Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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La problematica intersezione della disciplina sui controlli a distanza con il d.lgs. n. 116/2016 e il disegno di legge 'concretezza' (di Sebastiano Castellucci)


SOMMARIO:

1. Generalità. Il potere di controllo nel pubblico impiego privatizzato - 2. La falsa attestazione di presenza in servizio - 3. Il mancato coordinamento con l’art. 4 Statuto dei lavoratori - 4. Il contrasto all’assenteismo fraudolento nel disegno di legge c.d. “concretezza” - 5. Dati biometrici e rilievi critici del Garante per la protezione dei dati personali - NOTE


1. Generalità. Il potere di controllo nel pubblico impiego privatizzato

La declinazione del potere di controllo datoriale sembra assumere sfumature diverse nel lavoro privato, ove normalmente viene inteso quale corollario del potere direttivo, e nel lavoro pubblico privatizzato, percepito più come strumento funzionale all’irrogazione di sanzioni disciplinari. Sfumature che non si pongono in contraddizione tra loro ed anzi, insieme, riflettono la genesi del potere di controllo. Quest’ultimo, in effetti, per lungo tempo non è stato esplicitato dal legislatore, ma veniva comunque riconosciuto immanente alla subordinazione, quale elemento logicamente intermedio tra gli altri poteri invece contemplati nel codice civile [1]. Tuttavia, considerare in maniera autonoma il controllo rispetto a fasi immediatamente circostanti consente di restringere le prerogative del datore di lavoro, e tutelare i diritti del lavoratore, già nella mera osservazione del comportamento solutorio del prestatore. In questo modo, infatti, si impediscono o comunque si riducono in via preventiva le possibili lesioni della sfera personale del lavoratore rispetto a quanto avverrebbe nel caso di un intervento successivo alla avvenuta vigilanza, san­cendo ad esempio l’inutilizzabilità delle informazioni raccolte [2]. Le diverse modalità di esercizio del potere di controllo, individuate nel Titolo I dello Statuto, sono state dunque assoggettate a limiti specifici dal legislatore del 1970. Tale disciplina, inizialmente elaborata in relazione al lavoro nel settore privato, in seguito alla c.d. privatizzazione del pubblico impiego ed in particolare all’art. 2, comma 1, lett. a), legge delega 23 ottobre 1992, n. 421 (attuata con l’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 29/1993), trova applicazione anche nei riguardi dei pubblici dipendenti. A ben vedere, peraltro, già la legge quadro sul pubblico impiego, la n. 93 del 1983, aveva esteso l’applicazione (art. 23, comma 1) di alcune norme dello Statuto ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, tra cui gli artt. 3 e 8, mentre aveva richiamato (art. 24) la disciplina statutaria contenuta negli artt. 4 e 6, pur conformandola al particolare contesto pubblico [3]. Si aveva così, in quest’ultimo caso, una non perfetta corrispondenza che può cogliersi nel confronto tra le esigenze datoriali che giustificavano il controllo a distanza: l’art. 24 della legge quadro richiamava esattamente le causali espresse [continua ..]


2. La falsa attestazione di presenza in servizio

La centralità che la materia disciplinare ha assunto nelle ultime riforme del pubblico impiego riflette lo sforzo del legislatore di potenziare il livello di efficienza degli uffici pubblici. Questo obiettivo, in effetti, costituiva un architrave della legge delega n. 15 del 2009 (art. 7, comma 1), da perseguire mediante il contrasto della scarsa produttività e dell’assenteismo. D’altronde, proprio attraverso l’analisi del sistema disciplinare possono cogliersi le rinnovate specialità del rapporto di lavoro privatizzato, che smentiscono almeno in parte l’ambizione di avvicinare gli assetti regolativi del lavoro pubblico con quello del lavoro privato. Così, in un quadro dove l’attenzione del legislatore e degli interpreti era assorbita dal potere disciplinare, il potere di controllo è stato in qualche modo offuscato, quando addirittura non attratto nell’alveo dell’iter punitivo, finendo per essere considerato quale mera fase predisciplinare [7]. Dando peraltro vita a storture i cui effetti si vedranno meglio in seguito. Con la riforma “Brunetta”, dunque, veniva limitato lo spazio negoziale del contratto collettivo in materia disciplinare (art. 40, comma 1, D.Lgs. n. 165/2001) e veniva sostituito l’art. 55 riguardante proprio le sanzioni disciplinari e le diverse responsabilità. Si aggiunsero, inoltre, nuove disposizioni (dal 55-bis al 55-novies) che, munite di carattere imperativo, regolavano analiticamente la materia sotto il profilo sostanziale e procedurale, mentre l’autonomia delle parti sindacali veniva circoscritta alla sola individuazione delle tipologie di infrazione e delle relative sanzioni (salvi, naturalmente, gli illeciti direttamente tipizzati dal legislatore) [8]. In particolare, tra le disposizioni introdotte dal legislatore del 2009, rientrava l’art. 55-quater (rubricato “licenziamento disciplinare”) il quale alla lettera a) contemplava, e contempla tuttora, la «falsa attestazione di presenza in servizio» cui si applica ope legis il licenziamento disciplinare [9]. Nel quadro del potere disciplinare è intervenuta anche la riforma “Madia”, a riprova di come nel settore pubblico la materia sia assurta a punto nodale per conseguire il buon andamento delle amministrazioni e per accrescere la fiducia dei cittadini [continua ..]


3. Il mancato coordinamento con l’art. 4 Statuto dei lavoratori

Si è visto come il decreto n. 116/2016, per rispondere anche sul piano mediatico al fenomeno dei c.d. “furbetti del cartellino” [17], abbia perseguito la strada di una reazione esemplare da parte dell’ente pubblico datore di lavoro, contraddistinta tanto dal rigore sanzionatorio che dalla rapidità dei tempi di risposta. Tuttavia il provvedimento – forse per la scarsa considerazione verso l’autonomia concettuale del potere di controllo, di cui si è accennato – non prende in esame i limiti posti dallo Statuto dei lavoratori all’esercizio dello stesso, affinché sia compatibile con la tutela della dignità del lavoratore e, quindi, sia legittimo. Anzi, il comma 3-ter dell’art. 55-quater, pur senza dichiararlo espressamente, ritiene già utilizzabili a fini disciplinari i dati raccolti tramite gli strumenti di videosorveglianza o di registrazione degli accessi e delle presenze, a prescindere dalle condizioni e dalle regole in base alle quali tale potere dovrebbe essere esercitato da parte dell’amministrazione. Affiora con chiarezza, dunque, una problematica intersezione tra normative giuslavoristiche, dal momento che l’art. 4 Stat. lav. – applicabile al pubblico impiego in virtù dell’art. 51, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001, oltre che dell’art. 37 Stat. lav. – continua a vincolare “a monte” l’installazione e l’impiego degli strumenti menzionati e “a valle” l’utilizzabilità delle informazioni raccolte. Infatti, sebbene la nuova formulazione dell’art. 4, a seguito della riforma attuata dal D.Lgs. n. 151/2015, non contenga più l’esplicito divieto di controllo a distanza, questo è senza dubbio da ritenere persistente [18]. Il legislatore nel pubblico impiego, invece, forse secondo una linea coerente con la legge quadro del 1983, sembra ammettere un controllo a distanza sull’adempimento della prestazione, giustificando tale specialità di disciplina sulla base del necessario contrasto all’assenteismo fraudolento. Tale incoerenza normativa tra i due “mondi” del lavoro subordinato potrebbe superarsi attraverso la considerazione del controllo sulla falsa attestazione della presenza come indispensabile per perseguire almeno una delle esigenze datoriali qualificate, di cui al comma 1 dell’art. 4 Stat. lav. Infatti, [continua ..]


4. Il contrasto all’assenteismo fraudolento nel disegno di legge c.d. “concretezza”

Il disegno di legge recante «interventi per la concretezza delle azioni delle pubbliche amministrazioni e la prevenzione dell’assenteismo» (AS n. 920 e AC n. 1433) consente di cogliere, nonostante sia ancora in corso l’iter di approvazione, alcune linee di continuità e di discontinuità con le più recenti modifiche legislative in materia, cioè con il D.Lgs. n. 150/2009 e con il D.Lgs. n. 116/2016. Anzitutto, il contrasto all’assenteismo dei dipendenti pubblici costituisce, come nei precedenti provvedimenti, uno degli obiettivi principali e una delle ragioni giustificatrici della novella. Si ritiene infatti che in questo modo, e in particolare attraverso l’eliminazione o la “drastica riduzione” delle fraudolente attestazioni di presenza in servizio, possano perseguirsi l’efficienza della pubblica amministrazione e il miglioramento dei servizi, oltre che il recupero della fiducia nel rapporto con i cittadini. Gli interventi del 2009 e del 2016, però, si distinguevano perché comunque collocati in un progetto riformista e dunque fisiologicamente inseriti in una visione più ampia del rapporto di lavoro del pubblico dipendente. Il disegno di legge c.d. “concretezza”, invece, per quanto sia annunciato un intervento più ampio di riforma, si limita ad introdurre novità svincolate da un qualsivoglia impianto organico: quest’ultimo, in effetti, si compone di sei articoli dal contenuto del tutto eterogeneo [32]. Un altro aspetto comune sia al D.Lgs. n. 150/2009 che al D.Lgs. n. 116/2016 era rappresentato dal fatto che entrambi intervenivano – con particolare rigore sanzionatorio – sul piano disciplinare, inserendo nuovi articoli o nuovi commi al D.Lgs. n. 165/2001. Ora il legislatore, pur secondo una linea di rigore coerente con le impostazioni precedenti, sposta l’attenzione sul piano del potere di controllo. Infatti, ritenendo dimostrata l’insufficienza e l’inidoneità delle modalità tradizionali di rilevazione delle presenze (c.d. fogli firme o badge) impone un duplice sistema di controllo, nella forma sia della verifica biometrica dell’identità sia della videosorveglianza. Viene quindi confermata la tendenza ad introdurre norme di legge, solo per il settore pubblico, contenenti una regolazione dettagliata che restringe i margini entro cui i poteri [continua ..]


5. Dati biometrici e rilievi critici del Garante per la protezione dei dati personali

La generalizzata applicazione dei sistemi di rilevazione delle presenze in servizio, basati sulla registrazione dei dati biometrici e sull’installazione di apparati di videosorveglianza, solleva problemi da affrontare secondo il consueto bilanciamento di interessi contrapposti. Occorre, dunque, domandarsi fino a che punto il pregiudizio arrecato al buon andamento dell’azione amministrativa dall’assenteismo fraudolento possa spingere il legislatore a comprimere i diritti alla dignità e alla protezione dei dati personali degli impiegati pubblici. Questo, evidentemente, non per evitare soluzioni di rigore contro gli assenteisti, ma per individuare risposte efficaci e al contempo non lesive di principi che trovano diretta copertura costituzionale. In effetti, nonostante la verifica del rispetto dell’orario di lavoro sia qualitativamente diversa da altre forme di controllo sull’esecuzione della prestazione [37], la disposizione prevede l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di impiegare simultaneamente, e non in via alternativa, i sistemi di verifica biometrica dell’identità e di videosorveglianza. Tale duplice controllo, dunque, comporta il trattamento di dati personali, come l’immagine della persona ricavata dagli impianti di videosorveglianza, e soprattutto di dati biometrici. Il Regolamento (UE) 2016/679, tuttavia, dedica una tutela peculiare ai dati biometrici e limita il loro trattamento (art. 9, par. 2, lett. b), in ragione della speciale incidenza sulla sfera di riservatezza e dignità della persona. Infatti, sono ricavati dalle caratteristiche biologiche (“tratti fisici, biochimici, morfologici o fisiologici”) o comportamentali (“azioni e atteggiamenti”) dell’individuo, a seguito di un apposito procedimento. Questa categoria “particolare” di dati personali, del resto, si distingue per tre diversi profili: univocità, cioè capacità di distinguere ogni singola persona; universalità, cioè presenza degli stessi in ogni individuo; stabilità temporale, cioè permanenza nel corso del tempo (salvi il decadimento per cause naturali o le alterazioni accidentali) [38]. Il Garante, peraltro, ha vietato in numerose occasioni il trattamento dei dati biometrici per finalità di rilevazione della presenza sul luogo di lavoro, in quanto contrario ai principi di proporzionalità e [continua ..]


NOTE
Fascicolo 1 - 2019