Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Il patto di lavoro agile nelle pp.aa. verso il post-emergenza (di Marina Brollo, Professoressa ordinaria di Diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Udine)


Il saggio affronta la complessa evoluzione del lavoro agile nelle pp.aa., tra emergenza e "nuova" normalità. In particolare, l’A. ricostruisce e dipana le incongruenze e antinomie relative alla questione dei cd. lavoratori fragili nella (e oltre la) pandemia.

 

The remote work agreement in the public sector beyond the emergency

This essay deals with the complex evolution of remote work in the public sector, between the emergency and the "new" normality. In particular, the A. reconstructs and unfolds the inconsistencies and antinomies related to the issue of the so-called vulnerable workers in (and beyond) the pandemic.

Keywords: remote work – vulnerable workers – pandemic.

SOMMARIO:

1. L’accesso alle modalità agili: premesse generali - 2. Il lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni: la disciplina “speciale” ordinaria - 3. La traiettoria “a fisarmonica” della disciplina emergenziale - 3.1. La deroga alle disposizioni vigenti: il boom del lavoro agile - 3.2. Il rientro anticipato nell’ordinaria specialità: lo sboom del lavoro agile - 4. L’eredità della pandemia: l’accesso prioritario alle modalità agili per i lavoratori “fragili” - 4.1. Le condizioni di “fragilità” - 4.2. La promozione (temporanea) dell’accesso alle modalità agili - 5. Innovazioni verso la normalità post-pandemica - 5.1. Le nuove priorità per l’agilità (c. 3-bis e 3-ter dell’art. 18, l. n. 81/2017) - 5.2. La comunicazione semplificata (c. 1 dell’art. 23, l. n. 81/2017) - 5.3. Il nuovo protagonista: la contrattazione collettiva - NOTE


1. L’accesso alle modalità agili: premesse generali

Il lavoro agile (anche) nel settore pubblico costituisce un istituto costantemente in evoluzione in quanto al centro di una serie intrecciata di trasformazioni, a partire da quella digitale sino a giungere a quella ambientale. Me ne occupo con riguardo particolare all’accordo individuale, quale patto accessorio al contratto “stipite” di lavoro subordinato, e alle ricadute normative dell’emergenza sanitaria. Per dar atto dell’importanza strategica dell’istituto, segnalo che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza permette di immettere nelle Pubbliche Amministrazioni (quantità e qualità di) risorse umane non indifferenti: con nuovi “profili professionali” [1], con nuove competenze – a partire, per il lavoro agile, da quelle digitali, che potrebbero essere individuate come “fattore abilitante” e “prerequisito” [2] – nonché con esigenze di formazione “specifica” riconducibili, per esempio, nel Piano strategico ministeriale “Ri-formare la PA. Persone qualificate per qualificare il Paese” [3]. Il tutto per accompagnare un percorso di cambiamento, in primis avente carattere organizzativo, e supportare trasversalmente le grandi transizioni (digitale e verde) che si aspettano e le correlate missioni previste dallo stesso PNRR. A conti fatti, il Piano colloca il «lavoro da remoto» nel prisma degli strumenti utili al Paese. E fa bene in quanto tale modalità di lavoro incrocia, fin dalla fase della sua sperimentazione pre-Covid-19, i temi cruciali del lavoro pubblico, della ri-organizzazione [4] e della misurazione e della valutazione della performance individuale e organizzativa [5]. Come noto, ai sensi della legge che lo ha introdotto nel nostro ordinamento (Capo II della l. 22 maggio 2017, n. 81), il lavoro agile va stabilito «mediante accordo tra le parti» aggiuntivo al contratto di lavoro subordinato. Il c. 1 dell’art. 18 lo definisce come un “istituto” scaturito dal contratto sottostante – una mera «modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti» – configurando una modalità “diversa”, con una (parziale) variabilità spazio-temporale di svolgimento della prestazione lavorativa. In estrema sintesi, la flessibile agilità – anche per la sua [continua ..]


2. Il lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni: la disciplina “speciale” ordinaria

Il legislatore, con il c. 3 dell’art. 18, ha sagomato la nuova disciplina del lavoro agile nel lavoro pubblico, avendo come modello generale di riferimento quella del settore dell’impiego privato, racchiusa nel Capo II della l. n. 81/2017, ma lo ha sottoposto a una tecnica piuttosto “recessiva” delle regole comuni. La disciplina di riferimento “originaria” (poi diventata “ordinaria”) – di cui alla l. n. 81/2017 – risulta applicabile in una variante di “specialità”, dovendo essere «compatibile» rispetto a un triplice filtro: a) ovviamente con le norme (e l’ambito di applicazione) del d.lgs. n. 165/2001 e successive modificazioni; b) con «le direttive emanate ai sensi dell’art. 14», l. n. 124/2015 (a partire dalla famosa direttiva della Ministra Madia, n. 3/2017, e dalle correlate linee guida del Presidente del Consiglio dei ministri) orientate verso la promozione dell’originaria finalità della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti; c) nonché «con le disposizioni specificamente adottate per tali rapporti» [16]. Le direttive sub b) e c), in teoria, veicolano l’obiettivo-sfida parallelo, di favorire l’innovazione, organizzativa e digitale, all’interno della pubblica amministrazione e, per questa via, aumentarne l’efficienza e l’efficacia dell’azione amministrativa, ex artt. 97 e 98 Cost. [17], riproponendo in sostanza i due obiettivi-chiave dell’art. 18, l. n. 81/2017, calati nel diverso contesto ontologico del lavoro pubblico. In pratica, il ricorso al lavoro agile ha privilegiato, nella fase sperimentale ante Covid-19 (maggio 2017-gennaio 2020), le esigenze “solidaristiche” di conciliazione dei dipendenti e, per questa via incentrata sulla soddisfazione e sul benessere dei dipendenti che lavorano da remoto, il vantaggio comune del miglioramento delle performance soggettive. Invece – si anticipa – nella fase emergenziale (febbraio 2020-ottobre 2021), la modalità agile, dapprima, ha garantito la mera continuità del­l’azione amministrativa. Solo più tardi sono emerse le esigenze di programmazione di obiettivi di sviluppo delle condizioni tecnico-orga­nizzative per una implementazione diffusa ed efficace dello smart working a regime, nella fase post pandemica (dal novembre 2021), che [continua ..]


3. La traiettoria “a fisarmonica” della disciplina emergenziale

Nel contesto della crisi da Covid-19, la normativa emergenziale e i protocolli anti-contagio hanno conferito un ruolo chiave al lavoro da remoto in tutti i settori – anche oltre la subordinazione – imponendo un accelerato impulso a una diffusione esponenziale, purtroppo realizzata, specie nel settore pubblico, «nella stragrande maggioranza dei casi, in forme largamente improvvisate, senza cioè una adeguata formazione e preparazione culturale», manageriale e digitale [26]. Nell’ambito della subordinazione, il legislatore lo ha promosso con una deroga vistosa al regime di volontarietà, intaccando l’architrave della modalità di lavoro («anche in assenza degli accordi individuali») riconducendo l’accesso, generalmente, allo ius variandi latamente inteso, e con alcune semplificazioni della disciplina ordinaria di cui alla l. n. 81/2107, peraltro – soltanto nel pubblico – senza richiamare i principi espressi dagli artt. 18-23 della citata legge (art. 87, c. 1, d.l. n. 18/2020, c.d. “Cura Italia”, conv., con modd., in l. n. 27/2020). In sintesi, il legislatore emergenziale ha identificato un modello di lavoro agile diverso da quello idealtipico ordinario: nel pubblico, specie per le sue modalità di esecuzione e, a monte, per la sua (mancata) progettazione [27]. Ne è risultata una versione del lavoro agile efficacemente definita “edulcorata” o “emergenziale” [28] e, soprattutto, distante dalla filosofia aziendalistica dello smart working. Di fatto, l’e­sperienza è stata molto simile a quella del vecchio “tele-lavoro”, seppur il tradizionale collegamento con il telefono sia stato sostituito da altri strumenti digitali e la distanza sia stata “forzata” e “da casa”, per le note motivazioni sanitarie. Il lavoro agile pandemico è figlio di una stratificazione normativa (di tipo alluvionale, fitta e complicata) di provvedimenti, per lo più nella veste di decreti d’ur­genza [29], con molteplici modifiche “a fisarmonica” (a seconda dell’andamento della curva epidemiologica), con un’efficacia giuridica limitata: a volte, nello spazio (con il sistema delle zone colorate) e, sempre, nel tempo, nonché con una crescente divaricazione di regolamentazione tra settore pubblico e privato in prossimità della [continua ..]


3.1. La deroga alle disposizioni vigenti: il boom del lavoro agile

Nei mesi iniziali dello stato di emergenza – proclamato in ragione del rischio sanitario (a partire dal 31 gennaio 2020) e più volte prorogato (sino al 31 marzo 2022) in base a reiterate Delibere del Consiglio dei ministri – le eccezioni e le deroghe alla disciplina ordinaria della l. n. 81/2017 sono risultate (con lievi differenze) sostanzialmente coincidenti tra lavoro pubblico e privato, forse in quanto entrambe dettate principalmente allo scopo di protezione della salute pubblica. Successivamente, di proroga in proroga, le differenze si sono moltiplicate [30], alimentando l’impressione che l’impatto del Covid-19 sconti le perduranti diversità ontologiche di contesto fra settore privato e pubblico, con una conseguente e crescente differenziazione delle regole (specie di ricorso) sul lavoro agile. Nel pubblico, il lavoro agile, dall’iniziale inerzia e resistenza, alla sperimentazione forzata, diventa addirittura tendenzialmente obbligatorio per effetto dell’art. 87, c. 3, d.l. n. 18/2020, a meno che “non sia possibile”. Il c. 1 dello stesso articolo (accompagnato dalla direttiva n. 2 del 2020 della Ministra Dadone) – “in deroga” rispetto alle previsioni dell’art. 18 della l. n. 81/2017 – eleva il lavoro agile a «modalità ordinaria» e unilaterale (senza la stipula dell’accordo individuale) di svolgimento della prestazione lavorativa per gran parte del personale “smartabile”. Inoltre, visto il lockdown durato alcuni mesi, normalmente esso viene svolto presso il domicilio del lavoratore, senza rientri in ufficio, assumendo la forma di homeworking o telelavoro a domicilio. L’esplosione del lavoro agile è accompagnata da una fitta rete di orientamenti ministeriali (direttive e circolari), a volte recepiti ed elevati al rango di fonte dai decreti d’urgenza [31]; addirittura stabilendo d’imperio percentuali minime piuttosto alte di smart working per ogni amministrazione, ma prescindendo dalle “condizioni abilitanti”, con una sottovalutazione delle tecniche di regolazione e del coinvolgimento del sindacato. E, ancora, sono mancati: l’accompagnamento a un efficace processo di innovazione digitale, anche solo in termini di dematerializzazione dei documenti e interoperabilità delle banche dati; la formazione dei lavoratori e l’acquisizione delle professionalità [continua ..]


3.2. Il rientro anticipato nell’ordinaria specialità: lo sboom del lavoro agile

La vera svolta, all’insegna del titolo di un noto programma televisivo di qualche anno fa, nel senso di “indietro tutta”, con la fine del lavoro agile “unilaterale” e il ritorno in ufficio, prende avvio, in modo assai tortuoso, all’interno della fase di stato di crisi emergenziale. Il ritorno alla normalità, disciplinato dal decreto del Ministro Brunetta dell’8 ottobre 2021 e corredato dalle “Linee guida in materia di lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche” adottate il 30 novembre 2021 [43] ha una data precisa, stabilita, dal d.P.C.M. 23 settembre 2021, nel 15 ottobre 2021. La vicenda ha alimentato un vivace dibattito, anche politico, in quanto l’inversione è stata realizzata nel contesto dell’emergenza pandemica (all’epoca prevista fino al 31 dicembre 2021), nelle more dell’entrata in vigore delle regole dei contratti collettivi di comparto 2019-2021 e del nuovo PIAO [44]. Dal 15 ottobre 2021, si recupera, in via anticipata rispetto al settore privato, sia l’accordo individuale tra le parti (con l’ordinaria procedura di comunicazione, ex art. 23, l. n. 81/2017: ma v. par. 5.2), sia l’originaria funzionalità del lavoro agile, di norma, quale strumento di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. In pratica, si procede al ripristino dello svolgimento della prestazione lavorativa “in presenza”, quale modalità ordinaria di lavoro per «consentire alle amministrazioni pubbliche di operare al massimo delle proprie capacità» e per offrire «il massimo supporto alla ripresa delle attività produttive e alle famiglie», con particolare riferimento alle attività connesse all’attuazione del PNRR (d.P.C.M. 23 settembre 2021). Dalla seconda metà di ottobre 2021, nel settore pubblico, da un lato, ritornano in vigore le disposizioni della previgente disciplina, a partire dalla necessità di un patto accessorio di lavoro agile, di cui all’art. 18, c. 1, l. n. 81/2017 [45]; dall’altro lato, l’accesso al lavoro agile è soggetto al rispetto di un rilevante elenco di “condizionalità”, fissato dall’art. 1, c. 3, d.m. 8 ottobre 2021 (che recupera diverse previsioni della direttiva n. 3 del 2017), relativo ai contenuti del citato patto individuale, tra cui segnalo l’alternanza, con una prevalenza, per [continua ..]


4. L’eredità della pandemia: l’accesso prioritario alle modalità agili per i lavoratori “fragili”

La disciplina emergenziale, con le sue deroghe alla disciplina (speciale) ordinaria, ha lasciato un segno, duplice e profondo, sulle modalità di accesso al lavoro agile: ha cancellato, in una logica semplificatoria, la necessità del patto accessorio con il riconoscimento di una prerogativa unilaterale del datore, arricchendo il ruolo della dirigenza pubblica; ha promosso il ricorso al lavoro da remoto quale strumento di prevenzione e di contenimento del contagio, specie per talune categorie di soggetti in condizioni di debolezza, purtroppo diffuse, ma spesso dimenticate, se non a rischio discriminazioni [47]. La normativa pandemica, da un lato, riconosce al datore un potere eccezionale (esercitato dal dirigente) di pretendere, in via unilaterale (cioè senza il consenso del lavoratore), dai dipendenti pubblici lo svolgimento della prestazione in modalità agile, addirittura quale modalità ordinaria, con un lavoro svolto, anche regolarmente, a distanza e con strumenti propri. Dall’altro lato, disciplina, in chiave protettiva, la pretesa di accesso a tale modalità (se compatibile) a favore di una nuova categoria di lavoratori fragili. Nel pubblico (a differenza del privato), la prima deroga emergenziale, pro-datore, è spirata prima della fine dello “stato di emergenza”, ripristinando l’obbligo ordinario per il ricorso alla modalità agile di sottoscrizione di un accordo individuale, seppur con contenuti inevitabilmente “schiacciati” verso la standardizzazione (par. 4.2). La seconda deroga emergenziale, pro-lavoratore, non giunge sino alla soglia di riconoscere un vero e proprio diritto dei dipendenti pubblici “a svolgere la prestazione secondo i propri timori, desideri o necessità, dovendosi, in tutti i casi, ponderare la remotizzazione del lavoro nelle pp.aa. con l’efficienza del servizio, ex artt. 97 e 98 Cost.” [48]. L’agevolazione del lavoro agile per i fragili è stata (come nel privato) applicata oltre l’emergenza, seppur): ora sembra spirata al 30 giugno 2022 (par. 4.2). Ma sul punto le proroghe tardive, con effetti retroattivi, sono già diventate una prassi, pertanto, in prima battuta, mi concentro su questo lascito pandemico che potrebbe riemergere e persino diventare disciplina a regime, specie se la promozione del lavoro agile per i fragili riesce a allentare gli effetti collaterali di tipo [continua ..]


4.1. Le condizioni di “fragilità”

Con il diritto dell’emergenza, è emersa in chiave protettiva, (anche) nel lavoro pubblico, una nuova categoria di lavoratori [49] definiti dal legislatore, per il fattore di rischio sanitario-occupazionale, come “fragili”. Nel contesto della pandemia, il concetto di fragilità si pone al confine tra la vulnerabilità per cause di natura sanitaria e il rischio di esclusione socio-lavorativa [50], includendo sia condizioni specifiche di salute, sia condizioni che connotano una vulnerabilità sociale. La fragilità viene, quindi, intesa in senso ampio, includendo le ipotesi di esposizione al rischio di contagio dei dipendenti pubblici correlate alle caratteristiche di salute – per comorbilità, stato immunitario, condizione metabolica, assunzione di farmaci, età – del possibile ospite del virus (stesso lavoratore o figli con disabilità [51]). In pratica, i lavoratori fragili non sono impossibilitati a svolgere la prestazione lavorativa, ma presentano, durante l’emergenza, maggiori difficoltà e rischi rispetto ai colleghi, a causa di patologie pregresse o in corso. Per queste caratteristiche, la nozione e le tutele risultano sincronizzate sulla durata dell’emergenza pandemica, ma con criticità che meritano una segnalazione. I confini della nuova categoria di lavoratori fragili appaiono incerti, con conseguenti difficoltà di applicazione e relativi disagi. Dapprima, l’art. 26, c. 2, d.l. n. 18/2020 riconduce alla nozione di fragili i seguenti “dipendenti pubblici” (nonostante la rubrica menzioni solo i privati): a) “in possesso del riconoscimento di disabilità, con connotazione di gravità”, ai sensi dell’art. 3, c. 3, l. n. 104/1992; b) “in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico-legali” attestante una “condizione di rischio derivante da immunodepressione”; c) ovvero “da esiti da patologie oncologiche”; d) o dallo “svolgimento di relative terapie salvavita”. Sin dalla sua apparizione, la nozione alimenta incertezze e nuovi dilemmi [52], anche con sovrapposizioni parziali con altre norme (sempre a termine) [53], ma è a ridosso della fine dello stato di emergenza che la situazione diventa ingarbugliata. L’art. 17, c. 2, d.l. n. 221/2021 (conv., con modd., in l. n. 11 del 2022) rinvia a [continua ..]


4.2. La promozione (temporanea) dell’accesso alle modalità agili

Le diverse ipotesi di fragilità sono accomunate dall’agevolazione (temporanea) nell’accesso al lavoro agile (pandemico e ordinario), quale strumento di prevenzione (per sé o per i figli disabili) del rischio di contrarre il virus. Invero, la promozione del lavoro agile per i lavoratori fragili potrebbe essere ricondotta al macro-obiettivo ordinario di agevolare la conciliazione delle esigenze di vita e di lavoro, ma aggiunge un di più dato dalla sua funzione di prevenzione e di protezione, nonché di inclusione socio-lavorativa dei soggetti con diversità dovute a condizioni personali (di salute propria o dei figli). In tale ottica, la protezione specifica dovrebbe resistere oltre il periodo circoscritto dell’emergenza pandemica quale declinazione, in concreto, dell’effettività del diritto al lavoro per i soggetti in condizioni di svantaggio [58]. Invece, il mosaico delle proroghe legali è complicato, lacunoso e pur sempre a termine (v. infra). In sintesi, il lavoro agile, cui i lavoratori fragili possono essere destinatari privilegiati, diviene, nel contesto della pandemia, uno strumento poliedrico che consente di soddisfare interessi diversi: individuali e collettivi, privati e pubblici, di salute e di lavoro. Il tutto, però, con la consapevolezza che il lavoro da remoto è uno strumento ambivalente in quanto idoneo ad agevolare sia l’inclusione sia l’esclusione dei lavoratori e delle lavoratrici. Per il lavoratore (a maggior ragione se in condizioni di svantaggio) può rappresentare sia un’opportunità, cioè una circostanza favorevole, per cui i lavoratori fragili potrebbero trarre un miglioramento del benessere dal lavoro, con una potenzialità inclusiva [59]; sia una circostanza sfavorevole, specie con riguardo ai rischi di isolamento o di vero e proprio stress-lavoro correlato. Allo stesso modo, i lavoratori fragili potrebbero trarre un miglioramento del benessere dal lavoro a distanza, vuoi nella modalità agile con un’alternanza dentro l’ufficio-fabbrica, vuoi nella modalità di telelavoro sempre da luoghi esterni all’a­zienda. Con la fine dello stato di crisi sanitaria (e successivo periodo di post-emer­genza), si assiste a una mancata reiterazione, per via legale, di diverse protezioni per i lavoratori fragili [60], nonostante (o a causa) del [continua ..]


5. Innovazioni verso la normalità post-pandemica

La traiettoria verso la nuova normalità, procede, per un verso, nell’attesa dell’al­lungamento della coda emergenziale, per altro verso, nel consolidamento di alcuni tratti innnovativi della disciplina pandemica. Sul primo versante, l’ennesima proroga della tutela agile per i lavoratori fragili è auspicata dalle Parti sociali nel punto 12 del nuovo “Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2/ COVID-19 negli ambiti di lavoro”, siglato proprio il 30 giugno 2022, incrociandone la firma con la scadenza delle proroghe. È vero che il Protocollo aggiorna i precedenti accordi su espresso invito dei (soli) Ministri del lavoro e delle politiche sociali, e della salute, nonché richiama la circolare n. 1 del 2022 del Ministro Brunetta, tuttavia pare avere l’obiettivo di garantire l’efficacia delle misure precauzionali – incluso il lavoro agile, quale “strumento utile per contrastare la diffusione del contagio da Covid-19, soprattutto con riferimento ai lavoratori fragili, maggiormente esposti ai rischi derivanti dalla malattia” (punto 11) – in tutti gli “ambienti di lavoro non sanitari” (come recita l’incipit). E comunque, le Parti sociali auspicano, nel citato punto 12, l’ulteriore proroga dei c. 1-bis e 1-ter, d.l. n. 24/2022, conv., con modd., in l. n. 52/2022, cioè delle norme che hanno traghettato oltre l’emergenza proprio il nucleo centrale dell’art. 26, d.l. n. 18/2020, relativo alla protezione del lavoro agile per i lavoratori fragili non solo del settore privato (come recita impropriamente la rubrica, con riferimento alle disposizioni del c. 1), ma anche di quello pubblico (come si evince dal testo del c. 2 e 2-bis). Sul secondo versante, la speranza è che lo stillicidio di proroghe faccia maturare la consapevolezza di una preziosa eredità della disciplina (transitoria) emergenziale, da stabilizzare rispetto alla futura messa a regime della disciplina (finalmente) normale del lavoro agile, quale formidabile leva non soltanto di innovazione digitale e organizzativa, ma anche di inclusione dei soggetti svantaggiati, di miglioramento del benessere personale e organizzativo, nonché della qualità della prestazione lavorativa e dei servizi offerti agli utenti, cioè anche agli stessi lavoratori. Vediamo, [continua ..]


5.1. Le nuove priorità per l’agilità (c. 3-bis e 3-ter dell’art. 18, l. n. 81/2017)

Il 30 giugno 2022 è (anche) la data del d.lgs. n. 105/2022, di attuazione della direttiva UE 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 (e di abrogazione della direttiva 2010/18/UE del Consiglio), che consolida la promozione “selettiva” della modalità di lavoro agile per quei dipendenti che presentano un fattore di rischio occupazionale a causa delle esigenze (come reca l’intitolazione dello stesso decreto) di “equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza” (c.d. care givers). L’art. 4, c. 1, lett. b), n. 1, del d. lgs. n. 105/2022 riscrive, integralmente e in via stabile, il c. 3-bis dell’art. 18, l. n. 81/2017, correggendo – per la seconda volta [73] – l’iniziale atteggiamento neutrale del legislatore del 2017 rispetto al dichiarato obiettivo di “agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro” [74]. Per effetto della novella, il datore/dirigente è tenuto a riconoscere, “in ogni caso” di scelta di stipulazione “di accordi per l’esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile”, una “priorità” di accesso alle richieste formulate dalle seguenti figure di lavoratori: a) genitori con figli fino a dodici anni di età; b) genitori con figli, “senza alcun limite di età”, in condizioni di disabilità, ai sensi dell’art. 3, c. 3, l. n. 104/1992; c) disabili in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, c. 1, l. n. 104/1992; d) c.d. “caregivers”, ai sensi dell’art. 1, c. 255, l. n. 205/2017. La novella del 2022, coltivando la traiettoria euro-unitaria verso un’equa ripartizione delle responsabilità di cura genitoriale e di assistenza, individua nel lavoro a distanza una delle forme di flessibilità da privilegiare nella prospettiva della work life balance per entrambi i genitori-lavoratori e per i prestatori di assistenza. Il legislatore – consapevole della debolezza della tecnica – rafforza le richieste di lavoro agile formulate “dalle lavoratrici e dai lavoratori” aggiungendo due nuovi periodi al c. 3-bis, art. 18, l. n. 81/2017, in virtù dei quali: i) il dipendente che richiede di fruire del lavoro a distanza “non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, [continua ..]


5.2. La comunicazione semplificata (c. 1 dell’art. 23, l. n. 81/2017)

Sul fronte del consolidamento, per via legale, delle innovazioni emergenziali segnalo che la semplificazione della procedura di comunicazione dell’agilità – ammessa in via eccezionale durante la pandemia – viene resa ora ordinaria, riducendo un adempimento burocratico pre-Covid [77] del datore di lavoro che in certe situazioni può divenire pesante. Come noto (§ 3.1), la decretazione pandemica per agevolare la diffusione rapida e ampia del lavoro a distanza, quale strumento di prevenzione e di protezione della salute individuale e collettiva, ne ha consentito l’attivazione in assenza dell’accordo individuale e con una procedura di comunicazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali “semplificata”: in via telematica, in forma massiva e ovviamente senza l’allegazione del patto di agilità. Con il comune ritorno all’accordo individuale di lavoro agile – previsto, dal 1° settembre 2022, anche nel settore privato [78] – l’obbligo di comunicazione diventa semplificato in via stabile, con decorrenza dalla stessa data. Più in dettaglio, la conversione in legge (n. 122/2022) del c.d. decreto “Semplificazioni” (d.l. n. 73/2022) ha aggiunto l’art. 41-bis che prevede: nella lett. a), una modifica del c. 1 dell’art. 23, l. n. 81/2017, riducendo la comunicazione a pochi elementi [79] (condivisi con l’INAIL); nella lett. b), l’aggiunta nella rubrica del cit. art. 23 il riferimento ai nuovi “Obblighi di comunicazione”, resi più snelli. La norma del 2022 prevede, inoltre, in caso di mancata comunicazione dei dati secondo le modalità semplificate, una sanzione amministrativa da 100 a 500 euro per ogni lavoratore interessato (ex art. 19, c. 3, d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276). La novella dell’art. 23, l. n. 81/2017, quindi, contempla – a far data dal 1° settembre 2022 – uno snellimento della procedura comunicazione degli accordi di lavoro agile a vantaggio dei datori di lavoro, senza intaccare la sicurezza del lavoratore e in accordo con i contenuti del “Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile”, sottoscritto alla presenza del Ministro del lavoro e delle politiche sociali il 7 dicembre 2021, con il quale le Parti sociali hanno inteso definire un efficace quadro di riferimento per la corretta applicazione del lavoro [continua ..]


5.3. Il nuovo protagonista: la contrattazione collettiva

Infine, nella traiettoria del lavoro agile che verrà (e delle correlate innovazioni organizzative, digitali e amministrative) sta entrando in gioco un protagonista sinora rimasto (per lo più) in panchina nel settore pubblico: la contrattazione collettiva, nazionale e integrativa, che potrebbe determinare un nuovo inizio. L’impegno a dare accesso privilegiato al lavoro agile per i prestatori “in condizioni di particolare necessità” è previsto nei primi due contratti collettivi 2019-2021, Funzioni centrali e Sanità [83], con un modello già divenuto uno standard, presumibilmente replicabile agli altri comparti. Il lavoro agile viene, per la prima volta (anche a livello europeo), regolamentato in modo generalizzato nei contratti collettivi nazionali del pubblico impiego, ma con un doppio binario: vuoi di “lavoro agile”, vuoi di “lavoro da remoto” (che include il telelavoro domiciliare e altre forme di lavoro a distanza, come il coworking o “il lavoro decentrato da centri satellite”); in entrambi casi verso la comune destinazione di un “lavoro a distanza”. A una prima lettura, “la formula contrattuale si rivela, paradossalmente, più standardizzata per il lavoro agile”  [84] suscitando l’impressione che il secondo binario possa risultare a scorrimento più rapido. Tuttavia, l’accesso prioritario ai soggetti svantaggiati è regolamentato, in modo vago, nel contratto collettivo soltanto in relazione alla tipologia di lavoro agile (art. 37 Funzioni centrali, art. 77 Sanità). Il CCNL, “mantenendo fermi i diritti di priorità sanciti dalle normative tempo per tempo vigenti”, impegna l’Amministrazione – “previo confronto” con i soggetti sindacali titolari della contrattazione collettiva integrativa aziendale – “a facilitare l’accesso”, individuando meri criteri di priorità, per le figure di lavoratori in difficoltà. Se così è, la differenziazione per via negoziale delle ipotesi di agevolazione dell’agilità verrà declinata nell’ambito di prossimità della contrattazione integrativa (territoriale o di amministrazione), in cui dovrebbe esserci una maggior consapevolezza delle necessità tecniche delle attività, delle condizioni di particolare necessità della [continua ..]


NOTE