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Incompatibilità del pubblico dipendente e limiti all'obbligo di controllo del conferente

Davide Tardivo, Dottore di ricerca in Diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Padova

Nell’ambito del più ampio tema rappresentato dalla disciplina sulle incompatibilità dei lavoratori pubblici, il saggio approfondisce gli obblighi che l’art. 53, c. 9 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 impone al soggetto, privato o ente pubblico economico, che intende conferire un incarico ad un pubblico dipendente, soffermandosi in particolare sull’analisi dell’obbligo, di matrice pretoria, di svolgere autonome verifiche sulla sussistenza di cause che precludono il conferimento dell’incarico, come l’omessa autorizzazione, non potendosi limitare il conferente a considerare le dichiarazioni del dipendente.

 

Within the main topic of public employees’ incompatibility rules, the essay examines the obligations that art. 53, c. 9 of the legislative decree 30 March 2001, n. 165 requires the subject, private or public economic body, which wants to confer an assignment to a public employee. In particular, the analysis focuses on the obligation of the private employer, introduced by the Supreme Court, to carry out autonomous controls on the existence of reasons that can preclude the assignment, likewise the absence of the authorization by the public administration, given the employee’s statements are not enough.

Keywords: public administration - public employee - incompatibility- efficiency - impartiality - corruption - administrative - duty of diligence - administrative sanction.

Sommario:

1. La più recente curvatura teleologica della disciplina sulle incompatibilità - 2. Gli obblighi del conferente ex art. 53 d.lgs. n. 165/2001 - 3. Ignoranza della condizione di pubblico dipendente e obbligo di controllo del conferente nel prisma della l. n. 689/1981 - 4. Primi spunti critici: fondamento e limiti dell’obbligo di controllo del conferente - 5. Segue. L’errore incolpevole sul fatto - 6. Quale ruolo per il conferente nel sistema delle incompatibilità? - NOTE


1. La più recente curvatura teleologica della disciplina sulle incompatibilità

Alla disciplina in materia di incompatibilità del pubblico dipendente [1], quale proiezione nel diritto primario del principio di esclusività di cui all’art. 98 Cost. [2], gli interpreti hanno tradizionalmente ricondotto molteplici finalità. Essa mira, per un verso, a garantire il rendimento del lavoratore, e, dunque, di riflesso il buon andamento dell’amministrazione [3], inteso nei termini di efficacia ed efficienza sui quali questo principio si declina [4]. Si ritiene, infatti, che quest’o­biettivo possa essere perseguito (anche) assicurando che il lavoratore pubblico dedichi al proprio ufficio la sua intera capacità lavorativa [5], ragion per cui – fatte salve le eccezioni tassativamente previste dalla legge [6] – gli si preclude di distrarre altrove le proprie energie, e, dunque, di intrattenere altri rapporti di lavoro, sia di natura subordinata [7], che autonoma, anche [continua ..]

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2. Gli obblighi del conferente ex art. 53 d.lgs. n. 165/2001

Una simile rigidità interpretativa, come detto, permea anche la valutazione della condotta di chi tale incarico lo conferisce, specie se si tratta di un soggetto privato. In questo senso depone la peculiare interpretazione che la giurisprudenza offre dell’art. 53, c. 9, del d.lgs. n. 165/2001, laddove dal generale divieto per il conferente (privato o soggetto pubblico economico) di attribuire incarichi non autorizzati enuclea, sempre a carico di quest’ultimo, anche l’ulteriore obbligo di svolgere autonome verifiche – preventive e, come si dirà, indefinite nelle modalità di esecuzione – sullo status di “non dipendente pubblico” del soggetto che riceve detto incarico. Verifiche che, vale precisarlo sin d’ora, non sono ritenute conformi all’ordinaria diligenza – e, dunque, idonee a mandare esente il conferente dall’applicazione della gravosa sanzione ex art. 53, c. 9 – laddove si limitino alla [continua ..]

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3. Ignoranza della condizione di pubblico dipendente e obbligo di controllo del conferente nel prisma della l. n. 689/1981

L’obbligo di ottenere un’autorizzazione preventiva, eventualmente anche attraverso una richiesta diretta all’amministrazione da parte del conferente, può essere assolto – come logico – solo laddove quest’ultimo sia consapevole del fatto che il soggetto al quale intende conferire l’incarico è un dipendente pubblico, o ancor meglio un “agente della pubblica amministrazione” [37]. Vi sono, però, dei casi – tutt’altro che infrequenti, come dimostra la sensibile crescita del contenzioso – nei quali il pubblico dipendente non solo non provvede autonomamente ad avanzare la richiesta ex art. 53, c. 10, ma parimenti tace al conferente la sua condizione, o la dissimula, o finanche la esclude espressamente, anche accompagnando tale diniego con espresse dichiarazioni (ad esempio di ampia disponibilità oraria) o attestati (possesso della partita IVA, iscrizione ad albi professionali, [continua ..]

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4. Primi spunti critici: fondamento e limiti dell’obbligo di controllo del conferente

Sono diverse le considerazioni critiche che suscita una simile interpretazione del combinato disposto dell’art. 53, c. 9, del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 3 l. n. 689/1981. In primo luogo, il tutt’altro che remoto rischio che l’omessa tipizzazione delle condotte oggetto dell’obbligo di controllo, unitamente all’imprevedibilità del grado di diligenza richiesto, traducano la responsabilità ex art. 53, c. 9 in una malcelata forma di responsabilità oggettiva del conferente. Egli, infatti, gravato anche dell’onere della prova sull’assenza di colpevolezza, non è mai nella condizione di sapere ex ante se ha agito con il grado di ordinaria diligenza richiesta dalla legge, atteso che tale accertamento dipende esclusivamente da una valutazione disancorata anche solo da regole generali. Venendo al merito delle argomentazioni svolte, occorre chiedersi in primo luogo se effettivamente esista l’obbligo per il [continua ..]

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5. Segue. L’errore incolpevole sul fatto

Quanto detto sino ad ora consentirebbe di ritenere applicabile – in alternativa all’art. 3, c. 1 – anche la disciplina dell’errore di fatto di cui all’art. 3, c. 2, della l. n. 689/1981, a mente della quale l’agente non può considerarsi responsabile laddove agisce in ragione di un «errore incolpevole». Come detto in precedenza, per ritenere applicabile questa esimente l’errore deve atteggiarsi come «incolpevole», risultando tale solo quello «inevitabile», ossia quello nel quale l’agente è comunque incorso, pur avendo posto in essere ogni condotta che gli imponeva l’ordinaria diligenza, non riuscendo ad evitare così la violazione. Si ripropone, dunque, il medesimo giudizio operato per dare prova della carenza di colpa ai sensi dell’art. 3, c. 1, con l’aggiunta in questo secondo caso di un elemento ulteriore, vale a dire l’errore sul fatto, nel quale incorre [continua ..]

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6. Quale ruolo per il conferente nel sistema delle incompatibilità?

La tensione del legislatore a contrastare le distorsioni patologiche che affliggono il pubblico impiego, pur condivisibile nei fini, non sembra potersi spingere al punto tale da legittimare una lettura dell’art. 53 attraverso la quale si finisce – di fatto – per delegare a soggetti terzi, estranei al rapporto di servizio, attività naturalmente proprie dell’amministrazione datrice, come quella di svolgere gli opportuni controlli sull’osservanza del principio di esclusività del pubblico dipendente. Se la ratio sottesa all’inasprimento degli obblighi e delle sanzioni a carico del conferente, così come della loro interpretazione ad opera della giurisprudenza, si rinviene nell’intenzione di responsabilizzare il privato, rendendo anch’egli parte attiva nella più complessiva strategia di rafforzamento del vincolo di effettività, non deve dimenticarsi che il ‘concorso’ del conferente rimane [continua ..]

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NOTE

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