Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Le aziende speciali degli enti pubblici e il fantasma dell'art. 2093 c.c. (di Maurizio Falsone, Ricercatore di Diritto del lavoro dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.)


La nota di commento esamina gli argomenti avanzati da due decisioni di merito per giustificare l’applicazione del diritto del lavoro privato anche alle aziende speciali di enti pubblici come le camere di commercio e gli enti locali. Approfondita la questione della natura degli enti pubblici e delle tecniche di distinzione fra enti pubblici economici e non economici, l’autore evidenzia come alla base delle decisioni vi sia l’art. 2093 c.c., una disposizione chiave per la corretta e agevole soluzione dei casi, che viene troppo spesso ignorata per i suoi riferimenti, solo formali, agli istituti corporativi fascisti.

This case note examines the arguments of the two decisions delivered to justify the application of the private labour law even to the special companies of public bodies like the chambers of commerce or the local authorities. Firstly, it deepens the issue of public bodies’nature and the techniques to distinguish publicly owned enterprises and public authorities. After that, the author argues that the decisions lie on Article 2093 c.c., a fundamental rule for the correct and quick solution of cases, which interpreters usually ignore since it formally refers to corporatist institutions.

CORTE DI APPELLO DI CATANZARO 24 FEBBRAIO 2020, n. 202 Pres. Portale – Est. Murgida – A. F. (avv. M.G. Murrone) C. Promocosenza (contumace) Le aziende speciali delle camere di commercio costituiscono una struttura autonoma che opera con modalità e strumenti non dissimili da quelli delle altre organizzazioni imprenditoriali, sicché in caso di accertamento dell’illegittimità di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto, non opera il divieto di conversione previsto dall’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001. TRIBUNALE DI VENEZIA 14 GENNAIO 2020, n. 15 Giud. Calzavara – M.B. e altri (avv. F. Mariosa) C. Azienda di Promozione Turistica della provincia di Venezia in liq. (avv. A. Bortoluzzi) Poiché l’azienda consortile fra enti locali (ex art. 31 d.lgs. n. 267/2000) è istituita nelle forme di azienda speciale ex art. 114 d.lgs. n. 267/2000, deve essere qualificata come ente pubblico economico, pertanto l’esubero di personale deve essere gestito ai sensi della l. n. 223/1991 e non ai sensi dell’art. 33 d.lgs. n. 165/2001. (Omissis) FATTO e DIRITTO Con ricorso del 15.3.2013 al tribunale di Cosenza, A.F., sostenendo la natura subordinata della prestazione lavorativa che tra il 6.9.2005 e il 24.4.2012 aveva reso in favore dell’azienda speciale della Camera di commercio di Cosenza denominata “Calab” (successivamente incorporata dalla “Promocosenza”) in forza di contratti a progetto di diversa durata e, per alcuni periodi, anche in assenza di contratto, ha chiesto che: a) si accerti la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato con decorrenza 7.9.2005 o altra di giustizia; b) le si riconosca l’inquadramento come impiegata di terzo livello del CCNL commercio e terziario; c) le si accordi un differenziale retributivo di € 52.195,78 oltre accessori e spese di lite. Il tribunale ha rigettato le sue domande assumendole fondate sulla pretesa di conversione del contratto a progetto ex art. 69 del d.lgs. 276/2003 (“di fatto, chiede la conversione del contratto a progetto ex art. 69 d.lgs. 276/2003”) e ritenendo che, tuttavia, questa “disciplina invocata da parte ricorrente” non sia applicabile nei confronti della convenuta. Ciò in quanto essa è una azienda speciale della Camera di commercio di Cosenza e, dunque, “organismo pubblico” che come tale, secondo il tribunale, è sottratta all’applicazione di quella disciplina giusta art. 1, c. 2, del d.lgs. n. 276/2003 e beneficia “altresì” del “disposto dell’art. 36, c. 5, D.lgs. 165/2001” per quanto attiene divieto di conversione. La ricorrente appella la sentenza – alla quale addebita il “vizio motivazionale” derivante dal mancato riferimento “per quanto sintetico” alle sue ragioni e dalla conseguente mancata disamina [continua..]
SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Le aziende speciali delle Camere di Commercio e il riconoscimento del diritto alla conversione della co.co.co. illegittima: una decisione corretta sostenuta da un argomento discutibile - 3. Le aziende speciali degli enti locali: la sottile linea di confine fra enti pubblici economici ed enti pubblici non economici - 4. Una chiosa finale - NOTE


1. Premessa

Le sentenze in commento rispondono a domande di giustizia diverse, anche se il bene della vita domandato è in entrambi i casi quello della riammissione nel posto di lavoro: in un caso il ricorrente chiede l’accertamento dell’illegittimità di un contratto di collaborazione a progetto ex d.lgs. n. 276/2003, nell’altro i lavoratori contestano la procedura di licenziamento collettivo ex d.lgs. n. 223/1991. Le sentenze sono di interesse e possono essere analizzate contestualmente, perché in entrambi i casi la soluzione della controversia dipende dall’accertamento dell’ambigua natura giuridica del datore di lavoro e dalla conseguente applicazione del diritto del lavoro privato ovvero di quello pubblico. Nella causa definita di fronte alla Corte di Appello di Catanzaro il rapporto di lavoro è stato instaurato con l’azienda speciale istituita dalla Camera di commercio di Cosenza (Promocosenza); nel giudizio di fronte al Tribunale di Venezia il datore di lavoro è un’azienda speciale consortile costituita dalla Provincia di Venezia, da alcuni Comuni del territorio provinciale e dalla Camera di commercio di Venezia. L’azienda calabrese è sopravvissuta alla riforma c.d. Madia, attuata nel biennio 2015-2017 [1]; l’azienda veneta resistente in giudizio è, invece, attualmente in liquidazione, a seguito degli effetti della legge c.d. Delrio del 2014, in virtù della quale le funzioni in materia di turismo locale sono state accentrate nella Regione Veneto [2].


2. Le aziende speciali delle Camere di Commercio e il riconoscimento del diritto alla conversione della co.co.co. illegittima: una decisione corretta sostenuta da un argomento discutibile

In primo grado il giudice aveva rigettato il ricorso del lavoratore sul presupposto che il datore (un’azienda speciale della Camera di commercio) fosse un “organismo pubblico”. Secondo il Tribunale, infatti, tale natura avrebbe imposto di escludere l’applicazione del d.lgs. n. 276/2003 [3], compresa la disposizione che, ratione temporis, prevedeva la conversione in rapporto di lavoro subordinato della co.co.co. viziata a causa dell’insussistenza di un vero progetto (art. 69, d.lgs. n. 276/2003). Piuttosto, il giudice di prima istanza aveva applicato la disciplina pubblicistica e, in particolare, il disposto dell’art. 36, c. 5, d.lgs. n. 165/2001 che vieta, in ogni caso, di applicare alle pubbliche amministrazioni la sanzione della conversione dei rapporti di lavoro non standard costituiti in violazione della disciplina imperativa di legge. La Corte d’Appello ribalta la decisione e restituisce significato e valore all’al­terità soggettiva dell’azienda speciale rispetto alla Camera di commercio, affermando che solo quest’ultima è una pubblica amministrazione – alla stregua del­l’art. 1, c. 2 d.lgs. n. 165/2001 – mentre la prima non lo è. In tal modo, il collegio esclude, giustamente, che la categoria dell’organismo di diritto pubblico possa avere un rilievo qualificatorio determinante nell’ambito di una controversia di diritto del lavoro. Tale categoria infatti è stata istituita originariamente nell’ambito della disciplina UE degli appalti pubblici, ed è in questo ambito che assume rilievo normativo [4]. Fin qui, la decisione si colloca nell’alveo di un orientamento giurisprudenziale oramai ampiamente maggioritario, che riconosce il giusto valore alla formale alterità soggettiva degli enti legati alla pubblica amministrazione da un rapporto di controllo politico/amministrativo o societario, e alla scelta degli enti pubblici di servirsi, nei limiti posti dalla legge, anche dell’attività di person0065 giuridiche soggette al diritto privato. In passato, in effetti, la Cassazione aveva affermato che certi soggetti controllati da enti pubblici – le società c.d. in house – “costituiscono in realtà delle articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano e non dei soggetti giuridici ad essa esterni e da essa autonomi” [5]. Tuttavia, [continua ..]


3. Le aziende speciali degli enti locali: la sottile linea di confine fra enti pubblici economici ed enti pubblici non economici

Se l’analisi della sentenza della Corte d’Appello di Cosenza è valsa a richiamare l’attenzione sulla necessità di distinguere aziende speciali e società controllate, l’analisi della sentenza del Tribunale di Venezia permette di affrontare la questione delle tecniche di distinzione fra enti pubblici economici ed enti pubblici non economici. La decisione del Tribunale di Venezia – resa in sede di opposizione ad ordinanza ex art. 1, c. 49, l. n. 92/2012 (c.d. rito Fornero) – conferma l’ordinanza che aveva ritenuto legittima l’applicazione della l. n. 223/1991 ad un esubero di personale dovuto al trasferimento alla Regione delle funzioni in materia di turismo, presupponendo che il datore di lavoro fosse un ente pubblico economico. I dipendenti coinvolti – assunti in momenti diversi, alcuni con concorso e altri no – domandavano, invece, l’applicazione della diversa disciplina pubblicistica delle eccedenze di personale delle amministrazioni pubbliche (artt. 30 e 33, d.lgs. n. 165/2001), sul presupposto che il datore di lavoro fosse un ente pubblico non economico. L’Azienda speciale datrice era stata istituita ai sensi dell’art. 31 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL), secondo cui “gli enti locali per la gestione associata di uno o più servizi e l’esercizio associato di funzioni possono costituire un consorzio secondo le norme previste per le aziende speciali di cui all’articolo 114, in quanto compatibili. Al consorzio possono partecipare altri enti pubblici, quando siano a ciò autorizzati, secondo le leggi alle quali sono soggetti”. Alla luce di ciò, nel 2005, la provincia di Venezia, alcuni Comuni del territorio e la Camera di commercio di Venezia (que­st’ultima coerentemente con la l. n. 580/1993 richiamata nel paragrafo precedente), avevano istituito un’azienda speciale seguendo i dettami dell’art. 114 TUEL. Tale disposizione afferma che tale tipo di azienda speciale è un “ente strumentale del­l’ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio comunale o provinciale”, ma non gli assegna espressamente un regime giuridico e normativo, come è accaduto per le aziende speciali delle camere di commercio (ex art. 2, c. 5 della l. n. 580/1993). Da qui la possibilità di porre [continua ..]


4. Una chiosa finale

Complessivamente le due decisioni inducono a sottolineare una funzione essenziale della giurisdizione, che è quella di qualificare i fatti e le cose della realtà che si pongono davanti all’interprete che deve risolvere una controversia, per sussumerli entro le categorie e gli istituti giuridici. Il legislatore ha naturalmente il potere di costruire le categorie giuridiche e di predisporre per essi una disciplina figlia delle scelte politiche del momento, ma non ha di regola il potere (o non dovrebbe arrogarsi il potere) di qualificare le cose della realtà in modo da alternare la disciplina giuridica appropriata. Pertanto, i nomina eventualmente assegnati dal legislatore ad una entità giuridica non sono infallibili, ma assomigliano a delle “etichette” [21] che possono essere collocate sul “prodotto” sbagliato e che l’interprete può addirittura sostituire [22]. Le qualificazioni operate dal legislatore rappresentano, infatti, solo una spia importante per il giudice, ma possono essere superate da altri indici più rilevanti, primi fra tutti quelli provenienti dalla disciplina sostanziale effettivamente applicabile e dal contegno concretamente assunto dal soggetto giuridico [23]. Questa funzione qualificatoria impone, quindi, cautela ed equilibrio, perché all’interprete spetta sia il compito di qualificare gli enti, eventualmente in spregio ad una qualificazione legislativa, sia quello di ricercare e rispettare l’intenzione del legislatore espresso nella lettera della legge. Ciò significa, ad esempio, che se il legislatore autorizza la pubblica amministrazione a servirsi di soggetti giuridici diversi che operano con gli strumenti del diritto privato, il giudice non può svilire oltremodo tale scelta, applicando il diritto del lavoro pubblico anche oltre i confini appositamente stabiliti; viceversa, se una legge stabilisce che gli enti pubblici economici (soggetti al diritto privato) sono quelli che svolgono un’attività esclusivamente o prevalentemente economica, il fatto di riscontrare in un caso concreto che l’ente svolge una funzione amministrazione senza alcun approccio imprenditoriale, permette – e addirittura impone all’interprete – di ignorare l’eventuale etichetta affissa dal legislatore e/o dallo statuto dell’ente. Questo avvertimento dovrebbe essere ben presente ai giuslavoristi [continua ..]


NOTE