro agile “post-emergenziale”: conclusioni - NOTE


1. Premessa

Il lavoro agile è, ormai da qualche tempo, sotto la lente di ingrandimento dei decisori politici nazionali e sovranazionali, dei datori di lavoro pubblici e privati, dei dipendenti di ogni ordine e grado, dei lavoratori di ogni settore, a prescindere dalla loro categoria contrattuale e dal livello di inquadramento. Il presente elaborato mira ad analizzare l’impatto della diffusione e dell’utilizzo del lavoro agile all’interno del sistema giustizia, con l’auspicio di poter contribuire ad arricchire ulteriormente il dibattito sulle potenzialità di questo strumento. Il lavoro agile, o in senso atecnico smart-working, è stato normato solo nel 2017, con la legge n. 81 (c.d. Jobs Act del lavoro autonomo) a cui il legislatore ha dedicato una serie di norme, gli artt. 18-24, identificandolo quale mezzo del cambiamento per quanto concerne il miglioramento della produttività, della qualità del lavoro e del benessere organizzativo. Ebbene questa misura, già invalsa nell’amministrazione pubblica ben prima della fase pandemica, viene riadattata, seppur all’inizio in maniera sporadica ed eccezionale, in un settore della pubblica amministrazione, come quello giudiziario, finora poco esplorato come dimostra la scarsa letteratura sull’ar­gomento. Nel 2020, la pandemia da Covid-19 ha scompaginato completamente le dinamiche lavorative e organizzative tanto che ogni ufficio giudiziario si è visto costretto ad adottare una serie di misure precauzionali per evitare la paralisi complessiva. Si è tentato, ad esempio, di svolgere le udienze da remoto o in forma scritta (c.d. udienza cartolare), contemporaneamente, anche la maggior parte dei servizi amministrativi è stata organizzato a distanza [1]. Sotto tal profilo, la flessibilità organizzativa che connota questa modalità di lavoro ha fatto sì che lo stesso potesse rappresentare una “risorsa” anche e soprattutto per l’amministrazione pubblica, ivi compresa quella giudiziaria, almeno nel periodo pandemico. Tuttavia ritenere il lavoro da remoto l’occasione di una riforma del sistema giustizia sotto il profilo delle prassi organizzative da implementare a regime è arduo da pensare. Questo perché i modelli manageriali non possono essere semplicemente trasposti dal privato al pubblico. Come sottolineato, «il processo riformatore dei sistemi amministrativi [continua ..]


2. Il lavoro agile e il diritto a un’amministrazione giudiziaria efficiente

Si è accennato al fatto che l’utilizzo del lavoro agile si è particolarmente intensificato, vuoi per l’emergenza epidemiologica, vuoi per la diffusione dei processi di digitalizzazione. La digitalizzazione [9] che ha comportato, da un lato, una reingegnerizzazione dei procedimenti (amministrativi e giurisdizionali), dall’altro lato, una diversa gestione e allocazione delle risorse umane ivi coinvolte anche a fronte di un più forte coordinamento, sul piano organizzativo, con il management pubblico. Ebbene il sistema giustizia ha iniziato, piano piano, a essere investito da siffatto processo. Ciò ha significato ripensare, necessariamente, ai luoghi di lavoro, ai tempi di lavoro, all’acquisizione di nuove competenze – si pensi a quelle digitali necessarie per svolgere funzioni operative e direzionali –, alla formazione e, dunque, al modo stesso di lavorare. Si è trattato e si tratta di un mutamento di paradigma che, per poter funzionare, necessita di essere “legittimato” dall’interno, di essere valutato in una prospettiva di medio-lungo periodo e di essere integrato tra i differenti uffici giudiziari. Invero, durante la pandemia, il ricorso al lavoro agile, seppur introdotto in maniera sperimentale, non ha garantito gli incrementi di produttività attesi, anche se ha permesso a numerosi Tribunali di scongiurare il rischio di una loro chiusura [10]. Questo perché la maggior parte del personale, nel continuare a svolgere da casa le stesse attività che normalmente svolgeva in presenza, ha riproposto le medesime logiche in un contesto di riferimento sensibilmente diverso da quello di allora. Come noto, il contesto in cui operano «i pubblici poteri è per sua natura turbolento e le crisi (economiche, finanziarie, politiche, sanitarie, ambientali) non sono un fattore straordinario ma ricorrente» [11]. Perciò, le amministrazioni pubbliche e, per quanto qui d’interesse, l’amministrazione giudiziaria si è trovata a dover gestire un evento tanto imprevedibile quanto eccezionale, come quello pandemico, a cui ha cercato di ovviare attingendo sostanzialmente a soluzioni di emergenza. Ragionare in questi termini non è più pensabile, perché se l’emergenza pandemica aveva reso necessaria l’adozione di modelli organizzativi capaci di adattarsi a una realtà in [continua ..]


2.1. Segue: il lavoro agile nel PNRR

Con la pandemia ci si è resi conto dell’opportunità offerta dagli strumenti di lavoro a distanza, in particolare dello smart working, di lavorare ovunque. In realtà lo smart-working è solo una delle componenti indispensabili per accompagnare le trasformazioni del lavoro disegnate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (d’ora in poi, PNRR) trasmesso dal Governo italiano alla Commissione UE a fine aprile e definitivamente approvato, con decisione di esecuzione del Consiglio, il 13 luglio 2021 [20]. Siffatto strumento si è sviluppato, in primo luogo, quale mezzo per compiere quel salto verso una più completa digitalizzazione non solo dei servizi resi, ma anche delle prestazioni realizzate nell’ambito del comparto giustizia. Occorre tenere presente che senza competenze digitali non vi può essere smart working; parimente non vi può essere smart working senza gli investimenti nelle infrastrutture digitali, in particolare del settore pubblico, il cui processo di modernizzazione, sub specie di “dematerializzazione” dei processi organizzativi, si rende quanto mai necessario. Il punto da comprendere è che una buona giurisdizione non può prescindere da una buona organizzazione che sia in grado di correlare strutturalmente l’azione propria degli apparati tecnici ed amministrativi con la dimensione giurisdizionale propria della magistratura. È questa la finalità a cui tendono le politiche europee finanziate dagli ingenti investimenti derivanti dal PNRR. Questo perché la tutela dei diritti non può prescindere da una giustizia efficiente, organizzata e celere. Una giustizia ritardata equivale ad una giustizia negata e come tale fa perdere nella percezione dei soggetti interessati e dei cittadini in generale il senso di una risposta efficace alle necessità di tutela rappresentate.


2.2. Segue: quale spazio per il lavoro agile nella riforma organizzativa del sistema giudiziario?

In quest’ambito, ampio spazio è stato dedicato alla riforma, specie organizzativa, del sistema giudiziario, oggetto di attenzione all’interno degli interventi c.d. orizzontali e di contesto promossi dal PNRR medesimo. L’obiettivo è quello di potenziare la dotazione e l’efficienza delle risorse umane e tecnologiche dell’intera infrastruttura del sistema in parola, sì da sollecitare la sperimentazione di nuovi modelli organizzativi all’interno di ciascun Ufficio. Questo è quanto prospettato dallo stesso Libro bianco per la Giustizia 2030 che ambisce a trasformare il settore in questione da elemento di crisi a leva positiva per la rinascita del Paese. La crisi, infatti, ha messo in luce non solo un’evidente arretratezza tecnologica del sistema giustizia, ma anche un’arretratezza organizzativa e culturale, nonché un deficit di governance a tutti i livelli. Perciò, se si vuole «davvero cambiare – e in meglio – la giustizia, occorre pensare a più interventi sinergici su diversi terreni nel quadro di un intervento di sistema complessivo» [21]. Tra questi interventi vi sono – conformemente a quanto previsto dal Libro Bianco – la digitalizzazione, l’avvi­cina­mento al territorio della governance della giustizia, un rito telematico unitario flessibile e la valorizzazione del capitale umano esistente. Si tratta di azioni necessarie per avere una giustizia più connessa, integrata, e anche meglio organizzata, dunque innovativa. Tuttavia, «nessuno si illude che questo possa essere fatto in una sola volta», ma quello di cui si ha bisogno è una visione d’insieme all’interno della quale si situino le diverse azioni da muovere. Questo perché la riforma della giustizia passa attraverso il mutamento non solo dei processi ma anche degli aspetti organizzativi, tecnologici, amministrativi. Questo è il fine cui il progetto Uni4Justice tende. Nell’intento di ridisegnare in termini di innovazione organizzativa la conformazione degli uffici giudiziari, è stato adottato l’istituto dello smart working, già espressamente riconosciuto dalle “Linee guida in materia di lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni” del 2021, ed ancor prima, come detto, dalla legge n. 81/2017 (c.d. Jobs Act del lavoro autonomo). Lo smart working è un istituto [continua ..]


3. La sperimentazione del lavoro agile “emergenziale” negli Uffici giudiziari: l’accordo collettivo del 14 ottobre 2020

Per comprendere appieno come sia stato sperimentato il lavoro a distanza nel periodo pandemico e oltre l’emergenza, occorre considerare la stratificazione normativa che ha caratterizzato la materia, rendendo peraltro non così agevole la ricostruzione complessiva. Di per sé, il lavoro agile è dotato di un apparato regolatorio esiguo e, sotto certi aspetti, alcune previsioni contenute nella disciplina generale cui alla legge n. 81/2017 appaiono piuttosto laconiche. Tuttavia, l’eccessiva stratificazione a cui si è fatto cenno complica, non poco, l’opera di ricognizione delle fonti, primarie e sub-primarie, deputate a disciplinare l’istituto in questione. Rispetto a queste, è opportuno chiedersi quale normativa prevalga nell’intreccio tra discipline generali e discipline specifiche come circolari e ccnl, applicate dagli Uffici giudiziari. Durante gli anni 2020-2021, la decretazione emergenziale ha trasformato temporaneamente il lavoro agile da strumento volto ad «agevolare la conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita» a strumento di protezione della salute individuale e collettiva, consentendo la sua attivazione anche in assenza dell’accordo individuale richiesto dalla legge n. 81/2017, seppur nel rispetto delle disposizioni di que­st’ul­tima. Quanto previsto a livello generale si riflette nella regolamentazione adottata, in materia di lavoro agile, dall’amministrazione giudiziaria rispetto a cui è intervenuto uno specifico accordo collettivo siglato il 14 ottobre 2020 e poi oggetto della circolare ministeriale del 20 ottobre 2020, dove si prevede che gli Uffici giudiziari organizzano il lavoro dei propri dipendenti e l’erogazione dei servizi attraverso misure flessibili dell’orario di lavoro. L’Accordo, seppur di durata determinata, ha avuto il pregio di definire un quadro di strumenti flessibili (tra cui, oltre il lavoro agile, anche il lavoro in co-working) da poter adottare nel contesto dell’emergenza sanitaria, al fine di conciliare il lavoro del personale dipendente con l’erogazione di servizi all’utenza in misura costante, come peraltro caldeggiato dall’art. 263, c. 1, del d.l. n. 34/2020, nonché offrire azioni procedimentali e organizzative finalizzate alla predisposizione di progetti di lavoro agile nei singoli uffici. Da questo punto di vista, la fonte collettiva ha consentito [continua ..]


4. La regolamentazione del lavoro agile “post-emergenziale” negli Uffici giudiziari: la circolare ministeriale del 29 aprile e il CCNL del 9 maggio 2022

La disciplina del lavoro agile “emergenziale” sopra descritta è stata quasi completamente superata dalle fonti che sono intervenute dopo il 31 marzo 2022. Il tentativo è stato, almeno in un primo momento, di restringerne l’utilizzo all’interno delle pubbliche amministrazioni, benché, in verità, solo nelle more di una regolamentazione più dettagliata, ampiamente caldeggiata dal Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale del 2021 [24] e poi concretizzatasi, per quanto concerne il lavoro agile “ordinario” all’interno dell’amministrazione giudiziaria, con una serie di norme con cui state apportate sostanziali modifiche rispetto alla disciplina pregressa. Analogamente ciò è avvenuto nel settore privato dove, nell’ot­tica di un ritorno alla normalità, le organizzazioni sindacali, attraverso la sottoscrizione del Protocollo del dicembre 2021, hanno riconosciuto nell’accordo individuale la fonte imprescindibile per lo smart working, ripristinando così la volontarietà della sua adozione da entrambe le parti del rapporto di lavoro. Sul punto, nel settore giustizia, sia la circolare del 29 aprile 2022 “Superamento del lavoro agile emergenziale quale misura di contrasto alla diffusione dell’epide­mia da Covid-19 e introduzione del lavoro agile ordinario” sia la nota del 22 maggio dello stesso anno “Lavoro agile ordinario – Comunicazioni obbligatorie ex art. 23 legge 22 maggio 2017, n. 81” hanno di fatto riconfermato l’importanza del lavoro agile previo accordo individuale tra le parti. Ancor più incisivamente e con l’intenzione di «decongestionare, ove occorra, la presenza nei luoghi di lavoro», secondo quanto già auspicato dalla circolare del 24 gennaio 2022, è intervenuto il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro – Comparto Funzioni Centrali per il triennio 2019/2021 dove del tutto nuova risulta la parte relativa all’accordo individuale sul lavoro agile, accordo il quale è deputato a disciplinare una serie di importanti aspetti relativi al rapporto di lavoro, tra cui le fasce di contattabilità e di inoperabilità, i riposi del lavoratore, gli obblighi connessi al­l’espletamento dell’attività svolta in modalità agile, le modalità e i tempi di [continua ..]


4.1. Le “molteplici” finalità del lavoro agile

Nel 2017 il legislatore ha annunciato, con l’introduzione del lavoro agile, la duplice finalità di «incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro» (art. 18, c.1). Di qui l’idea secondo cui il lavoratore che riesce a conciliare i tempi di lavoro con quelli personali sia più produttivo, fa meno assenze, consente ulteriori risparmi al datore di lavoro nei costi della postazione di lavoro e alla collettività nei costi sociali della mobilità. Sembrerebbe questa la sintesi perfetta [25] di un equilibrio raggiunto secondo la logica win-win, corroborata anche dalla ratio sottesa alla direttiva UE 2019/1158 relativa all’equilibrio tra attività professionali e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza che ha riportato in auge il tema dell’equilibrio dei tempi. La legge n. 81, tuttavia, non richiede che entrambe le finalità sopra richiamate sussistano simultaneamente, potendo le parti liberamente accentuare l’una o l’altra nell’accordo sulla modalità agile, a dimostrazione che conciliazione e competitività non sono poste sullo stesso piano. Nel settore pubblico, oggetto della presente analisi, le parti sociali hanno arricchito il novero delle finalità cui il lavoro agile tende, in un’ottica che compendia la dimensione esterna funzionale al miglioramento dei servizi pubblici e l’innovazione organizzativa con la dimensione interna volta a garantire l’equilibrio tra tempi di vita e di lavoro, stimolare l’autonomia e la responsabilità dei lavoratori. Viene, perciò, fornita una nozione di conciliazione così ampia da risultare funzionale a includere quei principi cardini della tutela lavoristica, primo fra tutti quello antidiscriminatorio e quello di cura. A tal proposito, l’art. 37, c. 3, CCNL afferma che l’amministrazione è chiamata a «conciliare le esigenze di benessere e flessibilità dei lavoratori con gli obiettivi di miglioramento del servizio pubblico, nonché con le specifiche necessità tecniche delle attività» [26]. Fatte salve queste ultime, l’amministrazione – previo confronto – avrà cura di facilitare l’accesso al lavoro agile ai lavoratori che si trovano in condizioni di particolare necessità, non coperte da altre [continua ..]


4.2. La definizione di lavoro agile in relazione alle altre forme di flessibilità organizzativa: il duplice aspetto qualitativo e quantitativo

Nel pubblico impiego – ben più che nell’ambito del lavoro privato che già conosce decentramento e lavoro a domicilio – le norme vigenti sono state tradizionalmente pensate assumendo a modello «l’erogazione di una prestazione stabilmente vincolata ad un ufficio materialmente inteso» [28]. Occorre dunque chiedersi come sia possibile coniugare l’obbligo di “postazione fissa” richiesto nel pubblico con il modello di organizzazione flessibile tipico del lavoro a distanza È indubbio che la “postazione fissa” non debba, in alcun modo, impedire od ostacolare l’introduzione dello smart working nella pubblica amministrazione e questo è stato esplicitamente affermato, in termini generali con riferimento al lavoro a distanza, dall’art. 41 del CCNL laddove la norma dispone che «il lavoro da remoto può essere prestato anche, con vincolo di tempo e nel rispetto dei conseguenti obblighi di presenza derivanti dalle disposizioni in materia di orario di lavoro, attraverso una modificazione del luogo di adempimento della prestazione lavorativa» (corsivo mio). Simile impostazione risulta confermata anche per il lavoro agile allorquando «necessario per la tipologia di attività svolta dai lavoratori e/o per assicurare la protezione dei dati trattati, il lavoratore concorda con l’amministrazione i luoghi ove è possibile svolgere l’attività» (art. 36, c. 2). La fonte pattizia, perciò, introduce una regolamentazione permissiva volta a modificare il luogo di adempimento della prestazione lavorativa, che comporta la effettuazione della stessa in luogo diverso dalla sede dell’ufficio al quale il dipendente è assegnato purché si tratti di luogo «idoneo» ai fini della valutazione del rischio di infortuni e previo accertamento delle condizioni che garantiscono la tutela della salute e sicurezza del lavoratore. Siffatto luogo di lavoro può, ai sensi dell’art. 41, c. 2, del CCNL, identificarsi con il domicilio del dipendente (lett. a) o con le sedi di coworking o i centri satellite (lett. b). Così viene recuperata e mantenuta l’indicazione introdotta dalla circolare del 29 aprile 2022 che annoverava tra le forme di flessibilità il telelavoro domiciliare, che permette di effettuare l’attività lavorativa direttamente dal domicilio [continua ..]


4.3. Le attività delocalizzabili

In merito alla individuazione delle attività di lavoro, può constatarsi che la disciplina vigente ricalca quella precedente con la previsione, contenuta nel c. 5 del­l’art. 3 della circolare del 29 aprile 2022, secondo cui la dirigenza degli Uffici giudiziari stabilisce le tipologie di attività ritenute delocalizzabili, avuto riguardo alle peculiarità delle competenze e al contesto locale. La normativa precisa che la delocalizzazione delle attività può avvenire «in tutto o in parte», a conferma che è possibile affiancare l’attività in presenza con quella da remoto o rendere la prestazione solamente da remoto. È, tuttavia, pacifico che siffatte attività “smartizzabili” debbano rientrare nel­l’ambito dell’Amministrazione centrale e periferica, degli Uffici giudiziari e degli Uffici NEP [29]. Esse vengono individuate tramite un elenco di carattere non tassativo, anzi suscettibile di ampliamento sulla base delle esigenze dell’Ufficio, fermo restando il rispetto del mansionario relativo ai singoli profili professionali. Tali attività riguardano: la ricezione e gestione degli atti, tramite tutti gli applicativi sviluppati e resi disponibili per l’accesso da remoto da parte dell’Ammi­nistrazione, anche con riferimento a specifici settori (ad esempio, Minorenni, Sorveglianza, Unep); la gestione del contributo unificato; la pubblicazione dei provvedimenti civili; le attività di notifica di atti penali con il sistema SNT [30]; la predisposizione di rendicontazioni e atti contabili, liquidazione spese di giustizia, attività di pagamento telematico e di recupero crediti, compilazione di tabelle, elaborazione dati e adempimenti connessi con gli applicativi in uso presso le singole articolazioni, anche con sistema SICOGE [31]; l’analisi, studio, traduzione, ricerca e stesura di testi e relazioni connesse con i compiti d’ufficio; l’attività di approfondimento normativo o giurisprudenziale e di elaborazione dati relativi al lavoro istituzionale; la predisposizione di atti/provvedimenti o di minute degli stessi ovvero di modulistica ovvero di documentazione tecnica; l’analisi, valutazione, aggiornamento e pubblicazione, anche on line, di dati; l’istruttoria procedimentale e gestione del fascicolo, anche cartaceo; la ricezione e gestione mediante [continua ..]


4.4. Chi programma il lavoro agile?

La programmazione del lavoro agile è demandata alla dirigenza amministrativa. Ora occorre fare un passo indietro e partire da un’affermazione di principio secondo cui, nel settore giudiziario, il Tribunale ordinario è diretto dal presidente del Tribunale [32] a cui spettano le funzioni di capo dell’ufficio e collabora col presidente di sezione cui è legato da un rapporto di gerarchia funzionale. Tale constatazione vale per ogni ufficio giudiziario che rappresenta una realtà organizzativa a sé stante il cui funzionamento dipende da logiche diverse da quello di altro ufficio formalmente identico. Per dirla con altre parole, è come avviene in una struttura condominiale [33] in cui convivono componente professionale (magistrati) e componente amministrativa. È proprio questa dualità, in assenza di una leadership unitaria al vertice, che rende difficoltosa la tenuta degli strumenti manageriali come quello del lavoro agile [34]. Se il Presidente del tribunale si occupa – per tradizione consolidata – principalmente di direzione, indirizzo, vigilanza e rappresentanza, rispetto al passato, le normative succedutesi nel tempo hanno tentato di incardinare tale ruolo magistratuale all’interno del circuito della programmazione ritendendosi fondamentale tale passaggio per migliorare la capacità di gestione degli uffici, sia per ridurne i costi sia per accrescerne l’efficacia e la trasparenza dell’azione giudiziaria [35]. Perciò il ruolo di direzione degli uffici diventa essenziale per presidiare l’organizzazione e per gestire il confronto all’interno e all’esterno dell’ufficio. Tant’è che il vertice del Tribunale diventa a tutti gli effetti un attore istituzionale che, oltre a dover guidare i processi di modernizzazione dell’ufficio che presiede, deve anche saper gestire i progetti organizzativi e intercettare gli input esterni. Fermo restando il noto principio di separazione tra organi di indirizzo politico-amministrativo e organi gestionali nell’ambito del lavoro pubblico, il legislatore ha attribuito «in via esclusiva» al dirigente pubblico il potere organizzativo gestionale con particolare riferimento alla gestione dei rapporti di lavoro e alle procedure di micro-organizzazione (art. 5, c. 2, del d.lgs. n. 165/2001). Perciò, i dirigenti vengono sempre più [continua ..]


4.5. Come si programma il lavoro agile? Dal Piano organizzativo del lavoro agile (POLA) al Piano integrato di attività e organizzazione (PIAO)

Nel settore pubblico, il lavoro agile è stato introdotto in maniera «estensiva» dal legislatore [36], in un contesto caratterizzato da carenza dal punto di vista tecnologico e organizzativo [37]. L’art. 263 del d.l. n. 34/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 77/2020, pur prevedendo il graduale superamento del regime eccezionale di cui all’art. 87 del d.l. n. 18/2020, convertito dalla legge n. 27/2020, confermava fino al 31 dicembre 2020 l’applicazione del lavoro agile, con le misure semplificate di cui allo stesso art. 87 (prescindendo dagli accordi individuali e dagli obblighi informativi previsti dalla disciplina ordinaria), al 50% del personale impiegato in attività «remotizzabili». Come affermato, se ci si limita alla lettura della disposizione citata, «si potrebbe presagire il progressivo abbandono del regime speciale del lavoro agile nella p.a. in parallelo all’auspicata fine della pandemia» [38]. Invero, l’art. 263, c. 4-bis, apporta una importante modifica all’art. 14 della legge n. 124/2015 (c.d. «legge Madia»). La norma istituisce il «Piano Organizzativo del Lavoro Agile» (POLA), che andrà a costituire una sezione del «Piano della performance» di cui all’art. 10, c. 1, d.lgs. n. 150/2009, e prescrive l’obbligo di ciascuna amministrazione di redigere il documento, sentite le organizzazioni sindacali, entro il 31 gennaio di ciascun anno. L’obiettivo di coinvolgere almeno una certa percentuale dei dipendenti impegnati in attività che potessero essere svolte in modalità agile ha richiesto l’adozione nel tempo di misure adeguate che hanno imposto la sostanziale revisione dei modelli di organizzazione del lavoro, un consistente investimento nelle tecnologie digitali di supporto e lo sviluppo di competenze digitali trasversali nell’ambito delle diverse figure professionali. È proprio il POLA a individuare le modalità attuative del lavoro agile e a definire le misure organizzative, i requisiti tecnologici, i percorsi formativi del personale, anche dirigenziale, e gli strumenti di rilevazione e di verifica periodica dei risultati conseguiti, anche in termini di miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dell’a­zione amministrativa, della digitalizzazione dei processi, nonché della qualità dei [continua ..]


4.6. La procedura per la collocazione del dipendente in modalità agile: il rilievo dell’accordo individuale

Diversamente da quanto previsto dalla normativa emergenziale, ora la collocazione del dipendente in modalità agile avviene con l’accordo individuale [40] che deve essere stipulato per iscritto ai fini della regolarità amministrativa e della prova ai sensi degli artt. 19 e 21 della legge n. 81/2017. È evidente che, dalla lettura delle norme richiamate, il legislatore abbia voluto dettare una disciplina minimale del lavoro agile, rimettendo all’accordo privato (senza mediazione collettiva) la specificazione e la determinazione di molti tra gli elementi più critici del rapporto tra cui quello riguardante le fasce di contattabilità [41] e inoperabilità [42], individuate coerentemente con le mansioni attribuite al dipendente e con le attività da svolgere, entro i limiti di durata del lavoro giornaliero e settimanale. Con riferimento al “tempo personale” del dipendente, v’è da aggiungere la specificazione contenuta nell’art. 38 del CCNL laddove prevede che i tempi di riposo non devono essere comunque inferiori a quelli previsti per il lavoratore in presenza e deve essere garantita la disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro. Perciò con riferimento al diritto della disconnessione – di cui infra – spetterà esclusivamente all’autonomia privata il compito di dare un contenuto per evitare la sovrapposizione tra tempi di lavoro e vita privata del lavoratore. Per quanto concerne gli obblighi connessi all’espletamento dell’attività in modalità agile, deve darsi atto delle forme e delle modalità di esercizio del potere gestionale, nella duplice forma di potere direttivo e di controllo, e potere disciplinare sulla prestazione lavorativa da remoto. I vantaggi per l’apparato pubblico, in termini di riduzione dell’assenteismo, risparmio sull’allestimento delle postazioni di lavoro, sarebbero benefici sicuri e indotti dall’organizzazione nella modalità agile: «come se il lavoratore che negozia col proprio datore di lavoro le condizioni della prestazione da remoto plasmate sulle proprie esigenze di work life balance fosse finalmente in grado di farlo ad armi pari, anche in virtù della maggior forza contrattuale derivategli dalla possibilità di assicurare alla controparte risultati migliori» [43]. Di più ampio respiro [continua ..]


4.6.1. Segue: la disconnessione

«Proprio la più recente evoluzione del lavoro da remoto, ha condotto (...) al riconoscimento di diritti di nuova concezione come il diritto alla disconnessione che per certi versi, in un mondo costantemente connesso alla rete, pare rappresentare una evoluzione al contrario del vecchio obbligo di reperibilità» [44]. La disconnessione è prevista (ma non definita) [45] per i lavoratori agili dall’art. 19 della legge n. 81/2017 e dall’art. 2 del d.l. n. 30/2021 convertito con modificazioni nella legge n. 61/2021, quale misura funzionale ad attuare la conciliazione dei tempi di vita e tempi di lavoro; tuttavia, la legge richiamata non dà indicazioni operative su come attuarla se non che la sua disciplina è rimessa all’accordo individuale, né fissa sanzioni per i casi in cui le parti omettano di definire le stesse misure di disconnessione o non le rispettino. A tal proposito, si è da più parti evidenziato il limite soggettivo ed oggettivo che l’art. 19 presenta, venendo la normativa tacciata di scarsa effettività. Tuttavia, di diverso avviso appare l’art. 22, c. 1, legge n. 81/2017, laddove impone al datore di lavoro, chiamato a garantire la salute e la sicurezza del lavoratore smart, di consegnare allo stesso e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, «un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro». Tra i rischi specifici rientrano certamente anche quelli che derivano dal­l’uso di strumenti informatici, che, in quanto tali, richiedono al datore di lavoro l’adozione di misure di prevenzione adeguate ai sensi dell’art. 2087 c.c. e degli artt. 17 e 28 del d.lgs. n. 81/2008. Tale affermazione risulta rafforzata dall’ulteriore previsione contenuta nell’art. 18, c. 2, della legge n. 81/2017, a mente del quale «il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa»; ciò significa educare i lavoratori al principio del “non sempre connesso” in modo tale che un utilizzo sovra-abbondante della tecnologia non pregiudichi la loro salute fisica e mentale. È opportuno [continua ..]


4.6.2. Segue: la definizione del trattamento giuridico e normativo

Più complesso e articolato è il risvolto che la progettazione della prestazione smart possa avere sul sistema retributivo. Nonostante il legislatore abbia cercato di estendere le tutele del lavoro subordinato alle nuove modalità organizzative del lavoro, non può dirsi che sia stato altrettanto avveduto nel prevedere un trattamento retributivo che fosse più confacente alla prestazione resa in modalità smart. A tal proposito l’art. 20 della legge n. 81/2017, ripreso alla lettera sia dalla circolare del 29 aprile 2022 sia dal CCNL – comparto funzioni centrali, rispettivamente agli artt. 11 e 36, c. 3, si limita a disporre che il dipendente agile conserva i medesimi diritti e gli obblighi nascenti dal rapporto di lavoro in presenza, ivi incluso il diritto ad un trattamento economico non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’amministrazione giudiziaria [47]. In tal modo, viene incentivata la possibilità per lo smart-worker di sviluppare strategie retributive incentivanti legate alla realizzazione di progetti sì da accrescere la fiducia e promuovere rapporti di cooperazione tra le parti, evitando così il rischio che il ricorso al lavoro agile possa tradursi in una modalità di risparmio per il datore. Andrebbe, sotto quest’aspetto, ripensato il sistema premiante, anche cercando di introdurre parametri che remunerino la produttività del lavoro a distanza. Ciò consentirebbe di avere un’organizzazione sempre più indirizzata al risultato o quantomeno basata su una cadenza dell’esecuzione lavorativa organizzata per obiettivi predeterminati [48].


4.7. Individuazione degli obiettivi e monitoraggio della prestazione agile

Solo assumendo la prospettiva di un lavoro orientato ai risultati che si può evincere la portata di un lavoro che ha senso denominare smart. Tuttavia, manca nel nostro ordinamento una nozione tecnico-giuridica di risultato/obiettivo nell’ambito del lavoro subordinato come quello agile, anche se la legge n. 81/2017 fa degli obiettivi, insieme alla gestione per fasi o cicli, una modalità regolativa dell’organizzazione che alle parti è consentito negoziare tramite il patto individuale di lavoro agile. Lo smart working pone non pochi problemi relativi all’esatto adempimento della prestazione lavorativa, stante la valorizzazione del risultato conseguito dal lavoratore stesso. È pacifico che il risultato che soddisfa l’interesse del creditore non debba identificarsi con la disponibilità manifestata dal prestatore di lavoro, volta a garantire la continuità della prestazione lavorativa [49]. Ciò induce a ravvisare una certa “somiglianza” del lavoro agile, così come congegnato, al lavoro autonomo, almeno per quanto concerne le modalità esecutive che risultano piegate, proprio dalla legge n. 81/2017, in funzione del risultato e del­l’au­todeterminazione. Si tratta, a ben vedere, di elementi tipici della categoria (opposta) di lavoro autonomo. Ciò chiarito, appare opportuno focalizzarsi sulle modalità con cui una prestazione eseguita in smart-working debba essere costruita. Anzitutto, l’articolazione del­l’attività dedotta in contratto deve risultare il meno possibile generalista e gli obiettivi cui essa tende devono essere fissati in maniera chiara e condivisa a conferma dell’elevato potere affidato all’autonomia individuale delle parti. Come noto, poi, la “privatizzazione” del rapporto di lavoro pubblico è incentrata proprio sulla logica del risultato, la cui centralità compensa, di fatto, la riduzione del tasso di regolazione conseguente alla “privatizzazione” stessa. Rispetto a ciò, la circolare dell’aprile 2022 afferma che «il dipendente gode di autonomia operativa e può organizzare la prestazione lavorativa nel rispetto degli obiettivi assegnati dall’Ufficio». Un’attività lavorativa, pensata in tal modo, impone necessariamente l’introduzione di forme di monitoraggio sulla qualità e sui [continua ..]


5. Il Tribunale di Pesaro: un caso studio

Il Tribunale di Pesaro ha una competenza territoriale su 24 Comuni ed è considerato un ufficio di piccole – medie dimensioni, strutturato in una sezione civile e in una sezione penale. Nel suo complesso, l’ufficio giudiziario consta di un organico togato pari a 16 unità, incluso il presidente del tribunale e il presidente di sezione e, per quanto riguarda la magistratura onoraria, sono in servizio solo quattro GOP, di cui uno assegnato al settore penale e tre a quello civile. Invece, l’organizzazione del personale amministrativo si caratterizza per la carenza del dirigente amministrativo, il cui posto è vacante dal 2019 e di un direttore amministrativo, distaccato presso l’Ispettorato generale. Il personale di magistratura e amministrativo attualmente in servizio è raggruppato nelle due sezioni in cui si articola il Tribunale a cui si aggiungono quei reparti di cancelleria che svolgono attività trasversali a supporto dell’attività giurisdizionale nel settore civile e nel settore lavoro. Ciò premesso, occorre tenere a mente che un Tribunale di dimensioni medio-piccole come quello di Pesaro deve essere analizzato, per quanto riguarda il profilo di interesse, «in un’ottica organizzativa d’insieme, che è l’esatto opposto di quella a compartimenti stagni, autoreferenziali, potenzialmente conflittuali» [51]. Il che postula una valutazione unitaria delle risorse e dell’organizzazione dell’Uffi­cio giudiziario.


5.1. L’organizzazione agile del lavoro nel Tribunale di Pesaro

Sin dalle prime manifestazioni dell’emergenza epidemiologica, il Tribunale di Pesaro ha adottato una serie di provvedimenti che hanno consentito di far fronte alle difficoltà e di gestire l’emergenza, assicurando la prosecuzione dell’attività giudiziaria in sicurezza ed evitando di accumulare ritardi nella definizione dei procedimenti ordinari e di quelli urgenti. Con riguardo alla organizzazione delle udienze civili e penali, sono state prese decisioni per ogni settore della giurisdizione con l’intento di evitare assembramenti non tanto e non solo nell’ottica anti-contagio, quanto in quella di un ordinato svolgimento dell’attività giudiziaria. L’eccezionalità della pandemia e le modalità di trattazione delle udienze alternative a quelle in presenza, introdotte con una serie di decreti legge [52], hanno giustificato la stipulazione di protocolli per disciplinare le udienze durante il periodo dell’emergenza. Tale pratica si è rivelata, nel breve periodo, così efficace da rendere il Tribunale di Pesaro virtuoso rispetto alle soluzioni adottate, nonostante si tratti del primo ufficio giudiziario, in ordine di tempo, tra quelli del distretto marchigiano, ad essere stato investito dagli effetti molto pesanti della pandemia. Nel dettaglio questi protocolli, sottoscritti con le rappresentanze degli Avvocati (COA, Camera penale e Camera civile) e con la Procura hanno riguardato le udienze penali svoltesi con l’ausilio di nuovi applicativi (es. Teams) e, quanto al civile, le udienze da remoto, quelle a trattazione scritta, quelle in materia di famiglia e in materia di lavoro. Ogni collega ha organizzato il proprio ruolo sulla base della previsione legislativa e dei suddetti protocolli e i dispositivi e le precauzioni adottate sono stati tali da consentire di celebrare in sicurezza le udienze. In particolare, i capi degli uffici giudiziari hanno celebrato a porte chiuse, ai sensi dell’art. 472, c. 3, c.p.c., tutte le udienze penali pubbliche; anche nel settore civile, è stato previsto lo svolgimento di quelle udienze che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti e dagli ausiliari del giudice, anche se finalizzate all’assunzione di informazioni presso la pubblica amministrazione, mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e [continua ..]


5.2. L’Ufficio per il processo può farsi agile?

La risposta a questa domanda postula di capire quale tipo di organizzazione di Ufficio per il processo il Tribunale di Pesaro abbia adottato nel suo complesso. Nel dettaglio, sono stati istituiti ben tre uffici del processo in ossequio a quanto disposto dall’art. 10 della Circolare del CSM del 25 gennaio 2017. L’istituzione del primo è stata una scelta necessitata, se si considera che questa era l’unica possibilità di assegnare ai GOP le controversie previdenziali ed assistenziali, la maggior parte delle quali seriali [54]. Gli altri due UPP sono stati costituiti, rispettivamente, nel settore civile contenzioso e in quello penale, con unico decreto datato 30 novembre 2018. Quello civile, anche a causa di mancanza di personale da destinare specificamente allo stesso, non ha prodotto risultati significativi, tanto che non è stato più previsto. Quello penale, nonostante la carenza di mezzi, è stato rivitalizzato dalla Presidente di sezione, che è riuscita a renderlo efficiente. Nel settore lavoro, l’UPP è stato istituito con l’obiettivo di affiancare il magistrato professionale addetto al settore, per assicurare la ragionevole durata del processo e per far fronte al numero molto rilevante delle sopravvenienze in materia – le più elevate del distretto per numero dei giudici addetti – senza dover distogliere magistrati della sezione civile attraverso provvedimenti di co-assegnazione. Alla struttura sono stati assegnati un giudice professionale, un giudice onorario e due unità del personale amministrativo già in servizio alla cancelleria lavoro, i tirocinanti ex art. 73 del d.l. n. 69/2013 ognuno con propri compiti [55]. Nel settore penale, l’Ufficio per il processo [56] è stato utilizzato per una duplice attività di supporto: un’attività di ausilio a tutta la sezione, sotto la direzione il coordinamento della Presidente di sezione, attraverso l’assegnazione all’unico GOP; un’attività di supporto al singolo magistrato e alla cancelleria, attraverso l’assegnazione dei tirocinanti. La struttura ha così contribuito a migliorare il livello di informatizzazione dei nuovi applicativi, SICP [57] e in particolare GIADA [58]. In generale, l’adozione degli UPP all’interno del Tribunale di Pesaro si è rivelata altamente proficua per un duplice [continua ..]


6. Accorgimenti regolativi per un lavoro agile “post-emergenziale”: conclusioni

È fondamentale poter seguire l’evoluzione del lavoro agile nel contesto della pubblica amministrazione nel suo complesso e nello specifico settore della amministrazione giudiziaria, dove le ragioni di sicurezza informatica prevalgono sull’a­dozione di questo istituto. La percezione che emerge dalla ricostruzione delle fonti in materia, nell’ultimo quadriennio, è stata quella «dell’incapacità da parte del legislatore di scegliere in modo univoco la linea di politica del diritto lungo cui indirizzare lo sviluppo» [59] del lavoro agile. Tuttavia si è voluto porre l’attenzione – e il periodo pandemico, seppur abbia rappresentato una parentesi eccezionale e, come tale, sottratta a una visione sistemica, ci dà indicazione – sulla possibilità di ridefinire in modo complessivo l’orga­nizzazione e i processi di lavoro. Sfruttando proprio quanto accaduto durante l’e­mergenza da Covid-19, il lavoro agile è stato, in siffatto contesto pubblico, utilizzato in risposta ai nuovi bisogni dei cittadini sì da soddisfarne le legittime pretese nel­l’auspicio che l’azione amministrativa possa divenire sempre più rapida e tempestiva e con l’obiettivo di superare diseguaglianze sociali e territoriali. Si potrebbe pensare, spingendosi oltre, ad un uso poliedrico del lavoro agile: utile a eliminare l’insieme di adempimenti basati su dati già disponibili, a rilevare la soddisfazione dell’utente rispetto a standard di servizio già in uso, a ridurre ulteriormente i tempi del processo e, correlativamente, a rendere conoscibili le decisioni processuali, in modo più rapido, per i singoli destinatari (parti, difensori). A ben vedere, l’investimento nella digitalizzazione diviene elemento fondamentale. Se la legge ha fatto leva sull’autonomia privata in grado di individuare le migliori soluzioni regolative nell’interesse di tutti gli attori, occorrerebbe un’adeguata implementazione dell’istituto in modo tale da fornire una tutela adeguata a quegli stessi interessi che il lavoro agile si propone di salvaguardare.


NOTE