Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Il lavoro agile nella contrattazione collettiva (di Antonella Occhino)


SOMMARIO:

1. Il lavoro agile: una questione (non) nominalistica - 2. Confrontando lavoro agile e lavoro a tempo parziale - 3. La intentiodel legislatore e le "finalita'" del lavoro agile - 4. "Incrementare la competivita'" - 5. "Agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro" - 6. Un (solo) contratto e un (qualunque) rapporto, di lavoro agile - 7. Un lavoratore subordinato … "auto-organizzato" - 8. Tecnologia e sede di lavoro nella contrattazione collettiva - 9. Dalla sperimentazione alla regolazione - 10. Un patto che costituisce il vincolo, un patto che lo regola - 11. La contrattazione collettiva "saltata" - 12. La contrattazione individuale "salvata" - 13. "Modalita'" di esecuzione o "modalità" della subordinazione (a proposito dei poteri) - 14. Applicazione e disapplicazione della legge (a proposito degli obblighi) - 15. Particolare, speciale, eccezionale: osservazioni sulla norma lavoristica - 16. Il contratto collettivo contra,secundum, praeter legem - 17. Il potere di recesso: esempi di contrattazione collettiva contralegem - 18. Il trattamento non inferiore: esempio di contrattazione collettiva secundumlegem - 19. L'orario e il riposo: esempi di contrattazione collettiva praeterlegem - 20. La sicurezza nei contratti collettivi e il modello del diritto riflessivo - NOTE


1. Il lavoro agile: una questione (non) nominalistica

Il lavoro agile come definito dalla legge con nozione nuova all’ordinamento giuridico deve poter comprendere, come è naturale, tutti i casi concreti oggettivamente riconducibili agli elementi di fattispecie nascosti nel nomen, peraltro già in uso nella prassi e persino nella contrattazione individuale e collettiva. La diffusione del c.d. patto di lavoro agile, o “accordo” (sic ex art. 18, legge 22 maggio 2017, n. 81, in vigore dal 14 giugno 2017) si è accompagnata ad una contrattazione collettiva aziendale già da tempo entrata nei dettagli dell’istituto, tipicamente nelle grandi imprese, con esperienze anche nelle PMI sotto l’egida invece della contrattazione nazionale variamente attenta ai settori dell’agricoltura, dell’artigianato, dell’energia e del terziario (commercio e distribuzione ma anche servizi alla persona e alle imprese), e nel secondario soprattutto al metalmeccanico e all’alimentare, e comunque con uno sguardo particolare al mondo delle cooperative [1]. Nella contrattazione collettiva il fatto dei rapporti a distanza alternata tra sede interna ed esterna di lavoro, ed eventualmente tecnologici, è chiamato agile e/o di smart working [2]: così almeno in tutta una serie di contratti collettivi aziendali, di società o di gruppo, siglati anche prima dell’entrata in vigore della legge n. 81/2017 [3], dove si osservano già a livello terminologico delle variazioni interessanti normalmente appoggiate agli aggettivi smart (in inglese) e agile (in italiano), e in un caso “flessibile” [4]. E così l’istituto è detto “«lavoro agile»“ (nel contratto Banca del Piemonte), “«lavoro flessibile»“ (nel contratto Banca Popolare Etica), “smart-working (Siemens Office)” (nel contratto Siemens), “«smart working – lavoro agile»” (nel contratto Cariparma Crédit Agricole), “Smart working” o “lavoro agile” (nel contratto Enel), solo “Smart Working” (nel contratto Barilla), “«smart work»” (nel contratto General Motors Powertrain), “Smartworking (di seguito SW)” (nel contratto Zurich Italia), “Smart Working” (nel contratto Engie Servizi), “Smartworking (di seguito SW)” (nel contratto [continua ..]


2. Confrontando lavoro agile e lavoro a tempo parziale

Volendo considerare un aspetto funzionale, l’istituto più vicino al lavoro agile rimane il lavoro a tempo parziale, se si considerano le finalità espresse dal legislatore nella legge n. 81/2017 e la prassi. Benché nei contratti collettivi questo parallelismo non sia messo in evidenza, si tratta in effetti di due rapporti di lavoro subordinato che presentano elementi certi di contiguità finalistica, se non altro perché accomunati dalla questione della conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro [6]. La riprova è che paradossalmente nella contrattazione collettiva emerge una sorta di alternativa tra i due istituti, essendo spesso precluso il lavoro agile proprio ai part timers: nella maggior parte dei contratti i soli part timers orizzontali vengono inclusi tra i destinatari virtuali della modalità agile, mentre per i part timers verticali una preclusione implicita e di fatto deriva da alcune limitazioni sull’uso della modalità agile per giornate intere e non frammentate. In effetti nei contratti collettivi una limitazione implicita all’utilizzo del lavoro agile per i part timers viene direttamente dalla imposizione dell’uso della modalità agile a giornata intera, che è molto diffuso [7] e che trova un corrispondente singolare in una previsione contrattuale dove invece “dovrà essere predisposto un calendario che preveda la compresenza di tutti i dipendenti almeno 1 (uno) giorno a settimana” (nel contratto Zurich Italia). Altre limitazioni possono riguardare i part timers in modo più esplicito, nel contesto delle restrizioni che alcuni contratti collettivi introducono in relazione a particolari tipologie di rapporto [8], soprattutto nei contratti del settore energetico [9]. Si tratta di limiti da ritenersi legittimi, stante la centralità del patto individuale di lavoro agile nella costituzione del rapporto di lavoro particolare, e una certa interpretazione del verbo “promuove” che regge la proposizione di legge iniziale, da intendersi in senso minimale: come se la legge si limitasse a promuovere, non potendo imporre l’istituto (il che fa ritenere che non esista un diritto al lavoro agile) [10]. Ma allora in questi casi le previsioni contrattuali sono da considerare legittime, e non peggiorative per il lavoratore: [continua ..]


3. La intentiodel legislatore e le "finalita'" del lavoro agile

La questione della rispondenza del part time e del lavoro agile alla finalità conciliativa porta a comparare i due istituti in base alle finalità perseguite, riconoscendo loro una intentio, se non ratio, analoga, almeno secondo l’operazione “promozionale” esplicitata dal legislatore. Il lavoro agile, però, è sostenuto anche da altre finalità oltre a quella del work life balance, che la legge ha voluto esporre distintamente, anche se non le occorre dire della intentio, bastando la regolazione (e senza far discutere l’interprete della sua “opportunità” [12]). In ogni caso, e a norma di legge, gli scopi dichiarati nella disciplina del lavoro agile, che è espressamente promozionale (se si scrive: “promuovono”, ex art. 18, comma 1, legge n. 81/2017, sic), sono due: “incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”, finalità già emerse nella contrattazione collettiva in modo anche più dettagliato e con diverse sottolineature, accanto ad una terza di natura ambientale. Ed infatti nella contrattazione collettiva aziendale erano già emerse anche una finalità “ambientale” [13] e da ultimo, ma non ultima, anche una finalità quasi “formativa”, come trapela da passaggi contrattuali, degni di nota, come quello sulla “volontà di indirizzare gli eventuali risparmi nell’ambito degli impegni formativi a favore dei collaboratori” [14]. Fermandosi alle due finalità indicate dalla legge e alle corrispondenti indicazioni già emerse nei contratti collettivi, la prima impressione è che soprattutto quella relativa alla competitività si leghi alla preordinazione di strategie di sviluppo delle risorse umane (rectius: dei piani di remunerazione) ed occupi nella contrattazione collettiva un posto di rilievo nell’ambito dell’HRM.


4. "Incrementare la competivita'"

La prima finalità (“incrementare la competitività”) figura in tutti i testi contrattuali, talvolta con un particolare accento sulla questione dei “risultati” delle prestazioni di lavoro e quindi sui c.d. premi di risultato. L’indicazione è coerente con la recente evoluzione legislativa di incentivo fiscale e previdenziale a vantaggio del labour sharepremiale/incentivante, riorientata verso lo sviluppo del welfare aziendale a partire dalla legge di bilancio 2017 e prima ancora dalla legge di bilancio 2016 [15]. I vantaggi sono fiscali e previdenziali [16]. E l’art. 2 del decreto interministeriale 25 marzo 2016 (la cui rubrica recita “Premi di risultato e criteri di misurazione”), definendo i premi di risultato come “le somme di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione” (comma 1) fa espresso riferimento al ricorso al lavoro agile in una materia espressamente rinviata alla contrattazione collettiva [17]. Non di meno, anche le formule contrattuali confermano l’interesse datoriale per gli sgravi fiscali e contributivi che si possano ottenere anche attraverso la modalità agile di lavoro in relazione ai premi di risultato che le siano collegati [18]. La nozione stessa di lavoro agile d’altronde dice di disposizioni che “promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi”, oltre che “senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro”, il che è coerente ad un rapporto di lavoro orientato alle forme retributive incentivanti, se le forme di organizzazione sono possibili per “fasi, cicli e obiettivi”.


5. "Agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro"

Anche la seconda finalità indicata dal legislatore (“agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”) è presente in diversi testi contrattuali, dai quali emerge spesso a chiare lettere che tra gli obiettivi del lavoro agile vi sarebbe anche quello di permettere la conciliazione dei tempi senza riduzione dell’orario di lavoro, tramite i benefici derivanti dalla opportunità di svolgere a distanza una prestazione altrimenti legata alla presenza fissa nella sede aziendale, in un gioco win-win senza “sconto” sull’orario e sulla retribuzione [19] e fondato idealmente sullo scambio virtuoso tra la riduzione dei tempi di trasferimento e l’aumento di quelli “liberi” [20]. Nel dettaglio, in alcuni contratti la finalità si svolge in clausole particolari dedicate ai genitori [21] o più ampiamente alle ragioni di salute, famiglia e cura o altro disagio [22], accanto alla previsione di criteri preferenziali legati all’anzianità anagrafica o di servizio [23].


6. Un (solo) contratto e un (qualunque) rapporto, di lavoro agile

Riprendendo dalla nozione legale di “agilità” del rapporto di lavoro subordinato “(…) la prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa (…)” e “con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”. Così prevista dall’art. 18 della legge n. 81/2017 la figura appartiene al genere del lavoro subordinato a distanza, anche detto da remoto. Ora, all’unico contratto di lavoro subordinato farebbero capo molti rapporti [24] compresi i rapporti di lavoro a distanza come genus a sé stante, tra i quali il lavoro a distanza “tecnologica” (diversamente che per il lavoratore a domicilio), qui inserendosi sia il lavoratore agile sia il telelavoratore. Al genus del lavoro subordinato a distanza appartengono quindi già sia il lavoro a domicilio – cui pure è riservata una nozione speciale di subordinazione dal legislatore – dove la distanza non è colmata dal possibile utilizzo di strumenti tecnologici; sia il telelavoro, dove la distanza è colmata dall’uso continuo [25] della tecnologia, nelle diverse espressioni di prassi [26], poiché il telelavoratore tipicamente lavora continuamente a distanza (e, si dice, con postazione fissa). Al lavoratore “agile” invece da un lato è necessaria l’alternanza tra sede interna ed esterna di lavoro, se il legislatore dice “in parte all’interno … e in parte all’esterno”; e d’altro lato è eventuale l’utilizzo della tecnologia, se il legislatore dice “con il possibile utilizzo” (art. 18, legge n. 81/2017) [27]. Il rapporto di telelavoro e il rapporto di lavoro agile quindi non sono così distanti (sic) ma nemmeno coincidono [28], strutturalmente, anche se sul piano funzionale è suggestiva una ricostruzione che interpreta la fortuna contrattuale e legislativa del lavoro agile anche in relazione all’obiettivo di superare alcune difficoltà normative legate all’uso del telelavoro [29]. Secondo una tesi telelavoro e lavoro agile, svuotata la utilità del criterio della postazione fissa, e persino dell’alternanza tra sedi di lavoro, finirebbero per coincidere, pur [continua ..]


7. Un lavoratore subordinato … "auto-organizzato"

Oltre i confini del lavoro a distanza e considerando l’insieme dei rapporti di lavoro subordinato il lavoratore agile tende alla figura del più auto-organizzato tra i subordinati [34], speculare al “tipo” del collaboratore etero-organizzato che viene considerato come destinatario delle tutele del lavoratore subordinato senza esser definito tale espressamente. In questo senso l’art. 18 della legge n. 81/2017 fa da contrappunto all’art. 2, D.Lgs. n. 81/2015, senza intaccare la dicotomia subordinazione/non, ed anzi includendovi il rapporto di lavoro agile per dire che è subordinato. In effetti nelle definizioni di legge il lavoratore agile è il dipendente che lavora in una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro” (ex art. 18, legge n. 81/2017), mentre il lavoratore etero-organizzato è un collaboratore non subordinato che lavora con “prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro” (ex art. 2, D.Lgs. n. 81/2015) [35]. L’inerenza della questione tempo/spazio alle indicazioni di fattispecie, e quindi con conseguenze negli effetti, volendosi mantenere con il legislatore la summa divisio tra subordinati e non, determina un contesto normativo dove la zona sfumata (c.d. grigia) si è non solo ampliata ma anche consolidata nelle nozioni, fino ad una nuova destinazione formale della materia a beneficio degli autonomi etero-organizzati ed anche, con il lavoro agile, confermata ai subordinati “auto-organizzati”. La questione tempo non è di minor significato della questione spazio per lo studio del lavoro agile. Esula dalla individuazione dei tratti di fattispecie ma definisce nell’ambito degli effetti giuridici, a seconda della disciplina, il grado di autonomia temporale del lavoratore agile e quindi, dentro l’area della subordinazione, il suo confine rispetto alla gestione propria del tempo di lavoro. Per la nozione di legge si tratta invero di disposizioni che “promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato … senza precisi [continua ..]


8. Tecnologia e sede di lavoro nella contrattazione collettiva

Nei contratti collettivi l’utilizzo della tecnologia è dato per scontato come meccanismo di riunione della distanza fisica tra la sede aziendale e quella di lavoro effettivo ed anzi normalmente se ne regolano anche alcuni aspetti “gestionali”. Escluso ovunque il c.d. BYOD (by your own device), talvolta si prevede che la strumentazione sia messa a disposizione dal datore di lavoro [38]; altre volte che il lavoratore possa utilizzare solo la strumentazione aziendale [39]; o infine che sia escluso ogni rimborso al lavoratore relativo a spese ulteriori derivanti dall’uso di tecnologie utilizzate di sua iniziativa, seppur siano state necessarie alla prestazione di lavoro [40]. Come pure nei contratti collettivi è scontata l’alternanza tra sede esterna ed interna per la esecuzione della prestazione di lavoro. E così il proprium del lavoro agile nei contratti collettivi si riduce alla sede di lavoro, che viene collocata variamente. Normalmente si tratta di un luogo scelto dal lavoratore, raramente ammettendosi altro da residenza/domicilio, se non concordato con il datore. Nei casi più liberali il lavoratore può scegliere senz’altro il luogo della prestazione [41], mentre più raramente, al contrario, si può o addirittura si deve operare comunque da un’altra sede aziendale [42]. Altre volte è introdotta una limitazione al territorio nazionale e con esclusione di luoghi non privati [43]. Più spesso il luogo è descritto aprendosi a diverse possibilità [44], o anche rinviandosi al contratto individuale [45]. E in un caso la sede arriva a perdere consistenza concettuale, rifluendo sull’uso della tecnologia che colma qualunque distanza [46].


9. Dalla sperimentazione alla regolazione

Questa prima verifica sul campo della nozione già dice molto della natura dell’istituto. Intanto la legge n. 81/2017 inaugurando un nuovo rapporto di lavoro tra i molti subordinati ha determinato un intreccio normativo complesso rispetto ai contratti collettivi nazionali e aziendali, soprattutto anteriori ma in prospettiva anche posteriori, poiché la tecnica della inderogabilità applicata alla relazione tra la legge e il contratto collettivo prescinderà dalla data della rispettiva entrata in “vigore”. In questo senso è irrilevante l’antecedenza dell’atto normativo e ovviamente della ideazione del contenuto normativo, sul quale è pur vero che si è trattato di un rifluire di contenuti dapprima dai disegni di legge verso i contratti collettivi [47] e poi da questi verso la stessa legge, dopo che la primissima introduzione dell’istituto sarebbe avvenuta con il contratto Nestlè Italiana del 2012 [48]. I contratti collettivi sia nazionali sia aziendali avevano modellato la forma agile del rapporto di lavoro come modalità di esecuzione necessariamente concordata a livello individuale, sulla base di schemi predefiniti dal contratto collettivo. La direzione è stata quella di un possibile contenuto del contratto di lavoro subordinato rispondente alla disposizione di cui all’art. 1322, comma 1, c.c., secondo cui “le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge”, quindi secondo un contenuto particolare già legittimo allora ed ora assoggettato ai limiti imposti dalla legge n. 81/2017 [49]. In effetti l’intento, che era sperimentale, ha trovato conferma nella legge. La contrattazione collettiva è stata la prima a cogliere il fenomeno in fase iniziale attribuendogli o riconoscendogli espressamente un valore sperimentale in senso lato, se alcuni contratti insistono proprio sull’attribuzione di valore sperimentale alla modalità agile, scrivendo di “progetto pilota” (nel contratto General Motors Powertrain) o di “sperimentazione” (nei contratti Cariparma Crédit Agricole e Banca del Piemonte, qui in relazione al periodo dal 1° marzo 2017 al 28 febbraio 2018), o anche semplicemente ricordando che a partire da una certa data “è stata avviata una prima sperimentazione del progetto pilota Smart [continua ..]


10. Un patto che costituisce il vincolo, un patto che lo regola

Come già nei contratti collettivi, anche nella legge è esplicito che il patto di lavoro agile si caratterizzi per un duplice effetto, come è normale nel diritto del lavoro: il patto di lavoro agile era (nei contratti collettivi) ed è (nella legge) congegnato come clausola che costituisce la modalità ed anche la regola. Sul piano della costituzione del vincolo, e sempre guardando con le lenti dei contratti collettivi, intanto la modalità agile non viene mai imposta al lavoratore, ed anzi normalmente il consenso del lavoratore è richiesto apertamente [50]; a parte un caso dubbio dove la modalità diviene la regola imposta a tutti (se è scritto che “per tutto il personale ... l’abituale modalità di effettuazione della prestazione lavorativa sarà il Siemens Office”), ma, deve intendersi, anche in tal caso con il necessario consenso del lavoratore. La modalità, è ovvio, deve essere voluta anche dal datore di lavoro, sia in astratto sia in concreto, cioè volta per volta. In astratto la volontà datoriale viene considerata nei contratti collettivi soprattutto per circondarla di aspetti procedurali e sostanziali, collegati al motivo, che di per sé invece sarebbe irrilevante [51]. In concreto nei contratti collettivi la questione della volontà datoriale viene ripresa per renderla necessaria volta per volta, quasi in forma di concessione all’effettivo utilizzo della giornata di lavoro in modalità agile, con previsioni che variano dalla mera autorizzazione alla previsione di termini di preavviso a carico del lavoratore [52]. Il patto di lavoro agile è però anche il luogo normativo di regolazione del contenuto relazionale tra i due contraenti per il tempo di esecuzione agile del rapporto. Già i contratti collettivi gli affidano la specificazione dei dettagli di disciplina delle posizioni reciproche, salvo modellarne il contenuto in modo da garantire condizioni uniformi di trattamento dei lavoratori agili in azienda. In mancanza di contratto collettivo applicabile, poi, e quindi specialmente nell’area delle PMI, è già il patto individuale a trovare le soluzioni concrete di utilizzo della modalità.


11. La contrattazione collettiva "saltata"

Ora è la legge che affida all’accordo individuale, quindi al patto di lavoro agile, la definizione degli aspetti specifici della disciplina, senza riferimento al contratto collettivo, che di fatto può quindi mancare nell’elenco delle “fonti” del rapporto di lavoro agile, così da permettere la diffusione della modalità agile anche in mancanza di un contratto collettivo nazionale e/o aziendale applicabile, in particolare nelle PMI. Dal saltum della contrattazione collettiva possono trarsi due conseguenze interpretative, rispetto ad un testo di legge che rinvia tutto al contratto individuale, oltre ad una considerazione più ampia sulla opportunità di questa “dimenticanza”. In primo luogo, non può dirsi si tratti di una esclusione di “competenza” del contratto collettivo, anche considerato che il lavoro agile è maggiormente diffuso nelle grandi imprese, dove è già regolato dai contratti aziendali (di società e di gruppo), ed anzi dovendosi intendere che si tratti di un modo per permettere l’estensione del fenomeno a qualunque realtà aziendale, nella logica promozionale indicata letteralmente dalla legge nel suo incipit [53]. In secondo luogo, questa assenza di “devoluzione” alla fonte collettiva nemmeno può dirsi equivalente ad una autorizzazione sommessa alle parti a derogare con il patto di lavoro agile anche in pejus al contratto collettivo: poiché, secondo un ragionamento a contrario, così non è scritto apertamente nella legge mentre si tratterebbe di questione capitale. Peraltro, sulla “dimenticanza” del contratto collettivo come fonte di regolazione della modalità agile del rapporto, risultante solo dal testo finale del d.d.l. S-2233 poi approvato, si può invece condividere l’opinione di chi ha evidenziato in dottrina come, nella realtà, l’intervento della fonte contrattuale avrebbe certo potuto bene integrare le previsioni legali, ma nel senso che di fatto così accade e continua ad accadere [54]. In effetti il lavoro agile si è diffuso sulla base di schemi collettivi, di solito aziendali ma anche nazionali, di predefinizione dei contenuti dell’accordo individuale, legati alla gestione delle carriere e normalmente adottati senza intendere di derogare in peggio alla [continua ..]


12. La contrattazione individuale "salvata"

Il rapporto di lavoro agile si incentra alla fine sul patto individuale liberamente apposto dalle parti al contratto e che costituisce e regola il “rapporto di lavoro agile”. Se si tratta di una clausola posta al centro della disciplina dalla stessa legge, che esclude ogni rinvio alla contrattazione collettiva, è anche vero che, trattandosi di una mera modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, sullo sfondo resta fermo che la disciplina generale inerisca pienamente a tale rapporto, salve le disposizioni particolari dettate dalla legge n. 81/2017, che in caso di differenza prevalgono comunque. Questa ripresa dei meccanismi classici di intersezione tra disciplina generale e disciplina particolare è essenziale alla composizione del quadro complessivo di regolazione. Quanto invece alla composizione del quadro regolativo frutto della intersezione tra autonomia individuale e eteronomia legale, delle due l’una: o il patto di lavoro agile punto per punto migliora la posizione del lavoratore come definita dalla legge, o il punto non si applica, secondo un meccanismo che ripete quello applicabile alla relazione tra il contratto collettivo applicabile e ancora la legge ed escluso il ricorso alla tecnica del conglobamento, che non interessa la relazione tra contratti (individuali o collettivi) e legge, benché possa interessare quella tra contratto individuale e contratto collettivo. In effetti col patto di lavoro agile una clausola esprime tramite l’autonomia individuale l’“accordo” circa una particolare “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato” (sic) e come tale determina l’applicazione di una disciplina particolare, che si aggiunge a quella generale sui poteri e sugli obblighi di prestazione e di protezione del contratto di lavoro subordinato. E per altro verso, alla disciplina legale si sostituisce, se migliorativa sul singolo punto, quella del contratto collettivo (se soggettivamente efficace), pur non menzionato, e/o quella del contratto individuale, mentre la clausola collettiva può comunque prevalere su quella individuale difforme (se peggiorativa) in base ad un giudizio complessivo di favor della disciplina collettiva che utilizzi il c.d. criterio del conglobamento [57]. In altri termini, la disposizione dell’art. 18 legge n. 81/2017 non può essere intesa nel senso che, affidando al contratto [continua ..]


13. "Modalita'" di esecuzione o "modalità" della subordinazione (a proposito dei poteri)

Le disposizioni nuove della legge n. 81/2017 in materia di lavoro agile in effetti si aggiungono (e se contraddittorie si sostituiscono) a quelle ordinarie, nei diversi aspetti relativi alla disciplina dei poteri direttivo e conformativo, di controllo o vigilanza, disciplinare, persino di dimissioni e licenziamento; e agli obblighi, sia corrispettivi di prestazione lavorativa e retributiva, sia di protezione della competitività dell’impresa (c.d. obbligo di fedeltà) e della salute (c.d. obbligo di sicurezza). Si tratta infatti di una mera “modalità” di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato. In effetti nella regolazione sui poteri datoriali la legge nuova conserva la materia alla disciplina generale tramite una sorta di rinvio all’autonomia individuale per la regolazione particolare del singolo rapporto di lavoro agile, il che determina una struttura subordinata “rimodellata” a livello di contratto individuale. Il patto di lavoro agile si rivela però vero e proprio perno non solo di costituzione della modalità, ma della sua disciplina particolare, a ciò autorizzato dalla legge anche in una materia, come quella dei poteri, nevralgica per la conferma stessa della natura subordinata del contratto. Per l’art. 18, comma 1, legge n. 81/2017 “le disposizioni … promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”. E “la prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”. Infine, per l’art. 19, comma 1, “1. l’accordo … disciplina l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore”. Dell’affidare ad un patto individuale le forme di esercizio del potere direttivo si è detto che [continua ..]


14. Applicazione e disapplicazione della legge (a proposito degli obblighi)

Nella regolazione degli obblighi è più intensa l’interazione tra le fonti e si vede meglio come le disposizioni di legge particolari sul lavoro agile prevalgano su quelle ordinarie, salvo che siano secundum o praeter legem (poiché in tali casi le si uniscono), sostituendosi ad esse in base al meccanismo dell’abrogazione c.d. tacita (non essendo prevista dalla legge n. 81/2017 alcuna abrogazione espressa). Esse “quasi” abrogano le precedenti non “perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore”, ex art. 15 disp. prel. c.c., ché nel caso del lavoro agile questo non si dà, ma per incompatibilità tra le disposizioni nuove e quelle anteriori, se le nuove (particolari) rispetto allo jus superveniens si trovino contra legem (generale). Si tratta di un meccanismo familiare, simile ma non uguale all’abrogazione, dovuto alla particolare struttura della disciplina lavoristica, che trova applicazione generalmente all’unico contratto di lavoro subordinato e al contempo uno ad uno ai molti rapporti particolari che ne derivino, ognuno dei quali viene regolato non solo dalla disciplina generale, cioè che generalmente si applica a tutti i rapporti, ma anche da quella particolare relativa al singolo rapporto in questione, ed ora anche al rapporto di lavoro agile (v. supra par. 6 e nota 24). Dal che deriva che la contraddizione tra una disposizione sul rapporto di lavoro agile e una di carattere generale determina la disapplicazione di questa per dare spazio all’applicazione di quella, senza abrogarla ai fini della applicazione di quella agli altri rapporti particolari di lavoro subordinato, ma non di lavoro agile. Una abrogazione “ai soli fini” invero imita il meccanismo dell’abrogazione tout court, senza identificarlo, poiché la struttura della pluralità di rapporti di lavoro costituiti dall’unico contratto di lavoro subordinato ammette che la disposizione contraddetta non venga abrogata nemmeno tacitamente (“per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore” ex art. 15 delle Preleggi) e resti vigente a livello di disciplina generale del contratto di lavoro subordinato [continua ..]


15. Particolare, speciale, eccezionale: osservazioni sulla norma lavoristica

In un certo senso l’aggettivo “particolare” echeggia nel significato l’aggettivo “speciale”, ma resta preferibile, nonostante per questa vicinanza tradisca l’eredità linguistica imputabile alla coppia genus-species, ferma la distanza concettuale dalle disposizioni “che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi” le quali, secondo l’art. 14 delle Preleggi, non si applicherebbero (lett. “non si applicano”) “oltre i casi e i tempi in esse considerati”, mentre le disposizioni relative ad un particolare rapporto di lavoro subordinato non essendo di per sé eccezionali sono suscettibili anche di applicazione analogica. D’altronde che la disciplina generale normalmente trovi applicazione anche al rapporto di lavoro agile è cosa riconosciuta dallo stesso legislatore che la richiama in materia di incentivi di carattere fiscale e contributivo, se mai fosse il caso, per dire che essi, se “eventualmente riconosciuti in relazione agli incrementi di produttività ed efficienza del lavoro subordinato”, allora “sono applicabili anche quando l’attività lavorativa sia prestata in modalità di lavoro agile” (art. 18, comma 4). Le disposizioni del diritto del lavoro subordinato invero sono da considerarsi “eccezionalmente” eccezionali, “normalmente” essendo normali, generali o particolari di un particolare rapporto, e pertanto comunque suscettibili di interpretazione analogica tra i diversi rapporti, se ve ne sia il sostrato di compatibilità. E il meccanismo è testualmente ripreso ex ante nella disposizione dell’art. 18, comma 3, della stessa legge n. 81/2017, dove prevede che “le disposizioni del presente capo si applicano, in quanto compatibili, anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche … e fatta salva l’applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti”.


16. Il contratto collettivo contra,secundum, praeter legem

Esempi di relazioni contra, secundum, praeter legem sono presenti in modo diffuso nella contrattazione collettiva anteriore alla promulgazione della legge n. 81/2017, anche se in misura raramente contraddittoria rispetto alla legge che sarebbe stata, anche perché la contrattazione collettiva dell’ultimo biennio si è sviluppata in un periodo in cui circolavano testi di disegni di legge sul lavoro agile, di cui le parti sociali normalmente tenevano conto. Contra legem possono considerarsi le clausole collettive che prevedono condizioni e termini di preavviso al recesso dalla modalità agile peggiorative rispetto all’attuale disciplina di legge. Si tratta del punto forse di maggior frizione tra i contratti collettivi e la nuova legge. Alla fine la attuale disciplina legale del recesso dal patto di lavoro agile, inderogabile in pejus, implica la nullità e sostituzione di diritto delle clausole individuali eventualmente difformi, anche se fossero allineate a contratti collettivi, se in ipotesi avessero previsto discipline peggiorative per i lavoratori di quelle poi entrate in vigore con la nuova legge. Né vi sono spazi per ammettere la deroga peggiorativa nel contratto individuale o nei contratti collettivi, nemmeno di prossimità (in ipotesi), trattandosi di materia non compresa tra quelle indicate nell’art. 8, D.L. n. 138/2011, che pure include le materie “introduzione di nuove tecnologie” e “contratti a orario … flessibile” [63]. E questo perché il rapporto di lavoro agile non è materia di “introduzione di nuove tecnologie”, le quali son già introdotte e presupposte dal rapporto di lavoro agile e comunque per legge non gli sono necessarie a livello di definizione (v. supra, par. 6); e non è nemmeno un “contratto” (rectius: rapporto) “a orario … flessibile”, ma al limite a “sede di lavoro” flessibile.


17. Il potere di recesso: esempi di contrattazione collettiva contralegem

La disposizione di legge pone ora limiti alla autonomia individuale, e collettiva: se nei contratti le previsioni sono diverse da quelle ora previste dalla legge, si profila una sostituzione automatica della disposizione più favorevole anche versus clausole già pattuite. A norma di legge vale quindi in modalità inderogabile che “l’accordo di cui al comma 1 può essere a termine o a tempo indeterminato; in tale ultimo caso, il recesso può avvenire con un preavviso non inferiore a trenta giorni” (art. 19, comma 1, primo periodo). Ugualmente inderogabili in pejus sarebbero le altre due disposizioni di legge relative al recesso. In primo luogo quella per cui “nel caso di lavoratori disabili … il termine di preavviso del recesso da parte del datore di lavoro non può essere inferiore a novanta giorni, al fine di consentire un’adeguata riorganizzazione dei percorsi di lavoro rispetto alle esigenze di vita e di cura del lavoratore” (art. 19, comma 1, secondo periodo). E in secondo luogo la disposizione per cui “in presenza di un giustificato motivo, ciascuno dei contraenti può recedere prima della scadenza del termine nel caso di accordo a tempo determinato, o senza preavviso nel caso di accordo a tempo indeterminato” (art. 19, comma 1, terzo periodo). La disciplina di legge ricalca quasi a memoria quella del recesso tout court, ordinario e straordinario, scritta negli artt. 2118-2119 c.c., con l’indicazione precisa di trenta giorni per il preavviso (novanta in caso di lavoratori disabili) e una insolita traslazione del meccanismo tipico della giusta causa applicato ora al “giustificato motivo” di recesso dal patto di lavoro agile (e non dal rapporto di lavoro subordinato). Si tratta ovviamente di recessi di ben diversa portata: l’uno, quello classico, essendo l’atto risolutivo del rapporto, l’altro, il recesso dal patto di lavoro agile, essendo un atto risolutivo ai limitati fini della cessazione della modalità di esecuzione agile [64]. Il parallelo però aiuta a decifrare l’utilizzo di categorie antiche osservando una certa loro riformulazione ad hoc. Ora il giustificato motivo, che finisce per supportare un recesso altrimenti libero dal patto di lavoro agile, sarebbe nozione da riprendere dalla disciplina del recesso ordinario (exart. 3, legge n. 604/1966), per [continua ..]


18. Il trattamento non inferiore: esempio di contrattazione collettiva secundumlegem

Secundum legem possono considerarsi le clausole collettive che hanno anticipato la legge nella imposizione del principio di parità di trattamento del lavoratore agile rispetto agli altri lavoratori subordinati. In proposito i contratti collettivi hanno spesso anticipato la legge, la quale ora dispone che “il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato … nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda” (ex art. 20, comma 1). Nei contratti collettivi vi sono clausole che mirano direttamente a garantire il pari trattamento economico e normativo dei dipendenti agili rispetto agli altri (o a prima, se si tratta di lavoratore “diventato” agile) [68]. E vi sono clausole che mirano anche ad assicurare uno sviluppo professionale alle medesime condizioni, quasi la modalità agile possa pregiudicare il lavoratore [69]. Qualche eccezione è presente solo sui buoni pasto [70], con previsioni che tuttavia possono essere “salvate” considerando che la previsione di legge fa riferimento ad un trattamento “… non inferiore a quello complessivamente applicato” agli altri lavoratori (corsivo mio) [71], cioè grazie ad una formula che comunque si presta a diverse interpretazioni [72].


19. L'orario e il riposo: esempi di contrattazione collettiva praeterlegem

Possono considerarsi praeter legem le clausole collettive che disciplinano le diverse questioni inerenti l’orario di lavoro e che restano applicabili, se non migliorate a livello individuale, come disciplina innovativa sviluppatasi in un’area dove il legislatore non è intervenuto con disposizioni proprie. Quanto all’obbligazione lavorativa, i contratti collettivi hanno regolato aspetti sui quali il legislatore ha taciuto, in linea con il meccanismo dell’autonomia privata di cui all’art. 1322, comma 1, c.c.: sicché può dirsi che si tratta di una disciplina collettiva inderogabile dall’autonomia individuale la quale resta libera di definirne i contenuti rispetto alla legge, mentre sembra eccessivo valorizzare il rinvio legale al contratto individuale (di cui il patto di lavoro agile è una clausola) come se si trattasse di una sorta di autorizzazione alla deroga peggiorativa rispetto al contratto collettivo stesso. Il tema principale è quello dell’orario di lavoro, ma l’unico aspetto trattato dal legislatore in materia di orario è quello dei riposi e della disconnessione, con un rinvio netto al patto di lavoro agile, in base alla disposizione per cui “l’accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro” (ex art. 19, comma 1, secondo periodo). Ma nei contratti collettivi più che alla “disconnessione” si pone attenzione alla “connessione”, suo esatto contrario, in forma di reperibilità o c.d. contattabilità [73], se si considera che spesso è richiesta la reperibilità totale o parziale durante la giornata “agile” [74]. E del resto la disciplina legale tace e lascia alla contrattazione, individuale ed eventualmente collettiva, di trattarne e i modelli aziendali sul punto presentano una grande variabilità di contenuti [75], con le sole costanti della esclusione (se mai) del lavoro straordinario [76] e del lavoro notturno, secondo formule diverse [77].


20. La sicurezza nei contratti collettivi e il modello del diritto riflessivo

Alla confluenza dei meccanismi contra, secundum e praeter legem si collocano le clausole collettive in materia di sicurezza e tecnologia. Per la legge “il datore di lavoro è responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa” (ex art. 18, comma 2), se non che i contratti collettivi, senza contraddire la legge, insistono piuttosto sui codici di comportamento dei lavoratori in caso di cattivo funzionamento di tali “strumenti” [78]. In effetti per chi ha visto nell’operazione contrattuale e legislativa di ideazione del lavoro agile un modo anche per superare alcuni ostacoli normativi alla diffusione del telelavoro [79] il tema della sicurezza finisce per rappresentare il banco di prova della resistenza delle nozioni e della effettività della tutela [80]. Sulle nozioni, il testo unico D.Lgs. n. 81/2008 richiede la c.d. continuità, se la disposizione dell’art. 3, comma 10, D.Lgs. n. 81/2008 include nel campo di applicazione “tutti i lavoratori subordinati che effettuano una prestazione continuativa di lavoro a distanza, mediante collegamento informatico e telematico”; sicché si tratta di interpretare la disposizione come applicabile solo ai telelavoratori, anche ai lavoratori agili (per chi non ne sovrapponga le figure), solo anche ai lavoratori agili “continuativi” (salva l’applicazione analogica ai non continuativi) [81]. Sull’effettività, si intuisce che il tema della sicurezza, così legato a quello del luogo di lavoro, sia quello più “stressato” da tipologie di rapporti di lavoro subordinato (per fermarci a queste) dove la postazione fissa non solo è dislocata ma ad un certo punto ... evapora. La disciplina di legge entra però anche nel dettaglio, quando prevede che “il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro (ex art. 22, comma 1) e che “il lavoratore [continua ..]


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