Il lavoro nelle Pubbliche AmministrazioniISSN 2499-2089
G. Giappichelli Editore

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Enhancement e P.A. (di Rosanna Fattibene)


SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Verso il raggiungimento del risultato - 3. Performance e potenziamento - 4. L’impiegato enanched. - 5. La partecipazione degli enanched ai concorsi pubblici - 6. Il quadro normativo di (non) riferimento - 7. Brevi conclusioni per una questione epocale - NOTE


1. Premessa

Gli sviluppi delle neuroscienze cognitive, consentendo innovative possibilità di potenziamento umano [1], pongono questioni etiche [2] e giuridiche altrettanto inedite. In questo lavoro se ne tratteggerà una, in particolare, che, sul versante giuridico (rectius: del neurodiritto), impegna principi e diritti di rango costituzionale, riguardanti sia l’individuo – in ispecie, salute, autodeterminazione ed uguaglianza –, sia l’organizzazione – buon andamento della Pubblica amministrazione, in particolare –. Ci si riferisce alla possibilità che dipendenti della P.A. o candidati ai relativi concorsi d’accesso ricorrano a potenzianti cognitivi di tipo farmacologico (cognitive enhancers) [3], al fine di accrescere le capacità e le attitudini più funzionali allo svolgimento delle correlate attività. Si tratta di una pratica non ancora particolarmente diffusa nel mondo del lavoro in Italia, che sembra, invece, interessare maggiormente la popolazione studentesca [4]. Di certo, in qualunque realtà, è fenomeno celato e, come tale, di difficile rilevazione. C’è ragione di temere che i caratteri dell’attività amministrativa e dei rapporti di lavoro nella P.A. possano indurre il formarsi di un ambiente favorevole al ricorso ai potenzianti, a causa della centralità assunta dalla valutazione/premialità del livello di efficienza raggiunto nella performance individuale ed organizzativa. È da questa, pertanto, che s’intende prendere le mosse. Indi, si esaminerà la questione nel duplice, già accennato, profilo problematico in cui essa si presenta, di prestazione (dei dipendenti della P.A.) e di accesso (dei candidati ai concorsi pubblici). Si delineerà, infine, il quadro normativo nel quale può essere sussunto il comportamento di chi assuma enhancers e di chi contribuisca a fornirglieli. Non sembra più del tutto vero che nessuno bada ai travicelli, ai tanti Travet del­l’edificio amministrativo. L’indispensabile opera di sostegno delle tegole prima com­piuta nell’oscurità è oggi performance, come tale osservata e misurata. Come ieri, però, quei travicelli arrancano dietro miglioramenti economici e promozioni: dal­l’esito di quella valutazione, infatti, derivano [continua ..]


2. Verso il raggiungimento del risultato

Le più recenti riforme della P.A. – le c.d. riforme Brunetta e Madia – hanno decisamente proiettato il pubblico impiegato e l’Amministrazione tutta verso il “raggiungimento del risultato”. Com’è noto, queste sono solo le tappe più recenti di un processo di modernizzazione della P.A. che prese le mosse nell’ultimo decennio del secolo scorso. La triplice ed embricata esigenza palesatasi, al tempo, rispetto ai servizi pubblici – di ridurne i costi, di migliorarne la qualità e di collocare opportunamente il sistema amministrativo italiano nel quadro europeo [6] – promosse una logica gestionale della P.A. tesa al raggiungimento del risultato, piuttosto che il legalismo formale che l’aveva caratterizzata in precedenza [7]. Invero, già negli anni ’70, con l’occasione offerta dall’attuazione dell’ordina­mento regionale, un “nuovo modo di amministrare” si era palesato [8]. Esso era rimasto «più enunciato», però, «che applicato» [9]. Sicché, solo lo stringere di quelle tre rilevanti necessità avrebbe indotto, agli inizi degli anni ’90, «una sorta di ritorno alla idea costituzionale di amministrazione: ad un’amministrazione in linea di principio posta al servizio della società e responsabile verso di questa» [10]: un’ammini­strazione – si potrebbe dire – che alla società deve un risultato. Da lì in poi, si sarebbe avviata una serie di riforme della P.A. [11] ispirate alle teorie del New Public Managment [12]. Si avvertiva l’esigenza di una connotazione imprenditoriale dell’Amministrazione, che le consentisse di focalizzare «la propria attenzione sui risultati e non più solamente sul rispetto delle regole» [13]; conseguentemente, anche di una riforma dei controlli che li incardinasse attorno ad «una valutazione dell’attività amministrativa […] legata a criteri economico-aziendalistici» [14]. Si realizzava, insomma, una sorta di managerializzazione della P.A., per la quale è «il rendimento dell’organizzazione» a costituire «il parametro di valutazione per la massimizzazione degli interessi della collettività» [15]. Il lento [continua ..]


3. Performance e potenziamento

La “cultura della performance” è dunque funzionale all’emersione ed alla valorizzazione del merito del dipendente pubblico. Più ancora, la “pressione” della valutazione fa sì che «ciascuno metta in campo le sue risorse e capacità personali, la sua sensibilità e persino la sua creatività, tutti aspetti che altrimenti […] restano storicamente fuori dall’amministrazione» [35]. Ciò può rendere la P.A. e l’attività che il lavoratore vi compie luogo ed occasione di “svolgimento della sua personalità”. Pur sempre, però, di “pressione” si tratta, dagli effetti, pertanto, almeno in parte, potenzialmente negativi. Basti pensare al ricorso agli strumenti premiali a selezione obbligatoria che, volti ad «aumentare la competitività tra i dipendenti», rischiano d’«incrementare» anche «la conflittualità all’interno dei luoghi di lavoro». Siffatta conseguenza va certamente «a sfavore della produttività collettiva» [36], realizzando una sorta di eterogenesi dei fini, ma confligge anche col sereno e libero svolgimento della personalità dell’individuo attraverso il lavoro. Si consideri, inoltre, il depauperamento della «stimolazione mentale», in conseguenza della costrizione, posta dal vincolo delle rilevazioni, «a focalizzarsi su una serie limitata di obiettivi imposti» [37] aliunde. Il sistema di premialità/giudicabilità su cui la cultura della perfomance fa leva può dunque provocare una situazione opposta a quella dello svolgimento della personalità del lavoratore. Se malinteso o vittima delle umane ambizioni/necessità (si ricordi che all’esito della valutazione sono connesse sia le progressioni di carriera che quelle economiche del dipendente), si presta, piuttosto, a rendere il dipendente dell’Amministrazione anche dipendente dai pressanti condizionamenti del contesto lavorativo di riferimento. Tanto più nel caso in cui la valutanda efficienza sia imposta e non solo stimolata [38]. Ad aumentarne il rischio è la perdurante mancanza di un’opportuna pianificazione strategica della qualità dei dipendenti pubblici [39] e la loro connessa [continua ..]


4. L’impiegato enanched.

È presumibile che il ricorso a trattamenti di potenziamento cognitivo, da parte del dipendente pubblico, incida significativamente sul suo apprezzamento in un ambito – come detto – sempre più normativamente orientato al raggiungimento, individuale e di gruppo, di predeterminati (e tendenzialmente elevati) livelli di produttività. È probabile, conseguentemente, che, nei luoghi di lavoro saranno avanzate richieste di potenziamento esplicite, ma anche silenti, provenienti dal contesto e dagli elevati standard di rendimento che vi si stabilizzeranno. Senza adeguarvisi, peraltro, il dipendente pubblico non potrebbe conseguire né avanzamenti di carriera né progressioni economiche che ad essi sono oramai strettamente connessi. Si tratterà, insomma, di un nuovo ed imprevisto tipo di “pressione”. Da sempre, il lavoratore è esposto a condizionamenti provenienti da superiori e colleghi; quella che andiamo ipotizzando, però, ne è una specie particolarmente odiosa ed insidiosa, in quanto induce la persona a “modificarsi” fin nella parte più “identitaria” del suo essere, qual è la mente [50] e il suo pensiero. Occorrerà, pertanto, delineare nuove forme di garanzia della salute, della dignità e dell’autodeterminazione, commisurate all’incidenza di quest’inusitata possibilità di ampliamento delle capacità lavorative. È già stato ipotizzato [51], ad esempio, il ricorso alla responsabilità che, ai sensi dell’art. 2087 c.c. [52], grava sul datore di lavoro per «l’integrità psico-fisica e la personalità morale» del lavoratore, adattando la fattispecie codificata alla nuova istanza di tutela ed al lavoro pubblico. L’ipotesi considerata preme anche su un altro diritto sancito dalla Costituzione: quello del lavoratore «ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro», prescritto dal primo comma dell’art. 36 Cost. È altamente probabile, infatti, che il binomio “quantità/qualità” risulti sistematicamente più elevato per i lavoratori che facciano uso di potenzianti cognitivi. Questa possibilità distorce, dunque, i parametri della relazione retribuzione-lavoro che è stata [continua ..]


5. La partecipazione degli enanched ai concorsi pubblici

Non sembra particolarmente utile richiamare, in premessa, la c.d. riforma Madia per affrontare il tema della possibile partecipazione degli enanched ai concorsi pubblici. In sede di decretazione legislativa delegata [58], non sono state apportate, infatti, le novità pur annunziate dalla legge di delega [59], se non per aspetti marginali [60], che, per quanto significativi su altri versanti, non interessano il tema de quo. Questo è dominato, invece, dalla previsione costituzionale – art. 97, comma 4, Cost. – del concorso quale unica modalità di accesso «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni» [61]. L’espletamento della prova è funzionale a quella selezione tra i candidati che è necessaria in caso di «risorse scarse», nell’ipotesi costituite dal «numero dei posti di pubblico impiegato» messi a concorso, generalmente inferiore a quello degli aspiranti ad essi [62]. Il criterio della selezione è il merito [63], ad intendere, con questo, «un misto di preparazione e di intelligenza che deve essere dimostrato nelle prove d’esame» [64]. È la stessa norma costituzionale in parola a richiederlo: non quel quarto comma fin’ora considerato, bensì, seppure indirettamente, il comma secondo. La selezione, infatti, mira ad individuare, tra i candidati, i più idonei a svolgere le mansioni o le funzioni per le quali il concorso è bandito [65], in omaggio al principio di buon andamento dell’amministrazione che l’art. 97 Cost. prescrive, al comma secondo, appunto [66]. Alla «formula […] molto vasta» [67] che sancisce questo principio è riconducibile, infatti, anche quell’efficienza dell’attività amministrativa [68] alla quale la Corte costituzionale, per il tramite degli artt. 51 e 98 Cost., collega la necessità del pubblico concorso, tanto per il reclutamento dei dipendenti pubblici, tanto per la loro progressione in carriera [69]. L’efficienza di questo strumento di selezione è dovuta essenzialmente alle modalità di partecipazione alla prova che esso contempla [70], attraverso le quali è possibile realizzare «l’interesse pubblico alla scelta dei più capaci» [71]-[72]. Per il raggiungimento di [continua ..]


6. Il quadro normativo di (non) riferimento

La risoluzione delle singole questioni giuridiche poste dal cognitive enhancement si atteggia diversamente a seconda della collocazione del potenziamento nel­l’ordinamento giuridico. Tanto vale sia per quelle qui prospettate, in materia di pub­blico impiego, sia per tutte le altre possibili questioni settoriali. Appare opportuno, pertanto, fare luce anche su quest’aspetto, pur nella difficoltà dovuta all’as­senza di un’esplicita disciplina. Ebbene, de iure condito, non sembra rintracciabile la previsione di un divieto rispetto all’assunzione di enhancers. Vi si oppone, innanzitutto, l’inapplicabilità al caso di norme disciplinanti altre fattispecie: così, almeno, per la disciplina penale in materia di farmaci, pur considerata nelle previsioni più simili all’ipotesi de qua [89]. La prescrizione e l’assunzione di farmaci potenzianti potrebbero ricadere, invece, nell’ambito di applicazione della c.d. legge Di Bella [90], in particolare della disciplina di cui all’art. 3 [91], relativa al consumo off label [92] dei medicinali. All’enhan­cement farmacologico, infatti, per lo più, soggetti sani accedono ricorrendo a farmaci sviluppati per il trattamento di alcune patologie, soprattutto psichiatriche e neurologiche [93], che utilizzano difformemente da quanto autorizzato. La terminologia adoperata nel suindicato articolo – come, d’altro canto, in tutta la normativa in materia di farmaci off-label [94] – non sembra, però, sostenere que­st’i­potesi. Il suo testo fa riferimento, infatti, a “pazienti”, “trattamenti” ed “usi terapeutici”: sembra, dunque, sottintendere uno scopo di “cura”, escludendo, di contro, l’ap­plicabilità della disciplina di cui è portatore anche a sostanze assunte al solo fine del potenziamento. Labile, d’altro canto, è, oramai, in medicina ed in medicina potenziativa in particolare, il confine tra salute e malattia e, di conseguenza, tra cura e potenziamento, per la centralità del ruolo che vi gioca la percezione soggettiva [95]. La valutazione di appropriatezza della prescrizione operata dal medico, a cui fa riferimento la norma («qualora il medico stesso ritenga» [96]), diventa, [continua ..]


7. Brevi conclusioni per una questione epocale

È una facile previsione che l’aspettativa di un intervento del Parlamento sulla questione de qua sarà disattesa, quanto meno nel breve-medio termine. D’altro canto, situazioni più urgenti ed avvertite, in quanto già molto diffuse e discusse – quali la PMA [102] ed il fine-vita [103] –, hanno già mostrato quanto ostinata possa essere l’inerzia del legislatore sulle questioni biogiuridiche. Non può escludersi, d’altro canto, che da queste e da consimili esperienze i rappresentanti del corpo elettorale abbiano appreso l’inutilità ed, anzi, la dannosità di tale atteggiamento; dovendo, alfine, pur sempre intervenire, ma in affanno, arrancando dietro fatti già accaduti, diritti già reclamati, sentenze già pronunciate, che da tempo abbiano sopravanzato tanto la sua noluntas quanto la sua voluntas. Il tema che si è trattato in questo lavoro ben si presta ad essere preso in carico dal legislatore ordinario, pur esulando del tutto dalla ricognizione dei contenuti espressi dalla Carta costituzionale, ma tangente a diritti, libertà e principi ivi iscritti (segnatamente, eguaglianza, salute, autodeterminazione, buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione). Compito del legislatore è attuare la Costituzione anche in quelle parti che vi sono contenute solo in nuce, portandole a disciplina, se ed in quanto “attivate” dall’evolversi della coscienza sociale, della scienza e della tecnologia [104]. Amplissima, però, è la visuale che si apre, a partire dal singolo tema del cognitive enhancement farmacologico nella P.A. Esso, infatti, è solo una parte del potenziamento cognitivo e questo, a sua volta, una delle tante possibilità di potenziamento umano. Gli inediti cambiamenti dei caratteri (ad oggi ancora ritenuti) propri ed ineludibili della nostra specie che andranno sempre più rapidamente a verificarsi, segnando un passaggio epocale dell’evoluzione umana, difficilmente potranno ricondursi all’attuale testo costituzionale, neppure ricorrendo ad un’interpretazione estensiva ed evolutiva di esso [105].


NOTE
Fascicolo 1 - 2019