Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Il divieto di monetizzazione delle ferie nella pubblica amministrazione alla prova della costituzione e del diritto euro unitario (di Gianluca Giampà, Dottorando di ricerca nell’Università di Roma La Sapienza)


Il commento analizza una recente pronuncia del Tribunale di Bergamo in tema di indennità sostitutiva di ferie. Il giudice si trova a risolvere, attraverso i criteri interpretativi dettati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, un caso riguardante il riconoscimento di tale indennità nei confronti di lavoratori impiegati presso le Pubbliche Amministrazioni. Ad essi si applica infatti il divieto di monetizzazione delle ferie di cui all’art. 5, c. 8 del d.l. n. 95/2012. Lo scritto indaga la ratio della norma e la sua compatibilità con i principi costituzionali ed eurounitari in materia di ferie, valutando la tenuta sistematica della soluzione proposta dal giudice.

 

The comment analyzes a recent ruling by the Court of Bergamo about the payment of an indemnity in lieu of annual leave. The judge solves, through the interpretative criteria dictated by the European Court of Justice, a case concerning the recognition of this indemnity to workers employed in the Public Administrations. In fact, a special prohibition of monetizing annual leave applies to them (art. 5, c. 8, d.l. n. 95/2012). The paper investigates the ratio of this rule and its compliance with the constitutional and European principles on paid annual leave, with an evaluation of the solution proposed by the judge.

Keywords: Paid annual leave – Indemnity – Inalienability – Prohibition of monetization – Rest – Leave from work.

MASSIMA: Il datore di lavoro pubblico non può negare l’indennità sostitutiva per le ferie non godute se non prova di aver posto il lavoratore nelle condizioni di fruire delle ferie, anche informandolo adeguatamente circa il rischio di poter perdere il diritto alle ferie, senza potere addurre a scusante il reiterato utilizzo da parte del lavoratore dei permessi per assistere un familiare con disabilità. PROVVEDIMENTO: SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato 21 settembre 2020, O. E. conveniva avanti a questo Tribunale Comune di X per ivi sentirlo condannare al pagamento della somma di 6.089,64, a titolo di indennità sostitutiva per ferie non godute. Si costituiva in giudizio il Comune di X contestando la fondatezza della domanda, ritenendo che il ricorrente non abbia compiutamente allegato l’impossibilità oggettiva di godere delle ferie e che, in ogni caso, avendo lo stesso fruito di un congedo ex art. 42 d.lgs. 151/2001 dal 12 agosto 2018 sino al pensionamento. Omissis MOTIVI DELLA DECISIONE La domanda è fondata e va, pertanto, accolta. A mente dell’art. 5 c. 8 d.l. 95/2012 (convertito, con modificazioni, con legge l. 135/2012), “le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione …, sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. La presente disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Eventuali disposizioni normative e contrattuali più favorevoli cessano di avere applicazione a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto. Omissis”. Come recentemente richiamato dalla Corte di Cassazione (cfr. ord. 13613/2020), con sentenza del 6 novembre 2018 nella causa C-619/16, la CGUE ha affermato il seguente principio: l’art. 7 della direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale …, nei limiti in cui essa implichi che, se il lavoratore non ha chiesto, prima della data di cessazione del rapporto di lavoro, di poter esercitare il proprio diritto alle ferie annuali retribuite, l’interessato perde automaticamente e senza previa verifica del fatto che egli sia stato effettivamente posto dal datore di lavoro in condizione di esercitare il proprio diritto alle ferie prima di tale cessazione, segnatamente con un’adeguata da parte del datore di lavoro stesso – i giorni di ferie annuali retribuite cui aveva diritto ai sensi del diritto dell’Unione alla data di tale cessazione e, correlativamente, il proprio diritto a un’indennità finanziaria per le ferie annuali [continua..]
SOMMARIO:

1. Il caso - 2. Il diritto alle ferie nella Costituzione, nella disciplina eurounitaria e nella legge ordinaria. Irrinunciabilità e divieto di monetizzazione - 3. La giurisprudenza della Corte di Giustizia sui limiti alla monetizzazione delle ferie - 4. L’art. 5, c. 8, del d.l. n. 95/2012 e i principi costituzionali ed eurounitari - 5. Conclusioni - NOTE


1. Il caso

La sentenza in commento si è pronunciata sulla domanda di un dipendente comunale che chiedeva la condanna del proprio datore di lavoro al pagamento dell’indennità sostitutiva per ferie non godute. Il Comune si costituiva facendo valere quanto disposto dall’art. 5, c. 8, del d.l. n. 95/2012. Tale norma ha introdotto una deroga alla regola generale in materia di monetizzazione delle ferie non fruite al termine del rapporto [1], stabilendo che «le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione […] sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi». Il giudice, interpretando la norma conformemente agli orientamenti della Corte di Giustizia dell’Unione europea sull’art. 7 della direttiva 2003/88/CE in materia di ferie, ha ritenuto necessario verificare se vi fosse stata un’informazione adeguata da parte del datore di lavoro, tale da mettere il lavoratore nelle condizioni di esercitare il proprio diritto alle ferie prima della cessazione del rapporto. Dacché il datore di lavoro non ha provato di aver adempiuto a questo specifico onere, il giudice ha ritenuto di condannarlo al pagamento dell’indennità sostitutiva. Per il Tribunale non assume valore decisivo la circostanza che il lavoratore avesse fruito, nel periodo immediatamente precedente la cessazione del rapporto, di un congedo per finalità assistenziali ex art. 42 del d.lgs. n. 151/2001. L’eccezione del datore di lavoro, oltre ad essere assorbita dai precedenti rilievi, è per il giudice inconferente rispetto al caso concreto. Difatti, la disciplina dell’ipotesi di congedo richiamata ha finalità diverse rispetto a quelle proprie del diritto – costituzionalmente garantito – al ristoro delle proprie energie psico-fisiche attraverso le ferie.


2. Il diritto alle ferie nella Costituzione, nella disciplina eurounitaria e nella legge ordinaria. Irrinunciabilità e divieto di monetizzazione

Per comprendere appieno le questioni interpretative e sistematiche che la pronuncia pone, è opportuno analizzare i principi fondamentali dell’ordinamento italiano ed eurounitario in materia di ferie. L’art. 36, c. 3 della Costituzione dispone che «il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi». Con specifico riferimento alle ferie, autorevole dottrina ha sostenuto che la norma citata tuteli, nel contesto del rapporto di lavoro, il libero svolgimento della personalità ex art. 2 Cost. [2]. Non bisogna neanche trascurare il collegamento dell’art. 36, c. 3 con il principio dell’art. 32 Cost. Il diritto alle ferie è infatti posto anche a tutela della salute del lavoratore [3]. Tale legame è stato peraltro riconosciuto con maggiore forza in sede eurounitaria. La direttiva 2003/88/CE sull’orario di lavoro e i riposi è stata infatti adottata proprio in ragione della competenza dell’Unione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, dacché è stato richiamato, quale base giuridica della direttiva, l’art. 153 TFUE (allora art. 137 TCE) [4] che regola la competenza concorrente dell’Unio­ne in materia di «miglioramento, in particolare, dell’ambiente di lavoro, per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori». Di particolare interesse per l’analisi delle questioni emerse nella sentenza in commento è il principio costituzionale di irrinunciabilità del diritto alle ferie. Tale irrinunciabilità garantirebbe una tutela più ampia di quella disposta dall’art. 2113 c.c. in materia di rinunzie e transazioni, dacché determinerebbe la nullità di qualsiasi atto dispositivo delle ferie [5]. Inoltre, la disposizione costituzionale porrebbe un obbligo inderogabile a carico del datore di lavoro [6], consistente nel dovere di organizzare l’impresa in modo che il diritto alle ferie possa essere sempre garantito nei confronti di ciascun lavoratore [7]. È fondamentale comprendere come questo principio si rapporti alla norma che dispone invece il divieto di monetizzazione delle ferie, positivizzato solo successivamente [8]. Tale divieto è infatti disciplinato dall’art. 7, par. 2 della già citata direttiva 2003/88/CE. La norma prevede che «il periodo minimo di ferie [continua ..]


3. La giurisprudenza della Corte di Giustizia sui limiti alla monetizzazione delle ferie

Alla base della decisione del Tribunale di riconoscere l’indennità sostitutiva di ferie al lavoratore ricorrente vi è infatti proprio una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (Corte Giust. 6 novembre 2018, C-619/16) [20]. Il contenuto di tale pronuncia è richiamato dal giudice bergamasco per come “filtrato” da una recente pronuncia di legittimità [21] che ha deciso circa il pagamento dell’in­dennità sostitutiva di ferie di un dirigente medico. Nel caso deciso dai giudici di legittimità, le disposizioni oggetto del sindacato della Corte non erano norme di legge bensì di contratto collettivo [22]. Vi è quindi una divergenza tra il caso trattato dalla sentenza in commento, che ha ad oggetto l’in­terazione tra una norma interna e la disciplina eurounitaria, e il caso della sentenza di legittimità espressamente richiamata, che si concentra invece sull’appli­cazione di una clausola di un contratto collettivo nazionale. Difatti, è diverso il metodo di risoluzione di eventuali antinomie: nel primo caso, si opererebbe la disapplicazione della norma interna in contrasto con la disciplina eurounitaria; nel secondo caso, si avrebbe la sostituzione automatica ex art. 1339 e 1419, c. 2, c.c. della clausola del contratto collettivo con la disposizione di legge [23]. La sentenza sulla causa 619/16, che resta il primario riferimento per comprendere le ultime tendenze interpretative dell’art. 7, par. 2, della direttiva 2003/88/CE, ha invece ad oggetto il diritto alle ferie di un tirocinante presso il Land di Berlino. Il diritto eurounitario è stato chiamato in questo caso a colmare una lacuna, dacché la fonte di disciplina del rapporto oggetto del giudizio (il «Regolamento relativo al congedo per ferie dei funzionari pubblici e dei magistrati») non prevedeva l’inden­nità sostitutiva di ferie in nessun caso e in nessuna misura [24]. La Corte ha rilevato fin da subito, facendo riferimento alla sua precedente giurisprudenza, che l’articolo 7, par. 2, «non assoggetta il diritto a un’indennità finanziaria ad alcuna condizione diversa da quella relativa, da un lato, alla cessazione del rapporto di lavoro e, dall’altro, al mancato godimento da parte del lavoratore di tutte le ferie annuali a cui aveva diritto alla data in cui [continua ..]


4. L’art. 5, c. 8, del d.l. n. 95/2012 e i principi costituzionali ed eurounitari

Occorre a questo punto verificare se la norma interna applicabile al caso della sentenza in commento possa essere compatibile: a) con il principio costituzionale dell’irrinunciabilità del diritto alle ferie espresso dall’art. 36, c. 3, Cost.; b) con la previsione dell’art. 7, par. 2, della dir. 2003/88/CE per come interpretato dalla Corte di Giustizia. Per rispondere a tali interrogativi è necessario inquadrare sistematicamente la disciplina oggetto di tale valutazione e dare conto delle interpretazioni che ne sono state date. L’art. 5, c. 8, del d.l. n. 95/2012, c.d. decreto sulla spending review, prevede che le ferie – nonché i riposi e i permessi – spettanti al personale di determinati enti e amministrazioni non diano luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. Viene esplicitamente (e forse pleonasticamente) precisato che tale disposizione si applica anche in caso di cessazione del rapporto per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età. Questa norma, introdotta con l’intento di ridurre la spesa pubblica e di reprimere gli abusi legati al diffuso utilizzo della monetizzazione delle ferie da parte delle amministrazioni [31], ha irrigidito le regole sulla possibilità di rendere un’indennità sostitutiva delle ferie nel lavoro pubblico. Alcune norme limitatrici di tale facoltà erano invero presenti anche nella contrattazione collettiva. La monetizzazione era consentita alla cessazione del rapporto solo con riguardo alle ferie non fruite «per esigenze di servizio o per cause indipendenti dalla volontà del dirigente» o «per documentate esigenze di servizio» [32]. La disposizione del 2012 ha voluto quindi ulteriormente limitare la possibilità di monetizzare le ferie, escludendola in ogni caso attraverso un divieto legale di ordine generale. In verità, la portata generale di tale esclusione è stata fin da subito al centro del dibattito sulla norma. Già nei primi mesi della sua vigenza si riscontrano diversi interventi interpretativi del Dipartimento della Funzione Pubblica. Con parere n. 40033 del 2012, l’Amministrazione si è espressa circa l’ambito di applicazione oggettivo della norma [33]. Secondo tale parere, la ratio della norma porterebbe a escludere che il divieto di [continua ..]


5. Conclusioni

Il giudice della sentenza in commento si è trovato a decidere il caso ben consapevole del fatto che la normativa applicabile fosse stata giudicata costituzionalmente legittima tanto sotto il profilo della compatibilità con l’art 36, c. 3, Cost., quanto rispetto ai profili eurounitari emersi per il tramite del giudizio di costituzionalità ex art. 117 Cost. Sotto quest’ultimo aspetto si deve però evidenziare il parziale cambiamento dello stato dell’arte della giurisprudenza della Corte di Giustizia sull’interpretazione dell’art. 7, par. 2. Difatti, come precedentemente evidenziato, la sentenza sulla causa 619-16 ha posto in evidenza ulteriori contenuti precettivi della norma. Se secondo la giurisprudenza fino allora consolidata bastava che il lavoratore fosse stato posto nella condizione di esercitare il diritto alle ferie, a mente della più recente pronuncia tale possibilità va concretamente sostenuta attraverso disposizioni che prevedano degli obblighi informativi a carico del lavoratore. Alla luce di ciò, la disposizione di cui all’art. 5, c. 8, sembra ancora più inconferente rispetto al principio espresso dall’art. 7, par. 2, per come da ultimo interpretato. Eppure, il giudice non rileva in alcun modo tale incompatibilità, né ritiene opportuno disapplicare esplicitamente la norma interna. Egli si limita infatti a trasferire il contenuto interpretativo della più recente sentenza della Corte di Giustizia nell’interpretazione della norma di cui all’art. 5, c. 8, già poco rigorosamente interpretata in senso costituzionalmente conforme. Di conseguenza, in seno alla disciplina eccezionale dell’art. 5, c. 8, già ricavata in via interpretativa, si forma una sub-disciplina che accoglie il recente orientamento dei giudici eurounitari. In altre parole, non solo l’art. 5, c. 8, va ora interpretato nel senso che non include nell’ambito del divieto di monetizzazione i casi in cui il mancato godimento delle ferie non dipenda dal lavoratore ma, altresì, anche qualora non si verifichi questa condizione, ai fini di applicare il divieto è comunque necessario verificare che il lavoratore sia stato messo nelle condizioni, attraverso una corretta informazione, di non perdere il diritto alle ferie. La portata assorbente delle condizioni dettate dalla più recente sentenza della Corte di [continua ..]


NOTE