Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nel pubblico impiego dopo il d.lgs. N. 104/2022 (di Chiara Cristofolini, Ricercatrice di Diritto del lavoro nell’Università di Trento)


Il contributo analizza criticamente l’applicazione nel settore pubblico della disciplina dettata dal d.lgs. 27 giugno 2022, n. 104 (c.d. “decreto Trasparenza”) attuativo della direttiva UE 2019/1152 in materia di condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili.

Dopo aver tratteggiato le ragioni che hanno portato il legislatore europeo e nazionale a tornare sul tema dell’informazione individuale a distanza di più di trent’anni dall’adozione della direttiva 91/533/CEE, la disamina approfondisce i due specifici ambiti di intervento: la modifica del previgente regime sul dovere del datore di lavoro pubblico e privato di informare per iscritto il lavoratore sulle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro; e la introduzione di un quadro di prescrizioni minime e comuni in materia di condizioni di lavoro.

La prospettiva di analisi è orientata a ricostruire sistematicamente il quadro giuridico applicabile al pubblico impiego privatizzato e non privatizzato alla luce delle diverse deroghe ed esclusioni contenute nel decreto Trasparenza, nonché della necessità di coordinare i profili di novità con il dettato del d.lgs. n. 165/2001 e con la specifica disciplina di settore. L’A. si confronta con le principali questioni interpretative sollevate da una disciplina articolata ma frammentaria, nell’ottica di un rafforzamento effettivo della posizione del lavoratore nella relazione di lavoro.

Parole chiave: pubblico impiego – trasparenza – dovere di informazione – prescrizioni minime sulle condizioni di lavoro – prevedibilità.

This paper critically analyses the application in the public sector of Legislative Decree no. 104 of 27 June 2022 (the so-called “decreto Trasparenza”) implementing EU Directive 2019/1152 on transparent and predictable working conditions.

After outlining the reasons that led the European and national legislators to return to the issue of individual information more than thirty years after the adoption of Directive 91/533/EEC, the analysis delves into the two specific areas of intervention: the amendment of the previous legislation on the public and private employer’s duty to inform the employee about the conditions applicable to the contract or employment relationship; and the implementation of a framework on minimum requirements relating to working conditions.

The perspective of the analysis is oriented towards systematically reconstructing the legal framework applicable to privatised and “non-privatised” public employment in the light of the various exceptions and exclusions contained in the decreto Trasparenza, as well as in the light of the need to coordinate the new provisions with the Legislative Decree no. 165 of 2001 and with the sectoral rules. The author deals with the main interpretative issues raised by an articulated but fragmentary discipline, with a view to effectively strengthening the employee’s position in the employment relationship.

SOMMARIO:

1. Premessa: decreto Trasparenza e pubblico impiego - 2. Ambito di applicazione e modalità di adempimento del dovere di informazione - 2.1. Diritti di informazione e lavoro pubblico privatizzato - 2.2. Diritti di informazione e lavoro pubblico non privatizzato - 3. Prescrizioni minime e inderogabili in materia di condizioni di lavoro - 4. Inosservanza delle previsioni e apparato sanzionatorio - 5. Conclusioni: trasparenza, informazione e tecniche di tutela - NOTE


1. Premessa: decreto Trasparenza e pubblico impiego

Il recente d.lgs. n. 104/2022 (c.d. decreto Trasparenza) ha dato attuazione nel nostro ordinamento alla direttiva 2019/1152 del 20 giugno 2019 in materia di condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili [1]. L’intervento europeo ha abrogato la precedente direttiva 91/533/CEE, trasposta con il d.lgs. n. 152/1997, introducendo un nuovo quadro normativo sviluppato lungo due linee direttrici [2]. La prima, volta a modificare il previgente regime sul dovere del datore di lavoro di informare per iscritto il lavoratore sulle condizioni applicabili al contratto o al rapporto. La seconda, finalizzata a individuare prescrizioni minime e comuni a tutti gli Stati membri in materia di condizioni di lavoro. Le ragioni che hanno indotto le istituzioni europee a tornare, a distanza di più di trent’anni, sul tema dell’informazione individuale nel rapporto di lavoro vanno ricercate nelle profonde trasformazioni che nel frattempo hanno attraversato il mercato del lavoro europeo. Dall’ultima valutazione sullo stato di attuazione della direttiva 91/533/CEE era emerso, infatti, che i cambiamenti demografici e la digitalizzazione dei processi produttivi avevano determinato una forte diffusione di forme di lavoro atipiche [3]. Queste risultavano escluse dall’ambito di applicazione degli obblighi informativi prescritti dalla direttiva, determinando una disuguaglianza informativa che inevitabilmente finiva per comprometterne l’efficacia. A questa considerazione si sommava poi il rilievo per cui i contenuti minimi delle comunicazioni non risultavano sufficienti ad assicurare una piena ed effettiva conoscenza delle condizioni applicate ai contratti flessibili, non essendo previste indicazioni specifiche con riguardo alla programmazione e alla prevedibilità dell’orario di lavoro. Con l’adozione della direttiva 2019/1152 le istituzioni europee hanno pertanto inteso colmare queste carenze, muovendosi entro la cornice giuridica costituita dall’art. 31 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, nonché dagli artt. 5 e 7 del Pilastro europeo dei diritti sociali [4]. È stata introdotta, innanzitutto, una disciplina organica che prevede un quadro di informazioni più completo rispetto a quello previgente e un perimetro soggettivo di applicazione più ampio, comprensivo anche dei contratti di lavoro non-standard. È stata rafforzata, inoltre, la [continua ..]


2. Ambito di applicazione e modalità di adempimento del dovere di informazione

Il primo aspetto su cui merita soffermarsi concerne l’ambito di applicazione del dovere di informazione, essendo necessario coordinare le disposizioni contenute nel decreto Trasparenza con i profili di specialità della disciplina sul lavoro pubblico. In proposito, l’art. 1, c. 2, d.lgs. n. 104/2022 precisa che l’obbligo informativo deve applicarsi ai «rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, c. 2, d.lgs. 165/2001». Pertanto, l’intervento non riguarda solamente i lavoratori con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ma anche i lavoratori con contratto di lavoro a tempo parziale ex art. 4, d.lgs. n. 81/2015, nonché i dipendenti impiegati con le tipologie contrattuali flessibili indicate all’art. 36, c. 2, d.lgs. n. 165/2001, vale a dire con contratto a tempo determinato o di formazione e lavoro. Il decreto Trasparenza, inoltre, estende il perimetro applicativo ad alcune specifiche forme di collaborazione e prestazione occasionale, mentre esclude la categoria dei contratti di lavoro autonomo di cui al titolo III del libro V del codice civile (art. 1, c. 4, lett. a, d.lgs. n. 104/202). Coordinando questo intreccio di disposizioni (art. 1, lett. c-f, d.lgs. n. 104/2022) con i vincoli alla flessibilità in entrata legislativamente previsti nel settore pubblico (artt. 7 e 36, d.lgs. n. 165/2001), si deve concludere che gli obblighi informativi siano applicabili, più precisamente, ai contratti di prestazione occasionale di cui all’art. 54-bis, d.lgs. n. 50/2017, nonché ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. (art. 1, lett. f ed e, d.lgs. n. 104/2022), per quanto compatibili con la natura e la tipologia dei rapporti di lavoro [6]. La possibilità per le pubbliche amministrazioni di ricorrere a quest’ultima tipologia contrattuale rimane per vero fortemente discussa. La dottrina prevalente propende per la tesi affermativa, ritenendo che la soppressione delle parole “di natura occasionale coordinata e continuativa” dal c. 6, dell’art. 7, d.lgs. n. 165/2001, operata dal d.lgs. n. 75/2017, non sia decisiva. Ciò in quanto le collaborazioni coordinate e continuative «per loro natura si pongono al di fuori dello statuto protettivo del lavoro subordinato, e quindi, sono coerenti con la ratio legis che intende reprimere le [continua ..]


2.1. Diritti di informazione e lavoro pubblico privatizzato

Il mezzo di adempimento dell’obbligo generale di informazione è un documento consegnato o inviato al lavoratore che contiene una elencazione analitica, articolata ed eterogenea di elementi concernenti il rapporto di lavoro [17]. Prendendo in considerazione, per il momento, il solo impiego pubblico privatizzato, si può osservare che diverse informazioni riguardano vere e proprie condizioni contrattuali (l’iden­tità delle parti, la tipologia negoziale, la durata del periodo di prova, i termini del preavviso in caso di recesso, il luogo di lavoro, ecc.). La comunicazione di questi aspetti della relazione lavorativa non sostituisce i vincoli formali già previsti dal d.lgs. n. 165/2001 con riguardo alla fase di costituzione del rapporto di lavoro. Essa si pone, invece, in chiave integrativa, completando il quadro informativo a disposizione del lavoratore. Altri elementi, invece, mirano a rendere edotto il lavoratore dei diritti di cui è titolare nella fase di svolgimento della relazione di lavoro (es. diritto alla prevedibilità della prestazione lavorativa, diritto di fruire di congedi retribuiti, diritto di ricevere la formazione obbligatoria), nonché delle fonti che regolano l’erogazione della prestazione (es. indicazione del contratto collettivo applicabile). Altre informazioni, infine, riguardano i profili del trattamento previdenziale e gli strumenti di protezione in materia di sicurezza sociale. Contrariamente alla legislazione precedente, la comunicazione deve indicare altresì gli enti e gli istituti che ricevono i contributi previdenziali e assicurativi dal datore di lavoro, nonché le forme di protezione in materia di sicurezza sociale fornita dal datore di lavoro stesso. Le novità più rilevanti rispetto alla disciplina previgente riguardano l’organiz­zazione e la gestione del rapporto di lavoro da parte del dirigente pubblico [18]. Mentre la normativa precedente sanciva l’obbligo di comunicare al lavoratore soltanto l’orario lavorativo, infatti, oggi l’informativa cambia a seconda che l’«organizza­zione del lavoro» sia o meno contraddistinta dalla «imprevedibilità» totale o parziale. Nelle ipotesi in cui l’organizzazione del lavoro sia prevedibile il dirigente può limitarsi a indicare nella comunicazione la programmazione dell’orario normale. Quando la [continua ..]


2.2. Diritti di informazione e lavoro pubblico non privatizzato

Come osservato in precedenza, la normativa in materia di informazioni sul rapporto di lavoro si estende anche ai lavoratori in regime di diritto pubblico ex art. 3, d.lgs. n. 165/2001, compatibilmente con le disposizioni dei rispettivi ordinamenti di settore. In questo modo, il legislatore ha inteso adeguare l’impianto generale alla peculiare natura provvedimentale degli atti di gestione del rapporto di lavoro, con la conseguenza che l’applicazione dell’elenco di informazioni appena esaminato de­v’essere vagliata nel quadro di una specifica opera di coordinamento sistematico. Nello svolgere quest’attività, l’interprete è comunque chiamato a privilegiare, ove possibile, un’interpretazione funzionale ed estensiva degli obblighi informativi sul rapporto di lavoro. Il rilievo trova conforto nella ratio sottesa alla direttiva 2019/1152, costituita dalla volontà di migliorare le condizioni di lavoro di tutte le categorie di lavoratori, promuovendo un’occupazione più trasparente e prevedibile (art. 1). Sebbene sia vero che tale regola generale possa essere derogata dagli Stati membri in casi specifici, tra cui rientrano anche i funzionari pubblici (Considerando 9), si tratta pur sempre di eccezioni che, come tali, devono essere oggetto di interpretazione restrittiva, strettamente funzionale agli obiettivi della deroga. Proprio per questo, il legislatore europeo limita l’esclusione dal perimetro applicativo ad alcune disposizioni o ad alcune parti della direttiva soltanto e richiede che la decisione del Paese membro sia fondata e giustificata sulla base di motivi oggettivi (art. 1, c. 6). Se si accoglie questa impostazione, l’obbligo di comunicare, ad esempio, la durata del periodo di prova, dettato dall’art. 1, c. 1, lett. h, d.lgs. n. 152/1997, risulta applicabile, mutatis mutandis, anche in presenza di istituti che, pur diversamente denominati, assolvono alla medesima funzione, ossia quella di verificare l’idoneità fisica e attitudinale del lavoratore a svolgere la prestazione lavorativa. Così, per il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, andrà considerato l’art. 6, d.lgs. n. 217/2005, che prevede la frequenza e il superamento di un corso di formazione. Del resto, è lo stesso ordinamento settoriale a prevedere che tale personale sia soggetto alla disciplina giuridica ed economica del lavoratore in prova in [continua ..]


3. Prescrizioni minime e inderogabili in materia di condizioni di lavoro

Oltre a rafforzare il diritto individuale di informazione, il legislatore ha inciso su alcuni importanti aspetti sostanziali del rapporto di lavoro. L’intervento ha introdotto, infatti, un articolato quadro giuridico composto da prescrizioni minime e inderogabili in materia di condizioni di lavoro (Capo III, d.lgs. n. 104/2022). In quest’ambito, peraltro, tornano prepotentemente ad assumere rilevanza i tratti di specialità del pubblico impiego. L’insieme delle disposizioni non si applica, innanzitutto, al personale in regime di diritto pubblico di cui all’art. 3, d.lgs. n. 165/2001. Una esclusione che risulta comunque legittima, dal momento che la direttiva 2019/1152 consente agli Stati membri «sulla base di motivi oggettivi» di prevedere che le norme non si applichino «a funzionari pubblici, servizi pubblici di emergenza, forze armate, autorità di polizia, magistrati, pubblici ministeri, investigatori o altri servizi preposti all’applicazione della legge» (art. 1, c. 6). Ciò «in considerazione della natura specifica delle funzioni che sono chiamati a svolgere o delle loro condizioni di impiego» (Considerando 9). L’intervento, inoltre, contiene molteplici deroghe all’applicazione delle prescrizioni minime nell’ambito del lavoro pubblico privatizzato, ridimensionandone la complessiva portata innovativa. Ne esce così rafforzata l’osservazione per cui la privatizzazione non ha determinato la costruzione di una «casa comune» per il lavoro subordinato, a prescindere dalla natura pubblica o privata del datore di lavoro [28]. Per cogliere l’importanza delle deroghe può prendersi in considerazione l’isti­tuto del cumulo di impieghi. Al lavoro pubblico privatizzato non risulta, infatti, applicabile l’innovativa previsione che introduce stringenti limiti al potere datoriale di impedire al lavoratore di svolgere un’altra attività (art. 8, d.lgs. n. 104/2022). Ciò in quanto la norma fa espressamente salva la complessa disciplina di cui all’art. 53, d.lgs. n. 165/2001, che detta il regime di carattere generale riferibile a tutti i dipendenti pubblici (c. 4) [29]. Ne risulta che, all’esito della riforma, la disciplina del lavoro nell’impresa privata si sorregge sulla regola generale del diritto del lavoratore di svolgere un’altra attività lavorativa [continua ..]


4. Inosservanza delle previsioni e apparato sanzionatorio

Il legislatore riforma ampiamente anche il previgente sistema sanzionatorio adeguandolo, per un verso, all’estensione dell’ambito di applicazione soggettivo degli obblighi informativi e, per l’altro, all’introduzione di specifiche tutele inderogabili di carattere sostanziale. Nella nostra prospettiva di analisi, l’elemento di novità più rilevante è rappresentato dalla previsione secondo la quale, per le pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, c. 2, d.lgs. n. 165/2001, l’inadempimento degli obblighi di informazione deve essere valutato ai fini della responsabilità dirigenziale, nonché ai fini della misurazione della performance organizzativa e individuale prevista dall’art. 7, d.lgs. n. 150/2009 (ex art. 4, c. 2, d.lgs. n. 195/1997). Dall’inclusione degli obblighi informativi nel circuito del Sistema di misurazione e valutazione della performance [38] deriva, innanzitutto, che l’inosservanza delle prescrizioni in materia può determinare una valutazione negativa del dirigente, con conseguente impossibilità di erogare a questi la componente retributiva legata al risultato (art. 5, c. 1). La mancata corresponsione della retribuzione di risultato si muove, comunque, sul piano fisiologico dei rapporti tra dirigente pubblico e amministrazione: la ratio sottesa alla disciplina, come noto, non è propriamente punitiva, bensì “incentivante”, poiché diretta a promuovere un miglioramento individuale e organizzativo nell’anno successivo [39]. Peraltro, per espressa previsione, la condotta dirigenziale può rilevare anche in una dimensione propriamente sanzionatoria. L’inosservanza delle previsioni normative, infatti, può determinare la responsabilità di carattere gestionale collegata al­l’«apprezzamento globale dell’attività del dirigente», che può portare all’impossi­bilità di rinnovo, o financo alla revoca, dell’incarico dirigenziale [40]. In questo modo, l’intervento nazionale determina un’ulteriore dilatazione delle ipotesi di responsabilità dirigenziale, che, negli ultimi, anni hanno già subito una forte proliferazione e parcelizzazione. Va sottolineato, comunque, che l’integrazione della fattispecie è soltanto eventuale: essa non costituisce una di quelle ipotesi in [continua ..]


5. Conclusioni: trasparenza, informazione e tecniche di tutela

La tutela del diritto di informazione del lavoratore rappresenta il primo fondamentale fattore correttivo delle asimmetrie nella fase di costituzione e svolgimento del rapporto di lavoro. La conoscenza delle condizioni applicabili rafforza la posizione del lavoratore, gettando le basi per la rivendicazione dei diritti nascenti dalla relazione lavorativa. Il processo di trasformazione digitale della pubblica amministrazione, accelerato con l’approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), è destinato a rendere ancora più importante l’accesso alle informazioni, comportando una maggiore individualizzazione della prestazione lavorativa e una crescente flessibilizzazione dei tempi di lavoro [52]. La pluralità delle tipologie contrattuali, la variabilità delle modalità di esecuzione della prestazione e la digitalizzazione dei modelli organizzativi complicano la relazione contrattuale e conseguentemente l’esercizio di autodeterminazione del lavoratore. In questa prospettiva, l’intervento nazionale di trasposizione della direttiva 2019/1152 non può che essere accolto positivamente, rappresentando l’ultimo tassello di un articolato processo che ha progressivamente insistito sull’importanza degli obblighi di informazione quale garanzia di effettività della condizione giuridica del lavoratore nello svolgimento della relazione di lavoro. La previsione di una specifica comunicazione contribuisce a fare chiarezza sulla posizione del lavoratore all’interno del rapporto di lavoro e a definire con maggiore precisione i confini della pretesa creditizia del datore di lavoro pubblico e privato. Questo, soprattutto se si considera che il lavoratore deve ricevere una informativa dettagliata non soltanto al momento dell’assunzione ma anche successivamente, in caso di modifiche o variazioni riguardanti le materie oggetto di comunicazione (art. 3, d.lgs. n. 152/1997). La nuova impostazione accolta dal legislatore accentua notevolmente la dimensione strumentale del dovere informativo, accompagnando quest’ultimo con un quadro di prescrizioni minime e comuni la cui effettività trova nella comunicazione scritta il primo momento di tutela. In quest’ambito si riscontrano, invero, le principali deroghe ed esclusioni, che rispondono alla volontà del legislatore di preservare i profili di specialità del rapporto di lavoro pubblico [continua ..]


NOTE