Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Appalti pubblici e clausole sociali di stabilità occupazionale (di Giulia Marchi – Dottoranda di Diritto del Lavoro nell’Università Statale di Milano)


SOMMARIO:

1. Il rilievo delle considerazioni sociali e la tutela della libera concorrenza nelle Direttive europee in materia di appalti pubblici - 2. Il Codice dei contratti pubblici e la disciplina delle clausole sociali alla luce delle Linee guida dell'Autorità Nazionale Anticorruzione - 3. L'ambito di applicazione della clausola sociale di stabilità occupazionale - 4. Il contenuto della clausola sociale: esigenza di protezione sociale vs. libera iniziativa economica - 5. Il rapporto con i contratti collettivi - 6. Le conseguenze della violazione della clausola sociale - 7. L'appalto pubblico come strumento per conseguire obiettivi condivisi a valenza sociale? - NOTE


1. Il rilievo delle considerazioni sociali e la tutela della libera concorrenza nelle Direttive europee in materia di appalti pubblici

La disciplina degli appalti pubblici riveste una notevole importanza nel mercato comune e nella crescita dell’Unione Europea, non solo per il rilievo economico di questo settore, ma anche per i suoi effetti sul corretto funzionamento del mercato: gli appalti pubblici sono considerati infatti «uno degli strumenti basati sul mercato» in grado di realizzare «una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva», idonei a garantire l’uso più efficiente possibile dei finanziamenti pubblici [1]. A tal proposito è di particolare interesse il tema delle clausole sociali [2].Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. qqq), del Codice dei Contratti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016), con l’espressione clausole sociali si fa riferimento a quelle «disposizioni che impongono a un datore di lavoro il rispetto di determinati standard di protezione sociale e del lavoro come condizione per svolgere attività economiche in appalto o in concessione o per accedere a benefici di legge e agevolazioni finanziarie». L’inserimento di considerazioni sociali nella disciplina dell’aggiudicazione e dell’esecuzione degli appalti concorre «alla migliore individuazione del soggetto idoneo» ed alla «migliore realizzazione dell’interesse pubblico, secondo i principi della concorrenza tra imprenditori (per ottenere la pubblica amministrazione le condizioni più favorevoli) e della parità di trattamento dei concorrenti nella gara (per assicurare il miglior risultato della procedura concorsuale senza alterazioni e/o turbative)» [3]. Tuttavia, in ragione delle limitazioni alla concorrenza che comportano, le clausole sociali possono determinare una restrizione alla libertà dell’imprenditore di gestire la propria attività economica e rischiano di violare le norme che tutelano tale libertà nell’ordinamento italiano e dell’Unione Europea. La tensione tra tali opposti interessi emerge chiaramente nel testo delle Direttive europee che disciplinano il settore. Il diritto dell’Unione Europea, fin dalle prime direttive in materia, ha avuto l’obiettivo di eliminare le barriere, tariffarie e non, e realizzare un coordinamento normativo, così da assicurare la libera circolazione dei servizi e l’apertura dei mercati ad una concorrenza non falsata in tutti gli Stati membri, e favorire il corretto [continua ..]


2. Il Codice dei contratti pubblici e la disciplina delle clausole sociali alla luce delle Linee guida dell'Autorità Nazionale Anticorruzione

Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, una certa attenzione per le considerazioni sociali era già presente nella disciplina di trasposizione della Direttiva del 2004, contenuta nel D.Lgs. 163/2006 [17]. Da ultimo, il legislatore italiano ha inserito nella normativa di recepimento della Direttiva 2014/24, il Codice dei Contratti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016), alcune norme con l’obiettivo di individuare un equo bilanciamento tra diritti sociali e tutela del­l’occupazione, da un lato, e libertà d’impresa e tutela della concorrenza, dall’altro. L’art. 30 del D.Lgs. 50/2016, relativo ai principi per l’aggiudicazione e l’esecu­zione di appalti e concessioni, al comma 1, richiede che nell’affidamento siano rispettati i principi di economicità, efficacia, tempestività, correttezza, libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità [18]. Il comma 3, invece, sta­tuisce che gli operatori economici devono rispettare gli obblighi in materia ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dalla normativa europea e nazionale, dai contratti collettivi o dalle disposizioni internazionali. A sostegno di quest’ultima affermazione, il primo comma specifica inoltre che, nei limiti previsti dalle norme del codice stesso, il principio di economicità può essere subordinato a criteri, da inserire nel bando, ispirati a esigenze sociali, di tutela della salute, dell’ambiente, del patrimonio culturale e alla promozione dello sviluppo sostenibile. Una vera e propria clausola c.d. di equo trattamento è contenuta nel comma 4 dell’art. 30. Tale norma prevede che al personale impiegato nei lavori oggetto di appalti pubblici e concessioni sia applicato «il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente». Il nuovo codice modifica in parte la formulazione del precedente D.Lgs. 163/2006, valorizzando maggiormente la contrattazione collettiva; si propone inoltre di garantire effettivamente un [continua ..]


3. L'ambito di applicazione della clausola sociale di stabilità occupazionale

Innanzitutto, l’ambito di applicazione della clausola sociale è limitato dallo stesso art. 50 agli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori «con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera», cioè in relazione ai servizi nei quali «il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto». Quando l’oggetto del contratto comprende sia prestazioni afferenti ad attività assoggettate all’obbligo di previsione della clausola sociale, sia prestazioni non soggette a tale obbligo, la clausola sociale è da ritenere applicabile limitatamente «alle attività ricadenti nell’obbligo di previsione della clausola sociale» [26]. Alla luce di quanto affermato dall’ANAC nelle Linee guida, tale riferimento agli appalti labour intensive non esclude che negli altri ambiti le stazioni appaltanti possano inserire una clausola sociale. In virtù della «formulazione aperta dell’art. 50» e del principio dell’autonomia negoziale di cui gode ogni stazione appaltante ex art. 1322 c.c., la previsione della clausola sociale è legittima anche negli altri casi, ma si tratta di una scelta rimessa alla discrezionalità delle stazioni appaltanti [27]. Al di fuori dei casi individuati dall’art. 50, è applicabile la tutela della clausola sociale eventualmente contenuta nel contratto collettivo che, ai sensi dell’art. 30 dello stesso Codice dei contratti pubblici, deve essere applicato al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni [28]. Rimangono invece del tutto esclusi dall’ambito di applicazione della norma gli appalti di fornitura, gli appalti di natura occasionale e i servizi di natura intellettuale. Secondo quanto affermato nelle Linee guida, per servizi di natura intellettuale si devono intendere «i servizi che richiedono lo svolgimento di prestazioni professionali, svolte in via eminentemente personale, come ad esempio il brokeraggio assicurativo e la consulenza». Vi rientrano anche quegli appalti in cui è richiesta una specifica e qualificata competenza professionale, che deve risultare «prevalente nel contesto della prestazione erogata rispetto alle attività materiali e [continua ..]


4. Il contenuto della clausola sociale: esigenza di protezione sociale vs. libera iniziativa economica

Un’altra questione di rilievo, oggetto di un ampio e rilevante contenzioso giudiziario, è quella relativa alla compatibilità delle clausole sociali di stabilità occupazionale rispetto alla libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. Come già emerso dall’analisi delle disposizioni della Direttiva 2014/24, quello delle clausole sociali è infatti uno degli «ambiti paradigmatici» in cui si evidenzia il contrasto tra libera concorrenza, libertà economiche e tutela del lavoro [32]. La clausola sociale funge «da strumento per favorire la continuità e la stabilità occupazionale dei lavoratori» [33], ma l’inserimento nei bandi di gara di obblighi di assorbimento della manodopera è indubbiamente in grado di condizionare ed alterare la concorrenza tra le imprese, riducendo «sensibilmente i benefici del confronto competitivo», e di limitare la libertà di iniziativa economica, scoraggiando la partecipazione alla gara e restringendo «indebitamente la platea dei partecipanti» [34]. Per tali ragioni le clausole sociali pongono sia problemi di legittimità rispetto al diritto interno sia questioni di compatibilità con il diritto della Unione europea [35]. Lo stesso art. 50 richiede e­spressamente che siano rispettati i principi dell’Unione europea. Sul punto, l’ANAC accoglie l’orientamento fatto proprio dal Consiglio di Stato in numerose sentenze. Le linee guida del 13 febbraio 2019 optano per un’appli­cazione “flessibile” della clausola sociale, nel senso che, a prescindere dalla fonte che ne regola l’obbligo di inserimento, la clausola sociale deve essere applicata nel rispetto della libertà di iniziativa economica, sancita a livello nazionale dall’art. 41 Cost. e tutelata dall’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e dei principi di proporzionalità e libera concorrenza [36]. Ciò implica che l’obbligo di assorbimento debba essere armonizzato «con l’organizzazione d’impresa prescelta dall’operatore e­conomico subentrante» [37].La libertà di iniziativa economica implica, infatti, che «a ciascun imprenditore sia consentito, nei limiti segnati dall’ordi­namento, di [continua ..]


5. Il rapporto con i contratti collettivi

L’art. 50 del Codice dei contratti pubblici stabilisce che le clausole di stabilità occupazionale prevedano l’applicazione dei contratti collettivi di settore di cui all’art. 51 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81. In base a quanto affermato dall’ANAC nelle Linee guida, in virtù di tale richiamo espresso all’art. 51 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, nonché di quanto stabilito dall’art. 30, comma 4, dello stesso Codice dei contratti pubblici, le stazioni appaltanti devono indicare nella documentazione di gara «il contratto collettivo applicabile in ragione della pertinenza rispetto al­l’og­getto prevalente dell’affidamento» e l’operatore economico subentrante è tenuto ad applicare le disposizioni sulla clausola sociale previste dal contratto collettivo indicato dalla stazione appaltante. La legge in tal modo determina il contenuto della clausola di assorbimento della manodopera perrelationem, con un rinvio alle disposizioni dei contratti collettivi, sul modello dell’art. 36 st. lav. Le fonti dell’obbligo sono il bando di gara e il contratto di appalto, ma, alla luce del rinvio alla contrattazione collettiva, la determinazione del contenuto della clausola sociale di assorbimento e delle modalità concrete di attuazione dell’obbligo di riassorbimento della manodopera è rimesso alla contrattazione collettiva. Le clausole sociali di fonte contrattuale operano quindi a prescindere dall’iscrizione dell’imprenditore subentrante all’associazione stipulante il contratto collettivo. Quest’ultimo elemento fa sorgere dubbi in relazione alla legittimità dell’art. 50 rispetto all’art. 39 Cost., in particolare per quanto riguarda la legittimità di tale configurazione della clausola sociale e dell’estensione dell’efficacia soggettiva dei contratti collettivi così operata dalla norma. Sul punto si può ritenere valido quanto affermato in relazione all’art. 36 st. lav. [44]. Come quest’ultima norma, l’art. 50 è rivolto alle stazioni appaltanti, in capo alle quali pone il dovere di inserire la clausola sociale nei bandi di gara e allo stesso tempo opera un rinvio “per relationem” ai contratti collettivi [45]. Non realizza quindi un’estensione erga omnes dell’efficacia dei contratti collettivi: [continua ..]


6. Le conseguenze della violazione della clausola sociale

Le linee guida dell’Autorità nazionale anticorruzione, nel tentativo di superare le principali difficoltà applicative della norma, affrontano anche il complesso tema del mancato rispetto della clausola sociale e cercano di definirne le conseguenze. Anche tale questione è stata oggetto di numerosi contrasti in giurisprudenza. Secondo un primo orientamento, poiché le clausole sociali sono di per sé considerate, sia dalle norme comunitarie sia dalla disciplina nazionale di recepimento «quali condizioni di esecuzione che producono effetti essenzialmente nella fase esecutiva del rapporto», esse «non hanno una diretta incidenza sulla fase di gara, e non possono costituire barriere all’ingresso, condizionando l’ammissibilità dell’offerta»; la clausola sociale, infatti, non impedisce «la valutazione dei requisiti soggettivi dei concorrenti e non si inserisce in essa» [49]. A sostegno di tale interpretazione si sottolinea che, alla luce della sua collocazione nel Codice dei contratti pubblici, l’art. 50 del D.Lgs. 50/2016 pare applicabile alla fase di affidamento del contratto, a differenza della disposizione contenuta nell’art. 30, che invece ha un ambito di applicazione più ampio, relativo ai principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione degli appalti e delle concessioni. Secondo l’opposto orientamento, invece, non è possibile relegare la rilevanza della clausola sociale alla sola fase di esecuzione dell’appalto: infatti, «se è vero che il rispetto degli obblighi assunti dall’aggiudicataria in sede di gara riguarda l’esecuzione del rapporto, sicché la verifica del loro inadempimento risulta rimandata alle future dinamiche dell’instaurando rapporto contrattuale, tuttavia assume rilevanza anche nella gara, quale indice sintomatico di ulteriori vizi dell’offerta medesima» [50]. Secondo l’ANAC, in relazione a tale questione è necessario distinguere tra la mancata accettazione della clausola sociale, che equivale alla presentazione di un’of­ferta condizionata, e l’inadempimento degli obblighi derivanti dalla clausola sociale in seguito all’affidamento del contratto. Nel primo caso, relativo alla procedura di affidamento, la violazione comporta l’esclusione dalla gara, in quanto in mancanza dei requisiti richiesti [continua ..]


7. L'appalto pubblico come strumento per conseguire obiettivi condivisi a valenza sociale?

La disciplina delle clausole sociali comporta di per sé un bilanciamento fra più valori di rango costituzionale, tutelati anche dal diritto europeo. Tale istituto, infatti, persegue più di una finalità: accanto alla ricerca di un «giusto equilibrio nel rapporto di lavoro» [53] e alla tutela del lavoratore in quanto parte debole del rapporto, le clausole sociali mirano a realizzare obiettivi legati al perseguimento dell’interesse pubblico, sono dirette ad assicurare la parità tra le imprese concorrenti ed orientano l’azione della pubblica amministrazione sul mercato verso fini socialmente rilevanti [54]. Le clausole di stabilità occupazionale, infatti, fanno in modo che la successione degli appaltatori nell’esecuzione di un servizio non sia basata esclusivamente sulla riduzione del costo del lavoro, in ossequio al principio per cui l’aggiudicazione del­l’appalto dovrebbe basarsi sulla selezione dell’appaltatore in grado di garantire la più efficiente gestione di un servizio senza che questo abbia necessariamente riflessi negativi sui lavoratori in esso impiegati [55]. In questo senso si ritiene che l’appalto pubblico sia anche uno strumento in grado di «sostenere il conseguimento di obiettivi condivisi a valenza sociale» [56]. Dall’esame delle disposizioni della Direttiva 2014/24/UE non pare irragionevole affermare che in essa si sia tentato di raggiungere un diverso contemperamento di libertà economiche e diritti sociali, meno sbilanciato a favore delle prime rispetto al passato. Il nuovo Codice degli contratti pubblici pare cogliere le opportunità di apertura offerte dalla direttiva, ma non risolve né affronta espressamente le questioni di compatibilità rispetto al diritto dell’Unione, che si erano già poste con riferimento alla precedente versione del Codice degli appalti pubblici. Tali problematiche sono affrontate dalla giurisprudenza amministrativa e dalle Linee guida del­l’ANAC, che hanno cercato di dare delle norme del Codice un’interpretazione il più possibile conforme agli artt. 39 e 41 Cost. e al diritto dell’Unione Europea. Alla luce proprio degli orientamenti e delle indicazioni della giurisprudenza e dell’ANAC, in conclusione, si possono ritenere legittime le clausole sociali che [continua ..]


NOTE
Fascicolo 2 - 2019