La solidarietà intergenerazionale costituisce una nuova chiave di lettura del sistema pensionistico e previdenziale italiano, in considerazione delle mutevoli condizioni economiche e lavorative della società odierna. Il collasso del sistema è, infatti, uno dei rischi con cui le generazioni future dovranno confrontarsi nel corso del tempo ed è, pertanto, compito dello Stato e degli altri Enti Pubblici, adoperarsi affinché un tale evento non si verifichi e affinché sia garantito un livello minimo di stabilità economico-finanziaria nel lungo periodo. Tra le possibili modalità di azione si annoverano gli interventi legislativi, statali e regionali, volti a decurtare gli importi, già particolarmente elevati, dei vitalizi riconosciuti a coloro che abbiano ricoperto, o ricoprano, cariche pubbliche elettive, al fine di ridurre e contenere i costi della spesa pubblica e di tutelare la sostenibilità del bilancio pubblico.
I beneficiari delle prestazioni di volta in volta riformate, tuttavia, fanno ricorso alla funzione giurisdizionale per ottenere la tutela della propria posizione, in particolare attraverso il richiamo al principio del “legittimo affidamento”, ritenuto leso dall’attività legislativa. È rimesso, dunque, alla Corte costituzionale, il giudizio ultimo sulla correttezza del bilanciamento di interessi effettuato dal legislatore.
Nel caso di specie, a seguito dell’instaurazione di plurimi giudizi avanti alle corti di merito, il Giudice delle Leggi si è espresso nel senso della legittimità degli interventi legislativi peggiorativi e retroattivi introdotti dalla Regione autonoma Trentino-Alto Adige, ritenendoli espressivi di esigenze collettive di rango primario e preminenti rispetto alla tutela degli interessi del singolo individuo.
The Italian pension and welfare system needs to be read through a new lens, that is the principle of “intergenerational solidarity”, especially considering the unstable economic and working conditions of today’s society. Indeed, the new generations will have to deal with the risk of the collapse of the whole system and it is, therefore, necessary that the State and the other Public Authorities intervene in order to prevent this event, by means of actions aimed at ensuring a minimum level of stability even in the long term. An example of these actions is the imposition of the reduction of the costs of the public spending in order to protect the budgetary needs. In particular, reference is made here to those legislative interventions, both at state and regional levels, aimed at curtailing the high amounts of the annuities recognized to those who have held, or hold, elective public offices. Nevertheless, such actions generate the discontent of the beneficiaries of the institutions from time to time subject to reform, who intend to protect their position by referring to the principle of so-called “legitimate expectation”. It is up to the Constitutional Court, therefore, to make the ultimate judgment on the reasonableness of the interests balanced by the legislature. In the case at hand, following the establishment of multiple judgments before the courts of merit, the Judge of Laws has ruled in the sense of the legitimacy of the pejorative and retroactive legislative interventions introduced by the Autonomous Region of Trentino-Alto Adige, considering them to be expressive of collective needs of primary rank and preeminent over the protection of the interests of the individual.
1. Brevi cenni introduttivi - 2. I fatti per cui è causa: le ordinanze di rimessione del Tribunale ordinario di Trento - 3. La valutazione della Corte sulla fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale della normativa regionale - 3.2. L’intervento legislativo peggiorativo retroattivo al vaglio della “ragionevolezza” e la comprimibilità del principio del legittimo affidamento - 3.3. Il fondamentale distinguo tra cariche pubbliche elettive Parlamentari e cariche pubbliche elettive regionali - 4. Prospettive di riforma del sistema previdenziale: l’auspicato riallineamento delle discipline - NOTE
Il sistema pensionistico-previdenziale italiano è costantemente investito da riforme di stampo politico ed economico finalizzate, per un verso, ad offrire maggiore tutela ai cittadini divenuti inabili al lavoro e, per altro verso, a garantire la sostenibilità del bilancio degli Enti pubblici e dello Stato. In linea generale, anche in considerazione dell’elevata età media degli Italiani, l’inabilità al lavoro è conseguenza del sopraggiungere della vecchiaia. Per un piccolo gruppo di cittadini, invece, l’inabilità al lavoro discende dalla partecipazione attiva alla definizione delle politiche statali e/o regionali, cioè dallo svolgimento di cariche pubbliche elettive. In questa seconda fattispecie, gli individui sono titolari di un “vitalizio”, normato dal regolamento dell’Ente o dalla Camera di appartenenza e direttamente erogato da questi [1]. In genere, l’importo del vitalizio è superiore alla media degli importi delle pensioni c.d. “ordinarie”, in considerazione delle finalità di tutela delle esigenze di vita del soggetto che abbia ricoperto le funzioni elettive pubbliche e dei suoi familiari oltre che della necessità di garantirne l’indipendenza e l’autonomia da pressioni esterne in caso di nuova elezione. La discrasia tra questi due modelli di trattamento previdenziale è risultata particolarmente evidente con l’emergere della crisi economica, tanto da far apparire il “vitalizio” un ingiusto privilegio. Il che ha comportato la necessità di ripensarne la struttura al fine di renderla maggiormente in linea con gli sviluppi economici nazionali e regionali, in particolar modo sfumando gli aspetti di privilegio ad essa connessi, quali, tra gli altri, il sistema del calcolo retributivo e il quantum effettivamente erogato. A partire dagli anni 2000, infatti, due sono state le direttrici che hanno guidato il legislatore, statale e regionale, negli interventi di riforma dell’ordinamento previdenziale, ovvero la necessità di provvedere al sostentamento della popolazione più anziana, in virtù del c.d. principio di solidarietà ex art. 2 Cost., e la contrapposta esigenza di salvaguardare il bilancio pubblico e la spesa ad esso connessa. Il bilanciamento di questi due interessi, effettuato ex ante dal legislatore e valutato ex post dalla Corte costituzionale, [continua ..]
Il casus belli che ha generato la sentenza n. 136/2022 della Corte costituzionale si rinviene nell’introduzione da parte del legislatore della Regione Trentino-Alto Adige di disposizioni normative volte a riformare, in senso peggiorativo e con efficacia ex tunc, la disciplina regolatrice dei vitalizi spettanti a coloro che ricoprano o abbiano ricoperto funzioni pubbliche elettive nel Consiglio, nella Giunta o nell’Assemblea della Regione. Nello specifico, i dubbi di legittimità costituzionale hanno riguardato quelle disposizioni riformatrici che prevedono, rispettivamente: la riduzione del quantum del trattamento previdenziale (art. 2, l. reg. T.A.A. n. 5/2014); l’imposizione di limiti di cumulabilità rispetto al godimento di altre indennità per lo svolgimento di altre cariche pubbliche elettive, quali ad esempio quelle ricoperte presso il Parlamento italiano o europeo (art. 3, l. reg. T.A.A. n. 5/2014); la previsione di aliquote più alte per il c.d. “contributo di solidarietà”, di cui sono onerati i consiglieri regionali (come risultante dal combinato disposto delle seguenti disposizioni di legge: art. 4-bis, l. reg. T.A.A. n. 2/1995, introdotto dall’art. 3, l. reg. T.A.A. n. 4/2004; art. 15, l. reg. T.A.A. n. 6/2012; art. 4, l. reg. T.A.A. n. 5/2014). La pronuncia in commento trae in particolare origine da due giudizi, instaurati avanti al Tribunale ordinario di Trento, nell’ambito dei quali sono insorti i menzionati dubbi di legittimità costituzionale circa le normative regionali. Le controversie sono tra loro connesse da un punto di vista oggettivo e parzialmente anche dal punto di vista soggettivo. Sotto quest’ultimo aspetto, infatti, ad intentare le vertenze avverso la Regione autonoma Trentino-Alto Adige e il Consiglio Regionale della Regione autonoma sono, in un caso, un Consigliere regionale cessato dal mandato e, nell’altro, la moglie di un consigliere regionale ormai defunto, in qualità di avente causa del de cuius. Per questo motivo, pur essendovi coincidenza di parti dal lato passivo, la connessione soggettiva è da ritenersi soltanto parziale. Le due cause sono, poi, legate da un vincolo di connessione sul piano oggettivo considerata la coincidenza del petitum nei due giudizi: entrambe le parti attrici richiedono l’accertamento del proprio diritto alla corresponsione dell’intera somma prevista per [continua ..]
3.1. Il riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di finanza pubblica In punto di merito, la prima problematica con cui si confronta la Corte riguarda l’asserita violazione dell’art. 117, c. 3, Cost. in relazione all’art. 2, c. 1, lett. m), d.l. 174/2012, rubricato “Riduzione dei costi della politica nelle regioni” realizzata dall’art. 2, l. reg. TA.A. n. 5/2014. L’art. 117, c. 3, Cost., disciplina le materie soggette alla competenza legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, tra le quali rientra, inter alia, il “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, cui la Consulta riconduce proprio l’art. 2, comma 1, lett. m), d.l. 174/2012, essendo questo finalizzato ad introdurre il sistema contributivo per il calcolo dei vitalizi, con l’eccezione dei trattamenti già in corso di erogazione. Secondo il giudice a quo, la violazione del parametro interposto discenderebbe dall’imposizione da parte della normativa regionale della riduzione in percentuale di trattamenti in corso di erogazione. Tuttavia, spiega il Giudice delle Leggi che l’eccezione rispetto ai trattamenti in corso di erogazione non riguarda la possibilità di una riduzione dell’importo ma soltanto la definizione delle due condizioni di accesso al beneficio, ovvero il raggiungimento dell’età minima, pari a sessantasei anni, e lo svolgimento di tali incarichi per un periodo non inferiore a dieci anni anche non continuativi. La Corte chiarisce, dunque, come una tale deroga sia meramente finalizzata a delimitare il campo di applicazione della norma e come, di contro, essa non sia né riconducibile né attinente alla ratio sottesa alla norma stessa, ovvero il coordinamento e la riduzione della spesa pubblica. Pertanto, in assenza della violazione del parametro interposto, è da considerarsi a fortiori infondato il dubbio di legittimità rispetto all’art. 117, c. 3, Cost. La Corte conclude, dunque, nel senso di una competenza concorrente tra Stato e Regioni nella materia del coordinamento della finanza pubblica, motivo per cui non può essere censurata la normativa regionale volta a ridurre le spese gravanti sulla comunità regionale. D’altronde, è lo stesso art. 117 Cost. che, all’ultimo periodo del comma 3, regolamenta il riparto di funzioni del legislatore statale e di quello regionale nel [continua ..]
Quanto alla paventata violazione degli artt. 3 e 117, c. 1, Cost. in riferimento all’art. 6 CEDU – il cui combinato disposto costituisce il fondamento normativo dei principi del legittimo affidamento e della certezza del diritto – la Corte, nel ritenere infondate le censure, si confà all’indirizzo consolidato della Corte EDU, secondo cui la violazione dell’articolo 6 della Convenzione si configura laddove l’amministrazione della giustizia sia soggetta ad interferenze da parte del Legislatore tali da condurre a decisioni falsate ed inesatte, non espressive di Giustizia [13]. Osserva la Corte costituzionale come nel caso di specie eventuali interferenze del potere legislativo non risultino dedotte e come, in secondo luogo, la normativa regionale intenda regolare solo fattispecie future, ragion per cui non può ritenersi violato il menzionato art. 6 CEDU. In merito all’asserito contrasto con l’art. 3 Cost., invece, la Corte ne argomenta l’infondatezza a partire da un proprio consolidato orientamento riguardante la retroattività delle leggi non penali; orientamento secondo il quale l’unico limite alla discrezionalità del legislatore rispetto all’introduzione di norme retroattive e modificatrici in peius sia costituito dalla ragionevolezza della ratio sottesa alla norma, in modo da non decadere in un “regolamento irrazionalmente lesivo del legittimo affidamento [14]”. La Costituzione italiana positivizza il divieto di irretroattività delle sole leggi penali (art. 25 Cost.), quale espressione dello Stato di diritto, mentre nulla specifica rispetto alle leggi civili le quali, dunque, ben possono essere suscettibili di un intervento legislativo con efficacia retroattiva. La ratio sottesa ad una tale differenziazione di disciplina va rinvenuta nella necessaria duttilità dei diritti civili, i quali debbono rapportarsi costantemente con l’evoluzione socioeconomica della comunità a cui si riferiscono. Per quanto riguarda il diritto ad un trattamento pensionistico adeguato, esso è certamente ineliminabile, in quanto espressione del principio di solidarietà ex art. 2 Cost., ma non per questo irriducibile specie nel bilanciamento con interessi pubblici preminenti, quali ad esempio il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica [15]. Nel caso di specie, il legislatore regionale, adeguandosi ai [continua ..]
Infine, il Giudice delle Leggi esamina la lamentata violazione da parte della normativa regionale degli artt. 64, 66, 68, 69 Cost. e giudica la questione infondata per parametri inconferenti. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, sia a livello costituzionale che di legittimità [24], l’insieme delle norme che disciplinano il Parlamento italiano si qualifica come “diritto singolare”, come tale non suscettibile di interpretazione analogica rispetto alla disciplina dei consigli regionali. Il Giudice delle Leggi ribadisce che la funzione massima e primaria del Parlamento sia quella di esprimere la “sovranità” e che quella attribuita ai singoli consigli regionali sia, invece, “l’esplicazione di autonomie costituzionalmente garantite”, motivo per cui le disposizioni regolatrici del primo non possono essere estese anche ai secondi [25].
La sentenza della Corte costituzionale in commento si inserisce nell’ambito del dibattito riguardante la ragionevolezza delle riforme peggiorative e retroattive che hanno investito il trattamento previdenziale riconosciuto in capo a coloro che abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive. In particolare, la pronuncia legittima sul piano costituzionale e in via definitiva i moti legislativi tesi alla riduzione dei vitalizi dei soggetti che abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive a livello regionale, ritenendo che si tratti di interventi ragionevoli e necessari al duplice fine di limitare la spesa pubblica e di garantire la solidità del sistema previdenziale italiano nel lungo periodo, onde scongiurare il rischio di un’impossibilità di tutela delle necessità assistenziali delle generazioni future. Negli anni del boom economico la Corte costituzionale tendeva ad espandere notevolmente il campo di applicazione oggettivo e soggettivo delle tutele previdenziali, ai tempi molto favorevoli. Tuttavia, con il subentro della crisi economica e con il passaggio, negli anni ’90, al sistema retributivo per il calcolo delle pensioni ordinarie, la Corte ha assunto un atteggiamento maggiormente garantista nei confronti dei princìpi costituzionali in materia di solidarietà intergenerazionale e di perequazione delle risorse economiche pubbliche, in opposizione agli interventi normativi connotati da una visione particolarmente miope ed asfittica della materia previdenziale, in quanto tesi ad offrire il miglior trattamento previdenziale possibile ai pensionati del breve periodo. Unico elemento di continuità in merito è offerto dal criterio di commisurazione degli importi erogati per le pensioni ordinarie, strutturato in modo tale da garantire ai beneficiari non il mantenimento dello stile di vita precedentemente goduto grazie agli emolumenti derivanti dall’attività lavorativa svolta ma piuttosto la tutela delle esigenze minime di vita, come disposto dall’art. 38 Cost. Al contrario, maggiormente favorevole è stato e continua ad essere il trattamento economico di cui sono destinatari coloro che abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive. Non sembrano sussistere, tuttavia, vincoli giuridici all’estensione applicativa di un tale ragionamento anche ai vitalizi erogati nei confronti di questi ultimi, quanto meno per coloro che abbiano operato a livello non statale, considerato [continua ..]