Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Riflessioni sulla carriera del personale nelle società pubbliche (di Gabriella Nicosia)


Si tratta dell’intervento, arricchito del corredo bibliografico, presentato al Convegno organizzato dal Centro Nazionale Studi di Diritto del Lavoro “Domenico Napoletano”, sez. di Catania, sul tema Il rapporto di lavoro nelle società partecipate, Catania 19-20 ottobre 2018 e in corso di pubblicazione pure su In Iure Praesantia.

SOMMARIO:

1. Le aspirazioni di sviluppo professionale nel limbo della natura giuridica dei rapporti di lavoro - 2. Il dilemma delle progressioni verticali e la questione del concorso - 3. Le progressioni economiche nelle società pubbliche e le regole del diritto privato - 3.1. Accorgimenti applicativi per la soddisfazione delle attese e pretese degli utenti/clienti - NOTE


1. Le aspirazioni di sviluppo professionale nel limbo della natura giuridica dei rapporti di lavoro

Occuparsi di sviluppo professionale nelle società pubbliche vuol dire indirizzare un focus sulle strategie di gestione virtuosa del capitale umano. Va subito delimitato il campo di questa analisi, posto che non ci si occuperà di analizzare le caratteristiche delle diverse società pubbliche e ancor meno del quantum di pubblicistico sia alle medesime riconducibili. Ciò sulla base della consapevolezza che questo specifico aspetto non incide direttamente sulla gestione virtuosa del personale che invece è il cuore pulsante del tema che si proverà di seguito a indagare. Piuttosto si proverà a sciogliere un altro nodo interpretativo riassumibile nella questione se nelle società partecipate si fa carriera secondo le regole del diritto privato o secondo quelle del diritto pubblico. La domanda alla quale si intende dare risposta è così riassumibile: lo sviluppo professionale del personale nelle società pubbliche segue di default le regole del diritto dei privati ovvero residuano margini per introiettare regole e principi di matrice pubblicistica e perché. Proverò così a proporre una interpretazione rispetto al tema delle regole applicabili alle carriere del personale. Interpretazione che prende le mosse da una lettura sistematica delle norme adesso esistenti ma pure, e soprattutto, da valutazioni di opportunità sistemiche. Sotto questo specifico aspetto non può essere trascurata l’incidenza sulla fattispecie delle recenti normative e il tentativo di connotare fortemente i rapporti di lavoro che si sviluppano dentro le società pubbliche con le regole del diritto privato. Il legislatore parrebbe, infatti, avere operato una scelta di campo. Senza voler offrire una risposta all’interrogativo dal quale si è voluto prendere le mosse, basandosi sul mero dato normativo, qui basti almeno osservare che il legislatore del 2016 ha disposto espressamente all’art. 19, D.Lgs. n. 175/2016 [1] che: “Salvo quanto previsto dal presente decreto, ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle società a controllo pubblico si applicano le disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile, dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla nor­mativa vigente, e dai contratti [continua ..]


2. Il dilemma delle progressioni verticali e la questione del concorso

Lo sviluppo delle carriere, cioè le promozioni nelle società pubbliche, costituisce il terreno privilegiato – rectius il caso di scuola – per sperimentare questa delicata commistione e l’ancor più delicata collocazione del discrimen fra ciò che transita tout court sotto l’egida del diritto privato e ciò che rimane, invece, contagiato dai principi del diritto amministrativo. Proviamo, pertanto, a verificare quali siano le regole che governano le carriere o meglio lo sviluppo professionale dentro le società pubbliche [11]. Pur a fronte della novità introdotta dal D.Lgs. n. 175/2016, relativa, come sopra si è detto, alla dichiarazione espressa del tipo di disciplina applicabile a questi lavoratori, possiamo egualmente sostenere che sia stata contestualmente riaffermata la necessità di trasparenza, pubblicità e imparzialità nella selezione del personale e nel­l’affidamento di incarichi di lavoro autonomo; ciò proprio per scoraggiare il clientelismo dilagante in questi ambiti. Il legislatore non rinuncia, cioè, alla garanzia e vigilanza dei principi di matrice pubblicistica proprio nel cruciale momento del reclutamento [12]. In ragione di questo, è possibile sostenere che proprio ciò che sembra disporre de plano la natura giusprivatistica nell’ambito considerato finisce, viceversa, per confermare la tesi qui sostenuta della necessaria applicazione dello stesso mix virtuoso di fonti che normalmente si applica nel lavoro alle dipendenze di una qualsiasi PA. La dizione della norma che si occupa di gestione del personale riecheggia la tecnica utilizzata nell’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001 che indica a tutte le PA quale sia il corpus di norme da utilizzare per la disciplina dei rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici privatizzati e dei dirigenti. È statuito, infatti, che salvo quanto previsto dal presente decreto si applicano le disposizioni del capo I titolo II del libro V del Codice Civile. Si tratta della stessa tecnica dispositiva utilizzata nel D.Lgs n. 165/2001 per consolidare la contrattualizzazione del lavoro pubblico – in qualsiasi PA e per qualsiasi lavoratore del comparto o dirigente – estendo la disciplina applicabile al settore del lavoro privato con l’eccezione espressa delle disposizioni racchiuse nello stesso decreto [continua ..]


3. Le progressioni economiche nelle società pubbliche e le regole del diritto privato

Ragionamento diverso è possibile sviluppare con riguardo alle progressioni orizzontali o meramente economiche. Rispetto a questa fattispecie un rapporto di lavoro esiste ed è chiaramente e dichiaratamente – ai sensi dell’art. 19 del T.U. citato – ben incardinato sotto l’egida della disciplina privatistica. Si è al cospetto di una fase in cui il bisogno di selezione dei migliori, osservato al momento dell’accesso, è già stato soddisfatto. Esattamente come qualsiasi altro parallelo rapporto di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione tout court questo particolare momento del rapporto di lavoro si muove sotto l’egida del regime privatistico. Ciò perché, per espressa decisione del legislatore nel T.U. n. 175/2016, il lavoro nelle società pubbliche appare governato dalle regole del diritto dei privati. Tuttavia, va chiarito che ambito dominato dalle regole del diritto dei privati non significa assenza di limiti e principi: anche qui emerge prepotente il bisogno di protezione e garanzia di cui si è detto più sopra. Solo che si cambia registro e linguaggio. Si parla di adempimenti secondo buona fede e correttezza comportamentale. Adempimenti che, in ogni modo, a valle del percorso gestionale, potrebbero subire una verifica se abbiano, oppure no, tratto i­spirazione dal vincolo di scopo. In una dinamica di mera finalizzazione e non funzionalizzazione secondo la nozione sintetica rilanciata da Massimo D’Antona e di cui si è detto più sopra.


3.1. Accorgimenti applicativi per la soddisfazione delle attese e pretese degli utenti/clienti

La questione accennata nel paragrafo precedente induce ad interrogarsi su come coniugare la libertà iure privatorum con l’impatto sulla collettività degli utenti, a valle del sistema, di un’azione che finisce comunque per creare attese e pretese in quest’ultima. È vero che la gestione del personale in questi ambiti è attratta alla disciplina del diritto privato ma non per questo va sottaciuto che il lavoro nelle società pubbliche ha inevitabili ripercussioni sulla qualità del servizio erogato alla collettività degli cives. Ad avviso di chi scrive, anche rispetto allo sviluppo nei livelli retributivi occorre qualche argine sia pure non di matrice pubblicistica. Va rammentato, infatti, che nel rispetto del discrimen fra macro e micro organizzazione, quando ci si trova dinanzi alla gestione incentivante del personale, come nel caso specifico delle progressioni, è ai poteri del privato datore di lavoro di cui all’art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001 che bisogna fare ricorso e non certamente all’atto unilaterale (e discrezionale) di imperio. Ciononostante la forte vocazione di questi lavori a soddisfare l’utenza induce lo stesso a interrogarsi su quali siano i soggetti veramente meritevoli di progressione, sviluppo nei livelli retributivi. I casi di cronaca correlati alle vicende del personale delle società partecipate hanno tristemente evidenziato l’incapacità di ricorrere alle leve incentivanti in maniera virtuosa e con l’approccio del buon padre di famiglia, noto agli studiosi del diritto privato [18]. Cosa fare dunque per consentire sviluppi professionali senza scivolare in pratiche clientelistiche o amicali? Negli ultimi vent’anni si è potuto osservare un dialogo serrato tra la disciplina del lavoro privato e quella pubblica. Molte volte è stato l’ambito pubblico ad attingere dal privato ma altre volte è stato il settore privato a cogliere le best practices attivate nell’ambito del pubblico impiego. Basti pensare alle regole in materia di rappresentatività sindacale costruite negli anni 1997-98 – ampiamente e con successo sperimentate nel settore del pubblico impiego – e al ruolo di bussola che le medesime hanno svolto per l’ambito privato. Vale dunque la pena interrogarsi se non sia opportuno rilanciare le pratiche del monitoraggio [continua ..]


NOTE