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Lo status del c.d. Avvocato pubblico e i limiti dello jus variandi datoriale

Ambra Ferro, Dottoranda di ricerca nell’Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna

Muovendo dall’iter motivazionale della pronuncia in epigrafe, nel contributo ci si sofferma, dapprima, sulla disciplina applicabile al peculiare rapporto tra avvocato interno e pubblica amministrazione, per poi analizzare i limiti posti allo jus variandi datoriale. In particolare, dopo aver verificato che l’avvocato interno all’ente gode dei diritti e degli obblighi derivanti dalla natura subordinata del rapporto di lavoro, ci si propone di svolgere una riflessione sulla nozione di equivalenza dell’art. 52, d.lgs. n. 165/2001 e sul divieto di svuotamento delle mansioni, che operano entrambi come limiti allo jus variandi nel pubblico impiego contrattualizzato.

Parole chiave: avvocato pubblico - Destinazione ad altro ufficio - Jus variandi - Mansioni equivalenti - Tutela della professionalità - Svuotamento di mansioni

Starting from the motivational process of the decision examined, the contribution, first, focuses on the discipline applicable to the relationship between lawyer and public administration. Then, it analyzes the limits placed on the employer’s jus variandi. In particular, after verifying that the lawyer within the entity enjoys the rights and obligations deriving from the subordinate nature of the relationship, it is proposed a reflection on the notion of equivalence laid down by art. 52, d.lgs. n. 165/2001 and on the prohibition of the tasks’ emptying, both of which operate as limits to jus variandi in contracted public employment.

Keywords: Public body lawyer - Destination to another office - Jus variandi - Equivalent tasks - Professionalism protection - Emptying of tasks

MASSIMA: Qualora un avvocato o procuratore sia inserito nell’ufficio legale di un ente pubblico non economico, con costituzione di rapporto di lavoro subordinato, come consentito dall’art. 3 quarto c. lett. b del r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578 (convertito in l. 22 gennaio 1934 n. 36 e modificato dalla l. 23 novembre 1939 n. 1949), in deroga alla regola generale dell’incompatibilità della professione forense con impieghi retribuiti, la disciplina di tale rapporto trova prevalente applicazione, anche per quanto riguarda le disposizioni dell’art. 52 d.lgs. n. 165/2001. È, quindi, consentito al datore di lavoro, nel rispetto delle classificazioni e delle altre eventuali regole della contrattazione collettiva, un ampio esercizio dello ius variandi, nei limiti in cui, in concreto, non si realizzi una sottrazione pressoché integrale delle funzioni da svolgere, vietata anche nell’ambito del pubblico impiego, o un intenzionale comportamento [continua ..]

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Sommario:

1. La vicenda giudiziaria - 2. La soggezione dell’avvocato allo jus variandi del datore di lavoro pubblico - 3. La regola dell’equivalenza formale delle mansioni - 4. Il divieto di svuotamento delle mansioni - NOTE


1. La vicenda giudiziaria

Il caso affrontato dalla pronuncia in epigrafe riguarda un avvocato di un Comune, inquadrato nell’area D del CCNL Enti Locali, che veniva rimosso dall’ufficio legale dell’Ente e contestualmente privato delle funzioni defensionali. Il legale, nel corso del tempo, era stato adibito a mansioni riconducibili alla medesima area D presso vari uffici dell’Ente, nei quali era sorta l’esigenza di integrare l’organico con un lavoratore di formazione giuridica. L’avvocato adiva il Tribunale per ottenere l’accertamento dell’illegittimità del­l’assegnazione alle nuove mansioni e il risarcimento del danno che lamentava di aver subito a causa dell’adibizione a compiti che, seppur di natura legale, non rispettavano la sua professionalità. Respinta la domanda in primo grado, la decisione era riformata dalla Corte d’appello, la quale dichiarava l’illegittimità del comportamento datoriale e accertava [continua ..]

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2. La soggezione dell’avvocato allo jus variandi del datore di lavoro pubblico

L’art. 23, l. n. 247/2012 consente all’avvocato di esercitare la professione alle dipendenze di un ente pubblico, in deroga alla regola generale dell’incompatibilità tra attività forense e rapporti di lavoro subordinato. Sulla scorta dei principi elaborati durante la vigenza dell’art. 3, r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 [1], la disciplina del nuovo ordinamento forense subordina la compatibilità del rapporto di pubblico impiego al rispetto di alcuni requisiti, volti a salvaguardare l’autonomia di giudizio e l’indipendenza dell’avvocato. Lo svolgimento della professione forense in forma subordinata è consentito, infatti, solo agli avvocati adibiti agli uffici legali «specificatamente istituiti presso l’ente» [2], i quali devono operare in posizione di indipendenza rispetto agli altri settori previsti in organico. Tali avvocati devono risultare in un elenco speciale annesso all’albo [continua ..]

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3. La regola dell’equivalenza formale delle mansioni

Al fine di stabilire la legittimità del mutamento di mansioni dell’avvocato interno all’ente occorre, quindi, far riferimento alla disciplina dell’impiego pubblico contrattualizzato. Sin dalla c.d. prima privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, la disciplina dello jus variandi rientra tra le materie che derogano al corrispondente regime del settore privato [17]. La specialità della disciplina, oggi contenuta nell’art. 52 d.lgs. n. 165/2001, si giustifica alla luce del particolare contesto organizzativo in cui viene inserita la prestazione lavorativa [18]. Se nel settore privato la regolamentazione dello jus variandi opera un bilanciamento tra l’esigenza di tutela della professionalità del lavoratore e quella datoriale di flessibilità organizzativa [19], nell’ambito della pubblica amministrazione entra in gioco un altro interesse, «che passa sopra la testa di entrambi i [continua ..]

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4. Il divieto di svuotamento delle mansioni

Nel caso di specie le mansioni affidate al legale rientrano pacificamente nella medesima area di inquadramento di quelle di assunzione e, pertanto, possono ritenersi equivalenti ai sensi dell’art. 52, d.lgs. n. 165/2001. Tuttavia, ai fini dell’ac­certamento della legittimità dell’adibizione ai nuovi compiti, la Cassazione non ritiene sufficiente tale circostanza. Dopo aver ribadito che l’art. 52 affida al datore di lavoro, «nel rispetto delle classificazioni e delle altre eventuali regole di cui alla contrattazione collettiva, un ampio esercizio dello ius variandi», afferma che quest’ultimo deve ritenersi consentito «nei limiti in cui, in concreto, così operando non si realizzi una sottrazione pressoché integrale delle funzioni da svolgere, vietata anche nell’ambito del pubblico impiego». Aderendo ad un indirizzo interpretativo consolidato, la Suprema Corte ritiene che il concetto di equivalenza [continua ..]

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NOTE

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