Il presente lavoro si propone di analizzare il tema delle false dichiarazioni rese dal lavoratore in occasione dell’accesso al pubblico impiego, alla luce del recente intervento della Suprema Corte. La problematica discende dall’omessa dichiarazione di pregresse condanne penali del lavoratore in sede di autocertificazione, in relazione all’assunzione nel comparto scuola come docente, La Corte di Cassazione, al fine di risolvere la questione in esame, ha ripercorso l’iter legislativo in tema di falsità documentali prodotte in occasione dell’accesso al pubblico impiego ed ha ricavato il principio di diritto che distingue le fattispecie della decadenza di diritto da quella del licenziamento previo procedimento disciplinare. La Corte differenzia il caso in cui la falsità sui dati sia decisiva ai fini dell’assunzione, poiché la legge o un bando stabiliscono una regola certa di incompatibilità con l’accesso al pubblico impiego rispetto a un determinato requisito. Stabilisce, dunque, che solo in queste ipotesi la decadenza opera di diritto, al di fuori di un procedimento disciplinare, per effetto dell’assenza dei requisiti sostanziali che le dichiarazioni sono chiamate ad attestare, integrando una causa di nullità del contratto.
Diversa soluzione si configura, invece, quando le falsità documentali o dichiarative non siano necessariamente “ostative all’instaurazione del rapporto”, mancando un nesso causale tra irregolarità documentale e conseguimento dell’impiego. In questi casi può derivare, quale conseguenza giuridica, la risoluzione del contratto, tramite il licenziamento, ma solo previo espletamento del procedimento disciplinare e valutazione della effettiva gravità della condotta e della buona fede del lavoratore, nel rispetto del principio di proporzionalità della misura rispetto all’infrazione commessa, come confermato dall’indirizzo giurisprudenziale che, nel decidere in ordine a simili controversie, ha richiesto oneri probatori anche a carico del dipendente cui è stata addebitata la sanzione disciplinare.
This work aims to analyse the issue of the false statements made by the worker during access to the civil service, in light of the recent intervention of the Supreme Court. The problem stems from the worker’s failure to declare himself self-certified, in relation to the recruitment of previous criminal convictions into the school sector. The Court of Cassation, in order to resolve the issue underd consideration, has retraced the legislative process on the subject of document forgery produced during access to the civil service and has obtained the principle of law that distinguishes the cases of the decadence of law from that of dismissal following disciplinary proceedings. The Court differentiates the case where the falsity of the data is decisive for the purpose of recruitment, since the law or a notice establishes a certain rule of incompatibility with access to the public service with respect to a given requirement. It stipulates, therefore, that only in these cases the decadence operates of law, outside of disciplinary proceedings, as a result of the absence of the substantive requirements that the statements are called to attest, supplementing a cause of nullity of the contract.
A different solution arises, however, when document or declarative falsehoods are not necessarily “obstructive to the establishment of the relationship”, lacking a causal link between document irregularities and employment achievement. In these cases, as a legal consequence, the termination of the contract, through dismissal, but only by after completion carrying out the disciplinary proceedings and assessment of the actual seriousness of the worker’s conduct and good faith, in accordance with the principle of proportionality of the measure with respect to the offence committed, as confirmed by the legal address which, in deciding on such disputes, also required evidentiary charges against the employee to whom the sanction was charged.
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1. Premessa. Fatti di causa - 2. I riferimenti normativi - 3. Decadenza di diritto e licenziamento previo procedimento disciplinare - 4. Il recente orientamento della Suprema Corte - 5. Conclusioni - NOTE
La sentenza in commento interviene sul tema della falsità delle dichiarazioni rese in occasione dell’accesso al pubblico impiego. Il caso rinviene il proprio fondamento nell’omessa dichiarazione, resa da parte del lavoratore in sede di autocertificazione, di pregresse condanne penali. La Corte d’Appello di Torino aveva ritenuto che la non veridicità delle dichiarazioni giustificasse in sé il provvedimento adottato della cessazione del rapporto di lavoro, posto che l’omessa dichiarazione delle pregresse condanne aveva quale effetto di non consentire alla P.A. una valutazione ex ante in ordine ai fatti di rilievo penale non dichiarati. La Corte aveva poi ritenuto irrilevante l’accertamento preventivo per stabilire se le condanne fossero relative o meno a fatti ostativi all’assunzione dell’impiego, dovendosi applicare, quale conseguenza della dichiarazione mendace resa in occasione dell’assunzione, la decadenza di diritto del contratto di lavoro. Avverso tale decisione il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione contro il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) richiamando l’importanza di valutare preventivamente alcuni fatti di cui assume la decisività, prima di procedere all’interruzione del rapporto di lavoro. La Suprema Corte, in accoglimento del ricorso proposto dal lavoratore, ha affermato che la presentazione di dichiarazioni non veritiere per accedere al pubblico impiego non è sempre causa di decadenza. Secondo la Cassazione, infatti, la decadenza dall’instaurato rapporto di lavoro si manifesta solo nel momento in cui le dichiarazioni false riguardino alcuni requisiti ostativi all’instaurazione del rapporto di lavoro. Al contrario, una volta instaurato il rapporto di lavoro, in caso di dichiarazioni mendaci da parte del pubblico dipendente, la sanzione disciplinare del licenziamento può essere irrogata solo al termine di un procedimento disciplinare, valutando le singole circostanze al fine di stabilire la proporzionalità della massima sanzione alla gravità del fatto concreto.
Il tema delle falsità documentali che si verificano al momento dell’accesso al pubblico impiego coinvolge diverse disposizioni legislative. In primo luogo rileva sia l’art. 127 lett. d) d.P.R. n. 3/1957, che prevede vi sia decadenza dall’impiego «quando sia accertato che l’impiego fu conseguito mediante la produzione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile» [1], sia la disposizione di cui all’art. 75, d.P.R. n. 445/2000, la quale prevede che, rispetto alle dichiarazioni sostitutive, la «non veridicità del contenuto» comporti la decadenza del dichiarante «dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera» [2]. Con riguardo alle disposizioni sopra richiamate, rileva la falsità in senso oggettivo quale effetto caducatorio per la pubblica amministrazione di riferimento. D’altro lato, nelle disposizioni regolanti il rapporto di impiego pubblico privatizzato si prevede che siano causa di licenziamento «le falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera» [3]: viene configurata, in tale ipotesi, una vera propria sanzione disciplinare, in quanto tale soggetta non solo al relativo procedimento applicativo [4], ma anche alla regola della proporzione della misura rispetto al concreto atteggiarsi dell’infrazione nella singola vicenda [5]. In relazione alle disposizioni di cui al d.P.R. n. 3/1957 e all’art. 75, d.P.R. n. 445/2000, sottolinea la Cassazione che nell’accesso al pubblico impiego l’art. 69 d.lgs. n. 165/2001 fa salva, anche in regime di lavoro pubblico privatizzato, la disciplina di fonte legale ed esclude l’intervento della contrattazione collettiva, trattandosi di aspetti che riconducono ad una disciplina inderogabile. Pertanto, secondo i giudici della Cassazione, è possibile affermare che, qualora la legge (o anche un bando di concorso, purché non in contrasto con la legge), stabilisca una regola certa di incompatibilità con l’accesso al pubblico impiego, la decadenza operi di diritto, al di fuori di un procedimento disciplinare, quale effetto del manifestarsi di un vizio genetico del contratto. In tale contesto, quando il giudice di [continua ..]
Occorre, a questo punto, fare qualche approfondimento in considerazione della rilevanza tra sanzione espulsiva della decadenza e quella, invece, instaurata a seguito del procedimento disciplinare. La decadenza dall’impiego comminata «quando sia accertato che l’impiego fu conseguito mediante la produzione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile» [8], è tipica espressione di una potestà pubblicistica, riconosciuta dalla legge alla pubblica amministrazione a fronte di condotte decettive aventi ad oggetto la documentazione, in apparenza attestante l’esistenza di tutti requisiti di partecipazione al concorso, grazie ai quali il pubblico dipendente ha conseguito il proprio impiego. Si è in presenza di fattispecie che, alla luce dell’impostazione ermeneutica offerta dalla Corte Costituzionale [9], attiene ai «procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro e di avviamento al lavoro», di cui all’art. 2 c. 1 lett. c) n. 4) l. n. 421/1992 e, in quanto tali, espressamente escluse dal processo di privatizzazione del pubblico impiego avviato da tale legge, avendo il citato articolo escluso dalla giurisdizione del giudice ordinario le materie di cui ai numeri da 1) a 7) della presente lettera. Tali procedimenti sono richiamati dal successivo art. 69, c. 1, d.lgs. n. 165/2001 tra le materie di cui all’art. 2, c. 1, lett. c), l. n. 421/1992, come pure la Corte costituzionale ha ricordato nella citata sentenza, e cioè tra quelle che non costituiscono oggetto della contrattazione collettiva perché afferenti, appunto, alle procedure concorsuali per l’assunzione e alla verifica dei requisiti per l’accesso ai pubblici impieghi, la cui cognizione spetta al G.A. ai sensi dell’art. 63, c. 4, d.lgs. n. 165/2001. Il potere di decadenza in esame è sul piano generale giustificato, per un verso, dal divieto di instaurare o proseguire rapporti di pubblico impiego con soggetti che abbiano agito in violazione del principio di lealtà, che costituisce uno dei cardini dello stesso rapporto (art. 98 Cost.), e per altro dall’esigenza di tutelare l’eguaglianza dei concorrenti, pregiudicati dalla sleale competizione con chi abbia partecipato alla selezione con documenti falsi e/o viziati (art. 97 Cost.). A [continua ..]
La Suprema Corte, applicando un consolidato principio di diritto, aveva di recente ribadito che l’autodichiarazione mendace sostitutiva comportasse, in applicazione dell’art. 75 del d.P.R. n.445/2000, la decadenza dall’impiego, a prescindere dall’indagine dell’elemento soggettivo del dichiarante, in quanto tale decadenza non costituiva una sanzione nei confronti di quest’ultimo ma la conseguenza dell’accertamento dell’insussistenza dei requisiti per l’accesso al pubblico impiego. La più recente decisione delle Sezioni Unite, superando il predetto, orientamento ha emesso il seguente principio di diritto «Il determinarsi di falsi documentali [12] o dichiarazioni non veritiere [13] in occasione dell’accesso al pubblico impiego è causa di decadenza, per conseguente nullità del contratto, allorquando tali infedeltà comportino la carenza di un requisito che avrebbe in ogni caso impedito l’instaurazione del rapporto di lavoro con la P.A. Nelle altre ipotesi, le produzioni o dichiarazioni false effettuate in occasione o ai fini dell’assunzione possono comportare, una volta instaurato il rapporto, il licenziamento, ai sensi dell’art 55-quater lett d), in esito al relativo procedimento disciplinare ed a condizione che, valutate tutte le circostanze del caso concreto, la misura risulti proporzionata rispetto alla gravità dei comportamenti tenuti» [14]. La Corte di Cassazione, al fine di risolvere la questione in esame, ha ripercorso l’iter legislativo in tema di falsità documentali prodotte in occasione dell’accesso al pubblico impiego ed ha ricavato il principio di diritto che distingue le fattispecie della decadenza di diritto da quella del licenziamento previo procedimento disciplinare. La Corte differenzia il caso in cui la falsità sui dati sia decisiva ai fini dell’assunzione, poiché la legge o un bando stabiliscono una regola certa di incompatibilità con l’accesso al pubblico impiego rispetto a un determinato requisito. Stabilisce, dunque, che solo in queste ipotesi la decadenza opera di diritto, al di fuori di un procedimento disciplinare, per effetto dell’assenza dei requisiti sostanziali che le dichiarazioni sono chiamate ad attestare [15], integrando una causa di nullità del contratto. Diversa soluzione si [continua ..]
Alla luce di quanto detto fino ad ora, è possibile concludere affermando che l’intervento della Suprema Corte si pone come garantista nei confronti del pubblico dipendente che, grazie alla sentenza in esame, può avvalersi delle garanzie fornite a sua tutela dal procedimento disciplinare. Ad oggi infatti sarà opportuno effettuare un accertamento del caso concreto, poiché alla falsa dichiarazione o produzione documentale può teoricamente conseguire la decadenza dal rapporto tout court, ovvero il licenziamento disciplinare (con connesso obbligo di avvio di un prodromico procedimento disciplinare) ovvero alcuna conseguenza rilevante, con conseguente prosecuzione del rapporto già instaurato.