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Il quiet hiring nella pubblica amministrazione italiana: la vicenda del “c sveglio”, le assunzioni silenziose e la disciplina delle mansioni superiori

Rocco Larocca, Coordinatore Direzione Risorse umane Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

Il contributo tratta brevemente dell’evoluzione della disciplina in tema di mansioni superiori nel pubblico impiego collegandola alla constatazione che la crescente diffusione della terminologia di origine anglosassone usata per descrivere i rapidi cambiamenti in atto nel mondo del lavoro, in questo presente post-pandemico, ha in realtà una fenomenologia diffusa e presente da tempo nel nostro ordinamento, specie in tema di “assunzioni silenziose” nella Pubblica Amministrazione.

The article briefly deals with the evolution of the discipline about higher tasks in the public administration. This evolution is linked to the statement that the growing use of an anglo saxon terminology to describe the rapid changes taking place in the labour market especially in this post-pandemic period, has actually a phenomenology widely present in our legal system, especially in terms of “quiet hiring” in the Public Administration.

Come ricordato dal numero del 16 gennaio 2023 della rivista on line Linkiesta (Forza Lavoro), gli addetti ai lavori e gli studiosi di organizzazione del lavoro non riescono a smettere di coniare nuovi termini anglofoni per descrivere quello che accade nel mondo del lavoro. L’uso degli slogan in questo contesto è uno strumento spesso utile a tradurre e rendere comprensibili i rapidi cambiamenti in atto: così è stato ad esempio per lo smart working. Nel libro “Out of office [1] il messaggio del cambiamento è passato attraverso uno slogan utile a descrivere lo sconvolgimento che avveniva nel mondo del lavoro: “The future isn’t about where we will work, but how; Il futuro non riguarda dove lavoreremo, ma come”.

Quindi, dopo gli anni dello smart working e del quiet quitting [2] nel 2022, l’anno appena iniziato si annuncia come l’anno del quiet hiring, ovvero delle “assunzioni silenziose”, l’ultimo fenomeno arrivato dagli Stati Uniti.

Il termine quiet hiring [3] tratteggia il modo in cui i datori di lavoro di oltreoceano, per affrontare i problemi della recessione post-pandemica, stanno cercando di sopravvivere non aggiungendo più dipendenti agli organici, ma chiedendo ai lavoratori già in servizio di cambiare ruolo e sommare mansioni per le quali servirebbero in realtà nuovi assunti.

È un fenomeno nuovo e che riguarda solo il dinamico mondo anglosassone? Un fenomeno che riguarda solo la disciplina del lavoro nelle aziende private? A pensarci bene, niente di tutto ciò.

Prima dell’avvento della necessità di reclutare professionisti, project manager, esperti e quanto altro utile a selezionare i profili tecnici e gestionali necessari alla realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) (ex d.lgs. n. 80/2021) - necessaria conseguenza degli anni di “sfoltimento” del personale e delle competenze nelle pubbliche amministrazioni, nelle Università e negli Enti di ricerca - non era difficile percepire nei corridoi delle P.A. italiane una diversa ansia: quella di reclutare e accaparrarsi, magari solo a tempo determinato, profili professionali bassi (per contenere la spesa di personale) dal punto di vista delle categorie ed aree previste dai CCNL, ma dotati di alto potenziale e soprattutto caratterizzati da un astratto elevato profilo professionale, maturato (sic) attraverso anni di studio; risorse da destinare a svolgere, di fatto, mansioni complesse e non assolutamente corrispondenti alla categoria di classificazione e di retribuzione. In due parole, il c.d. “C sveglio [4].

Questa prassi può essere riassunta nell’espressione assunzioni silenziose (appunto quiet hiring), necessarie in quanto le dotazioni delle pubbliche amministrazioni sono ormai sature nei profili di carriera più elevati a causa dell’abuso degli “scivolamenti” automatici di anzianità e degli altri istituti di mobilità verticale. Come anticipato, si tratta di un processo che implica di fatto lo svolgimento di mansioni superiori.

È noto che dal punto di vista civilistico la disciplina delle mansioni è dettata dall’art. 2103 c.c., modificato da ultimo dal d.lgs. n. 81/2015, secondo cui “Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.

Con la riforma del 2015 (il c.d. Jobs Act), dunque, se da un lato è stato salvaguardato il principio di contrattualità delle mansioni, [5] per il quale il lavoratore è obbligato a prestare l’attività lavorativa determinata (mediante l’indicazione dei compiti specifici, ovvero le mansioni) al momento della costituzione del rapporto di lavoro, dall’altro vi è stato un progressivo avvicinamento della disciplina privatistica a quella pubblicistica, soprattutto sul piano della c.d. “equivalenza formale” delle mansioni stesse [6].

Tuttavia, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, non si applica l’art. 2103 c.c., in quanto vi è una specifica disciplina nell’art. 52, d.lgs. n. 165/2001 che, dopo aver ribadito il diritto del lavoratore ad essere adibito alle mansioni “per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell’ambito dell’area di inquadramento” - aggiunge che “L’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione [7]”.

Ma così non è stato o non è in tante P.A.

Lo stato “patologico” di gestione del rapporto, prima ricordato, trova rimedio, da un lato, nelle redivive progressioni verticali [8], che consistono in un percorso di sviluppo professionale, riservato ai dipendenti dell’amministrazione, che prevede il passaggio da una categoria alla categoria superiore e si attua attraverso procedure di selezione interna; dall’altro, in via giurisdizionale, attraverso la promozione di contenziosi innanzi al giudice competente.

Prima di esaminare questo aspetto, occorre precisare che l’art. 52 prevede ipotesi normative di assegnazioni di mansioni superiori: “per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti; nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto per la durata dell’assenza; si considera svolgimento di mansioni superiori, soltanto l’attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni; per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore”. Al di fuori di queste ipotesi tassative ed eccezionali, l’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore è da considerarsi nulla, ma anche in questo caso al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l’assegnazione risponde personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave (art. 52, c. 5, d.lgs. n. 165/2001).

Ricca è la letteratura scientifica sul tema e consolidato può dirsi l’orienta­mento giurisprudenziale secondo il quale, nell’accertamento della fattispecie, il procedimento logico giuridico diretto alla determinazione dell’inquadra­mento di un lavoratore subordinato si sviluppa in tre fasi successive, consistenti in: accertamento di fatto delle attività lavorative svolte in concreto; individuazione delle qualifiche previste dal contratto collettivo di categoria; raffronto tra i risultati delle due prime indagini [9].

Alcune recenti pronunce hanno, in parte, innovato i criteri per il riconoscimento delle mansioni superiori ex art. 52, c. 5, d.lgs. n. 165/2001; in particolare, l’ordi­nanza della Corte di Cassazione n. 2275/2021 [10] pone in evidenza la rilevanza dell’atto di macro-organizzazione, con il quale l’amministrazione abbia adattato alla propria struttura i profili professionali previsti dalla contrattazione collettiva, sul piano dell’accertamento dell’assegnazione di mansioni superiori. In particolare, la Suprema corte ha affermato che “nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato, l’accertamento dello svolgimento di mansioni superiori deve essere operato avuto riguardo all’atto di macro-organizzazione, di portata generale, con il quale l’amministrazione ha adattato alla propria struttura i profili professionali previsti dalla contrattazione collettiva, individuando i posti della pianta organica”.

L’indicazione di determinati profili professionali previsti dalla contrattazione collettiva nell’ambito di un atto di macro-organizzazione consente al lavoratore di dimostrare che l’assegnazione a una posizione organizzativa predeterminata nell’at­to generale integra l’ipotesi di assegnazione di mansioni superiori. Pertanto, in tal caso spetta al datore di lavoro (e non al lavoratore) dimostrare che le mansioni svolte di fatto non corrispondono in modo prevalente al profilo professionale e alla posizione organizzativa prevista dall’atto generale di macro-organizza­zione e al quale il lavoratore è stato formalmente (ancorché illegittimamente) adibito [11].

Ancora la Corte di cassazione, con la sentenza n. 1496/2022, ha affermato che, in materia di pubblico impiego contrattualizzato, lo svolgimento di fatto di mansioni proprie di una qualifica anche non immediatamente superiore a quella di inquadramento formale comporta in ogni caso il diritto alla retribuzione propria di detta qualifica superiore; questo diritto non è condizionato alla legittimità dell’asse­gnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, né all’operatività del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva. Una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 della Costituzione [12].

L’uso della nostra tradizionale terminologia è sicuramente meno accattivante del quiet hiring, e forse anche meno immediato per descriverne gli effetti. Tuttavia, senza avventurarsi in complicate letture di diritto comparato, le recenti pronunce prima citate dimostrano, ancora una volta, da un lato, gli elevati profili di protezione lavorativa che le nostre norme garantiscono ai lavoratori, a differenza di quanto in altri ordinamenti; dall’altro, evidenziano la cura e la diligenza che è richiesta dal legislatore a dirigenti e responsabili nelle pubbliche amministrazioni, anche dopo il venir meno dei mansionari stabiliti per legge [13], nel definire gli atti di organizzazione (il concetto di dotazione organica risulta desueto alla luce degli interventi normativi operati sull’art 6 del d.lgs. n. 165/2001 in tema di programmazione del fabbisogno di personale) e i compiti e le attività da affidare al personale reclutato.

Il legislatore, con il d.l. n. 36/2022, ha avviato la tanto attesa riforma delle procedure di reclutamento nella P.A. Dopo più di 28 anni (d.P.R. n. 487/1994), come annuncia il sito della Funzione Pubblica, “cambieranno le regole per l’accesso agli impieghi e le modalità di svolgimento dei concorsi pubblici nel segno della digitalizzazione, della semplificazione, della parità d’accesso ed equilibrio di genere, superando le situazioni di svantaggio, con l’obiettivo di garantire la massima partecipazione ai concorsi e la piena trasparenza ed efficienza nelle procedure. Regole più snelle e “razionali” per l’accesso alla PA che mettono a sistema tutte le riforme per la rivoluzione del reclutamento promossa dal governo Draghi” per far fronte alle esigenze derivanti dalla sfida del PNRR e selezionare le migliori competenze professionali”; il cambio di paradigma consentirà - o quantomeno dovrebbe consentire - di superare la tradizionale tendenza attraverso la quale i concorsi pubblici hanno da sempre puntato a scegliere il candidato con le maggiori conoscenze richieste dallo specifico ruolo ricercato, senza premurarsi di accertare le capacità richieste dalla stessa posizione, trascurando la parte del saper mettere in pratica le nozioni teoriche: capacità, queste, indispensabili per il raggiungimento di una buona performance, tanto per i ruoli operativi quanto per i ruoli manageriali [14].

Ad oggi, il processo di riforma ha subito un’ulteriore battuta di arresto: il Consiglio di Stato ha sospeso la pronuncia del proprio parere (per necessità di approfondimenti istruttori) sullo “Schema di regolamento recante modifiche al d. P.R. 9 maggio 1994, n. 487, concernente norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi”, così rinviando il testo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Diverse le criticità rilevate tra le quali alcune riguardano la digitalizzazione delle procedure, il reclutamento finalizzato al PNRR, i titoli di riserva, la parità di genere [15].

Ancora una volta si palesano ostacoli sul cammino delle riforme e sulla strada della semplificazione delle procedure di reclutamento del personale nelle P.A. Stay tuned.

 

NOTE

[1] Cfr. Warzel-Petersen, “Out of Office: The Big Problem and Bigger Promise of Working from Home, New York, 2021.

[2] Quiet quitting, ovvero “abbandono silenzioso” consiste nel lavorare nei tempi e nei modi indicati dal contratto, senza fare straordinari o assumersi responsabilità straordinarie; nel periodo post-pandemia questo fenomeno, non nuovo, è sempre più visibile.

[3] La rivista INC. ha usato il termine lo scorso settembre per descrivere la strategia di Google di collocare alcuni dipendenti in nuovi ruoli all’interno dell’azienda; Emily Rose McRae, direttrice senior della ricerca di Gartner, lo ha reso popolare dopo che il suo rapporto sulle tendenze lavorative del 2023 è stato ripreso in un articolo della CNBC: “A new year is here, and with it, a new workplace phenomenon that bosses and employees should prepare for: quiet hiring. Quiet hiring is when an organization acquires new skills without actually hiring new full-time employees, says Emily Rose McRae, who has led Gartner‘s future of work research team inception, focusing on HR practices. Sometimes, it means hiring short-term contractors. Other times, it means encouraging current employees to temporarily move into new roles within the organization, McRae says.”È arrivato un nuovo anno e, con esso, un nuovo fenomeno sul posto di lavoro a cui capi e dipendenti dovrebbero prepararsi: le assunzioni silenziose. L’assunzione silenziosa è quando un’organizzazione acquisisce nuove competenze senza assumere effettivamente nuovi dipendenti a tempo pieno, afferma Emily Rose McRae, che ha guidato il team di ricerca sul futuro del lavoro di Gartner, concentrandosi sulle pratiche delle risorse umane. A volte, significa assumere a breve termine appaltatori. Altre volte, significa incoraggiare gli attuali dipendenti a trasferirsi temporaneamente in nuovi ruoli all’interno dell’organizzazione, afferma McRae”.

[4] Com’è noto, i dipendenti pubblici sono inquadrati, a livello di contrattazione nazionale di comparto, in almeno tre distinte aree funzionali, ad es. B, C, D; alla categoria C corrispondono le posizioni per le quali si accede con il requisito del titolo di studio della scuola superiore; in alcuni comparti la classificazione inizia con la categoria A (scuola dell’obbligo; B scuola superiore ecc.). La contrattazione collettiva individua un’ulteriore area per l’inquadramento del personale di elevata qualificazione.

[5] Per orientamento consolidato il termine “mansioni” indica «l’attività dedotta nel contratto sotto vincolo di subordinazione» (Giugni, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, Napoli, 1963, 3). Cfr. Del Gaiso, Lo jus variandi nei sistemi italiano e inglese, in WP ADAPT, 5, 2018.

[6] Cfr. Tampieri, L’equivalenza “formale” delle mansioni dal lavoro pubblico al lavoro privato, in questa Rivista, 1/2018: “Il vero obiettivo del legislatore, mediante la revisione della disciplina dell’e­quivalenza tra le mansioni - specialmente, ma non solo, per ciò che riguarda il lavoro privato - è quello di limitare la discrezionalità del giudice del lavoro”.

[7] T.A.R. Calabria 20 gennaio 2023, n. 91. L’accertamento giudiziale di mansioni superiori non soddisfa il requisito richiesto nei concorsi; l’espletamento di mansioni superiori nell’ambito del pubblico impiego non legittima alcuna aspettativa di inquadramento nella corrispondente qualifica, non potendo assumere rilevanza sul piano della formale qualificazione del rapporto di lavoro al punto da mutarne l’oggetto, ossia la qualificazione professionale del dipendente e le mansioni formalmente corrispondenti (cfr. Cass. civ. sez. lav. 10 marzo 2020, n. 6756; Cons. Stato sez. III 31 maggio 2021, n. 4172).

[8] La mobilità verticale, entrata in recessione come istituto con l’emanazione del decreto “Brunetta”, n. 150/2009, ha trovato nuova linfa prima con la riforma “Madia”, d.lgs. n. 75/2017, e poi a seguito della modifica al citato art. 52 ad opera del d.l. n. 80/2021: “le progressioni avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area dall’esterno, nonché sul numero e sulla tipologia degli incarichi rivestiti.

[9] Ufficio studi CODAU, Commento all’ordinanza della Corte di Cassazione n. 2275/2021, 3 marzo 2021, in www.codau.it.

[10] L’impiegato pubblico cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale (tra le altre, sentenze n. 908/1988; n. 57/1989; n. 236/1992; n. 296/1990), a una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost., che deve trovare integrale applicazione, senza sbarramenti temporali di alcun genere (Cass. sez. un. n. 25837/2007; Cass. 23 febbraio 2009, n. 4367).

[11] Si v. ancora Ufficio studi CODAU, Commento all’ordinanza della Corte di Cassazione n. 2275/2021, cit.

[12] G. Orefice, Mansioni superiori nel pubblico impiego: il parere della Cassazione, in lentepubblica.it, 18 marzo 2022.

[13] D.P.R. 29 dicembre 1984, n. 1219 (G.U. n. 256, Suppl. Ord. del 30 ottobre 1985): individuazione dei profili professionali del personale dei ministeri in attuazione dell’art. 3 della l. 11 luglio 1980, n. 312.

[14] Cfr. Aldigeri, Riforma delle modalità dei concorsi pubblici, in ilpersonale.it, 2.11.2022.

[15] Cons. Stato, Sezione Consultiva per gli Atti Normativi, Adunanza di Sezione del 12 gennaio 2023; numero 00137/2023 del 30 gennaio 2023.